Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-24, n. 202300765

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-24, n. 202300765
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300765
Data del deposito : 24 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/01/2023

N. 00765/2023REG.PROV.COLL.

N. 05449/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5449 del 2016, proposto dai signori C B, M G e D G in proprio e nelle qualità di comproprietari e componenti il consiglio di amministrazione della residenza turistica alberghiera “Monte Rosa”, nonché della ditta “Monte Rosa”, in persona del legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e difesi dagli avvocati M C, G D P e D S, con domicilio eletto presso lo studio degli avvocati D S e G D P in Roma, viale Liegi, n. 35b;

contro

il Comune di Gressoney-La-Trinite', in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G M Scco, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
la Regione Valle D’Aosta, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio;

nei confronti

dei signori Emanuela Lainati e Francesco Mazza Galanti, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Valle D’Aosta n. 1 del 12 gennaio 2016, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Gressoney-La-Trinite';

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2022 il consigliere Michele Conforti;

Nessuno presente per le parti;

Preso atto dell'istanza congiunta di passaggio in decisione depositata dagli avvocati M C e G M Scco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dai signori C B, M G, D G in proprio e nella qualità di comproprietari e di componenti del consiglio di amministrazione della residenza turistico alberghiera denominata “Monte Rosa” avverso la sentenza del T.a.r. per la Valle d’Aosta del 12 gennaio 2016 n. 1.

2. Nel presente giudizio, risulta controverso il procedimento di adozione e approvazione della variante generale al piano regolatore generale (d’ora in avanti, PRG) del comune di Gressoney La Trinitè (d’ora in avanti, il “comune”) e, in particolare, l’art. 46 delle n.t.a., nella parte in cui disciplina la destinazione d’uso degli immobili situati nella zona Tache, sottozona B1.

2.1. Gli odierni appellanti deducono di essere proprietari ed amministratori della struttura alberghiera ubicata nel territorio del comune, in un’area individuata al foglio 8, particella 13, realizzata, dalla società “Peretto Corrado e C. s.n.c.”, previa concessione di un finanziamento regionale, riconosciuto con la delibera di giunta regionale del 2 marzo 1990 n. 2068 e condizionato dalla costituzione di un vincolo di destinazione alberghiera (la cui scadenza era prevista per il 1° luglio 2013).

2.2. Successivamente, la società “Peretto Corrado e C. s.n.c.” ha venduto la struttura alla società “Pentagono Valle D’Aosta s.r.l.”, la quale ha estinto anticipatamente il mutuo collegato al finanziamento ricevuto e, previo frazionamento, ha venduto agli appellanti le singole unità immobiliari che costituiscono la residenza turistico alberghiera “Monte Rosa”.

2.3. Quest’ultimi hanno poi domandato alla regione l’autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso della suddetta struttura.

2.4. Con la deliberazione di giunta regionale n. 88 del 23 gennaio 2009, la regione ha autorizzato il cambio di destinazione d’uso.

2.5. Con l’istanza del 3 agosto 2009, gli interessati hanno chiesto al comune l’autorizzazione al cambio di destinazione d’uso, che è stata rigettata con il provvedimento n. 1392/1803, dell’8 marzo 2010.

2.6. Il provvedimento di diniego è stato impugnato innanzi al T.a.r. Valle D’Aosta che lo ha annullato con la sentenza n. 68 del 15 giugno 2011.

2.7. Con le delibere nn. 26 e 27 del 6 settembre 2013, il comune ha adottato il progetto preliminare di “ variante generale al P.R.G.C. ex art. 13 legge regionale n. 11/1998 ” ed il “ piano di sviluppo turistico ”, con i quali si è previsto (in particolare, all’art. 46 delle n.t.a.) che per gli immobili aventi la destinazione d’uso a residenza turistico-alberghiera non fosse consentito il cambio di destinazione d’uso.

2.8. Con la delibera n. 27 del 15 dicembre 2014, sono state respinte le osservazioni presentate dagli interessati da parte del comune, il quale, con la delibera n. 28, emanata lo stesso giorno, ha anche adottato la variante, trasmettendola alla regione per le valutazioni di sua competenza.

3. I ricorrenti hanno dunque impugnato il provvedimento di adozione della variante, relativamente all’art. 46 delle n.t.a., articolando i seguenti motivi:

I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 L.R. 11/1998. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Disparità di trattamento;

II. Violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione. Violazione dell’art. 23, comma 5 bis, della l.r. 19/2001 nonché paragrafo 7.3.3. dell’Allegato n. 1 alla deliberazione della Giunta regionale n. 4697 del 10/12/2001 e ss.mm. Sviamento di potere. Incompetenza. Difetto di istruttoria e di motivazione. Irragionevolezza e disparità di trattamento;

III. Violazione dell’art. 42 della Costituzione. Violazione dell’art. 27 comma 7 delle NTA al Piano Territoriale Paesistico. Contrasto con la relazione illustrativa alla Variante ed al PST.

Contraddittorietà rispetto alla deliberazione della Giunta Regionale n. 88 del 23/01/2009. Contraddittorietà rispetto ai fini perseguiti. Travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono soddisfare. Irragionevolezza. Difetto di istruttoria e motivazione. Manifesta irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà.

3.1. Si è costituito in giudizio il comune per resistere al ricorso.

4. Successivamente alla proposizione del ricorso, con la deliberazione della giunta della regione Valle d’Aosta n. 594 del 24 aprile 2015, la regione ha concluso positivamente il procedimento di valutazione del progetto definitivo di variante.

4.1. Il provvedimento regionale è stato impugnato con motivi aggiunti, notificati e depositati in data 30 giugno 2015, nei quali si è dedotta l’illegittimità derivata dei nuovi provvedimenti impugnati e si è integrato il contraddittorio nei confronti della regione.

5. Con la deliberazione del consiglio comunale n. 28 del 4 agosto 2015, il comune ha approvato la variante.

5.1. I ricorrenti hanno impugnato, con la notificazione di un secondo ricorso per motivi aggiunti, anche questo provvedimento, deducendone l’illegittimità derivata per i medesimi vizi già dedotti con il ricorso principale.

6. Con la sentenza n. 1/2016, il T.a.r. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, e ha compensato le spese di lite tra le parti.

7. Gli originari ricorrenti hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, proponendo quattro motivi (estesi da pagina 17 a pagina 31 e di cui l’ultimo meramente riproduttivo delle censure precedentemente articolate nei confronti dei provvedimenti impugnati con i motivi aggiunti).

7.1. Il 29 settembre 2016, si è costituito in giudizio il comune per resistere all’appello.

7.2. Con l’ordinanza n. 149 del 3 febbraio 2020, il presidente della quarta sezione ha domandato alla parte appellante “ se continua a sussistere l’interesse alla definizione del giudizio, per evitare che nei ruoli ordinari delle udienze siano eventualmente inseriti giudizi destinati ad essere dichiarati estinti, nonché per prevenire la condanna della parte soccombente ai sensi dell’articolo 26, commi 1 e 2, del codice del processo amministrativo ”.

7.3. Il 12 settembre 2022, gli appellanti hanno ribadito il loro interesse alla decisione del ricorso.

7.4. Con la memoria del 4 novembre 2022, gli appellanti insistono sugli aspetti collegati alla non economicità della gestione della struttura alberghiera, depositando anche documentazione sopravvenuta inerente a questo aspetto.

7.5. Il 15 novembre 2022, il comune ha depositato una memoria di replica.

8. All’udienza del 6 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

9. In limine litis , in applicazione del criterio della ragione più liquida, il Collegio ritiene che non sia necessario procedere alla disamina dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dell’appello, formulata dal comune appellato, bensì che si possano esaminare direttamente i motivi di impugnazione, essendone palese la loro infondatezza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3.).

9.1. Sempre in rito, va dichiarata l’inammissibilità – per violazione del divieto dei nuovi mezzi di prova in appello sancito dall’art. 104 comma 2 c.p.a. - di tutta la produzione documentale tranne i documenti del comune correlati al procedimento di approvazione della variante (cfr. da ultimo Cons. Stato sez. IV, 27 luglio 2021 n. 5560, in particolare §. 16.6. e 16.8.).

9.2. Venendo al merito dell’appello, va osservato come i motivi di gravame dedotti dall’appellante abbiano fatto sostanzialmente riemergere il thema decidendum di primo grado, consentendo, perciò, per semplicità espositiva ed economia dei mezzi processuali, il riesame delle doglianze espresse dalla ricorrente in prime cure con i motivi di impugnazione formulati dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 7619 del 2020 § 3.3. e 1173 del 2020;
sez. IV, n. 1130 del 2016;
sez. V, n. 5865 del 2015;
sez. V, n. 5868 del 2015).

10. La disamina delle censure proposte investe, in generale, questioni tipiche della materia urbanistica e, in particolare, la specifica problematica del c.d. “vincolo alberghiero”.

Risulta pertanto utile illustrare i principi che disciplinano questi profili della res litigiosa , al fine di tratteggiare compiutamente la cornice teorica della decisione.

11. Come affermato, anche di recente, dalla Corte costituzionale, nell’ordinamento, la funzione di pianificazione urbanistica è stata tradizionalmente rimessa all’autonomia dei comuni fin dalla legge del 25 giugno 1865, n. 2359 (sulle espropriazioni per causa di utilità pubblica) e tale attribuzione è stata nuovamente ribadita anche con il nuovo Titolo V della Costituzione. In particolare, con i provvedimenti legislativi che ne hanno costituito attuazione, si è qualificata la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale, nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale, come funzioni fondamentali dei Comuni (art. 14, comma 27, lettera d, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 recante “ Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica ”, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, come sostituito dall'art. 19, comma 1, lettera a, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, recante “ Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario ”, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135).

La funzione di pianificazione comunale è rimasta, pertanto, assegnata, in linea di massima, al livello dell’ente più vicino al cittadino, in cui storicamente essa si è radicata come funzione propria, andando a costituire parte integrante della dotazione tipica e caratterizzante dell'ente locale (cfr. Corte cost., 16 luglio 2019 n. 179, §. 12.3.).

12. In una prospettiva di carattere evolutivo della materia, questa sezione ha avuto modo di mettere in risalto che il potere di pianificazione urbanistica del territorio non è limitato alla sola individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale e, in particolare, alla possibilità e limiti edificatori delle stesse, bensì deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto, ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati (Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2022 n. 2700;
cfr., inoltre, Cons. Stato, sez. IV, n. 4037 del 2017;
n. 4599 del 2016;
n. 3806 del 2016;
n. 2221 del 2016;
n. 2710 del 2012;
n. 1197 del 2003).

Si è affermato cioè che “… l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi -, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico - sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio ” (così, Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710, §. 6.). Sino al punto di ritenere legittima la scelta pianificatoria della c.d. “opzione zero” a seguito della quale lo strumento urbanistico non consente più, de futuro, l’ulteriore consumo di suolo.

13. Quanto ai rapporti fra l’esercizio del potere di pianificazione e la tutela del diritto di proprietà, declinati con particolare attenzione all’aspetto dell’esercizio del jus aedificandi , per la consolidata e pacifica giurisprudenza costituzionale, della Corte E.D.U. e di questo Consiglio, la compressione di alcune facoltà del diritto di proprietà non comporta il configurarsi di una forma anomala di espropriazione e, in particolare, di un’espropriazione di valore, con conseguente necessità che si corrisponda un indennizzo a chi avrebbe sofferto tale privazione.

In linea generale, la Corte costituzionale – tra l’altro, con le fondamentali sentenze n. 38 del 1966 e n. 133 del 1971 – ha chiarito che i vincoli conformativi costituiscono limitazioni di carattere generale attinenti a taluni beni, imposti o dall’attività di pianificazione e, dunque, dagli strumenti urbanistici (si parla, in tale caso, di vincoli urbanistici) o da fonti diverse dagli strumenti urbanistici (si tratta in questo caso di vincoli non urbanistici).

In entrambi i casi, nulla è dovuto a titolo di indennizzo (Corte cost. n. 38 del 1966, n. 56 del 1968 e, più di recente, n. 179 del 1999).

Affinché si possa prospettare tale forma anomala di espropriazione è necessario che il sacrificio imposto al diritto di proprietà (o, in ipotesi, ad altro diritto reale) sia tale da comportare un “ sostanziale annientamento ” delle facoltà tipiche del diritto o da inciderle eccessivamente oltre il limite della tollerabilità (Corte cost., n. 6 e n. 38 del 1966).

Il verificarsi di queste situazioni va valutato, secondo quello che è l’apprezzamento comune, nell’ambito di un determinato contesto economico-sociale.

Il giudizio in questione deve essere compiuto applicando, altresì, le indicazioni che provengono anche dalla giurisprudenza sovra nazionale della Corte E.D.U., la quale - in sintonia con la giurisprudenza nazionale, pur lasciando ampio margine di apprezzamento agli Stati sulla scelta delle modalità di attuazione delle misure ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale (Corte E.D.U., 29 aprile 1999, C e altri c. Francia [GC], nn. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, § 75) - verifica che sia stato mantenuto un necessario equilibrio con il diritto al rispetto dei beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale del 20 marzo 1952 (Corte E.D.U., 30 giugno 2005, J e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, § 93).

L’esame sull’ingiustificata ingerenza va dunque effettuato sulla base del “principio di proporzionalità”, la cui applicazione deve tenere conto della durata del vincolo e del “grado di incisione sul diritto di proprietà”, delle incertezze sull’utilizzo del bene e, non in ultimo, sulla previsione o meno della corresponsione di un indennizzo, ma senza mai sostituire, in materia che non rientra nei casi tassativi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a., la valutazione del giudice ai contenuti delle scelta pianificatoria dell’amministrazione intrisa, com’è, di aspetti politici, amministrativi e tecnici.

La Corte di Strasburgo ha avuto modo di puntualizzare che ben può riconoscersi alle Amministrazioni il potere di pianificare il territorio, così limitando lo jus aedificandi (ma il Collegio ritiene che il principio possa essere applicato a qualunque altro aspetto o limitazione delle facoltà di godimento o di disposizione) “ per ragioni di utilità pubblica precise e attuali ” (Corte E.D.U., 17 ottobre 2002, s.r.l. Terazzi c. Italia , § 85;
8 novembre 2005, Saliba c. Malta , § 45): la Corte ha più volte respinto i ricorsi proposti da chi abbia lamentato che l’Autorità urbanistica ha conformato i suoi beni per ragioni di tutela “ della natura o dell’ambiente ” (Corte E.D.U., 3 marzo 2015, Scagliarini c. Italia , § 15) ed ha tenuto conto anche della circostanza che il proprietario abbia potuto continuare ad utilizzare il suo bene, pur se egli non sia stato soddisfatto nella sua pretesa di ottenere una diversa destinazione (Corte E.D.U., 17 settembre 2013, Contessa c. Italia, § 30).

13.1. Anche questo Consiglio ha avuto modo di ribadire, in continuità con la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte E.D.U., la legittimità della mancata previsione di un indennizzo in conseguenza dell’esercizio dell’attività di pianificazione di natura conformativa e limitativa delle prerogative proprietarie ( ex multis , Cons. Stato, IV, 15 dicembre 2017, n. 5909;
V, 14 ottobre 2014, n. 5074).

Del concetto di vincolo (e, dunque, di “limite”) derivante dall’esercizio del potere conformativo ( infra §. 16.) è stata fornita un’interpretazione ampia, finalizzata a ricomprendere anche quelle limitazioni al diritto di proprietà (e, in particolare, alla facoltà di godimento del diritto di proprietà mediante edificazione) derivanti dalla zonizzazione a “verde pubblico” oppure a “viabilità”.

Si sostiene che la destinazione a verde pubblico (ma anche quella a “parco urbano”, “parco pubblico”, “verde urbano”, “verde attrezzato”, “attrezzature ricreative” o “attrezzature sportive”, cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2012 n. 6094;
Sez. IV, 19 gennaio 2012 n. 243) o quella a “sede viaria” impressa dal piano regolatore generale (o da uno strumento di pianificazione equivalente) risultano effettuate in virtù di criteri generali e astratti, e non già in funzione della localizzazione di opere pubbliche specifiche su beni per esse individuati (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 febbraio 2022 n. 1367;
sez. II, 21 gennaio 2020, n. 476;
sez. VI, 30 gennaio 2020 , n. 783;
Cons. Stato, sez. IV, 1 luglio 2015, n. 3256;
sez. IV, 6 ottobre 2014, n. 4976;
sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6094;
sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 244;
cfr., inoltre, Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2017, n. 11444;
Cass., 21 giugno 2016, n. 12818;
Cass., 11 gennaio 2013, nn. 614 e 615; contra , Cass. civ., 19 dicembre 2008, n. 29788 e, più di recente, C.g.a., sez. giur., 28 marzo 2022 n. 383, secondo cui la zonizzazione a “verde pubblico” e quella a “viabilità pubblica” integrano vincoli espropriativi).

14. Quanto ai rapporti fra l’esercizio dei poteri di pianificazione e l’esercizio dell’attività di impresa, vanno ribaditi quei principi giurisprudenziali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2019, n. 7653 e, più di recente, sez. IV, 22 marzo 2021 n. 2419, §§. 18 e seguenti) enunciati con precipuo riferimento agli esercizi commerciali, ma altrettanto attinenti alle imprese turistiche (e ad ogni altra attività economica), in base ai quali:

a) le previsioni dei piani urbanistici, in quanto finalizzate all’ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi commerciali. La diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699;
sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2060);

b) di regola, l’anti concorrenzialità della disposizione preclusiva sussiste allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale ( rectius : tali valutazioni costituiscono indici univoci di anti concorrenzialità: Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3314, n. 3315 e n. 3316);

c) per altro verso, si riconosce che i poteri degli enti locali non sono illimitati, in quanto incontrano un doppio ostacolo:

c.1) è vietata ogni previsione limitativa che si risolva in una discriminazione dettata a fini di “ tutela di altre categorie di esercizi commerciali ”;

c.2) è necessario verificare se i limiti imposti dagli atti di pianificazione urbanistica possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (così Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3314, n. 3315 e n. 3316).

15. In linea generale, infine, costituiscono capisaldi della pianificazione urbanistica, i principi (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2022, n. 3018 e ivi ulteriore giurisprudenza, oltre a quella indicata di seguito) in base ai quali:

i ) “ le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità ” (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2021 n. 2421;
sez. II, 18 maggio 2020, n. 3163;
sez. II, 4 maggio 2020, n. 2824;
sez. II, 9 gennaio 2020, n. 161;
sez. II, 6 novembre 2019, n. 7560;
sez. IV, 17 ottobre 2019, n. 7051;
sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5960;
sez. II, 7 agosto 2019, n. 5611;
sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4345;
sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3986);

ii ) “ la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni ” (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2021 n. 2421;
sez. II, 18 maggio 2020, n. 3163;
Sez. II, 4 maggio 2020, n. 2824;
Sez. IV, 3 febbraio 2020, n. 844);

iii ) “ con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: I) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona;
II) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate;
III) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare;
IV) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo
” (Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2023, n. 21;
sez. IV, 22 marzo 2021 n. 2421;
Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3163;
Sez. II, 20 gennaio 2020, n. 456;
Sez. IV, 24 giugno 2019, n. 4297;
Sez. IV, 26 ottobre 2018, n. 6094;
Sez. IV, 24 marzo 2017, n. 1326;
Sez. IV, 11 novembre 2016, n. 4666).

16. La sezione (29 luglio 2020 n. 4810, § 13.1 e seguenti) ha poi avuto modo di puntualizzare la distinzione fra “ destinazioni di zona ” e “ destinazioni d’uso ”, evidenziando come:

a) la nozione di destinazione di zona è strettamente connessa all’attività di pianificazione, e costituisce, in modo preponderante da un punto di vista qualitativo oltre che quantitativo, il contenuto essenziale dell’attività di pianificazione urbanistica.

L’art. 7 della c.d. legge urbanistica enuncia, infatti, che “ Il piano regolatore generale…deve indicare essenzialmente… la divisione in zone del territorio comunale …”.

La divisione in zone del territorio comunale costituisce una delle finalità principali e preminenti dell’attività di governo del territorio che si esplica attraverso la pianificazione. Essa concorre a “progettare” l’assetto di regole attuali e gli sviluppi futuri del territorio attraverso la c.d. conformazione del diritto di proprietà, mediante l’individuazione del regime giuridico applicabile per singola zona del territorio comunale (“ la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”, art. 7, comma 2, n. 2, della legge urbanistica );

b) la nozione di destinazione d’uso, in base all’art. 23 ter, si riferisce invece a “ ogni forma di utilizzo dell'immobile ” rientrante in una delle categorie funzionali individuate dal legislatore.

La destinazione d’uso non riguarda il territorio, ma i beni che su quel territorio si collocano, e non descrive uno stato ontologico o deontologico di un’area del territorio comunale, cui si riconnette una certa disciplina conformativa del diritto dominicale per orientare le eventuali future modifiche dell’assetto urbanistico di quel luogo nell’ambito di una visione globale e funzionale del territorio comunale, ma l’uso che di quel determinato bene si sta attuando e, dunque, per dirla altrimenti, la funzione a cui esso è concretamente adibito.

Le molteplici destinazioni d’uso che dei beni sono possibili, si iscrivono nelle varie categorie funzionali che il legislatore statale ha individuato nell’art. 23 ter oppure in quelle che il legislatore regionale – esercitando la potestà normativa che la medesima disposizione gli riconosce (“ Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali… ”) – ha rimodulato e che compendiano in nozioni di carattere più generale e sintetico i possibili impieghi dei beni.

In una determinata zona omogenea sono dunque possibili una o più destinazioni d’uso, a seconda di ciò che è previsto dalla strumentazione urbanistica di un determinato Comune, in coerenza con la finalità cui una determinata zona è destinata (Cons. Stato, sez. IV, n. 4810 del 2020, § 13.4.)

Ambedue questi aspetti dell’attività pianificatoria riguardano, almeno in astratto, un insieme di beni omogenei e assumono una valenza di carattere generale, sicché, sia la zonizzazione del territorio comunale sia l’individuazione delle destinazioni d’uso coerenti e consentanee alle zone individuate, costituiscono esplicazione del potere conformativo della proprietà, attribuito dal legislatore all’amministrazione comunale.

Di regola, infatti, il vincolo nascente dall’esercizio del potere di pianificazione ha natura conformativa e non espropriativa, quando costituisce un limite alle facoltà del diritto di proprietà di ordine generale, imposto, cioè, su una pluralità indistinta di beni ad un fine di interesse pubblico che trascende gli interessi dei singoli proprietari (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2021 n. 4144;
cfr. anche 3 marzo 2022 n. 1514 e 26 giugno 2018 n. 3930 e Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2020 n. 207 e 25 settembre 2007 n.19924;
cfr., altresì, Cass. civ., sez. un., 23 aprile 2001 n. 173, secondo cui il vincolo conformativo dipende “ dai requisiti oggettivi, di natura e struttura … della incidenza su una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione assolta dalla intera zona in cui questi ricadono, in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un’opera pubblica: dal che appunto il modo d’esse ‘conformato’ della proprietà dei beni medesimi ”.).

17. Differente è ( rectius , “era”, in considerazione dell’avvenuta abrogazione della legge n. 217/1983 ad opera dell’art. 11, comma 6, della legge 29 marzo 2001 n. 135) invece il vincolo di destinazione disciplinato dall’art. 8 legge 17 maggio 1983 n. 217 - riguardante il “ patrimonio ricettivo ” (e, dunque, anche le residenze turistico alberghiere [o “RTA”] e non solo gli alberghi in senso stretto) - che costituisce un peculiare vincolo di destinazione, previsto dalla legge regionale, con riferimento alle strutture ricettive indicate dall’art. 6 della legge n. 217/1983 e riguardante, dunque, singoli fabbricati o strutture che venivano destinati, pertanto, a svolgere esclusivamente un’attività di ricezione turistica.

Questo vincolo venne originariamente introdotto con la legge 24 luglio 1936 n. 1692 di conversione, con modificazioni, del r.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274, che, alla data d’entrata in vigore del r.d.l., vietava l’alienazione o la locazione, “ per uso diverso da quello alberghiero ” e senza l’autorizzazione del Ministero, degli edifici “… interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o locanda …”., poi prorogato, con riguardo alle strutture già vincolate, da una serie di provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo, fino alla pronuncia della Corte costituzionale n. 4 del 1981, che dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 5 del d.l. 27 giugno 1967 n. 460 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 2013 n. 416).

18. Anche questo Consiglio ha avuto modo di pronunciarsi, in diverse occasioni, sulla questione del vincolo alberghiero:

a) con riferimento all’introduzione di presupposti ulteriori, da parte del comune, rispetto a quelli disciplinati dalla legge regionale, per consentire il chiesto cambio di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. V, 15 maggio 2006, n. 2696, sulla illegittimità dell’introduzione, da parte del comune di Riccione, di limitazioni, non previste dalla specifica disciplina di settore, cui subordinare la rimozione del vincolo in parola);

b) con riferimento alla illegittimità dei dinieghi singolarmente opposti al suddetto cambio di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2011, n. 5487, nel peculiare caso di un fabbricato, unico nella sua zona ad essere gravato dal vincolo di cui all’art. 8 cit., originariamente destinato a civile abitazione, poi ad albergo, poi a casa vacanze e per il quale si era chiesto, infine, di nuovo, la destinazione d’uso a civile abitazione;
Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4812, nel differente caso in cui la neo adottata pianificazione urbanistica comunale aveva inibito il mutamento di destinazione per alcuni alberghi analiticamente individuati, fra i quali vi era anche quello per il quale era stato domandato e negato il cambio di destinazione d’uso, indipendentemente dalla disciplina delle zone omogenee, senza prevedere alcuna possibilità di svincolo neanche per casi eccezionali, senza una durata del vincolo stesso e “ di fatto imponendo un vincolo alberghiero incondizionato ed a tempo indeterminato ”;
sez. IV, 23 novembre 2018 n. 6626, sull’illegittimità del diniego al cambio di destinazione d’uso motivato sulla idoneità dell’ubicazione all’esercizio dell’attività e sulla mancata prova in ordine a vincoli ostativi alla realizzazione di interventi di adeguamento e all’inadeguatezza dell’albergo a permanere sul mercato);

c) con riferimento, infine, alla questione dei poteri pianificatori dell’ente locale relativamente alla questione della svincolo (Cons. Stato, sez. I, parere 25 marzo 2021 n. 475, che ha ritenuto illegittimo il piano urbanistico che “ all'interno dei c.d. "tessuti turistico-ricettivi ad alta densità" non [ha] ammesso il cambio di destinazione d'uso ”, ritenendo che siffatta previsione apponga “ di fatto, un vincolo di destinazione alberghiera permanente …”).

19. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 31 del d.l. n. 12 settembre 2014 n. 133 (che, nel disciplinare i c.d. condhotel, prevedeva che con decreto del presidente del consiglio dei ministri fossero stabiliti “ i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della anzidetta quota di unità abitative a destinazione residenziale ”), la Corte costituzionale (14 gennaio 2016, n. 1) ha affermato che: “ Non v’è dubbio che la disciplina dei condhotel attenga alla materia del «turismo e industria alberghiera», di competenza delle regioni e delle province autonome […].

Tuttavia, non si può affermare che essa riguardi in via esclusiva la suddetta materia, presentando altresì profili che interferiscono con la materia del l’urbanistica del «governo del territorio», nonché con l’«ordinamento civile». […]

Incidendo sulla destinazione urbanistica degli immobili la disciplina dei condhotel riguarda, quindi, anche la materia dell’«urbanistica» e del «governo del territorio» ”.

20. Richiamati i principi fondamentali della materia e rimarcato che fra l’esercizio della funzione di pianificazione e il vincolo di destinazione di cui all’art. 8 legge n. 217/1983 sussistono profili di giustapposizione, ma non di perfetta coincidenza, può procedersi all’esame congiunto dei tre motivi di ricorso.

20.1. Il Collegio ritiene che, in base ai principi di diritto di carattere generale e più specificamente attinenti al vincolo di cui all’art. 8 legge n. 217/1983, si debbano reputare legittime quelle previsioni della pianificazione che individuano una determinata zonizzazione del territorio comunale e nell’ambito di questa circoscrivono le destinazioni d’uso che sono astrattamente compatibili (e conseguentemente assentibili) per i fabbricati già realizzati e per quelli realizzandi.

20.2. Giova puntualizzare che la realizzazione di volumetrie (sovente significative) anche (e specialmente) in luoghi particolarmente ameni dal punto di vista ambientale e paesaggistico, viene autorizzata per valorizzare l’attività turistica (obbiettivo economico), ma in modo da ridurre il consumo di suolo (obbiettivo ambientale);
ne discende che la destinazione di zona e quella funzionale “per attività recettive e alberghiere” costituisce un delicato punto di equilibrio bilanciando due opposte esigenze;
è evidente infatti che la destinazione abitativa residenziale (di solito seconde case), implicando un aumento oggettivo del carico urbanistico, altera tale equilibrio.

20.3. Una simile scelta realizza, pienamente, propriamente e senza travalicarne i confini, quelle finalità che si è visto essere connaturate all’esercizio del potere pianificatorio attribuito al comune (cfr., in particolare, i §§. 11. e 12.), senza che possa affermarsi come manifestamente irragionevole, illogica o non proporzionata la destinazione di alcune zone o parti del territorio comunale soltanto a determinati usi e non ad altri.

20.4. In ragione delle regole della materia precedentemente richiamate (cfr., in particolare, i §§ 13., 14., 15. e 16.), questa scelta risulta conforme ai principi di diritto della materia, in quanto:

- non è tale da comportare un “ sostanziale annientamento ” delle facoltà tipiche del diritto;

- non sussiste alcuna legittima pretesa del titolare del bene di ottenere una diversa e più favorevole destinazione (nel caso di specie, quella a “residenziale”);

- non costituisce una discriminazione dettata a fini di “ tutela di altre categorie di esercizi commerciali ”, mentre è finalizzata all’ordinato assetto del territorio e, dunque, consentanea “ al modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione "de futuro" sulla propria stessa essenza ”;

- non necessita di una particolare motivazione da parte dell’ente né si configura un peculiare affidamento del privato ad una diversa pianificazione, per l’avvenuto conseguimento del nulla osta regionale al mutamento di destinazione d’uso.

20.4.1. Quest’ultimo atto esplica effetti diversi (ancorché concorrenti e complementari) rispetto all’eventuale titolo edilizio rilasciato dal comune per autorizzare il suddetto cambio di destinazione d’uso (qualora quest’ultimo provvedimento si renda necessario, perché il cambio di destinazione d’uso risulta “ urbanisticamente rilevante ”, ai sensi dell’art. 23- ter , d.P.R. n. 380/2001, in quanto posto in essere fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee).

20.4.2. Il nulla osta costituisce, infatti, soltanto un atto di assenso che l’amministrazione con competenze in materia turistica (la regione) rende all’autorità competente in materia urbanistica ed edilizia (il comune), per permettere a quest’ultima di assentire ad un’eventuale mutamento di destinazione funzionale del bene, che, ovviamente, resterà possibile nei limiti in cui la strumentazione urbanistica comunale lo consenta.

L’aver ottenuto il nulla osta al cambio di destinazione d’uso non costituisce dunque “diritto” ad ottenerlo né radica un particolare affidamento.

20.4.3. Di conseguenza, risultano inconferenti quelle deduzioni (in particolare, quelle copiosamente illustrate nella memoria del 4 novembre 2022) volte ad enfatizzare la diseconomicità della gestione della struttura ricettiva, in quanto strettamente attinenti al c.d. vincolo alberghiero e non ai profili relativi alla pianificazione urbanistica.

20.4.4. L’affidamento risulta vieppiù inconfigurabile, inoltre, tenuto conto che, nel caso in esame, il bene è stato realizzato sulla base di un provvedimento che ne ha autorizzato la realizzazione nella sua attuale destinazione d’uso, sicché la reformatio in melius della sua destinazione d’uso, attraverso una più favorevole pianificazione, si pone quale mero auspicio della parte privata non correlato ad alcun elemento giuridicamente rilevante.

20.4.5. La contestazione di parte risulta infine manifestamente infondata nei suoi contenuti di disparità di trattamento e di manifesta illogicità e irragionevolezza in quanto:

a) le situazioni di fatto poste a raffronto sono così eterogenee da non consentire di configurare il vizio di disparità di trattamento;

b) in ogni caso, la limitazione degli interventi di mutamento di destinazioni d’uso riguarda tutti gli usi degli immobili esistenti della “Zona Tache”, il che elide ulteriormente la rilevanza della questione relativa al c.d. “vincolo alberghiero”.

Il comune non ha imposto, dunque, alcun vincolo alberghiero, limitandosi a prevedere nell’ambito della “Zona Tache”, il mantenimento di tutte le destinazioni d’uso vigenti, così da preservare equilibrio funzionale tra gli usi consentiti nella zona.

Dalla disamina della tabella “B8” riguardante la “sottozona Bd1*Tache” non risulta affatto che le attività turistiche enumerate a pagina 18 dell’appello possano compiere “ gli interventi di cui all’art. 8, comma 1, lett d), punto 1, ossia “mutamento della destinazione di uso di immobili ai sensi di legge, verso destinazioni d’uso ammesse nella sottozona” (tra i quali rientrano ad esempio le destinazioni d’uso abitazini temporanee, permanenti o principali) ”, come affermato dall’appellante, risultando, invece, ammessi gli interventi di cui all’art. 8, comma 1, lettera “a) di recupero”, “c) di demolizione”, “b) nuova costruzione punti 1, 2”.

21. In conclusione, dunque, per le motivazioni suesposte, l’appello deve essere respinto.

22. Nella novità delle questioni controverse e, in particolare, nelle oscillazioni giurisprudenziali individuate in precedenza, si ravvisano le eccezionali ragioni, sancite dal combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c. per compensare integralmente le spese del grado di giudizio, fermo restando che il contributo unificato è da porsi a carico integrale ed esclusivo di parte appellante.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi