Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-26, n. 201904390

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-06-26, n. 201904390
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904390
Data del deposito : 26 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/06/2019

N. 04390/2019REG.PROV.COLL.

N. 02873/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2873 del 2008, proposto dai signori S B e A S, rappresentati e difesi dall'avvocato S S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C G in Roma, Corso Italia, n. 45;

contro

il Comune di Recanati, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato V T in Roma, via Carlo Poma, n.4;

nei confronti

i signori N E e L B , non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. I, n. 15/2007, resa tra le parti, concernente concessione edilizia e relativa variante per lavori di ristrutturazione di immobile prospiciente la loro proprietà


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato C G, su delega dell’avvocato S S, V T su delega di E S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Gli appellanti sono proprietari di un immobile fronteggiante quello dei signori Natalini e Barchetta. Contestano la legittimità della concessione edilizia n. 164 dell’8 giugno 2000 e della relativa variante n. 20 del 25 gennaio 2001, con le quali il Comune di Recanati ha autorizzato lavori di ristrutturazione di ridetto immobile, in quanto asseritamente non rispettose delle locali previsioni urbanistiche, in particolare in relazione all’apertura di finestre sulla pubblica via.

2. L’adito T.A.R. per le Marche, con sentenza n. 15 del 31 gennaio 2007, ha dichiarato il ricorso irricevibile per tardività, compensando le spese, ritenendo di poter desumere la piena ed effettiva conoscenza dei provvedimenti da cui le parti assumono di aver subito pregiudizio dall’avvenuta presentazione di un esposto (rivolto al Sindaco e al Dirigente del Settore urbanistica, acquisito agli uffici comunali in data 11 settembre 2001) « con il quale avevano minuziosamente descritto tutte le violazioni urbanistiche poi censurate in questa sede, evidenziando l’indebita realizzazione di due finestre sul Vicolo Lombardi (di una delle quali venivano addirittura precisate le dimensioni), l’apertura di una ulteriore finestra sulla Via XX Settembre, l’alterazione del profilo altimetrico preesistente e dell’andamento del tetto, e facendo anche menzione della normativa urbanistica (piano particolareggiato del centro storico) che si assumeva violata, in quanto le finestre sopra indicate insistevano sulla pubblica via ».

3. I signori B e S hanno proposto pertanto il presente appello, lamentando in primis violazione e falsa applicazione dell’art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034: la ridetta presentazione dell’esposto, mossa dall’esigenza di tutelare la privacy “minacciata” dall’apertura di nuove finestre con vista sul proprio immobile, ne attesterebbe la totale buona fede, essendo il predetto esposto volto a stimolare le verifiche sulla correttezza dell’attività edilizia posta in essere dai vicini in relazione alla sussistenza del titolo di legittimazione, prima ancora che ai suoi contenuti. Solo con l’acquisizione degli atti avvenuta in data 18 dicembre 2001 a seguito di apposita istanza di accesso del 1 dicembre 2001, sarebbe stata percepita la portata lesiva dell’intervento assentito dal Comune: l’avvenuta presentazione del ricorso, notificato in data 7-8 febbraio 2002, si paleserebbe pertanto tempestiva.

Nel merito, hanno quindi riproposto gli originari motivi di doglianza in quanto erroneamente non valutati dal giudice di prime cure. In particolare, lamentano violazione dell’art. 24, lett. d) ed f) delle N.T.A. del Piano particolareggiato del centro storico (P.P.C.S.) del Comune di Recanati, che impone, per gli edifici che hanno perso i caratteri tipologici originari ivi ubicati, la conservazione delle aperture originarie superstiti in tutte le facciate ed al livello stradale, con possibilità di spostare ed integrare esclusivamente quelle insistenti su facciate “ che non abbiano definiti caratteri architettonici e che non insistano sulla pubblica via ”. Nel caso di specie, invece, sarebbe stata indebitamente autorizzata l’apertura di due nuove finestre sul vicolo Lombardi, di interesse degli appellanti in quanto prospicienti la loro abitazione, ed una sulla via XX Settembre, senza peraltro tenere conto, né in sede di rilascio della concessione, né al momento dell’assenso alla variante, del presunto divergente contenuto della relazione del progettista e del parere del funzionario istruttore della pratica. Risulterebbe altresì violato l’art. 31 della l. n. 457/1978 e conseguentemente l’art. 61 del Regolamento edilizio sulla distanza minima delle nuove costruzioni dalla proprietà frontista: l’aumento di volumetria conseguito attraverso la sopraelevazione, infatti, non consentirebbe di sussumere l’intervento realizzato al paradigma della mera ristrutturazione edilizia.

4. Si costituiva in giudizio il Comune di Recanati contestando analiticamente, sia in rito che nel merito, la fondatezza delle argomentazioni proposte dagli appellanti e concludendo per la conferma della sentenza del T.A.R. per le Marche, ovvero per la reiezione anche nel merito dell’odierno gravame.

5. In vista dell’udienza, le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle proprie divergenti prospettazioni. Nella memoria depositata in data 24 aprile 2019, la difesa del Comune di Recanati ha inteso altresì evidenziare la mancata riproposizione da parte degli appellanti dell’istanza risarcitoria avanzata in primo grado, come tale estranea al petitum dell’appello.

6. All’udienza del 28 maggio 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

7. Il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni del giudice di prime cure, il che implica la reiezione dell’appello e l’integrale conferma dell’impugnata sentenza.

8. Viene all’esame della Sezione la tematica, già oggetto di plurime decisioni di questo Consiglio di Stato, dell’esatta accezione da attribuire alla nozione di “conoscenza piena” dei provvedimenti riguardanti l’attività edilizia posta in essere da soggetti terzi ai fini del computo del termine per la proposizione del ricorso.

9. In linea generale, è noto come essa non si identifichi con la conoscenza “integrale” del provvedimento, comprensiva degli atti endoprocedimentali i cui vizi possono ripercuotersi in via derivata sullo stesso: è infatti sufficiente la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della propria sfera giuridica, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso ( cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075;
nonché id . 22 gennaio 2019, n. 534). Il completamento della conoscenza dell’atto, comprensivo della sua genesi istruttoria, sta invece alla base dell’istituto dei motivi aggiunti cosiddetti “propri”, pur nel suo diverso atteggiarsi in base alla disciplina previgente, la cui natura di rimedio postumo a garanzia di integrità della difesa finirebbe diversamente per non avere una pratica ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale.

10. Tali principi generali necessitano di concretizzazione nel peculiare settore dell’edilizia, stante che la percezione della lesività del provvedimento rilasciato o assentito a terzi può variare a seconda della natura del titolo, ovvero dello stato di avanzamento dei lavori e della loro anche astratta assentibilità, esclusa, ad esempio, in zona a inedificabilità assoluta, in relazione alla quale perfino l’inizio dei lavori potrebbe rivelarsi sufficiente allo scopo.

A tale riguardo, la vicinitas di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere sull’interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori.

11. Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia (oggi, permesso di costruire) da parte di terzi, dunque, la percezione dell’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero, come nel caso di specie, in relazione al suo contenuto specifico (ad esempio, per eccesso di volumetria assentita o per violazione delle distanze minime tra fabbricati).

Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso, nell’ambito dell’attività edilizia, è dunque individuato, secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, n. 3875 del 2018; id . nn. 3067 e 5754 del 2017;
Sez. VI, n. 4830 del 2017, che si conformano sostanzialmente all’insegnamento dell'Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, sviluppandone i logici corollari), a seconda dei casi nell’inizio dei lavori, ove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area di interesse;
ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), nel loro completamento e grado di sviluppo, tali da renderne palese l’esatta dimensione, la consistenza, nonché la finalità dell’erigendo manufatto.

Quanto detto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori, specie se munito di “ rendering” e indicazione puntuale del titolo edilizio, ovvero all’effettiva comunicazione tramite pubblicazione all’albo pretorio del comune del rilascio del titolo edilizio;
alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso;
all’effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori;
ecc. ecc.). Per contro, chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale.

12. Ancor più in dettaglio, la giurisprudenza di questo Consiglio ha sistematizzato come segue le affermazioni di cui sopra, specificando che al fine di valutare il rispetto del termine decadenziale per proporre l’azione di annullamento:

- laddove si contesti il quomodo dell’edificazione, può essere necessaria l’effettiva conoscenza del provvedimento, che ordinariamente s'intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che sia data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici;

- l’inizio dei lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso, laddove si contesti invece l’ an dell’edificazione;

- la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall'altro, deve parimenti essere salvaguardato l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. IV, n. 3075 del 2018; id .,n. 5675 del 2017;
nn. 4701 e 1135 del 2016).

13. L’applicazione dei descritti principi alla fattispecie in esame porta a ritenere che gli originari ricorrenti, proprietari di un immobile prospiciente a quello oggetto del contestato titolo edilizio, tanto da individuare in tale ubicazione le rappresentate esigenze di tutela della propria privacy , hanno necessariamente potuto visualizzare lo sviluppo dell’attività edilizia percepibile all’esterno fin da subito. Essi peraltro contestano in primo luogo l’avvenuta apertura di nuove finestre in violazione delle regole statuite al riguardo per gli immobili ubicati nel centro storico dalle invocate N.T.A. del P.P.C.S. : trattasi evidentemente di un’attività di immediata percezione, al pari della realizzazione di un manufatto in zona ad inedificabilità assoluta, il cui avvenuto perfezionamento è documentato proprio nell’esposto in data 10 settembre 2001. In tale documento, infatti, oltre a qualificare correttamente i lavori sull’immobile vicino come “ristrutturazione”, si denuncia espressamente « la realizzazione ex novo di una finestra, delle dimensioni di circa ml 1,35 di altezza e 0,75 di larghezza posta tra due preesistenti finestre, e prospettante sul Vicolo Lombardi »;
nonché l’apertura, egualmente ultimata, di « due nuove finestre che i medesimi coniugi Natalini hanno realizzato, l’una sulla facciata dell’immobile che dà sulla Via XX Settembre, e l’altra che dà sullo stesso Vicolo Lombardi, al piano ultimo dell’edificio »;
infine, alterazioni del fabbricato « rispetto al profilo altimetrico preesistente » e « con riferimento all’andamento del tetto stesso ».

14. A tali considerazioni, di per se stesse troncanti, potrebbe altresì aggiungersi che la presumibile avvenuta apposizione del cartello, già prevista come obbligatoria dall’art. 4 della l. n. 47/1985, vigente ratione temporis , cui le parti non fanno alcun cenno specifico, di per sé e ancor prima della definizione della concreta o potenziale lesività dei lavori, avrebbe dovuto indurre le parti ad attivarsi per acquisire gli atti. Per contro, deve porsi in evidenza che, pur avendo la parte originaria ricorrente esplicitato nell’esposto che si ha “ motivo di dubitare ” della rispondenza dei lavori, ovvero dei titoli, alla vigente disciplina urbanistica, solo in data 1 dicembre 2001 ci essa si è attivata per acquisire la documentazione relativa. Di talché, va considerato che:

a) a tutto concedere si potrebbe dubitare dell’immediata percezione delle concrete caratteristiche del progetto assentito in termini di volumetria ed altezza, benché se ne stigmatizzino le evidenze esterne;

b) certamente, non altrettanto è a dirsi per l’avvenuta realizzazione delle nuove finestre, analiticamente descritte non solo numericamente, ma finanche per dimensione.

15. Del tutto inconferente, infine, si palesa il richiamo alla sentenza n. 982/2019 di questo Consiglio di Stato contenuto nella memoria depositata dagli appellanti in data 26 aprile 2019: premessa infatti la medesima ricostruzione degli arresti giurisprudenziali in materia di decorrenza del termine per impugnare un titolo edilizio, in quell’occasione si è ritenuto necessaria l’effettiva conoscenza del contenuto del titolo edilizio per individuarne gli esatti confini e la conseguente lesività, in ragione della peculiarità dei luoghi e della tipologia dello stesso (una D.I.A.), per cui non era in concreto sufficiente la mera visualizzazione dei suoi estremi sul cartello di cantiere. Non senza ricordare, tuttavia, che la tempestività del ricorso va comunque valutata avuto riguardo all’avvenuta celere attivazione presso il Comune di riferimento per richiedere l’accesso agli atti del relativo procedimento edilizio. « Infatti, come evidenziato, costituisce onere di chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio il sollecito esercizio dell’accesso documentale ». Il che non è accaduto nel caso di specie, nel quale le parti, pur dubitando della conformità urbanistica dell’intervento, dopo averne dettagliato rappresentato le presunte illegittimità, hanno richiesto gli atti relativi solo in data 1 dicembre 2001.

16. Alla luce di quanto sopra, l’appello va respinto e, conseguentemente, va confermata la sentenza del T.A.R. per le Marche n. 15/2007.

17. La particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di giudizio del grado.

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