Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-07-06, n. 202004340

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-07-06, n. 202004340
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004340
Data del deposito : 6 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/07/2020

N. 04340/2020REG.PROV.COLL.

N. 08639/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8639 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A D V, A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A D V in Roma, viale Giulio Cesare, 71;

contro

Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti 11;
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Vito Iorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Scirè 15;
-OMISSIS-non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-, del Ministero dell'Interno, in cui si incardina l’Ufficio Territoriale del Governo -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020 il Cons. Umberto Maiello e trattenuta la causa in decisione a seguito di camera di consiglio svolta in modalità da remoto ;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. In data -OMISSIS-si sono svolte le elezioni del nuovo consiglio comunale di -OMISSIS-.

1.1. L’attuale appellante è stato eletto consigliere per la lista n. 1 "Prima -OMISSIS-".

Alla carica di primo cittadino è stato eletto il sindaco -OMISSIS-

1.2. Lo stesso era stato in precedenza sospeso dalla carica, per il periodo di diciotto mesi, con decreto del Prefetto di Macerata 22.6.2018, emesso, ai sensi dell'art.11 d.lgs. n. 235/2012, a seguito della sentenza del Tribunale penale di Ancona -OMISSIS-.

1.3. Alla sospensione avevano fatto seguito le dimissioni contestuali -OMISSIS-consiglieri ed il conseguente scioglimento del consiglio comunale, sancito con decreto prefettizio -OMISSIS-.

1.4. All’esito delle nuove elezioni del 2019, non essendosi esaurito il periodo di sospensione, il Prefetto di Macerata, con provvedimento 27.5.2019, ha nuovamente dichiarato la sospensione dalla carica del Sindaco del -OMISSIS-per il tempo residuo, detratto il periodo di commissariamento del consiglio comunale.

1.5. La nuova sospensione è tuttavia intervenuta dopo che il sindaco, con decreto sindacale -OMISSIS- aveva già nominato la Giunta ed attribuito la qualifica di -OMISSIS-, a loro volta, avevano adottato delibere e decreti.

2. L’attuale appellante ha quindi notificato ricorso innanzi al Tar Marche chiedendo, in via principale, l’annullamento: sub a) degli atti di nomina della Giunta e del Vicesindaco, nonché degli atti da questi ultimi adottati;
sub b) della proclamazione a sindaco del -OMISSIS-, previo accertamento della sua condizione di incandidabilità.

2.1. A supporto delle sue istanze, il ricorrente ha sostenuto che la sospensione ex art. 11 d.lgs. 31.12.2012 n. 235 opera di diritto, per cui il -OMISSIS- non poteva assumere – sia pure per poche ore – la carica di Sindaco ed in quella veste procedere alla nomina della Giunta e del Vicesindaco.

2.2. Con sentenza -OMISSIS-, il giudice di primo grado - dopo aver ritenuto applicabile alla materia del contendere il rito elettorale e dopo aver affermato la propria giurisdizione - ha in parte respinto nel merito e in altra parte dichiarato inammissibili il ricorso e i relativi motivi aggiunti.

2.3. In sintesi, il Tar ha:

- respinto le censure indirizzate avverso l’ammissione della candidatura e l’atto di proclamazione, sostenendo che la sospensione ex art. 11 del d.lgs. n. 235/2012 non costituisce causa di incandidabilità, sicché essa non poteva precludere la ricandidatura dell’ex sindaco alle nuove elezioni (Corte Cost. nn. 236/2015, 276/2016 e 36/2019);

- ha aderito alla tesi della natura costitutiva e recettizia dell’atto prefettizio dal quale promana l’effetto sospensivo (Cass. civ., sez. I, n. 8618/2017 e n. 16052/2009);

- ha ulteriormente chiarito che:

-) la sospensione opera con riguardo alla carica ma che, una volta sciolto il Consiglio Comunale, la carica decade, per cui alle successive elezioni il soggetto decaduto non si ripresenta come sindaco, ma come semplice candidato sindaco (o consigliere), il che rende necessario che, laddove egli risulti nuovamente eletto alla carica, il Prefetto riadotti un nuovo atto di sospensione;

-) il soggetto sospeso è presunto innocente e le esigenze di tutela sottese al d.lgs. n. 235/12 sono adeguatamente garantite dalla sospensione ad tempus del condannato;

-) l’automaticità della sospensione del Sindaco e la conseguente impossibilità di procedere alla nomina della Giunta e del Vicesindaco determinerebbero il commissariamento del Comune e l'indizione di nuove elezioni. Questa ipotesi non sarebbe però percorribile perché l'art. 273, comma 5, T.U.E.L. subordina l'applicabilità dell'art. 19 R.D. n. 383/1934 al presupposto che il potere esercitato dal Prefetto sia compatibile con l'ordinamento vigente: ebbene, detta compatibilità nell'ipotesi in esame sarebbe da escludere perché la reggenza commissariale si instaurerebbe subito dopo le elezioni e potrebbe arrivare a coprire tutta la durata della legislatura (ben potendo il giudizio penale protrarsi per più di diciotto mesi), il che costituirebbe un vistoso strappo istituzionale.

3. L’appello qui in esame è circoscritto alla domanda di annullamento degli atti indicati sub a) nell'originario ricorso di primo grado.

Si tratta, in particolare, del decreto del Sindaco di --OMISSIS- di nomina della Giunta comunale e del Vice Sindaco;
nonché di tutti gli atti presupposti, preordinati e conseguenti, posti in essere dalla Giunta e dal Vice Sindaco e/o da essi dipendenti.

Ulteriore censura viene rivolta avverso la declaratoria di non impugnabilità della delibera G.M. n. 16/19.

3.1. Nel merito, viene riproposta la tesi per cui la sospensione dalla carica pubblica prevista dall'art. 11 del d.lgs. n. 235/12 opera di diritto ed il decreto prefettizio presenta mero carattere dichiarativo e non costitutivo.

3.2. Si è costituito in giudizio, per resistere alle domande di parte appellante, il Comune di -OMISSIS-, riproponendo, nella sostanza, l’apparato di controdeduzioni già sviluppate nel primo grado di giudizio.

3.3. In assenza di istanze cautelari, espletato lo scambio di memorie ex art. 73 c.p.a., la causa è stata posta in decisione all’udienza del 18 giugno 2020.

4. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

4.1. Preliminarmente, il Collegio rileva che la parte appellante ha prestato acquiescenza al capo della decisione di prime cure riferito alla questione processuale sul rito applicabile alla controversia limitando il devolutum alle sole questioni sottese alle avversate statuizioni di merito di guisa che è possibile concentrarsi sul merito della res iudicanda , per come espressamente perimetrata nel mezzo in epigrafe. Ciò nondimeno, il Collegio intende rimarcare che il presente giudizio si svolge nelle forme ordinarie in ragione dell’orientamento già espresso nella sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 1328/2018, da cui non vi è ragione di discostarsi.

4.2. La prima pregiudiziale questione posta all’attenzione del Collegio involge il tema controverso della efficacia dichiarativa ovvero costitutiva del provvedimento prefettizio di sospensione dalla carica adottato, a norma dell’art. 11 d.lgs. 235/2012, nei confronti di un soggetto attinto da una condanna, ancorché non definitiva, per uno dei delitti di cui all’art. 10, comma 1, del medesimo testo normativo. E’, infatti, di tutta evidenza come il suddetto pregiudiziale snodo esegetico condizioni, in apice, la validità o meno degli atti successivi alla proclamazione degli eletti, adottati dagli organi elettivi di guisa che l’esame della suddetta quaestio iuris va necessariamente anteposto rispetto all’ordine dei motivi di gravame tracciato dall’appellante.

5. Orbene, vale al riguardo premettere che l’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 235/2012 dispone che “sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera a), b) e c)”.

5.1 Le parti contendenti concordano circa il fatto (peraltro pacifico in giurisprudenza) che la sospensione dalla carica non ha natura di sanzione, ma di misura amministrativa cautelare volta ad evitare la permanenza in carica di chi si sia reso colpevole di gravi reati che offendono l’ordine pubblico, il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Lo scopo perseguito dal legislatore con la misura qui in rilievo è, infatti, quello di interdire in via provvisoria l’esercizio di cariche elettive nei confronti chi ha commesso determinati reati in attesa della definitività della condanna. La disposizione in commento contempera, bilanciandoli, il diritto di elettorato passivo e il buon andamento dell’amministrazione a fronte di una sentenza di condanna non ancora passata in giudicato. In particolare il giudice delle leggi ha osservato che «la permanenza in carica di chi sia stato condannato anche in via non definitiva per determinati reati che offendono la pubblica amministrazione può comunque incidere sugli interessi costituzionali protetti dall’art. 97, secondo comma, Cost., che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, e dall’art. 54, secondo comma, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche “il dovere di adempierle con disciplina ed onore”» (sentenza n. 236 del 2015).

Il punto di equilibrio è stato, dunque, ragionevolmente individuato dal legislatore nell’assegnare prevalenza per un periodo temporalmente circoscritto alla salvaguardia della funzione di amministrazione nelle more della definizione giudiziale, comprimendo in tale torno di tempo il diritto di elettorato passivo, che però, alla scadenza, si riespande divenendo, al contempo, oltre il suddetto termine, recessive le esigenze pubblicistiche che si pongono a presidio della misura in argomento.

Tale meccanismo è stato convalidato dalla Corte Costituzionale che sul punto ha invero rilevato “ Esclusa la soluzione dell’incandidabilità in quanto si tratterebbe di una conseguenza irreversibile e dunque sproporzionata rispetto ad una condanna non definitiva (come chiarito da questa Corte nella citata sentenza n. 141 del 1996), ed escluso, all’opposto, che la condanna precedente (per gravi reati) possa essere ritenuta irrilevante per l’irragionevole disparità di trattamento che ne deriverebbe rispetto all’ipotesi della condanna successiva (sentenza n. 141 del 1996), il legislatore ha scelto di consentire al condannato in modo non definitivo di candidarsi, ma ne ha previsto la sospensione subito dopo l’elezione ” (Corte Cost., 06/03/2019, n. 36).

5.2. Il punto di dissenso riguarda piuttosto la tempistica che governa la sospensione, dibattendosi sulla sua operatività “di diritto” - ovvero in automatico (e con il suggello di un atto meramente dichiarativo che ne dia atto) - ovvero per opera di un atto “costitutivo” dell’effetto sospensivo che da esso promana.

5.3. Secondo la parte appellante l’esigenza cautelare sottesa al meccanismo sospensivo risulterebbe garantita solo dal riconoscimento della natura dichiarativa del provvedimento prefettizio, poiché solo in tal caso l’effetto sospensivo ostacolerebbe immediatamente l'entrata (oltre che la permanenza) in carica del soggetto condannato e gli impedirebbe di iniziare a svolgere le funzioni e di emettere atti finanche nelle more della notificazione dell’atto prefettizio.

5.4. A più specifico supporto della tesi della natura meramente dichiarativa (e non costitutiva) del decreto prefettizio adottato ai sensi del menzionato art. 11, la parte appellante osserva inoltre che:

- detto provvedimento non presenta alcun contenuto discrezionale, trattandosi di una mera modalità esecutiva della pronuncia del Tribunale penale, che origina già efficace la misura sospensiva;

- l’atto in questione non può incidere sulla durata e sulla decorrenza della sospensione ed ha natura di misura tipicamente interinale, intesa ad anticipare l'effetto interdittivo derivante dal giudicato, a tutela della pubblica funzione. Trattandosi di misura “cautelare”, essa deve trovare applicazione senza soluzione di continuità, ed in tal senso andrebbero intese le pronunce della Corte Costituzionale n. 276 del 2016, n. 36 del 2019, che, peraltro, sovente farebbero anche esplicito riferimento ad una sospensione che consegue “in via automatica”;

- nel caso di specie, la sospensione del Sindaco è risalente al primo decreto prefettizio del 22.6.2018, rispetto al quale il nuovo provvedimento del 27.5.2019 si pone in linea di continuità, il che di per sé sarebbe sufficiente per negarne l'efficacia costitutiva.

5.5. Quanto al carattere asseritamente non recettizio del provvedimento prefettizio, l’appellante sostiene che:

- detto carattere è ritraibile dal comma 5 dell'art. 11, il quale non prevede la notifica del provvedimento al soggetto sospeso;
diversamente, la norma risulterebbe palesemente incostituzionale;

- se è vero che la natura recettizia dell’atto ricorre quando, per la produzione del suo effetto essenziale, sia necessaria la collaborazione del destinatario, nel caso in esame è da escludersi la necessità di alcuna collaborazione da parte del destinatario.

5.6. Su un piano di analisi più sistematica, l’appellante osserva che:

- la nomina di un Commissario prefettizio che svolga le funzioni di Sindaco e Giunta, con permanenza in carica del Consiglio Comunale, costituisce soluzione compatibile con l'ordinamento repubblicano, in quanto ammessa dalla legge (art. 19 R.D. n. 383/1934), costantemente praticata nel territorio nazionale (Cons. Stato, sez. I, n. 501/2001) e comunque destinata a non travalicare il termine massimo di durata della sospensione, che è di diciotto mesi (art. 8, comma 3, d.lgs. n. 235/2012);

- la diversa interpretazione seguita dal Tar finirebbe per affidare, anziché al dato oggettivo della legge, all'aleatorietà della più o meno tempestiva iniziativa del soggetto colpito o del Prefetto l'efficacia o meno della misura “cautelare”, aprendo così al rischio che il sospeso eserciti impropriamente il potere di organizzazione e di indirizzo del Comune;
e che le finalità della legge ed il perseguimento di interessi generali alla legalità e alla trasparenza vengano di fatto frustrati. Di qui l'eccezione di incostituzionalità (per contrasto con i principi dettati dagli artt. 3, 54 e 97 Cost.) dell'art. 11, commi 1 lett. a), e 5, se applicato secondo l'interpretazione accolta dal primo giudice.

5.7. Infine, con più specifico riferimento alla fattispecie per cui è lite, l’appellante osserva che il decreto sindacale di nomina della Giunta, per essere efficace, deve essere pubblicato all'albo pretorio, ai sensi dell'art. 124 d.lgs. n. 267/2000;
ma che nel caso de quo non vi è prova né della pubblicazione, né quindi del fatto che essa sia avvenuta in un momento anteriore al provvedimento prefettizio, sicché non è provato che il decreto sindacale fosse già efficace al momento della recezione del decreto prefettizio 27.5.2019.

6. Il Collegio ritiene che la sentenza di primo grado meriti conferma.

6.1. La questione centrale posta nell’atto di appello riguarda la portata dell’esigenza cautelare sottesa alla misura sospensiva. Detta esigenza viene tratteggiata dalla parte ricorrente in termini di stretta impellenza ed indifferibilità, tali, quindi, da non consentire il minimo spazio di accesso alle funzioni da parte del soggetto eletto alla carica.

6.2. Si tratta, tuttavia di lettura eccedente il dato normativo e tendente a prospettare una incidenza della sospensione prossima a quella dell’incandidabilità (si veda quanto osservato in tal senso nella sentenza impugnata al § 11.4.1), che tuttavia è istituto diverso dal primo, come inequivocabilmente chiarito dalla Corte Costituzionale (§§ 3 e 4.3 della sentenza n. 36 del 2019).

6.3. A ben vedere, l’art. 11 ha come sua finalità specifica la sospensione temporanea della carica, non già la decadenza dalla carica (v. Corte Cost. n. 236/2015). Questa finalità si realizza anche attraverso la mediazione di un atto costitutivo del prefetto, dal quale decorre il lasso temporale della sospensione.

6.4. Che questa sospensione, poi, in ragione della tempestività del provvedimento prefettizio, vada o meno ad interdire le prime iniziative del sindaco eletto (quali gli atti di nomina della Giunta e del Vicesindaco), costituisce evenienza correlata alle contingenze del caso e si rivela non decisiva ai fini della corretta interpretazione dell’istituto.

Lo si evince dalla circostanza - peraltro valorizzata negli scritti difensivi della stessa parte ricorrente - che, una volta decorso il termine massimo dei 18 mesi oltre il quale non può protrarsi l’effetto sospensivo (incrementabile di ulteriori 12 mesi a seguito di sentenza d’appello di rigetto, ex art. 11 comma 4 d.lgs. n. 235/2012), la reggenza commissariale è comunque destinata a lasciare spazio all’insediamento degli organi legittimamente eletti (pag. 22-24 e 27 atto di appello). Dunque, anche l’operatività illico et immediate della sospensione non impedirebbe in modo indefinito l’esercizio delle funzioni da parte di un sindaco condannato con sentenza non definitiva, ammettendo la disciplina di settore che, nonostante tale status , il soggetto condannato possa comunque essere reintegrato – per il mero decorso del tempo – nelle relative funzioni.

È quanto riconosce la stessa Corte Costituzionale nella pronuncia n. 36 del 2019, laddove afferma che “ la sospensione ha la durata limitata di 18 mesi (art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 235 del 2012) decorsi i quali senza che la sentenza di condanna sia stata confermata in appello (nel quale caso decorre un ulteriore periodo di sospensione di dodici mesi: art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 235 del 2012) o sia divenuta definitiva (con conseguente decadenza dell’eletto: art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 235 del 2012), l’eletto entrerà comunque in carica ” (§. 4.1.).

6.5. Dunque, non è consustanziale e men che meno essenziale alla finalità dell’istituto quella immediata automaticità di esplicazione dell’effetto sospensivo che la parte appellante pretende di attribuirgli onde preservare, in maniera totalizzante, l’esercizio delle funzioni connesse alla carica da uno status che si assume radicalmente incompatibile.

6.6. Se così è, e se dunque l’assunzione della carica non è affatto in rapporto di radicale ed insanabile contraddizione con la ratio di fisiologico funzionamento del meccanismo sospensivo, cadono, in quanto privi di costrutto, i rilievi di incostituzionalità sollevati dalla parte appellante, in quanto intesi a negare (quanto ammesso in altra parte dell’atto di appello ovvero) che il sospeso possa esercitare il potere di organizzazione e di indirizzo del Comune: come si è detto, la legge questa eventualità vuole solo circoscriverla temporaneamente, non già impedirla radicalmente (come avviene nei casi di incandidabilità e decadenza).

7. Una volta sgombrato il campo dagli argomenti di carattere teleologico-sistematico, a supportare la soluzione interpretativa accolta dal primo giudice si aggiungono considerazioni di tenore esegetico testuale, fatte proprie anche dalla giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (si veda in particolare Cass. civ. se.z I, n. 16052/2009).

7.1. Tra queste il fatto che l’art. 11 comma 5 preveda che “ i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ” debbano essere “ comunicati al prefetto ” a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero;
e che il prefetto, “ accertata la sussistenza di una causa di sospensione ” debba provvedere “ a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l'elezione o deliberato la nomina ”.

Entrambi i passaggi risulterebbero superflui se la sospensione medesima dovesse intendersi già operante a seguito della sentenza, poiché “in tal caso infatti sarebbe sufficiente prevedere la comunicazione da parte della cancelleria direttamente all'organo consiliare” (così Cass. Civ., sez. I, n. 16052/2009).

7.2. Ancora più a fondo, l’impostazione argomentativa della parte appellante non riesce a confutare in modo convincente la logica di necessità dell’accertamento operato dal Prefetto, essendo questi chiamato a verificare sia che la sospensione sia stata disposta (potendo darsi il caso che il dispositivo di condanna della sentenza non la preveda espressamente), sia che la condanna riguardi uno dei reati per i quali è prevista.

L’autorità prefettizia è quindi del tutto opportunamente chiamata ad operare una serie di attività di vaglio preventivo in difetto delle quali l’effetto sospensivo potrebbe risultare incerto od esplicarsi in forme virtuali, queste sì pregiudizievoli per il corretto funzionamento dell’ente di cui l’organo consiliare o sindacale è espressione (così, ancora, Cass. Civ., sez. I, n. 16052/2009, secondo la quale “ non può certamente negarsi infatti l'interesse del Comune al concreto rispetto della normativa sulla sospensione di cui si discute, interesse che trova la sua prima tutela proprio nel diritto alla conoscenza del relativo provvedimento, vale a dire del requisito indispensabile perchè essa possa avere pratica attuazione ”).

7.3. Anche sotto questo profilo risultano sconfessati i dubbi di sospetta incostituzionalità della norma, in quanto l’esegesi accolta dal Tar neutralizza siffatte variabili, in quanto consente di evitare che la causa della sospensione resti confinata sul piano virtuale, in contrasto con le esigenze di effettività dell'istituto e di buon andamento e certezza dell’azione amministrativa.

7.4. Ulteriore dato testuale di rilievo è desumibile dal confronto con l’ipotesi disciplinata al comma 4 dell’art. 11, in quanto, mentre l’effetto sospensivo conseguente alla sentenza di primo grado, come si è visto, è mediato dal vaglio preliminare del Prefetto;
nel diverso caso della condanna confermata in appello, la disposizione di legge prevede che gli ulteriori 12 mesi di sospensione (che si aggiungono ai primi 18) decorrano direttamente dalla sentenza (“ Nel caso in cui l'appello proposto dall'interessato avverso la sentenza di condanna sia rigettato anche con sentenza non definitiva, decorre un ulteriore periodo di sospensione che cessa di produrre effetti trascorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto ”).

La ragione di questa differente regolamentazione risiede nel fatto che l'organo consiliare è già a conoscenza dello stato di sospensione in cui versa un suo membro e, quindi, ha ragione di attivarsi per conoscere gli sviluppi del procedimento penale e riammettere eventualmente il suddetto membro sospeso.

7.5. Per il resto, l’omessa previsione della diretta comunicazione dell’atto prefettizio al soggetto interessato - pure enfatizzata in chiave argomentativa dalla parte appellante - può costituire un effettiva incongruenza della previsione normativa (ben colta dal giudice di primo grado), ma non è in grado di sovvertire l’ordine di considerazioni sin qui svolte e che si delineano come certamente prevalenti nel suggerire la più corretta interpretazione (logico-sistematica, oltre che testuale) della disposizione in esame.

7.6. La pluralità e convergenza delle argomentazioni suesposte rende, dunque, recessive le pur suggestive considerazioni dell’appellante incentrate su alcuni passaggi letterali delle pronunce della Corte Costituzionale (nn. 236 del 2015, 276 del 2016 e 36 del 2019), alle quali va aggiunta anche la recentissima ordinanza de 09/03/2020, n. 46, che, però, come ben evidenziato dal giudice di prime cure, non si è mai occupata ex professo del nodo esegetico sopra approfondito costituendo le espressioni in argomento degli obiter inseriti nella trattazione di censure non afferenti alla questione controversa qui in rilievo sulla natura costitutiva o dichiarativa dell’atto prefettizio.

8. Né hanno pregio le residue osservazioni censoree che vanno di seguito passate in rassegna.

8.1 Alcun rilievo assume la circostanza che il dr. C, già eletto Sindaco, era stato in precedenza sospeso dalla carica, per il periodo di diciotto mesi, con decreto del Prefetto di Macerata -OMISSIS-

Sul punto, è sufficiente qui ribadire – anche perché il relativo costrutto, per il profilo qui in rilievo, non risulta sottoposto ad uno specifico vaglio critico – le condivisibili argomentazioni del giudice di prime cure nella parte in cui ha evidenziato che la sospensione ex art. 11 opera con riguardo alla carica (la norma stabilisce infatti che “Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10…”), ma una volta sciolto - come è accaduto per il Comune di -OMISSIS- - il Consiglio Comunale, la carica decade (non vale infatti il principio semel sindacus semper sindacus), per cui alla successiva elezione il soggetto non si ripresenta come sindaco, ma come semplice candidato-sindaco (o consigliere). E’ pertanto necessario che, laddove il soggetto risulti nuovamente eletto sindaco o consigliere, il Prefetto riadotti un nuovo atto di sospensione, avente natura costitutiva .

8.2. D’altro canto, il ripristino della carica quale conseguenza della nuova elezione ripropone quelle medesime esigenze di certezza a presidio delle quali si pone la mediazione costitutiva dell’atto prefettizio ascrivibile giustappunto alla categoria degli accertamenti costitutivi.

8.3. Del pari, non condivisibili si rivelano le argomentazioni difensive che impingono nella mancanza di una conferente prova sulla pubblicazione all’albo comunale del decreto sindacale di nomina della Giunta ovvero sul fatto che sia avvenuta in un momento anteriore al provvedimento prefettizio. In disparte la formulazione ipotetica del motivo di gravame e la conferente documentazione prodotta dall’Amministrazione resistente, deve, comunque, soggiungersi che la suddetta pubblicazione involge semmai l’efficacia dell’atto senza pregiudicare però la validità dello stesso – unico profilo qui rilevante – che va declinata in ossequio al principio tempus regit actum .

9. Né hanno pregio le doglianze che involgono il capo della decisione che ha respinto le censure articolate avverso delibera di G.M. n. 16/19 ritenendola non impugnabile. La circostanza qui contestata relativa al passaggio in cui si afferma che il Comune si è basato sulle indicazioni della Prefettura, e ritenuta falsa, non vale di certo a sovvertire il suddetto approdo decisorio non potendo di certo essere qui sindacata la libera scelta di un Ente, convenuto in giudizio, di resistere all’altrui domanda e difendersi.

10. Le considerazioni sin qui esposte completano ed in parte precisano i rilievi svolti dal primo giudice nel senso dell’infondatezza del ricorso, che va conclusivamente confermata.

11. La peculiarità e complessità delle questioni trattate, giustificano la compensazione delle spese di lite, in termini conformi a quanto già disposto per il primo grado.

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