Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-08-04, n. 201503844

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-08-04, n. 201503844
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201503844
Data del deposito : 4 agosto 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01014/2015 REG.RIC.

N. 03844/2015REG.PROV.COLL.

N. 01014/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1014 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Calcestruzzi Volturnia Inerti s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., e A C, rappresentati e difesi dagli avv. A C e L R, con domicilio eletto presso A C in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., e Prefettura di Caserta, U.T.G., in persona del Prefetto p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

Italferr S.p.A., n.c.;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, n. 3208 del 25 giugno 2014, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia.


Visti il ricorso per revocazione, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2015 il consigliere Dante D'Alessio e uditi, per le parti, l’avvocato A C e l’avvocato dello Stato Agnese Soldani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Questa Sezione, con sentenza n. 3208 del 25 giugno 2014, ha accolto il ricorso proposto dal Ministero dell'Interno e dalla Prefettura di Caserta - U.T.G. avverso la sentenza, n. 1901 del 10 aprile 2013, con la quale il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione I, aveva annullato l’informativa antimafia, prot. n. 702/12b/ANT/Area 1^ del 17.7.2012, emessa dal Prefetto di Caserta nei confronti della società Calcestruzzi Volturnia Inerti.

2.- La società Calcestruzzi Volturnia Inerti e A C, amministratore unico della società fino all’11 luglio 2012, hanno chiesto, con il ricorso principale, la revocazione della citata sentenza di questa Sezione, ai sensi degli artt. 395, n. 4, c.p.c. e 106 c.p.a.

I ricorrenti hanno sostenuto, in particolare, che la Sezione ha ritenuto erroneamente che l’informativa antimafia interdittiva del 17 luglio 2012 si fondava non solo sulla misura cautelare degli arresti domiciliari che aveva subito C A, nel corso del procedimento penale che lo aveva coinvolto, poi archiviato, bensì su informazioni ulteriori di cui era già in possesso il Prefetto e che erano state rese note in data 13 dicembre 2011 (recte 2012), a seguito della relazione del Comando provinciale dei Carabinieri di Caserta del 28 novembre 2012.

Secondo i ricorrenti, invece, i suddetti ulteriori elementi indiziari erano stati acquisiti dal Prefetto solo dopo l’emanazione della interdittiva antimafia e, pertanto, la stessa si poggiava in sostanza solo sul dato della emanazione dell’ordinanza cautelare degli arresti domiciliari che aveva subito C A.

Secondo i ricorrenti, l’errore revocatorio trova conferma nell’uso del termine “rivelato”, al punto 3 della sentenza, con riferimento al contenuto della relazione del Comando dei Carabinieri di Caserta del 28 novembre 2012, mentre nella nota del Prefetto del 13 dicembre 2012, il termine utilizzato è “rilevato”. In conseguenza emerge, secondo i ricorrenti, un errore decisivo sulla percezione del contenuto materiale dell’atto, di immediata evidenza, in assenza del quale il contenuto della pronuncia sarebbe stato diverso e confermativo della appellata sentenza del T.A.R.

3.- Al riguardo, prima di affrontare nel dettaglio i motivi del ricorso, si deve ricordare che una sentenza pronunciata in grado d'appello può essere impugnata per revocazione se è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (articolo 395, n. 4, c.p.c.). Chiarisce la stessa disposizione normativa che vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

In ogni caso può esservi errore di fatto revocatorio se « il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».

3.1.- La giurisprudenza ha, in proposito, precisato che l’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all'attività compiuta dal giudice di lettura ed esame degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non può riguardare la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto di tali atti e non ricorre, quindi, nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall'ordinamento (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 5 del 24 gennaio 2014, Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5347 del 29 ottobre 2014).

3.2.- L'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, come ha precisato la citata Adunanza Plenaria n. 5 del 24 gennaio 2014, deve, quindi:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

3.3.- L'errore di fatto che consente di mettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 n. 4, c.p.c., non coinvolge, pertanto, l'attività valutativa dell'organo decidente, ma tende ad eliminare l'ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto;
ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio.

L'errore di fatto revocatorio consiste, in altre parole, in una falsa percezione della realtà processuale, ossia in una svista — obiettivamente e immediatamente rilevabile — che abbia portato ad affermare o soltanto a supporre (purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione), l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 697 del 12 febbraio 2014).

4.- Facendo applicazione dei principi che si sono prima richiamati, il motivo proposto con il ricorso in esame deve ritenersi inammissibile.

4.1.- Dalla lettura della decisione di cui si chiede la revocazione emerge, infatti, con chiarezza che la stessa è il frutto di una complessiva valutazione della vicenda riguardante l’emanazione della impugnata interdittiva prefettizia e delle risultanze probatorie e del quadro indiziario complessivo che l’hanno determinata.

Tale valutazione deve ritenersi immune da errori materiali di fatto evidenti, decisivi e tali da inficiare il contenuto stesso della pronuncia.

4.2.- Infatti, come emerge dalla lettura della decisione, la Sezione ha ritenuto che l’azione del Prefetto doveva ritenersi coerente con le « risultanze della istruttoria considerate unitariamente e, conseguentemente, non solo a quanto dichiarato nella interdittiva del 17.7.2012, ma anche agli elementi indiziari di cui il Prefetto ha potuto tenere conto al momento della sua adozione, sia pure nella stessa interdittiva non evidenziati per esigenze di segretezza o di segreto istruttorio ». Quindi « tralasciando il procedimento penale instaurato nei confronti di Caterano Aniello e risoltosi con l’archiviazione, a torto il giudice di prime cure non ha attribuito rilievo a quanto emerso nel corso delle indagini relative al procedimento penale n.36856/2001 R.G.N.R., mod. 21 della D.D.A del Tribunale di Napoli, in cui era emersa la contiguità di Caterano Pietro, padre di Caterano Aniello, con il “clan dei casalesi” in relazione ai rapporti intercorsi con Perreca Antimo, capo zona nel comune di Recale e zone limitrofe ».

La Sezione ha poi anche aggiunto che « per quanto emerga da elementi di carattere meramente indiziario, la famiglia Caturano, nel corso di tutta la sua vita imprenditoriale, risulta in vario modo accomunata, vicina, se non contigua, con la realtà criminale gravitante nell’orbita di controllo del “clan dei casalesi” e che tali indizi provengono da elementi diversificati ed etrogenei, comunque concordanti ».

E quanto alla rilevanza dei vincoli familiari, la Sezione ha ritenuto che « se è pacifico in giurisprudenza, che l’elemento parentale non possa da solo essere indice di influenza mafiosa, per cui le responsabilità penali di parenti non possono ricadere su un soggetto esente da mende, deve osservarsi che nel caso di specie la famiglia Caturano era ed è legata da un intreccio continuo di affari che ha avuto per oggetto la attività imprenditoriale della Calcestruzzi Volturnia Inerti nel suo complesso, impresa che è rimasta, al di là delle vicende societarie che l’hanno riguardata ed in specie della donazione di Pietro e Antonio ad A C, sempre di proprietà della famiglia Caturano ».

4.3.- In tale quadro risulta irrilevante la questione posta sulle informazioni ulteriori rese pubbliche dal Prefetto, in data 13 dicembre 2012, a seguito dell’ordinanza cautelare del T.A.R., come pure il contestato uso del termine “rivelato” al punto 3 della sentenza in questione.

In ogni caso non vi è alcun motivo per ritenere che l’asserito errore sia tale da inficiare l’intera sentenza e che il decisum sarebbe stato diverso.

5.- La società Calcestruzzi Volturnia Inerti e A C hanno depositato, come si è già accennato, in data 11 maggio 2015, motivi aggiunti al ricorso chiedendo la revocazione della citata decisione di questa Sezione n. 3208 del 2014 anche per il contrasto con un precedente giudicato, ai sensi dell’art. 395, n. 5 del c.p.c.

5.1.- I ricorrenti, in proposito, hanno ricordato che questa Sezione, con la sentenza n. 2035 del 22 aprile 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello che era stato proposto dall’Amministrazione avverso la sentenza, n. 5086 del 13 novembre 2013, con la quale il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione I, aveva annullato l’informativa antimafia emessa dal Prefetto di Caserta in data 3 dicembre 2012 (n. 2121/12B16/ANT/Area 1), nei confronti della Caturano Autotrasporti s.r.l., per gli stessi identici fatti, relativi allo stesso gruppo familiare ed imprenditoriale, che hanno determinato la successiva interdittiva, in data 17 luglio 2012, oggetto della sentenza della quale è stata chiesta la revocazione, avendo accertato l’inconsistenza ed erroneità degli elementi riscontrati a carico dell'amministratore C P.

I ricorrenti hanno, quindi, sostenuto che a seguito della citata sentenza della Sezione n. 2035 del 22 aprile 2015, meramente dichiarativa, la sentenza del T.A.R. per la Campania, n. 5086 del 13 novembre 2013, è passata in giudicato, a far tempo dal 13 maggio 2014, con il decorso del termine lungo per l’impugnazione. In conseguenza la sentenza di questa Sezione n. 3208 del 25 giugno 2014 (in esame) è intervenuta quando si era già formato il giudicato sui fatti oggetto di accertamento giudiziale.

6.- Al riguardo, si deve preliminarmente ricordare che, ai sensi dell’art. 92, comma 3, del c.p.a., « in difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso per cassazione devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza ».

Considerato che il nuovo motivo di revocazione è stato proposto, con motivi aggiunti al ricorso già pendente, quando era trascorso quasi un anno dalla pubblicazione (in data 25 giugno 2014) della sentenza della quale è stata chiesta la revocazione, lo stesso deve ritenersi tardivo.

6.1.- La disciplina dettata per i casi di revocazione ordinaria, di cui agli art. 395, n. 4) e n. 5), del c.p.c. si differenzia, infatti, da quella dettata per i casi di revocazione straordinaria di cui all’art. 395, nn. 1), 2), 3) e 6) c.p.c., nel senso che nel caso di revocazione ordinaria i vizi della decisione della quale è chiesta la revocazione possono essere rilevati sulla base della sola sentenza e, quindi, possono essere fatti valere nel termine ‘breve’, in caso di notificazione della sentenza, e nel termine ‘lungo’, in caso di mancata notificazione, come per gli altri ordinari mezzi di impugnazione.

La previsione di un termine ‘lungo’ anche per i casi di revocazione ordinaria trova la sua ragione nell’esigenza di introdurre comunque un limite temporale all’impugnabilità delle sentenze (non notificate) affette da vizi revocatori che possono essere accertati con immediatezza. Mentre nei casi di revocazione straordinaria l’impugnazione è consentita esclusivamente nel termine ‘breve’ decorrente dalla data della conoscenza del vizio, trattandosi di un mezzo d’impugnazione straordinaria reso possibile in ipotesi eccezionali contro un sentenza già passata in giudicato formale.

7.- Il motivo è comunque anche inammissibile.

Infatti, perché una sentenza possa considerarsi contraria a un’altra sentenza precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, ai fini dell’esperibilità del ricorso per revocazione di cui all'art. 395, n. 5, c.p.c., occorre che tra i due giudizi vi sia una perfetta identità di soggetti e di oggetto. Vi deve essere, infatti, un’ontologica e strutturale concordanza tra la questione e le parti su cui si è espresso il secondo giudizio e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1124 del 5 marzo 2015).

7.1.- Nella fattispecie, come emerge chiaramente dagli atti, non vi è coincidenza delle parti tra il giudizio per il quale è stata chiesta la revocazione e quello in esame e ciò esclude la possibile fattispecie revocatoria.

7.2.- Inoltre sono diversi anche i provvedimenti prefettizi che erano stati oggetti di impugnazione in due distinti ricorsi, benché la valutazione compiuta dal Prefetto si fondava in gran parte sugli stessi accertamenti compiuti dagli organi di polizia.

7.3.- Si deve peraltro aggiungere che la sentenza della quale si è chiesta la revocazione ha annullato la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1901 del 10 aprile 2013 proprio per aver (erroneamente) ritenuto che gli elementi indicati nell’interdittiva (a carico di C A) fossero privi di concreta significatività circa possibili tentativi di infiltrazione della criminalità aventi lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, trattandosi di fatti non attuali e perché riferiti a soggetto diverso, in specie a C P (padre di C A) a carico del quale era stata emanata la precedente interdittiva.

8.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, il ricorso principale e i motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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