Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-07-19, n. 202206262

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-07-19, n. 202206262
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206262
Data del deposito : 19 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/07/2022

N. 06262/2022REG.PROV.COLL.

N. 04595/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4595 del 2020, proposto da
R R, rappresentato e difeso dall'avvocato D I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;

contro

Ministero dell'Istruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 02058/2020


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2022 il Cons. R M C e uditi per le parti l’avvocato D I;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’originario ricorso l’odierna appellante principale, ricercatrice di Diritto amministrativo e Professore aggregato di Diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, impugnava l’esito negativo della procedura di abilitazione scientifica nazionale (ASN) indetta con D.D. n. 222/2012, alla quale aveva partecipato per il settore concorsuale 12/D1 (Diritto Amministrativo), seconda fascia.

L’impugnazione, respinta in primo grado dal TAR Lazio, era accolta, a seguito di appello, con sentenza del Consiglio di Stato n. 4242 del 6 settembre 2017, nella quale si ordinava al MIUR di effettuare un nuovo giudizio di idoneità, con nomina di una diversa Commissione giudicatrice.

La nuova Commissione, nominata con D.D. n. 2387 del 20/9/2017, insediatasi dopo quattro sostituzioni dei membri sorteggiati, il 10 aprile 2018 rendeva all’unanimità il positivo giudizio di ASN, attestando la chiesta qualificazione scientifica.

Con ricorso al TAR Lazio l’appellante chiedeva la condanna del MIUR al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo diniego di ASN per le funzioni di professore di seconda fascia di Diritto amministrativo reso in data 24.12.2013;
danni a lei derivati dalla impossibilità a partecipare:

- alle “procedure di ASN” indette nel biennio successivo (2014-2015) per l’attribuzione della stessa ASN o per l’attribuzione dell’abilitazione alle funzioni superiori, giusta la preclusione normativa disposta dall’art 16 c. 3 lett. m della legge 240/2010;

- a 23 “procedure di chiamata” bandite, ex art 18 della legge n.240/2010, da gennaio 2014 ad aprile 2018 dai vari Atenei nazionali per il settore concorsuale 12/D1 e connessi settori scientifico disciplinari, seconda fascia;

alle procedure valutative “riservate”, ex art 24 c.6, “ai ricercatori a tempo indeterminato in servizio presso l’Ateneo”, ovvero alle due procedure che risultano essere state indette dall’Ateneo di “Tor Vergata”, sin dal 2014 per il settore concorsuale 12/D1 – Diritto Amministrativo – seconda fascia.

Esponeva che avrebbe potuto ricoprire la superiore qualifica fino al 2033 (anno di suo futuro collocamento a riposo) e chiedeva che il danno patrimoniale fosse parametrato alla differenza tra lo stipendio di professore associato e quello di ricercatore nel periodo anzidetto (diciotto anni).

Inoltre chiedeva il risarcimento da perdita di chance di essere nominata professore ordinario con conseguente aumento stipendiale e il danno, parimenti patrimoniale, correlato al minor TFR ed al minor trattamento previdenziale, considerata la aspettativa di vita (85 anni).

Affermava, inoltre che meritevole di ristoro era anche il danno non patrimoniale nella sua accezione di “danno alla carriera”.

Il Tar, con la sentenza n. 2058 del 14 febbraio 2020, accoglieva parzialmente il ricorso.

L’originaria ricorrente, lamentando che le domande sono state accolte con una liquidazione del danno pressoché “simbolica”, appellava la sentenza.

Resisteva il MIUR il quale proponeva, altresì appello incidentale.

All’udienza del 5 luglio 2022 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Deve essere preliminarmente esaminato il primo motivo dell’appello incidentale con cui il Ministero appellato deduce error in iudicando in ordine alla ritenuta sussistenza di una responsabilità a carico dell’amministrazione, tanto in relazione all’elemento soggettivo che al nesso di causalità.

Lamenta che giudice di primo grado aveva errato nel ritenere comprovati i presupposti necessari al configurarsi di una responsabilità risarcitoria a carico del MIUR e che, nel fissare criteri di valutazione ulteriori e più selettivi rispetto a quelli generali previsti dal D.M. 76/2012, la Commissione aveva solo fatto esercizio di un potere espressamente riconosciutole dalla normativa in ordine all’elemento soggettivo.

La censura non è fondata.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4242/2017, ha accolto il motivo inerente l’illogicità del c.d. criterio con valenza preponderante, aggiunto dalla Commissione, secondo cui, per ottenere l’abilitazione scientifica nazionale, è necessario “ avere inserito nella domanda di partecipazione almeno tre pubblicazioni scientifiche di livello eccellente o buono secondo le definizioni del DM 76/2012 all. D par. 1 e 2, tra cui almeno una monografia ”, affermando che il giudizio espresso nei confronti della ricorrente risultava non soltanto affetto da carenza di motivazione, ma addirittura alterato, per essere stato utilizzato un criterio più selettivo di valutazione che non risultava applicabile al caso di specie e si poneva in contrasto con le disposizioni che regolano il procedimento in questione Il Consiglio di Stato ha, infatti, osservato che “ il D.M. n. 76 del 1972, che regola la materia, ha riservato alla prima fascia il conseguimento della piena maturità scientifica mentre il giudizio espresso nei confronti della ricorrente era stato effettuato sulla base di un metro di valutazione nel quale sono stati introdotti elementi di necessaria eccellenza (e quindi di piena maturità) che sono propri del giudizio di idoneità alle funzioni di docente di prima fascia e non anche del giudizio di idoneità alle funzioni di docente di seconda fascia (per la quale è richiesta la sola “maturità scientifica)”.

Sul piano oggettivo, la ricorrenza di una responsabilità della pubblica amministrazione presuppone la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto, con la necessità, a tale ultimo riguardo, di distinguere l'evento dannoso (o c.d. "danno-evento") derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. "danno-conseguenza"), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3).

Con specifico riferimento all'accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l'evento lesivo - c.d. "causalità materiale" - occorre, inoltre, verificare "se l'attività illegittima dell'Amministrazione abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento" (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318).

Trattasi di un giudizio da svolgere in applicazione della teoria condizionalistica, governata dalla regola probatoria del "più probabile che non" e temperata in applicazione dei principi della causalità adeguata.

In particolare, occorre procedere ad un giudizio volto a stabilire "se, eliminando o, nell'illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l'evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l'esistenza di condotte idonee - secondo il criterio del "più probabile che non" - a cagionare quel determinato evento. Sicché l'esito positivo del predetto giudizio - riconducibile alla teoria della causalità adeguata - accerta definitivamente l'efficienza causale dell'atto illegittimo rispetto all'evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l'effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792)" (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 luglio 2019, n. 4790).

Positivamente definito lo scrutinio in ordine alla causalità materiale, a fronte d'un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, occorre verificare la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).

Nella fattispecie in esame sussistono tutti gli elementi costitutivi dell'illecito considerato che la lesione - mediante illegittimo esercizio della funzione amministrativa – violativa dell'interesse legittimo pretensivo integra ormai pacificamente, già a decorrere dalla sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il requisito del danno ingiusto, in quanto cagionato " contra ius ".

Quanto all'effettiva sussistenza della colpa in capo all'apparato amministrativo, la stessa può consistere nella violazione di norme, la cui osservanza avrebbe evitato il verificarsi del danno, desumibile dalla suddetta decisione n. 4242 /2017 laddove era stato precisato che era stato utilizzato un criterio più selettivo di valutazione che non risultava applicabile al caso di specie e si poneva in contrasto con le disposizioni che regolano il procedimento in questione.

Se è pur vero che l'illegittimità "in sé" di un provvedimento amministrativo non è fondamento diretto del risarcimento del danno, ciò non esclude che, in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione, il risarcimento possa essere pronunciato una volta che il giudice amministrativo proceda ad accertare che: a) sussista un evento dannoso;
b) il danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento;
c) l'evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione;
d) il medesimo evento dannoso sia imputabile alla responsabilità della Pubblica Amministrazione anche sotto il profilo oggettivo del dolo o della colpa ( ex multis : Cons. Stato, Sez. V, 2.5.13, n. 2388 e Tar Lazio, Sez. II, 17.12.21, n. 13122).

Nel caso di specie, il Collegio rileva l'esistenza di tali presupposti, dato che:

a) sussiste l'evento dannoso in quanto non è stata riconosciuta, con provvedimento giudicato illegittimo, l'abilitazione scientifica nazionale a cui il candidato aspirava nel corso della "prima valutazione";

b) il danno è qualificabile come "ingiusto", perché si è riflesso sulla posizione giuridica soggettiva dell'interessato, di interesse legittimo pretensivo;

c) è innegabile la condotta diretta dell'Amministrazione sotto il profilo causale, in quanto è stato il criterio individuato erratamente dalla Commissione a causare l'evento dannoso;

d) è rinvenibile il profilo della "colpa" dell'Amministrazione, in quanto la sentenza del Consiglio di Stato ha chiaramente evidenziato la palese illegittimità in cui era incorsa la Commissione nel formulare il primo giudizio negativo, in quanto aveva erroneamente applicato i criteri previsti per il conferimento dell’abilitazione scientifica di prima fascia alle procedure per il conferimento della seconda fascia e perché aveva reso un giudizio negativo omettendo di considerare altri elementi che nell’ottica del giudice di appello era vincolata a valutare.

Quanto all’omessa attivazione della tutela cautelare che avrebbe consentito di interrompere il nesso eziologico tra la condotta del MIUR e il danno subito, il TAR ha correttamente evidenziato che in tutti i contenziosi aventi ad oggetto il diniego di abilitazione scientifica nazionale la giurisprudenza ha sempre negato che sussistono i presupposti per la concessione della tutela cautelare in quanto nessuna utilità potrebbe trarre il candidato dall’immediata sospensiva del giudizio di non abilitazione, posto che, anche sospendendo l’efficacia del provvedimento de quo , lo stesso rimarrebbe privo del titolo abilitativo alle funzioni di prima o seconda fascia e quindi della possibilità di prendere parte alle procedure di chiamata.

Inoltre, il Collegio ritiene che nel caso di specie non sussistano le esimenti rilevate dalla giurisprudenza corrispondenti a contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una fonte normativa di formulazione incerta, previsioni da poco entrate in vigore, rilevante complessità del fatto, influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata, secondo il richiamo operato dal ricorrente (Cons. Stato, Sez. V, 23.1.12, n. 265).

2. Con il primo motivo di appello principale l’appellante deduce: Error in iudicando sul danno patrimoniale;
Travisamento di fatto e di diritto;
Contraddittorietà, omessa valutazione di fatti e prove rilevanti ed assenza di relativa motivazione;
Incongruenza della motivazione sul quantum .

Contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui, pur avendo ritenuto fondata la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance , ne aveva circoscritto la quantificazione al quadriennio 2014-2018, coincidente con il ritardo maturato nel conseguimento del titolo abilitativo, anziché estenderla fino al 2033, anno di presunto collocamento a riposo della ricorrente. Evidenzia, in particolare, che la perdita di chance di partecipare alle procedure soprattutto interne, per lei più significative (i 2 concorsi banditi nel 2014/2015) in vista del bene finale, data l’elevata probabilità, per quanto dimostrato in concreto, di conseguire in quell’arco temporale (2014-2018), anzi proprio negli anni 2014/2015, la cattedra, non poteva essere considerata situazione “modificabile” e dunque “ripetibile” in futuro alle condizioni originarie.

3. Con il secondo motivo deduce: Error in iudicando sul danno non patrimoniale;
Errore di valutazione del danno alla carriera e incongruità della stima.

4. Con il secondo motivo di appello incidentale l’Amministrazione appellata lamenta l’erronea quantificazione del danno.

Le censure, suscettibili di trattazione congiunta non sono fondate.

3.1. Il Tar ha correttamente osservato che “ la perdita di chance risulta dimostrata in re ipsa dalla impossibilità della ricorrente di partecipare alle procedure concorsuali successivamente bandite al contestato originario giudizio negativo dal Ministero resistente, ai sensi dell’art.18 della L. n.240/2010 ed ex art.24, comma 6, e pubblicate sul sito web dello stesso e che risultava fondata la pretesa con cui si chiedeva il ristoro della chance di diventare professore associato, in quanto conseguenza diretta e immediata dell’adozione dell’originario giudizio negativo, mentre non poteva essere accolta la pretesa tesa ad ottenere anche il risarcimento del danno derivante dalla perdita della possibilità di diventare, una volta acquisita la qualifica di professore di II fascia, anche professore di prima fascia, dato che trattandosi di una sorta di chance di secondo grado in quanto presuppone il realizzarsi della chance di primo grado, non costituisce una conseguenza diretta ed immediata dell’operato illegittimo dell’amministrazione, tenuto conto, altresì, che il conseguimento della prima fascia è subordinato a criteri diversi da quelli previsti per il conseguimento della seconda fascia e che, in ogni caso, la ricorrente avrebbe potuto partecipare alla procedura per il conferimento dell’abilitazione scientifica di prima fascia anche come ricercatore ”.

Al riguardo, deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza amministrativa per cui:- "La tecnica risarcitoria della perdita della chance garantisce l'accesso al risarcimento per equivalente solo se la chance abbia effettivamente raggiunto un'apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule "probabilità seria e concreta" o anche "elevata probabilità" di conseguire il bene della vita sperato;
in caso di mera 'possibilità' vi è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione, poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto" (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 15 novembre 2019, n. 7845);

- "Il riconoscimento del danno da perdita di chance presuppone la sussistenza di una rilevante probabilità del risultato utile, che sia stata vanificata dall'agire illegittimo dell'amministrazione;
tale probabilità, tuttavia, non si identifica nella semplice possibilità di conseguire il risultato sperato ma deve consistere nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura nella prova certa di una probabilità di successo, almeno pari al cinquanta per cento" (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 23 settembre 2019, n. 6319);

- "Il danno da perdita di chance presuppone una rilevante probabilità del risultato utile frustrata dall'agire illegittimo dell'amministrazione, non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento o quella che l'interessato si sarebbe effettivamente aggiudicato il bene della vita cui aspirava" (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 27 febbraio 2019, n. 1386)" (Consiglio, sez. II, 27 ottobre 2020, n. 6540).

Nella specie si osservi che il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale non equivale al giudizio di idoneità conseguibile all'esito delle procedure valutative, in quanto mentre l'idoneità conferisce titolo alla nomina a professore, avendo il candidato idoneo superato apposita procedura valutativa comparativa preordinata al conferimento di un posto di docenza, l'abilitazione scientifica nazionale avrebbe rappresentato, ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. b), L. n. 240/10, un requisito per la partecipazione alle procedure di chiamata suscettibili di essere in futuro indette dall'Amministrazione universitaria.

Pertanto, la posizione dell'abilitato non è raffrontabile con quella dell'idoneo: il primo, per realizzare il proprio interesse finale (nomina quale professore universitario), deve partecipare alla procedura di chiamata e risultare idoneo al conferimento del posto di docenza.

Sostiene l’appellante che rispetto al periodo gennaio 2014 – aprile 2018, successivamente le possibilità di essere chiamata come professore associato per il tramite di una procedura comparativa bandita dagli atenei italiani ai sensi dell’art. 18, L. 240/2010 erano prossime allo zero.

Al contrario si evince dallo stesso sito MIUR (bandi.miur.it) da cui la ricorrente ha desunto che nel periodo citato sono state bandite 23 procedure comparative per la posizione di associato nel settore 12/D1-diritto amministrativo, che da aprile 2018 al 2020 gli atenei italiani hanno indetto ben 15 procedure ex art. 18, comma 1, L.240/2010 per la chiamata in ruolo di docenti di seconda fascia di diritto amministrativo.

Vale a dire che in poco più di due anni, sono state bandite procedure in misura vicina a quelle bandite nell’intero quadriennio gennaio 2014-aprile 2018. Sicché le possibilità di accesso sono state tutt’altro che azzerate.

Inoltre, con riferimento alle procedure valutative interne all’Università Tor Vergata dal portale internet dell’Ateneo, al settore concorsi, risulta che da aprile 2018 a marzo 2020 l’Università di “Tor Vergata” ha indetto ben 23 procedure valutative ex art. 24, comma 6, L. 240/2010 per la chiamata in ruolo di docenti di seconda fascia nei diversi settori concorsuali.

Correttamente l’amministrazione intimata ha, inoltre, rilevato che con l. 30 dicembre 2018, n. 145 (legge bilancio 2019), è stato previsto, all’art. 1, comma 401, lett. b), uno stanziamento, a valere sul fondo di finanziamento ordinario, pari a 10 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2020, da destinare alla progressione di carriera dei ricercatori universitari a tempo indeterminato, sia mediante l’indizione di procedure ex art. 18, comma 1, L. 240/2010 ad essi riservate, sia mediante l’attivazione di procedure valutative ex art. 24, comma 6 della medesima legge. Con il D.L. n. 162 del 30 dicembre 2019, art. 6, comma 5 sexies , è stata inoltre prevista una proroga del piano straordinario di progressione dei ricercatori universitari a tempo indeterminato in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, fino al 31 dicembre 2022, con uno stanziamento di fondi pari a 15 milioni di euro. Con D.M. n. 84 del 14 maggio 2020 il MUR ha dato attuazione al piano straordinario definendo i criteri di ripartizione dei fondi da destinare alla progressione di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato.

Dalla tabella allegata al decreto si evince che all’università di Tor Vergata è stato assegnato un importo di € 505.310,00, proporzionato al numero di ricercatori a tempo indeterminato in servizio al 31 dicembre 2019.

Ne deriva che i ricercatori universitari a tempo indeterminato non solo potranno beneficiare di procedure valutative ex art. 24, comma 6, bandite dai rispettivi atenei di appartenenza, ma potranno anche partecipare a tutte le procedure ex art. 18, comma 1, bandite da un qualunque ateneo nazionale e riservate ai soli ricercatori a tempo indeterminato in possesso dell’abilitazione.

Né può ritenersi che i pregiudizi conseguenti al ritardato conseguimento del titolo abilitativo persisterebbero ancora oggi non avendo l’appellante potuto prendere parte alla procedura ex art. 24, comma 6, L. 240/2010 rieditata dall’ateneo con D.R. 811/2019, a seguito dell’annullamento dalla parte del Consiglio di Stato della originaria procedura bandita nel 2014. E ciò in quanto l’ateneo avrebbe deciso di ammettere alla procedura solo quanti erano in possesso dell’abilitazione scientifica alla data del 19 novembre 2014. La procedura, tuttavia, è una di quelle cui l’appellante non aveva potuto partecipare a suo tempo, sulla cui base è stato riconosciuto il risarcimento del danno, sicché il pregiudizio lamentato non può duplicarsi in ragione del rinnovo della procedura.

L’appellata, pur lamentando una maggiore difficoltà di accesso alla docenza, non dà prova di aver preso parte, né di aver fatto domanda di partecipazione, ad una delle 16 procedure concorsuali bandite dagli atenei italiani a decorrere dall’aprile 2018. Il che chiaramente impedisce di ritenere comprovate le difficoltà lamentate.

Le considerazioni che precedono conducono a ritenere del tutto infondato l’appello spiegato dall’appellante avverso il capo di sentenza che ha circoscritto la quantificazione del danno patrimoniale al solo periodo 2014 – 2018. La stessa, infatti, non ha fornito prova, neppure in termini di elevata probabilità, che la chance di divenire docente universitario sia divenuta per essa irripetibile e che il ritardo nel conseguimento del titolo abilitativo le abbia precluso di divenire professore associato fino alla data del presunto pensionamento.

Quanto alla pretesa perdita di chance di divenire professore ordinario si osservi che l’appellante, benché abbia conseguito ad aprile 2018 l’abilitazione alla seconda fascia di docenza per il settore 12/D1, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado non ha neppure presentato domanda di abilitazione per la prima fascia di docenza nel medesimo settore concorsuale.

Tanto basta ad impedire la prova, anche in via presuntiva, che il mancato possesso dell’abilitazione alla seconda fascia possa aver avuto una qualunque incidenza sul mancato conseguimento dell’abilitazione alla fascia superiore.

Per la quantificazione del danno il TAR ha preso in considerazione la tabella citata da parte ricorrente a pag.5 della memoria versata agli atti il 7 dicembre 2019 in base alla quale, nel periodo temporale 2014-2018, dei 179 Ricercatori a tempo indeterminato al 2013 nel settore concorsuale di Diritto amministrativo l’abilitazione è stata conseguita dal 56% di cui il 68% donne e la chiamata è stata ottenuta dal 56% di cui il 58% donne, con la conseguenza che nel calcolare le differenze retributive ha correttamente individuato una percentuale del 60%.

3.2. Definite le questioni afferenti al risarcimento del danno patrimoniale, poste dai motivi di appello principale e dal secondo motivo di appello incidentale occorre soffermarsi sulla quantificazione delle conseguenze non patrimoniali risarcibili, operata dal Tar nella misura del 2% del danno patrimoniale, questione pure oggetto delle censure impugnatorie svolte in via principale dall'appellante.

Il danno non patrimoniale, configurabile quale danno-conseguenza derivante dall'effettiva lesione di specifici beni/valori oggetto di tutela (e non quale mero danno-evento), deve essere puntualmente allegato e dimostrato nella sua consistenza, se del caso attraverso il ricorso a presunzioni, purché plurime, precise e concordanti.

Laddove si accedesse all'opposta tesi del danno in re ipsa , si finirebbe infatti per snaturare la funzione stessa del risarcimento, che non conseguirebbe all'effettivo accertamento di un danno, ma si atteggerebbe alla stregua di vera e propria pena privata per un comportamento illecito.

Come precisato da questo Consiglio, “ per conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale, il richiedente è tenuto ad allegare e provare in termini reali il pregiudizio subito, anche se collegato a valori riconosciuti a livello costituzionale, e ciò perché la categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., pur nei casi in cui la sua applicazione consegua alla violazione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un'ipotesi di danno-conseguenza, il cui ristoro è in concreto possibile solo a seguito dell'integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza (deducibile da specifiche circostanze da cui possa desumersi la violazione di interessi di rilievo costituzionale) ed in ordine alla sua riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiato (cfr. Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26792; Cass. Sez. III, 24 settembre 2013, n,, 21865; Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 34)" (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 giugno 2019, n. 4454).

In particolare, la parte privata argomenta le proprie deduzioni sulla base della delusione illecita di aspettative ad un sicuro " cursus " universitario legato allo svolgimento del ruolo di professore associato e ordinario con riflessi sull'immagine e sulla considerazione dell'ambiente universitario di riferimento.

L'impossibilità di configurare una certa progressione in carriera rileva non soltanto ai fini patrimoniali, per escludere l'integrale riconoscimento del maggiore trattamento economico altrimenti spettante (come osservato, riconoscibile soltanto nella misura del 60%), ma anche ai fini non patrimoniali, per negare quei pregiudizi attinenti alla sfera personale, relazionale e sociale che presuppongono l'ingiusta negazione di una sicura prospettiva di carriera del ricorrente.

Sicché correttamente il primo Giudice ha limitato nella misura del 2% del danno patrimoniale.

3.3. Le ulteriori e maggiori conseguenze non patrimoniali dedotte dall’appellante non risultano provate.

Come precisato dalla giurisprudenza ordinaria, "il danno all'immagine ed alla reputazione, inteso come "danno conseguenza", non sussiste " in re ipsa ", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Sicché la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice in base, non tanto a valutazioni astratte, bensì al concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 31537 del 06/12/2018;
Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7594 del 28/03/2018;
Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017). La sussistenza di un danno non patrimoniale in concreto subito, dunque, deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017)" (Cass. civ. Sez. III, Ord., 18 febbraio 2020, n. 4005).

Nel caso di specie, non risulta ascrivibile all'Amministrazione alcuna lesione dell'onore o della reputazione dell’appellante non emergendo espressioni o dichiarazioni ascrivibili alla parte pubblica, suscettibili di ledere la considerazione che il ricorrente ha della propria persona o la stima sociale di cui lo stesso gode;
né tali conseguenze potrebbero discendere dal mero disconoscimento dell'abilitazione scientifica.

Alla stregua delle considerazioni svolte, non emerge che l’appellante abbia subito pregiudizi afferenti alla propria sfera morale o esistenziale (sub specie di "dolore, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione" - Cass. civ. Sez. III, Sent., 27 maggio 2019, n. 14364), né un mutamento delle sue relazioni di vita esterne, avendo continuato a svolgere in ambito accademico, la propria attività lavorativa, con conseguente insussistenza di un peggioramento, giuridicamente apprezzabile in termini risarcitori ex art. 2059 c.c., delle abitudini di vita personale e professionale.

L’appello principale deve essere, conseguentemente, respinto.

Dalla reciproca soccombenza parziale deriva la compensazione delle spese processuali.

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