Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-02-14, n. 201700670
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Pubblicato il 14/02/2017
N. 00670/2017REG.PROV.COLL.
N. 00547/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOE DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 547 del 2016, proposto dalla -O-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati L A e A A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A A in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
il signor -O-, rappresentato e difeso dall'avvocato L A, con domicilio eletto presso la dott.ssa A B (Studio Rosati) in Roma, via Ovidio, n. 10;
contro
Il Ministero dell'Interno e l’U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;
il Comune di Sparanise, il Comune di San Marco Evangelista, il Comune di Caiazzo, il Comune di Calvi Risorta, il Comune di Casagiove, il Comune di San Tammaro, il Comune di Pastorano, il Comune di Casapulla, il Comune di Sessa Aurunca, il Comune di Crispano, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
i signori -O-, -O- e -O-, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania, Sezione Prima di Napoli n. 210 del 2016, resa tra le parti, concernente la mancata iscrizione nella white list di cui alla legge 190 del 2012 - risoluzione dei contratti di affidamento di servizi pubblici.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Caserta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2016 il Cons. S S e uditi per la parte appellante gli avvocati L A e A A e per la parte appellata l'avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La società appellante ed il suo legale rappresentante operano da anni nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
Con il provvedimento del 13 agosto 2015 prot. n. 45671, il Vice Prefetto Vicario di Caserta ha negato alla società -O- l’iscrizione nella white list di cui all’art. 1, comma 52, della L. n. 190/2012.
Tale provvedimento ha riverberato i suoi effetti sui contratti relativi allo smaltimento rifiuti stipulati dalla suddetta società con molteplici comuni della zona, comportandone la risoluzione.
In data 13 agosto 2015 è stata adottata dal Vice Prefetto Vicario di Caserta anche l’interdittiva antimafia prot. n. 45683, alla quale ha fatto seguito il decreto del 31 agosto 2015 con cui è stata disposta la straordinaria e temporanea gestione della società, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014, limitatamente agli appalti in corso di esecuzione;tale provvedimento è stato poi integrato con il successivo decreto prefettizio prot. n. 50192 del 15 settembre 2015.
2. - I decreti prefettizi di diniego di iscrizione nella white list, di interdittiva antimafia e di commissariamento, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. 90/2014 (compreso il successivo atto integrativo), sono stati impugnati dinanzi al TAR per la Campania con il ricorso introduttivo ed i successivi ricorsi per motivi aggiunti.
L’impugnativa è stata estesa anche agli atti di risoluzione dei contratti per la gestione del servizio di
smaltimento dei rifiuti, che la società -O- aveva stipulato con molteplici comuni della zona, ritualmente evocati in giudizio.
2.1 - Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, che hanno chiesto il rigetto dell’impugnativa.
3. - Con sentenza n. 210 del 2016, il ricorso di primo grado è stato respinto.
4. - Avverso tale decisione la società -O-, ed il suo legale rappresentante signor -O- hanno proposto appello.
4.1 - Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate che hanno chiesto il rigetto del gravame.
4.2 - Con ordinanza collegiale n. 3766 del 2016, sono stati disposti incombenti istruttori, ai quali è stata data esecuzione.
4.3 - In prossimità dell’udienza di discussione, la parte appellante ha prodotto scritti difensivi, con i quali ha replicato agli atti depositati dalla Prefettura di Caserta.
5. - All’udienza pubblica del 1° dicembre 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.
6. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
6.1 - Ritiene il Collegio di dover preventivamente richiamare il contenuto dei provvedimenti prefettizi di diniego di iscrizione nella white list e di informativa interdittiva antimafia, emessi in pari data ed aventi il medesimo contenuto.
Tali atti si fondano sui seguenti presupposti:
- il signor -O-, amministratore delle società -O- e --O- (che detengono parte del capitale sociale della -O-), ha intrattenuto rapporti stabili e duraturi di collaborazione con la società -O-, con sede in -O-, riconducibile al clan camorristico -O-, frequentando assiduamente i signori -O-, -O-, -O-, figlio del capoclan -O-, condannato per il reato di associazione mafiosa ed altro (art. 416 bis c.p., art. 110 c.p. e 12 quinquies L. 356/92, art. 7 L. 203/91) alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione con sentenza n. 2254/12 del 16/7/2013 dall’Ufficio 45° del GIP del Tribunale di Napoli;
- con sentenza della Sezione Sesta della Corte di Appello di Napoli del 9 marzo 2015, di conferma della decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 31 ottobre 2013, il signor -O- è stato condannato alla pena della reclusione di anni 19 ed € 4.800,00 di multa per associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.);con la stessa sentenza è stato altresì condannato il signor -O- alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione, ed al pagamento della multa di € 10.000,00, per i reati di cui agli artt. 81, 110, 648 ter c.p.;
- nel periodo ottobre/dicembre 2010, la società --O- si è costituita in ATI con la società -O- (mandataria), in sostituzione della società -O- (che era stata interdetta dal Prefetto in data 30 giugno 2010), per l’appalto di gestione dei rifiuti di -O-, nel periodo 1° maggio – 31 dicembre 2010;
- il signor -O- ha ricevuto l’informazione di garanzia nel proc. pen. n. 5970/12/21 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria C.V., per i reati previsti dagli articoli 323, 353 bis e 479 c.p.;
- sussiste la cointeressenza economica del signor -O- (socio delle società -O- e -O-, che detengono parte del capitale sociale della -O-) con il signor -O-, condannato alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione con la sentenza n. 4218/14 del Tribunale di Santa Maria C.V. per il reato di riciclaggio per fatti occorsi in Frosinone negli anni 1998 e 1999 (il signor -O- è stato invece assolto per detto reato nella stessa sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 4218/2014).
6.2 - Nel ricorso introduttivo di primo grado, il ricorrente ha rilevato di aver sempre ottenuto la certificazione antimafia favorevole per oltre 10 anni e di essere stato sottoposto nel 2008 a programma di protezione, avendo ricevuto un tentativo di estorsione da un clan della camorra.
Egli ha contestato il provvedimento prefettizio, negando i rapporti con il clan -O-, allegando anche la denuncia di un tentativo di estorsione da parte del suddetto clan;i rapporti con la -O- riguarderebbero solo la sostituzione di detta società nell’ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese, per cui non sarebbe esistito alcun rapporto di collaborazione con tale società;l’avviso di garanzia sarebbe, per sua stessa natura, irrilevante e i rapporti con il signor -O- riguarderebbero esclusivamente l’acquisto di un’autovettura usata, pagata a prezzo di mercato.
6.3 - Con successivi motivi aggiunti, il ricorrente, presa visione della documentazione istruttoria e della memoria difensiva dell’Amministrazione, ha rilevato che la effettiva motivazione dei provvedimenti impugnati risiederebbe in un rapporto dei carabinieri di Caserta, i quali, interpretando erroneamente le dichiarazioni da lui rese nel corso di due procedimenti penali in cui egli era parte offesa, hanno ritenuto che dette dichiarazioni fossero una sorta di ritrattazione delle precedenti accuse mosse nei confronti del clan -O-;in realtà, ad avviso del ricorrente, le dichiarazioni sarebbero state travisate, essendo stato riconosciuto il suo contributo anche dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
6.4 - Il primo giudice – dopo aver richiamato i principi che regolano l’interdittiva antimafia – ha rilevato che:
- i rapporti del signor -O- con la società -O-, di fatto gestita dal signor -O-, sono stati accertati in sede penale come pure è stata accertata in tale sede l’affiliazione del suddetto -O- al clan -O-;
- la natura dei rapporti intrattenuti dal signor -O- è oltremodo ambigua, in quanto, sebbene egli abbia denunciato estorsioni da due persone condannate per tale reato, non ha però mai denunciato persone appartenenti al clan -O-;
- sulla base di tali presupposti, la valutazione prefettizia sul pericolo di infiltrazione mafiosa non appare irragionevole.
7. - Nel ricorso in appello, e nei successivi scritti difensivi, l’appellante ha contestato dette circostanze, sostenendo che:
- i rapporti con la -O- sarebbero stati solo di natura commerciale (e relativi all’epoca in cui tale società non era ancora interdetta) e si sarebbero interrotti dal momento in cui i debiti non sarebbero stati pagati: da allora sarebbero iniziate le estorsioni a carico del signor -O-;
- egli avrebbe denunciato gli estorsori, signori -O-, -O- e -O-, affiliati al clan -O-, che sarebbero stati arrestati in flagranza, e poi condannati per estorsione grazie alla sua testimonianza;
- egli stesso sarebbe stato messo sotto protezione su richiesta della DDA e sarebbe stato l’unico teste libero del procedimento penale;
- la mancata denuncia per estorsione del signor -O- nel procedimento penale non avrebbe alcun significato, in mancanza di elementi di prova in merito alla sua partecipazione all’attività estorsiva;
- le assidue frequentazioni con gli affiliati al clan camorristico signori -O-, -O- e -O- sarebbero indimostrate;
- la società -O- non sarebbe stata mai interdetta, e comunque la partecipazione della società --O- sarebbe stata soltanto formale, perché la società -O-, dopo aver ottenuto la decisione favorevole dal TAR, avrebbe ripreso a svolgere l’attività, sicchè la società --O- non avrebbe mai lavorato sul cantiere.
7.1 - Con l’ordinanza istruttoria in precedenza richiamata, il Collegio ha disposto l’acquisizione di documentati chiarimenti in merito ai rilievi svolti dall’appellante, con riferimento, in particolare,
- alle relazioni della società appellante con la società -O-, chiedendo di precisare quando fossero cessati i rapporti commerciali con tale società, specificando se ciò fosse avvenuto prima o dopo l’interdizione di quest’ultima società, e quando fossero iniziate le attività estorsive in danno delle società riconducibili al signor -O-;
- alla prova delle ‘assidue frequentazioni’ con i signori -O-, -O- e -O-, richiamate nei provvedimenti impugnati in primo grado;
- alla sottoposizione del signor -O- a misure di protezione su richiesta della DDA.
Il Collegio ha poi ritenuto opportuno acquisire anche informazioni in merito all’esito dell’informazione di garanzia a carico del signor -O- nell’ambito del procedimento penale n. 5970/12/21 RG del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, citata nei provvedimenti impugnati.
7.2 - Con nota del 2 ottobre 2016, corredata dalla necessaria documentazione, la Prefettura di Caserta ha precisato che:
- la società -O-, di proprietà dei signori -O-, -O- e -O-, è stata sottoposta a sequestro ex art. 321 c.p.p. in data 11 maggio 2009, con contestuale nomina di un amministratore giudiziario, in conseguenza di un procedimento penale a carico di membri della società per reati perpetrati negli anni precedenti;
- tale società non è stata mai destinataria di informativa antimafia, non essendo stati mai richiesti accertamenti antimafia a suo carico da parte di alcuna amministrazione pubblica;
- i rapporti commerciali instauratisi tra la società ricorrente e tale società non risultano da accertamenti delle forze di polizia, ma sono stati confermati dal signor -O- dinanzi all’autorità giudiziaria inquirente, così come risulta dalla lettura dell’O.C.C. n. 314/2009 del Tribunale di Napoli (stralcio indicato nell’informativa del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 30 luglio 2015);
- da quanto dichiarato dallo stesso signor -O-, le cointeressenze sarebbero cessate nel 2008, e tale circostanza avrebbe determinato le vicende estorsive a suo danno;
- il signor -O- non avrebbe mai sporto denuncia per tali estorsioni, confermate solo in dibattimento dopo gli arresti degli interessati, eseguiti in data prossima al 23 ottobre 2008 (come precisato dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta);
- tale vicenda sarebbe emersa solo a seguito di intercettazioni telefoniche eseguite nell’ambito di un’altra attività investigativa, relativa all’estorsione perpetrata dai signori -O- e -O- nei confronti dello stesso signor -O-, che si sono concluse con la condanna di questi ultimi nel secondo grado di giudizio;
- le assidue frequentazioni del signor -O- con i signori -O- e -O- sono conseguenza del lungo rapporto commerciale esistente tra loro, ma risultano anche i controlli del 2001 con il signor --O-, cugino di capi del clan -O- signori -O- e -O-, e del 2005 con il signor -O-, figlio del signor -O-, elemento di vertice del “clan --O-”;
- il signor -O- non è mai stato sottoposto ad un piano di protezione, essendo state disposte esclusivamente generiche misure di vigilanza della sua abitazione e della sede della società, misure normalmente adottate nei confronti dei denuncianti estorsioni;
- il signor -O- è stato rinviato al giudizio nell’ambito del procedimento penale n. 5970/12/21 e l’udienza è stata fissata per il giorno 11 aprile 2017;egli è stato successivamente destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti, corruzione, truffa ed abuso di ufficio, a vantaggio della propria società operante nel settore del ciclo integrato dei rifiuti (la Prefettura ha comunque precisato che tale circostanza è successiva ai provvedimenti impugnati, e quindi non rileva ai fini della loro legittimità).
7.2 – Con la memoria depositata in data 8 novembre 2016, l’appellante ha replicato ai rilievi della Prefettura sostenendo che:
- non vi sarebbe prova in ordine ai rapporti commerciali tra la società -O- e la -O-;
- i rapporti commerciali si sarebbero comunque interrotti prima del sequestro della società -O-, intervenuto nel maggio 2009;
- tale società non sarebbe stata mai colpita da interdittiva antimafia;
- non sarebbe provata l’assidua frequentazione con i signori -O-, -O- e -O-;
- i fatti relativi agli anni 2001 e 2005 sarebbero stati già considerati inidonei dal TAR Campania a fondare il giudizio di rischio di permeabilità da parte di organizzazioni criminali;
- le misure di protezione, anche se generiche, vi sarebbero state;
- non sarebbe stato disposto il rinvio a giudizio del signor -O-, che sarebbe stato scarcerato a seguito di provvedimento del Tribunale del Riesame di Napoli del 29 settembre 2016.
8. – Esaurita la complessa ricostruzione della vicenda, ritiene il Collegio che la sentenza di primo grado meriti di essere confermata.
8.1 - E’ opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):
-- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
-- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
-- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
-- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
-- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
-- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
-- tra gli elementi rilevanti – per quanto di interesse in base al contenuto dell’interdittiva oggetto di giudizio – vi sono «i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia, l’Amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità.
(…) Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del «più probabile che non», che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario - scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi.
(…) Quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge.
(…) In altri termini, l’imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di ‘fiducia’, nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l’informativa)».
- «rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel procedimento: una visione parcellizzata di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri»;
- nondimeno, la valutazione del provvedimento prefettizio si può ragionevolmente basare anche su un solo indizio, che comporti una presunzione, qualora essa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari».
A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:
- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del ‘più probabile che non’ - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012 n. 4708;Cons. Stato n. 3057/10;1559/10;3491/09);
- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni assunte, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011;Cons. Stato, n. 2783 del 2004;Cons. Stato n. 4135 del 2006);
- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).
Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il solo profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato n. 7260 del 2010).
8.2 - Sulla base di tali principi, le doglianze sollevate dall’appellante non possono essere condivise.
8.2.1 – L’appartenenza e/o colleganza dei signori -O- e -O- con la criminalità organizzata (clan -O-) è stata accertata in sede penale con sentenza della VI Sezione della Corte di Appello di Napoli del 9 marzo 2015 (il signor -O- è cognato di --O--, capo dell’omonimo clan, e il signor -O- è genero del predetto -O-);dalla visura del certificato della CCIAA di Caserta prodotto in giudizio unitamente alla relazione della Prefettura (doc. n. 3) si evince che essi sono soci della società -O- ora in liquidazione;peraltro tale società era stata già colpita da sequestro preventivo nel 2009.
8.2.2 - L’esistenza e la rilevanza del clan camorristico -O- nella zona di -O- fin dagli anni ’80 costituiscono fatto notorio, come anche rilevato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nella sentenza n. 55/11 del 13 aprile 2011, con la quale sono stati condannati per estorsione i signori -O- e --O- (cfr. pag. 32 della motivazione), sicchè può ragionevolmente ritenersi che lo stesso signor -O- fosse a conoscenza dello spessore criminale dell’organizzazione, tanto più che nelle intercettazioni telefoniche mostra di temere proprio il clan -O-, essendo spaventato non tanto dagli esecutori materiali dell’estorsione, quanto piuttosto “da chi li manda” (cfr. pag. 19 della stessa sentenza).
Lo stesso signor -O- ha confermato in sede dibattimentale di aver intrattenuto stabili rapporti di affari con la società -O-, chiaramente riconducibile a tale clan.
8.2.3 - Nelle relazioni della Legione Carabinieri – Comando Provinciale di Caserta del 26 maggio 2015 e del 30 luglio 2015, si precisa che lo stesso signor -O- frequentava abitualmente non solo i signori -O- e -O-, ma anche il signor -O-, figlio del capoclan --O--.
Nella dichiarazione rese dallo stesso signor -O- dinanzi all’A.G. inquirente, il cui contenuto è riportato a pag. 82 dell’O.C.C.C. n. 314/09 emessa in data 11 maggio 2009 dall’Ufficio XII del G.I.P. del Tribunale di Napoli, si evince che “…Dai rapporti commerciali intrattenuti con la -O- e con i rapporti avuti con il -O- posso senz’altro affermare che il gestore di fatto della società è lo stesso -O-. Ho avuto modo di desumere, inoltre, dall’atteggiamento del -O-, che lo stesso ha delle cointeressenze e comunque degli interessi con la società -O-
Dal rapporto del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 30 luglio 2015, risulta, inoltre, che lo stesso -O- gli aveva presentato -O- che gli aveva detto di “mettersi a disposizione” al fine di ricevere rifiuti dalla -O-: il che era avvenuto nell’anno 2008.
8.2.4 - Dalla relazione della Prefettura si evince, inoltre, che il signor -O- è stato controllato nel 2001 con -O-cugino di --O-- e di -O-, capi dell’omonimo clan, e nell’anno 2005 con il signor -O-, figlio di -O- elemento di vertice del clan --O-, dal quale aveva preso in affitto un’unità abitativa per uso ufficio.
In sostanza da una pluralità di elementi si evince la contiguità del signor -O- con appartenenti alla criminalità organizzata, ed in particolare con il clan -O- operante a -O-.
8.3 - Sulla base di tali presupposti è del tutto irrilevante che la società -O- non fosse stata mai interdetta (perché nessuna richiesta di rilascio della certificazione antimafia era stata mai avanzata nei suoi confronti da parte di una P.A.), in quanto tale società è stata comunque destinataria di sequestro disposto dal giudice penale ed è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria in conseguenza di un procedimento penale che aveva interessato i membri della compagine giudiziaria per reati perpetratisi negli anni precedenti, i cui soci, poi, sono stati condannati in sede penale per reati tipici delle organizzazioni criminali di stampo mafioso (416 bis e 648 ter c.p.).
8.4 - Alla luce dei predetti elementi, non risulta convincente la tesi avanzata dall’appellante e diretta a sostenere che il signor -O- non avesse avuto cognizione dell’implicazione della società -O- con il clan -O- fino all’anno 2008, quando sarebbe cessato ogni suo rapporto con tale società, né è convincente la tesi diretto ad accreditarlo esclusivamente come denunciante degli episodi estorsivi e messo sotto protezione dall’autorità giudiziaria.
Correttamente, infatti, il primo giudice ha qualificato la sua condotta come “oltremodo ambigua”, in quanto sicuramente egli ha intrattenuto rapporti di affari con la società -O- i cui soci erano integrati all’interno del clan -O-, ma poi ha reso testimonianza nel processo a carico dei suoi estorsori anche se – come ha correttamente rilevato la Prefettura nella relazione del 3 ottobre 2016 - “non c’è stata alcuna denuncia da parte di -O- per le estorsioni ricevute, ma le stesse sono state confermate solo in ambito dibattimentale, dopo gli arresti degli interessati” e per di più si è limitato in sede dibattimentale ad affermare che “era stata una sua personale valutazione ritenere che la richiesta di una tangente fosse da mettere in collegamento alla cessazione del rapporto con -O-, ma che egli non aveva al riguardo elementi concreti per sostenerlo” (cfr. pag. 168 della sentenza n. 1958/2013 della Sezione Seconda Penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, richiamata nella relazione del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 30 luglio 2015).
8.5 - La Sezione ha già precisato che: “Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione di stampo criminale « comunque localmente denominata »), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia.
(…) Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa”.
Pertanto “…la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge” (cfr. Cons. Stato, Sez. Terza, 3 maggio 2016, n. 1743).
8.6 - Tali elementi sono di per sé sufficienti a sostenere i provvedimenti prefettizi impugnati, tenuto conto dei principi enucleati in materia dalla giurisprudenza amministrativa, in precedenza richiamati.
8.7 - Deve essere quindi respinto il primo motivo di appello, con la precisazione che il primo giudice non è caduto in errore in merito all’identificazione del clan -O- con quello dei cosiddetti -O- avendo ben esaminato la copiosa documentazione prodotta in giudizio sia da parte ricorrente che da parte dell’Amministrazione.
9. - Il rigetto del primo motivo comporta la reiezione del secondo motivo di appello, diretto ad ottenere l’annullamento per illegittimità derivata degli atti consequenziali all’interdittiva antimafia ed al diniego di iscrizione nella white list.
9.1 - Anche le altre doglianze sono destituite di fondamento, essendo pienamente condivisibile quanto ritenuto dal primo giudice con riferimento alla natura ordinatoria del termine dell’art. 92, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 159/11.
9.2 - Tutte le censure proposte avverso il provvedimento di commissariamento della società, oltre ad essere infondate per le ragioni correttamente espresse dal primo giudice, si appalesano anche inammissibili per carenza di interesse, una volta acclarata la legittimità dei provvedimenti interdittivi, tenuto conto che costituiscono misure a tutela e non in danno dell’impresa.
Ad ogni buon conto il provvedimento di commissariamento è adeguatamente motivato, come rettamente ritenuto dal TAR, né sussistono le violazioni procedimentali dedotte, atteso che la sentenza è pienamente condivisibile sul punto.
10. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata integralmente la sentenza di primo grado, che ha respinto il ricorso di primo grado.
11. - Quanto alle spese del secondo grado di giudizio, tenuto conto della complessità della controversia, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.