Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-05-18, n. 202003141

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-05-18, n. 202003141
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003141
Data del deposito : 18 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2020

N. 03141/2020REG.PROV.COLL.

N. 01543/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1543del 2016, proposto dal sig.
S E M E, rappresentato e difeso dall’avv. F R e con domicilio digitale come da “P.E.C.” da Registri di Giustizia

contro

Ministero dell’Interno e Questura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma,

previa sospensione,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. IV, n. 2199/2015 del 15 ottobre 2015, con la quale sono stati respinti il ricorso R.G. n. 1855/2014 proposto dal cittadino straniero S E M E avverso il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, nonché i motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento di conferma di tale rigetto.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Vista l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, presentata dall’appellante;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Milano;

Vista la documentazione depositata dalla difesa erariale;

Vista l’ordinanza n. 1846/2016 del 19 maggio 2016, con cui è stata respinta l’istanza cautelare;

Vista la memoria conclusiva dell’appellante;

Visti la domanda di riesame del decreto di rigetto della richiesta dell’appellante di essere ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, presentata dal medesimo appellante ai sensi dell’art. 126, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002, ed i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 7 maggio 2020 il Cons. Pietro De Berardinis, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020 cit.;

Visto l’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

Con ricorso al T.A.R. per la Lombardia – Milano, R.G. n. 1855/2014 il sig. S E M E, cittadino egiziano, impugnava il decreto del Questore di Milano n. 14676/2013 Imm. dell’8 maggio 2014, a mezzo del quale era stata respinta la sua istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.

Il provvedimento del Questore di Milano si fondava sull’insufficienza della documentazione prodotta dallo straniero a dimostrare lo svolgimento, da parte sua, di una stabile attività lavorativa, nonché il possesso di redditi, derivanti da lavoro o altra fonte lecita, sufficienti al suo sostentamento e tali da comprovare il suo inserimento socio-lavorativo nel territorio nazionale.

Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione intimata, resistendo alle pretese attoree.

L’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 959/2014 del 10 luglio 2014, la quale disponeva a carico della P.A. il riesame della posizione dello straniero, in virtù della documentazione da costui depositata.

A seguito del riesame il Questore di Milano adottava il decreto n. 11/2014 Imm. – Cont del 17 ottobre 2014, con il quale confermava il precedente diniego e che veniva impugnato dal cittadino egiziano tramite motivi aggiunti depositati il 16 dicembre 2014.

All’esito del giudizio di primo grado, con sentenza n. 2199/2015 del 15 ottobre 2015 l’adito T.A.R., ritenendo le pretese del ricorrente non meritevoli di accoglimento, respingeva sia il ricorso originario, sia i motivi aggiunti.

Avverso detta sentenza, non notificata, il sig. S E M E propone appello con il ricorso in epigrafe, chiedendo che la stessa sia riformata e chiedendone, altresì, in via cautelare, la sospensione.

A supporto dell’appello il cittadino straniero deduce, con un unico motivo, le doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere per falsa interpretazione ed errata applicazione dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998, in combinato disposto con l’art. 13, comma 2-bis (rectius: comma 2), del d.P.R. n. 394/1999, e dell’art. 5, comma 5, del citato decreto legislativo, nonché per difetto di istruttoria e di motivazione in relazione alla situazione lavorativa dello stesso appellante.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano, depositando documenti sui fatti di causa e resistendo alle domande attoree.

L’istanza di sospensione della sentenza appellata è stata respinta con ordinanza n. 1846/2016 del 19 maggio 2016, in quanto priva del necessario fumus boni iuris, non apparendo integrato il requisito reddituale richiesto dalla legge.

In vista dell’udienza di merito l’appellante ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del gravame.

L’appellante ha, inoltre, proposto, ai sensi dell’art. 126, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002, reclamo avverso il decreto della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato presso il Consiglio di Stato n. 82/2016 del 25 maggio 2016, che ha respinto la sua richiesta di essere ammesso, nel giudizio di appello, al beneficio del cd. gratuito patrocinio.

All’udienza del 7 maggio 2020, svoltasi con le modalità di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Forma oggetto di impugnazione la sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano n. 2199/2015 del 15 ottobre 2015, con cui sono stati respinti il ricorso originario e i motivi aggiunti proposti dal sig. S E M E avverso il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, adottato nei suoi confronti dal Questore di Milano l’8 maggio 2014, nonché avverso il provvedimento di conferma del diniego, adottato il 17 ottobre 2014.

Nello specifico, l’originario diniego di rinnovo, impugnato dallo straniero con il ricorso introduttivo, si è basato sulla carenza del requisito reddituale, per avere il richiedente, nel periodo preso in esame dalla P.A., percepito redditi di lavoro in modo discontinuo e sempre insufficiente.

Per effetto dell’accoglimento della domanda cautelare da parte del T.A.R., che ha ordinato il riesame della pratica, il Questore ha confermato il diniego per carenza del requisito reddituale, essendo stata riscontrata in capo allo straniero la sussistenza di redditi imponibili per il solo mese di febbraio 2014 e per l’importo di € 571,00.

La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso per non avere lo straniero dato prova di una stabile e regolare situazione lavorativa e reddituale.

Invero, dopo l’adozione del provvedimento di conferma del diniego (impugnato con i motivi aggiunti) la posizione dello straniero è stata regolarizzata, pervenendosi ad un estratto INPS del marzo 2015 che documenta il versamento di contributi previdenziali per € 5.569,00: il T.A.R., tuttavia, ha ritenuto che, in applicazione del principio “tempus regit actum”, il requisito reddituale debba essere posseduto e dimostrato dal richiedente alla data di adozione del provvedimento di rinnovo, sulla cui legittimità non assume rilievo il mutamento delle condizioni economiche dell’interessato sopravvenuto in un periodo successivo a tale data.

Gli elementi sopravvenuti a cui la P.A. deve aver riguardo, ex art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, sono – sottolinea la sentenza – quei fatti o circostanze (per es.: il conseguimento di un posto di lavoro più remunerato, o l’aggiunta di nuovi redditi familiari) intervenuti fino al momento di adozione del provvedimento impugnato: non possono essere, invece, situazioni successive al provvedimento, in quanto esse non sono in grado di superare le incertezze sulla provenienza dei mezzi di sostentamento nel periodo antecedente al provvedimento stesso.

Con l’unico motivo proposto avverso la sentenza impugnata, la parte appellante formula le seguenti censure:

- in primo luogo, il T.A.R. non avrebbe considerato che alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno era allegata copiosa documentazione volta a dimostrare la situazione lavorativa e reddituale del richiedente. Detta documentazione dimostrerebbe l’instaurazione, da parte dello straniero, di un rapporto di lavoro subordinato a far data dal 20 marzo 2013 con la ditta “Merhz Mostafà” di Milano, per lo svolgimento delle mansioni di manovale edile a tempo pieno;

- in secondo luogo, il giudice di primo grado non avrebbe considerato la situazione lavorativa dello straniero come si presentava al momento della valutazione da parte dello stesso giudice. Peraltro, la situazione del 2012 (con redditi esigui) nemmeno avrebbe dovuto essere valutata, poiché nel 2012 il richiedente era titolare di regolare permesso di soggiorno, scaduto nel 2013. Relativamente, poi, ai redditi del 2013 e del 2014 il Tribunale avrebbe omesso di valutare la loro progressiva evoluzione in senso positivo;

- ancora, il T.A.R. non avrebbe tenuto conto della circostanza che la mancanza del riscontro dell’INPS in ordine alla regolarità contributiva e lavorativa dello straniero sarebbe dipesa dal tempo tecnico di cui il predetto Istituto necessitava per elaborare l’estratto conto contributivo, tant’è che la situazione dello straniero si sarebbe progressivamente regolarizzata;

- sarebbe erronea la valutazione, effettuata dalla Questura e condivisa dal giudice di primo grado, dei redditi percepiti dal richiedente come insufficienti, poiché la normativa richiamata, che fa riferimento all’importo dell’assegno sociale (v. art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998), si applicherebbe solo al permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e non anche al permesso di soggiorno ordinario, qual è quello richiesto nel caso di specie;

- da ultimo, il T.A.R. non avrebbe valutato che lo straniero è in Italia da più di tredici anni, ha svolto sempre attività lavorativa, pur attraversando momenti di difficoltà reddituale, dovuti però alla crisi economica, e non ha mai avuto segnalazioni di polizia. Inoltre, all’epoca dell’adozione del diniego impugnato lo straniero aveva un contratto di lavoro a tempo indeterminato, idoneo a dimostrarne la capacità di provvedere lecitamente al proprio sostentamento.

Così riportate le censure dell’appellante, il Collegio ritiene che le stesse non possano essere condivise, non apparendo integrato dallo straniero richiedente, come già sottolineato nell’ordinanza di reiezione dell’istanza di sospensione della sentenza appellata (n. 1846/2016 del 19 maggio 2016), il requisito reddituale previsto dalla legge.

Invero, ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998 e dell’art. 13, comma 2, del d.P.R. n. 394/1999, lo straniero extra-comunitario, per poter fare ingresso nel territorio nazionale, deve presentare documentazione idonea ad attestare lo scopo e le condizioni del suo soggiorno e la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per l’intera durata dello stesso, dovendo egli, inoltre, al momento del rinnovo del permesso di soggiorno, attestare il possesso di un reddito proveniente da fonte lecita e sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi, se a suo carico.

Come precisato dalla Sezione (C.d.S., Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8839, 11 maggio 2015, n. 2335 e 11 luglio 2014, n. 3596), “il possesso di un reddito minimo – idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare – costituisce un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attinente alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese al quale ha chiesto di ospitarlo;
il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l’inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un'adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti;
d’altro canto la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose”.

Ciò premesso, dalla documentazione in atti è emerso, sul piano fattuale, quanto segue.

Il sig. S E M E, al momento dell’emissione del diniego impugnato con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado (8 maggio 2014), risultava aver percepito redditi discontinui e comunque insufficienti rispetto al parametro normativo dell’assegno sociale.

In dettaglio, nella nota della Questura di Milano – Uff. Immigrazione Cat. Nr. 832604-A.11/13 Imm. del 30 giugno 2014, versata in atti, si legge che lo straniero ha presentato documentazione attestante l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la ditta “Mehrz Mostafà”, in specie una copia del CUD 2013 attestante il possesso, per il 2012, di un reddito di € 6.766,12, ma che tale documentazione non ha trovato riscontro negli accertamenti effettuati presso la banca dati INPS.

Da detti accertamenti, infatti, è emerso che egli ha percepito redditi imponibili a fini contributivi per l’anno 2012 per € 3.364,00 (pari a n. 4 mensilità), per l’anno 2013 per € 2.150,00 (pari a n. 5 mensilità) e per l’anno 2014 per € 571,00: quest’ultimo importo, in particolare, si riferisce alla sola mensilità di febbraio 2014, mentre da quella data non risulta avere più percepito redditi. Il suddetto importo di € 571,00, peraltro, risultava comunicato all’INPS solo il 6 maggio 2014, ed era ancora il solo versato per il 2014 da un controllo svolto presso la banca dati INPS alla data di adozione della succitata nota della Questura (dunque, al 30 giugno 2014).

Nel giudizio di primo grado lo straniero ha depositato un contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 20 marzo 2013 alle dipendenze della ditta “Merhz Mostafà” e buste paga relative al periodo dal luglio 2013 al maggio 2014. In fase cautelare, pertanto, il T.A.R., sulla base di detta documentazione – la stessa che lo straniero invoca in sede di appello – ha disposto il riesame della fattispecie: tuttavia, nonostante la Questura, in ottemperanza all’ordine del T.A.R., avesse invitato il richiedente a produrre documentazione idonea a provare il totale versamento dei contributi, ancora in data 3 ottobre 2014 risultavano versati per il 2014 solo € 571,00 (così espressamente il provvedimento di conferma del diniego di rinnovo).

Mettendo, pertanto, a confronto i dati relativi alle varie annualità considerate, non appare fondata la tesi dell’appellante, secondo cui vi sarebbe stato un progressivo miglioramento della sua situazione economica, che non sarebbe stato considerato dalla sentenza impugnata.

È invero evidente che, sia al tempo dell’adozione del diniego originario, sia al tempo dell’adozione del provvedimento di conferma di detto diniego, lo straniero risultava aver percepito redditi in misura ben inferiore ai minimi di legge, corrispondenti all’importo dell’assegno sociale.

Sul punto si sottolinea che il richiamo all’assegno sociale è contenuto nell’art. 29, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 286/1998, richiamato a sua volta dall’art. 22, comma 11, del medesimo decreto legislativo (C.d.S., III, 22 febbraio 2017, n. 843): dunque tale criterio di misurazione del requisito reddituale vale anche per il permesso di soggiorno ordinario e non solo – come sostiene l’appellante – per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Un recente arresto della Sezione (C.d.S., Sez. III, 14 dicembre 2018, n. 7046) ha riaffermato, a tal riguardo, che “la giurisprudenza di questa Sezione è ormai consolidata nel senso che la verifica della disponibilità, da parte dello straniero, di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno vada effettuata assumendo proprio l’importo dell’assegno sociale come parametro di ragionevolezza, in base al quale valutare l’adeguatezza o meno del reddito percepito nel passato o atteso nel futuro (così espressamente, da ultimo: 21.9.2018, n. 5487;
6.8.2018, n. 4837;
11/06/2018, n. 3509 e 24/01/2018, n. 478;
in precedenza: 28/04/2017, n. 1971;
29 agosto 2016, n. 3717;
n. 2645/2015;
n. 4652/2014;
n. 3342/2014): tant’è che l’importo dell’assegno sociale viene pacificamente adottato quale termine di paragone al fine di verificare la sussistenza o meno del requisito reddituale minimo in capo allo straniero (cfr. di recente: 31/10/2018, n. 6197)”.

Dagli atti di causa si evince, altresì, che solo in seguito all’emanazione del nuovo provvedimento di diniego del 17 ottobre 2014, la posizione dello straniero è stata in parte regolarizzata. Nello specifico, è agli atti del giudizio di appello l’estratto INPS dell’11 dicembre 2014, da cui risultano versamenti contributivi per il 2014 pari ad € 4.089,00 (precedentemente, l’estratto INPS del 21 novembre 2014 attesta un reddito di € 3.398,00);
è solo dall’estratto del 24 marzo 2015 che si evince il versamento finale, per il 2014, di contributi per € 5.569,00.

Ne segue che nel caso di specie il T.A.R. ha fatto corretta applicazione del principio – enunciato dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, invocata dallo straniero (C.d.S., Sez. III, 11 novembre 2015, n. 5133;
Sez. VI, 11 maggio 2011, n. 2791;
T.A.R. Piemonte, Sez. I, 9 agosto 2018, n. 947) – per cui la documentazione attinente al requisito reddituale non può essere esibita dal richiedente il titolo di soggiorno solo in sede giurisdizionale, ma deve esserlo nell’appropriata sede procedimentale, prima che la Pubblica Amministrazione si determini sulla domanda che dà luogo al provvedimento oggetto del giudizio.

In particolare è oramai consolidato l’orientamento secondo cui, l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 cit., nell’imporre alla P.A. di prendere in considerazione i “nuovi sopraggiunti elementi” favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dalla medesima Amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento, anche se successivamente alla presentazione della domanda, mentre nessuna rilevanza, salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte della P.A., può essere attribuita ai fatti sopravvenuti (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. II, 6 febbraio 2020, n. 940;
Sez. III, 9 gennaio 2020, n. 155, 12 novembre 2019, n. 7735, 28 novembre 2018, n. 6755, 2 marzo 2018, n. 1314, 22 febbraio 2017, n. 843, 3 maggio 2016, n. 1714 e 26 maggio 2015, n. 2645).

In conclusione, come osservato dalla sentenza impugnata, la P.A. ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno sulla base di accertamenti dai quali è risultata l’assenza di redditi sufficienti a giustificare la permanenza del cittadino straniero nel territorio nazionale e l’insussistenza di alcun rapporto di lavoro regolarmente instaurato dallo stesso, idoneo a procurargli un reddito nei parametri dell’assegno sociale.

Ne discende l’infondatezza dell’atto di appello, avendo il T.A.R. correttamente accertato la legittimità dei provvedimenti impugnati dallo straniero (diniego di rinnovo e conferma del diniego) e potendo, semmai, le produzioni documentali di quest’ultimo posteriori all’adozione della conferma del diniego legittimare, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, una richiesta da parte del cittadino egiziano alla Questura di riesaminare la sua posizione sulla base di dette produzioni.

In definitiva, l’appello è infondato e deve, perciò, essere respinto, potendosi compensare, per equità, le spese del presente giudizio.

Meritevole di accoglimento è, invece, la richiesta di riesame (rectius: reclamo) presentata dallo stesso appellante avverso il decreto n. 82/2016 del 25 maggio 2016 della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato presso il Consiglio di Stato, che ha respinto la sua richiesta di essere ammesso, nel giudizio di appello, al beneficio del cd. gratuito patrocinio. Ciò tenuto conto sia della situazione di carenza del requisito reddituale in capo allo straniero, sia dell’insussistenza, nel caso di specie e per quanto sopra detto, del requisito della “manifesta” infondatezza delle prospettazioni difensive di cui all’atto di appello, diverso dalla pura e semplice infondatezza di queste.

Pertanto, in accoglimento del reclamo dello straniero, si demanda ad apposito decreto la liquidazione in suo favore delle spese del cd. gratuito patrocinio.

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