Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-17, n. 202307014

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-07-17, n. 202307014
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307014
Data del deposito : 17 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2023

N. 07014/2023REG.PROV.COLL.

N. 01173/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1173 del 2020, proposto da
Società Ginnastica Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A F Tonucci &
Partners in Roma, via Principessa Clotilde, 7;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 7989/2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 luglio 2023 il Cons. G L e udito l’avvocato A F in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams”;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – La Società Ginnastica Roma ha impugnato avanti il TAR per il Lazio la determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 270 dell’11.06.2003 di demolizione delle opere abusive realizzate senza titolo in via del Muro Torto n. 5, la determinazione n. 226 del 30.04.2003 di sospensione lavori ed ogni atto presupposto o connesso del procedimento.

1.1 – Le opere contestate consistono in “ locale distaccato circa cm 80 dalle Mura Aureliane, adibito a ripostiglio di circa mq 11,25 con altezza all’imposta di m. 2,5 e al colmo di m. 3;
locale distaccato di circa 20 cm dalle Mura Aureliane, adibito a palestre pesi, di circa mq 47/50 con altezza all’imposta di m. 2,40 e al colmo 3,20;
locale prefabbricato distaccato di circa un metro dalle Mura Aureliane adibito a locale ristoro di circa mq 45,00 ed altezza all’imposta di circa m. 2,80, da cui, mediante un tunnel di collegamento, si accede ad un’altra struttura reticolare di legno avente funzione di sostegno di piante rampicanti, perimetralmente corredata di teli in PVC pesanti all’uopo utilizzati per chiudere provvisoriamente il manufatto di circa m. 28,60, alto all’imposta 2,15 m e al colmo 2,55 m, utilizzato come pertinenza del locale ristoro e come area ludica per giochi da tavolo;
locale distaccato di circa m. 1,10 dalle Mura Aureliane, adibito a sala riunioni ed ambiente sociale di circa mq 40,00 avente copertura a falde;
piccolo manufatto incastonato tra i bastioni delle Mura Aureliane adibito a volumetria tecnica a falda unica all’imposta di m. 2,50 e al colmo di m. 3,00
”.

2 – A sostegno del ricorso Società Ginnastica Roma ha dedotto le seguenti censure: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/2001 (ex art. 14 della L. n. 47/1985) in relazione all’art. 36 del DPR n. 380/2001 (ex art. 13 della L. n. 47/1985);
2) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per errore e difetto dei presupposti, violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Roma, eccesso di potere per difetto di istruttoria e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/2001 (ex art. 14 della L. n. 47/1985), eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea descrizione del preteso abuso edilizio, violazione dell’art. 24 e dell’art. 113 Cost.

3 – Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR adito ha respinto il ricorso nella parte relativa all’impugnazione dell’ordine di demolizione delle opere abusive e ha dichiarato inammissibile il ricorso in relazione all’ordine di sospensione lavori.

4 – Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’originaria ricorrente per i seguenti motivi.

4.1 – Con il primo motivo, l’appellante:

- contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata la censura proposta in primo grado circa il palese difetto di istruttoria e di motivazione nonché per difetto ed errore dei presupposti in cui è incorsa Roma Capitale nell’adottare le Determinazioni Dirigenziali n. 226/03 e 270/03;

- rileva che alcuni manufatti oggetto dei provvedimenti risalgono al 1940, quando per la loro realizzazione non era prescritto alcun titolo edilizio, come, ad esempio, la palestra, che è stata realizzata nel 1940, per poi essere ristrutturata nel successivo 1960 ad opera del C.O.N.I., proprio al fine di favorire l’accoglienza degli atleti olimpici;

- deduce che Roma Capitale era da tempo a conoscenza dello stato dei manufatti all’interno del circolo sportivo, come si rileva dal fatto che più volte quest’ultimo si è interfacciato con il Comune: nell’atto d’obbligo del 2 maggio 1983 con il quale il circolo sportivo veniva messo a disposizione dell’amministrazione comunale ad uso sociale;
nella richiesta di autorizzazione sanitaria proprio per il locale ristoro;
nella documentazione che è stata fornita ad un incaricato di Federcultura nel 28 settembre 1999;
l’Amministrazione comunale ha, in tutti questi anni, ratificato numerose convenzioni per l’utilizzo gratuito degli impianti della S.G. Roma da parte dei dipendenti di alcune Circoscrizioni;

- osserva ancora che Roma Capitale, oltre ad essere proprietaria dell’area sulla quale insiste il centro sportivo gestito quale concessionaria dalla S.G. Roma, più volte ha partecipato per mezzo dei suoi rappresentanti, nonché di alcuni Sindaci, alle varie manifestazioni a sfondo sociale e culturale organizzate dall’appellante;

- ciononostante, Roma Capitale, fino al 2003, non ha ritenuto di dover adottare alcuna misura sanzionatoria nei confronti dell’odierna appellante.

Alla luce di tali circostanze, parte appellante prospetta che quando l’ordine di demolizione interviene a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso vige l’obbligo per l’Amministrazione di esternare una motivazione che non si fondi, esclusivamente, sulla necessità del ripristino della legalità, dovendo spiegare anche le ragioni e il preminente interesse pubblico che l’ha indotta a provvedere con l’ordine di demolizione.

Sotto altro profilo, parte appellante rileva che, in data 18 marzo 2005, a distanza di due anni dall’adozione dei provvedimenti demolitori, con nota prot. 2028 del 21 marzo 2005, è stata rilasciata/rinnovata la concessione dell’impianto alla Società Ginnastica Roma da parte di Roma Capitale, proprio sulla base della verifica della consistenza dello stato di fatto in cui si trovava e si trova tutt’ora il centro sportivo.

Secondo l’appellante, risulta di immediata evidenza, anche sotto tale ulteriore profilo, il superamento dell’ordinanza di demolizione non essendo stato adottato, nel frattempo, alcun provvedimento comunale o della Soprintendenza.

Secondo l’appellante, ne discende l’illegittimità dei provvedimenti demolitori anche con riguardo alla violazione delle garanzie poste dagli artt. 24 e 113 Cost. sulla tutela dei diritti, in quanto all’odierna appellante non è dato comprendere quale sia stato l’iter logico seguito dall’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti repressivi, ponendo la S.G. Roma nell’impossibilità di verificare i presupposti di diritto e le ragioni giuridiche che hanno portato a tale decisione, nonché il rispetto da parte di Roma Capitale dei limiti di esercizio alla propria discrezionalità.

4.2 – Con il secondo motivo, parte appellante deduce che l’area su cui insiste il circolo sportivo ricade nella zona “N” che, in base all’articolo 15 delle N.T.A., è destinata alla costituzione di verde pubblico naturale o attrezzato. Sempre l’art. 15 delle N.T.A. chiarisce che in sede di piani particolareggiati o di altri strumenti attuativi saranno definite le specifiche destinazioni d’uso (parco pubblico, aree per il gioco, attrezzature sportive, ecc.), al fine di predisporre le relative attrezzature nonché le costruzioni necessarie per ospitare particolari attività che rivestano i caratteri di pubblica iniziativa e di pubblico interesse.

Secondo l’appellante, le attrezzature sportive oggetto del giudizio sono ben inserite nel contesto paesaggistico senza alterare minimamente l’ambiente e le N.T.A. prevedono che tali impianti, prima ancora dell’adozione di piani particolareggiati o di altri strumenti attuativi, possono essere temporaneamente realizzati e gestiti da società sportive, altri enti, organizzazioni e privati in base ad apposita concessione comunale, che dovrà stabilire anche la durata e le modalità di utilizzazione nel pubblico interesse. Ne deriva l’illegittimità delle determinazioni dirigenziali demolitorie per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

Secondo l’appellante risulta, inoltre, non aderente alla realtà quanto statuito dal Giudice di prime cure con la sentenza impugnata circa il fatto che “ i manufatti, edificati tutti, in ogni caso, per ammissione della stessa ricorrente, in un periodo in cui era già necessario, sul territorio di Roma Capitale, il rilascio di una concessione edilizia ”.

4.3 – Con il terzo motivo, l’appellante lamenta che il Comune di Roma ha inteso fornire una mera e fuorviante elencazione di tutto ciò che è presente all’interno del centro sportivo gestito dalla S.G. Roma, senza alcuna distinzione e precisazione rispetto alle loro caratteristiche, all’epoca di realizzazione di ciascuno di essi, al soggetto che effettivamente e diversamente dalla Società Ginnastica li ha posti in essere, e quindi in difetto di una puntuale istruttoria. L’Amministrazione comunale, nel caso di specie, non avrebbe svolto quel necessario approfondimento, tanto istruttorio che motivazionale, dal quale si possano evincere gli interventi realizzati in assenza del titolo abilitativo richiesto;
al contrario, essa si è limitata ad una asettica enumerazione di tutto ciò che è presente all’interno della struttura, in maniera del tutto generica.

Per tale ragione, l’appellante rinnova la richiesta di disporre un accertamento tecnico sullo stato dei luoghi, mediante nomina di CTU, al fine di verificare l’epoca di realizzazione dei manufatti e i soggetti/enti che li hanno realizzati.

5 – In via preliminare, tenuto conto del disposto di cui all’art. 73, comma 2bis, c.p.a., deve essere disattesa l’istanza di rinvio della trattazione di cui all’istanza depositata dall’appellante in data 31 maggio 2023, stante la genericità delle ragioni ivi addotte (“ in ragione della circostanza dei colloqui intrapresi e da intraprendere con la Soprintendenza e successivamente con il Comune ”), ferma la possibilità per le parti di addivenire in via amministrativa ad un diverso assetto della situazione all’emergere di fatti nuovi non contemplati nei provvedimenti impugnati e non oggetto della presente sentenza.

Nel merito, le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

In primo luogo, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata si dà atto che parte appellante ha presentato istanza di accertamento di conformità il 17.07.2003 “ che, come riconosciuto da questo Tribunale con sentenza n. 7354/2016, pronunciata su ricorso avverso il silenzio, è stata rigettata tramite provvedimento tacito di diniego ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001 ”.

Al riguardo, deve ritenersi inammissibile l’impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che rimetta in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile ( cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2015, n. 3744: “ il soggetto, che ha prestato acquiescenza al rigetto dell’istanza di sanatoria di opera da lui abusivamente realizzata, decade dalla possibilità di rimettere in discussione le ragioni del diniego in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, atteso che quest’ultimo in detto diniego, divenuto definitivo perché non impugnato, rinviene il suo presupposto ”).

5.1 – In ogni caso, quanto al dedotto difetto di istruttoria e di motivazione, è sufficiente ricordare che, in relazione alla motivazione, la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata. Ne consegue “ che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusivit à” (Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).

Le ulteriori circostanze volte a dimostrare la consapevolezza dell’amministrazione circa lo stato di fatto poi sanzionato non risultano idonee ad incidere sulla legittimità dell’atto impugnato (salva la loro rilevanza ad altri fini), tenuto anche conto che la giurisprudenza citata da parte appellante è stata definitivamente superata dal pronunciamento dell’Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017 n. 9, secondo la quale “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino ”.

Nello specifico, come già rilevato nella sentenza di primo grado, i manufatti sono esattamente identificati nella loro posizione e nelle loro dimensioni nel provvedimento impugnato, che li distingue nettamente dalle altre opere che compongono gli impianti sportivi, ma che non risultano rilevanti dal punto di vista urbanistico ed edilizio e come tali non sono oggetto dell’ordine di demolizione.

5.2 – Quanto al rilievo circa la risalenza al 1940 di taluni manufatti, sul piano generale deve evidenziarsi che “ spetta a colui che ha commesso l’abuso edilizio l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto;
in mancanza di tali prove, l’Amministrazione può negare la sanatoria dell’abuso, rimanendo integro il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria, mentre nel caso in cui il diretto interessato fornisca la prova suddetta, l’onere della prova contraria viene trasferito in capo all’amministrazione
” (Cons. Stato, sez. II, 4 gennaio 2021, n. 80).

Al riguardo, nemmeno vi sono margini per esercitare i poteri istruttori del giudice, atteso che “ nel processo amministrativo l’attività istruttoria del giudice presuppone quanto meno l’allegazione in maniera sufficientemente circostanziata e precisa, ad opera della parte interessata, dei fatti da provare;
dal suo canto la parte non può limitarsi a formulare le proprie richieste e censure in modo del tutto generico, invocando nella sostanza una attività istruttoria al solo scopo di dare un contenuto concreto alla propria iniziativa processuale;
di conseguenza, quando il ricorrente non fornisce almeno un principio di prova, il giudice non può disporre d’ufficio indagini istruttorie, considerato anche che l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio non è doveroso, ma resta rimesso al suo prudente apprezzamento
” (Cons. Stato, sez. IV, 4 gennaio 2018, n. 36).

Per altro, in riferimento a tale aspetto, nella sentenza di primo grado si legge (e parte appellante al riguardo si è limitata ad una contestazione generica) che i manufatti sono stati “ edificati tutti, in ogni caso, per ammissione della stessa ricorrente, in un periodo in cui era già necessario, sul territorio di Roma Capitale, il rilascio di una concessione edilizia ”.

Quanto detto sinora non pare superabile in forza dei documenti depositati dall’appellante in data 30.5.2023 e della successiva memoria esplicativa dell’8.6.2023. Premessa l’inammissibilità del deposito anzidetto, dal momento che parte appellante non ha dimostrato, come invero richiesto dall’art. 104, comma 2, c.p.a., che i nuovi documenti depositati in appello non potevano essere prodotti nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, in memoria lo stesso appellante ammette che i due immobili contestati come abusivi risalgono al 1970 e le deduzioni che accompagnano tale dato non sono idonee a superare le conclusioni della sentenza di primo grado.

Difatti, l’appellante invoca l’art. 15 della Legge regionale n. 28 del 1980, che prescriverebbe “una sorta di sanatoria” per gli impianti sportivi sorti in contrasto con le disposizioni vigenti in materia urbanistica e realizzati prima dell’ottobre del 1979 laddove avessero messo a disposizione i proprio spazi per l’utilizzo delle strutture sportive da parte dell’Amministrazione in misura non inferiore al 20% della potenzialità, come poi è effettivamente avvenuto;
l’art. 15 citato sancisce: “ L’autorizzazione per la variante prevista nel presente articolo riguarda anche il recupero degli impianti sportivi eseguiti in tutto o in parte senza licenza o concessione edilizia, ovvero in rilevante difformità dalla medesima ed ultimati entro la data dell’8 ottobre 1979. In tal caso la variante deve prevedere l’attuazione mediante convenzione obbligatoria, nella quale sia comunque disposto l’obbligo solidale del concessionario e del gestore che da lui abbia causa di concedere l’uso pubblico dell’impianto per un tempo non inferiore al 20 per cento della potenzialità dell’impianto medesimo senza oneri per l’amministrazione comunale;
nonché prevedere i casi ed i limiti nei quali siano ammissibili completamenti di impianti sportivi al solo scopo di assicurare la migliore funzionalità e la dotazione degli indispensabili servizi igienici
”.

Tuttavia, come correttamente rilevato dalla difesa di parte appellata, lo stesso art. 15 dispone all’ultimo comma che “ In ogni caso sono fatti salvi i vincoli di qualsiasi natura esistenti sul territorio in forza di leggi o provvedimenti nazionali o regionali ”, così precludendo l’operatività della “sanatoria” predetta nel caso di specie, insistendo le opere in rilievo su area sottoposta a vincolo ai sensi del D. Lgs. 490/1999.

5.3 – Quanto alla supposta compatibilità delle opere con la disciplina urbanistica dell’area, deve ribadirsi che la relativa richiesta di sanatoria è stata rigettata, sicché, come rilevato dal TAR, “ la Società Ginnastica Roma non ha, in verità, in nessun modo dimostrato la doppia conformità delle opere de quibus alla disciplina urbanistica ed edilizia, al momento della loro realizzazione e al momento della loro valutazione da parte dell’Amministrazione ”, né tale valutazione può essere svolta nel presente giudizio avverso il provvedimento di demolizione per la cui legittimità rileva unicamente che le opere siano prive di un idoneo titolo edilizio.

6 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.

Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese di lite possono essere compensate.

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