Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-09-04, n. 201304455

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-09-04, n. 201304455
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304455
Data del deposito : 4 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04827/2010 REG.RIC.

N. 04455/2013REG.PROV.COLL.

N. 04827/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4827 del 2010, proposto da:
Consorzio Cooperative Costruzioni - Ccc Societa' Cooperativa, rappresentato e difeso dagli avv. A P, R A, con domicilio eletto presso A P in Roma, via Luigi Robecchi Brichetti, 10;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Provveditorato Interregionale Per Le Oo.Pp. Campania e Molise, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Cis di Boschetti Gianni &
C. Snc, Tmc Costruzioni Immobiliari Italiane Srl, rappresentati e difesi dall'avv. Michele De Cilla, con domicilio eletto presso Michele De Cilla in Roma, via Zara, 16;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VIII n. 00884/2010, resa tra le parti, concernente affidamento lavori di ristrutturazione ed adeguamento funzionale dell'ex ospedale civile S.Sebastiano di Caserta da destinare a sede comando provinciale guardia di finanza - risarcimento danni


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Provveditorato Interregionale Per Le Oo.Pp. Campania e Molise e di Cis di Boschetti Gianni &
C. Snc e di Tmc Costruzioni Immobiliari Italiane Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati Scaramuzza, per delega dell’Avv. Piazza, e l’Avvocato dello Stato Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Consorzio Cooperative Costruzioni ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensiva, la sentenza n.00884 resa all'esito del giudizio n.2768/2009 del TAR Campania, sez. VIII, in data 9 giugno 2009 con la quale sono stati respinti i ricorso principale avente ad oggetto il Decreto Provveditoriale n.6182 del 30.04.2009 con il quale è stata disposta la revoca dell’aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale dell’immobile demaniale ex Ospedale Civile di S. Sebastiano Caserta;
nonchè i motivi aggiunti avverso le note del Provveditorato Interregionale per le Opere pubbliche prot.1157 del 4.05.2009 e prot. dell’8.05.2009.

La presente vicenda trae origine da un presunto subappalto non autorizzato che avrebbe avuto luogo nell'ambito inerente i lavori di costruzione della Nuova Caserma dei Vigili Del Fuoco in Località S. Eustachio nel Comune di Salerno, affidato al CCC dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti- Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania e Molise, con contratto del 15 febbraio 200, per l'importo netto di euro 4.587.400,70, aumentato ad euro 5.380.680,12, oltre ad euro 232.298,73 per oneri di sicurezza con atto aggiuntivo del 18 gennaio 2006.

Per l’esecuzione di detto appalto il Comitato Esecutivo del CCC ha assegnato la quasi totalità dei lavori (per una quota pari a 98,667%) alla cooperativa Briganti di Quagliano (NA) ed in minima parte (pari al 1,333%) alla cooperativa Secogest.

Con nota del 10 gennaio 2006 il CCC, per conto della cooperativa Briganti, richiedeva l'autorizzazione al subappalto per la fornitura e posa in opera di impianti tecnologici alla Ditta Gruppo Impianti s.r.l., con sede in Puglianello (BN) e, a tal fine, veniva sottoscritto tra la Briganti e la Gruppo Impianti un contratto di subappalto.

In data 9 giugno 2006, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti comunicava che, in attesa di ricevere il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) da parte della Gruppo Impianti s.r.l.,il rilascio dell'autorizzazione al subappalto doveva intendersi sospeso.

I lavori relativi all’appalto in esame venivano ultimati dalle imprese affidatarie in data 15 giugno 2007 e consegnati alla stazione appaltante in data 16 ottobre 2007.

In data 24 novembre 2008, il CCC riceveva una nota, la prot. n.11750 del 17 novembre 2008, con la quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel comunicargli che era risultato aggiudicatario provvisorio di altra gara - esperita dal medesimo Ministero ed avente ad oggetto "affidamento dei lavori di ristrutturazione ed adeguamento funzionale dell'immobile demaniale ex Ospedale Civile S. Sebastiano di Caserta sito in Piazza Marconi da destinare a sede del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Caserta" - lo informava di aver disposto l'avvio del procedimento di revoca di detta aggiudicazione per aver ricevuto talune istanze inerenti al mancato pagamento di lavori eseguiti in subappalto (non autorizzato) nel cantiere relativo alla costruzione della nuova sede del comando dei VV.F. di Salerno in località S. Eustachio.

Con nota prot. n.00856 del 21 novembre 2008 la Direzione Commerciale Lavori Ufficio di Napoli del CCC, dopo aver contattato la consorziata Briganti, riscontrava, sulla base delle informazioni da questa fornite, la nota ministeriale prot. n. 11750 del 17 novembre 2008, deducendo l’assoluta infondatezza delle istanze di cui al punto 5. In tale nota veniva chiarito che pur non dando luogo al subappalto , la coop. Brignati acquistava i materiali all’uopo occorrenti per l’esecuzione dell’opera e provvedeva a corrisponderne integralmente il prezzo alla Gruppo Impianti.

Con decreto prot. 6182 del 30 aprile 2009, il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania e Molise ha disposto nei confronti del CCC la revoca, ai sensi dell’art.38, comma 1, lett. f) del D.lgs. n.163/2006 e s.m.i., dell’aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale dell’immobile demaniale ex Ospedale Civile S. Sebastiano di Caserta sito in Piazza Marconi da destinare a sede del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Caserta.

Quest’ultima amministrazione ha provveduto a segnalare l’accaduto all’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP), che in data 25.3.2009 ha inserito nel casellario informatico delle imprese la conseguente annotazione.

Con ricorso depositato il 30.4.2009 avanti al TAR Lazio, il CCC ha impugnato l’annotazione inserita a suo carico dall’AVCP, nonché la presupposta segnalazione inviata dal Provveditorato Interregionale delle OO.PP. per la Campania e Molise con nota prot. 957 del 6.3.2009.

Il TAR del Lazio con sentenza breve n. 5222 del 22.5.2009 ha annullato i provvedimenti impugnati (annotazione nel casellario informatico e segnalazione del Provveditore) riconoscendo la totale estraneità del CCC alla vicenda del presunto subappalto non autorizzato.

Tale decisione è stata impugnata dall’AVCP e dal Ministero delle Infrastrutture, con ricorso depositato innanzi alla Sezione VI di questo Consiglio il 09.7.2009. L’appello è stato definito con la decisione n. 8720 del 24.12.2009.

Con ricorso n.2768/2009, depositato il 20.5.2009 innanzi al TAR Campania, il CCC ha chiesto l’annullamento del decreto prot. n.6182 del 30 aprile 2009 di revoca, ai sensi dell’art.38, comma 1, lett. f) del d.lgs. n.163/2006 e s.m.i., dell’aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale dell’immobile demaniale ex Ospedale civile S. Sebastiano di Caserta nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso l’eventuale provvedimento di aggiudicazione, con richiesta di risarcimento dei danni subiti per l’illegittimo operato della p.a.

Con la sentenza n. 884 del 12 febbraio 2010, Il TAR Campania ha rigettato entrambi i motivi di ricorso proposti dal CCC e ha dichiarato improcedibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale proposto dalle controinteressate.

Quest’ultima sentenza è oggetto dell’odierna impugnazione, con cui l’appellante lamenta i seguenti vizi:

1) Violazione dell’art. 38, comma 1 lett. f) D.lgs. n.163/2006, Violazione dell’art. 97 Cost., Violazione dei principi sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/1990. Eccesso di potere per errore sul fatto. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta.

Il CCC è assolutamente estraneo alla vicenda del presunto appalto non autorizzato, i cui soli responsabili sarebbero stati la coop. Briganti, la Gruppo Impianti e la 3M.

Ad avviso dell’appellante vi sarebbe una imputazione oggettiva della responsabilità, in assenza di alcun elemento atto a suffragare la tesi della colpa specifica.

2) In subordine, illegittimità costituzionale e comunitaria dell’art. 38, comma 1, lett. c) e h), del D.lgs. n.163/2006 e s.m.i. per violazione degli artt. 3 e 97 Cost, e dell’art. 45, par. 2 della Direttiva 2004/18/CE.

Il giudice di prime cure ha fornito un’interpretazione non conforme a Costituzione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D.lgs. n.163/2006, nonché in contrasto con i principi comunitari in materia di tassatività e proporzionalità delle cause di esclusione delle gare, nel momento in cui ha ritenuto legittimo applicare la sanzione dell’esclusione dalla gara pur nella dichiarata consapevolezza che il ricorrente non ha posto in essere alcun comportamento censurabile e tantomeno qualificabile come negligenza e/o dolo.

3) Violazione di legge, sub specie di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 163/2006, dell’art. 97 Cost. e dei principi sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 – Eccesso di potere per sviamento e difetto assoluto di presupposto, di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà manifesta – Illegittimità derivata.

Tale motivo di appello si articola in tre sub censure, afferenti alla a) inesistenza del presunto subappalto non autorizzato, b) erroneità della sentenza del TAR Napoli con riguardo alla documentazione acquisita dal Provveditore successivamente all’adozione del provvedimento di revoca, c) infondatezza e pretestuosità del ricorso incidentale proposto in primo grado dalle controinteressate.

Per quanto riguarda l’autorizzazione al presunto subappalto, il CCC sostiene che non poteva chiedere l’autorizzazione, in quanto sarebbe venuto a conoscenza dello stesso solo otto mesi dopo l’ultimazione dei lavori, così come dichiarato anche dalle controinteressate.

Quanto alla contestazione di aver omesso di vigilare sull’attività posta in essere dalla consorziata, il CCC afferma che di un siffatto onere non v’è traccia nel nostro ordinamento, in quanto una volta acquisita la commessa il consorzio è del tutto estraneo alla fase esecutiva della medesima, la quale viene affidata ex lege alle cooperative consorziate.

Infine, per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno patito, l’appellante sottolinea che la condotta del Provveditorato è stata caratterizzata da negligenza ed imperizia, dal momento che i provvedimenti che costituivano il presupposto dell’atto di revoca impugnato, vale a dire l’annotazione nel casellario informatico, nonché la segnalazione del Provveditore, risultavano annullati da questo Consiglio, come risulta dal dispositivo n. 787 del 2009, atto che, pertanto, è stato emanato nella consapevolezza dell’annullamento di tali atti presupposti. Chiede, dunque, l’appellante, a titolo di risarcimento: il danno da perdita di chance, calcolato nel 10 % del prezzo a base d’asta ai sensi dell’art. 345, L. n. 2248 del 1865 all. F, nonché il danno curricolare, nella misura del 5 % dell’importo ora indicato, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dalla data della domanda e fino all’effettivo soddisfo.

Il Ministero resistente, in sede di memoria, replica alle censure, affermando che l’amministrazione ha verificato la ricorrenza, nella fattispecie in esame, della grave negligenza e malafede e si è determinata di conseguenza, all’esito di approfondita valutazione delle circostanze del caso. Il consorzio, tra l’altro, opera come intermediario tra i consorziati ed i terzi, essendo legittimato, senza necessità di mandato collettivo, a stipulare contratti in nome proprio e per conto delle imprese consorziate;
compete, pertanto, solo al consorzio chiedere l’autorizzazione per i subappalti. Né, ad avviso del Ministero, corrisponde al vero l’affermazione secondo cui è stato ritenuto legittimo applicare la sanzione dell’esclusione della gara pur nella dichiarata consapevolezza che il Consorzio non ha posto in essere alcun comportamento censurabile. L’amministrazione, all’esito di un attento vaglio delle circostanze ricorrenti nella fattispecie in questione, accertata la palese negligenza nella condotta dell’appellante, ha revocato l’aggiudicazione.

Infine, l’amministrazione resistente contesta la richiesta di risarcimento del danno.

Si è costituita anche la C.I.S. di Boschetti Gianni &
C., s.n.c., che ha chiesto la reiezione dell’appello.

Le parti hanno depositato memorie in vista dell’udienza di discussione, ribadendo il contenuto delle rispettive domande ed eccezioni ed insistendo per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nei propri atti difensivi.

DIRITTO

L’appello è fondato.

L’art. 38 lett. f) del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, prevede che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara;
o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attivitaÌ€ professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante” .

Quindi, l’esistenza di un atteggiamento psicologico qualificabile come grave negligenza o malafede costituisce l’indefettibile presupposto per una legittima applicazione dell’art. 38, lett. f) del D.lgs. 163/2006.

La necessità di questo requisito viene tra l’altro confermata dalla stessa Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici: “E’ opportuno considerare al riguardo che, ai fini della configurazione della causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f) D.lgs. 163/2006, non basta che le prestazioni non siano state eseguite a regola d’arte ovvero in maniera non corrispondente alle esigenze del committente, occorrendo, invece, una violazione del dovere di diligenza nell’adempimento qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o comunque gravemente colposo dell’impresa” (così AVCP, determinazione n. 1, del 12.01.2010).

Ciò in quanto l’esclusione dalla gara non ha carattere sanzionatorio, ma è viceversa prevista a presidio dell’elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico.

È necessario, in tal senso, che l’amministrazione, con atto motivato, dia conto della gravità della negligenza o dell’errore professionale commesso e del rilievo che tali elementi hanno sull’affidabilità dell'impresa e sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo contratto con la stessa.

La valutazione sulla rilevanza, ai fini dell’affidamento di un nuovo appalto, della negligenza o dell’errore professionale e, quindi, sulla sussistenza o meno del requisito di affidabilità, ha sì carattere discrezionale ma, proprio per questa ragione, occorre che il provvedimento di esclusione sia adeguatamente motivato con l’indicazione delle ragioni del convincimento circa la mancanza del requisito di affidabilità dell’impresa partecipante alla gara.

Non a caso, l’art. 38, lett. f), prevede presupposti espressamente soggettivi (la malafede) oppure avulsi dallo specifico rapporto contrattuale (il grave errore nell’attività professionale), ma comunque idonei ad incidere sull’affidabilità dell’impresa privata e, quindi, sull’immagine della stessa agli occhi della stazione appaltante (Cons. St., Sez. V, 21 gennaio 2011 n. 409).

Questo stesso Consiglio ha stabilito che in virtù dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del D. Lgs. n. 163 del 2006 “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante. Tale disposizione, nel precludere la partecipazione alle gare d’appalto alle imprese che si sono rese responsabili di gravi inadempienze nell’esecuzione di precedenti contratti (denotando ciò un’inidoneità "tecnico-morale" a contrarre con la P.A.), fissa il duplice principio che la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova e che il provvedimento di esclusione deve essere motivato congruamente” (cfr. Cons. St., sez. V, 27 gennaio 2010 n. 296).

La fattispecie relativa alla grave inadempienza nei rapporti con un soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra nella seconda parte della disposizione e, cioè, laddove si parla di “coloro che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”, norma che consente alla stazione appaltante di valutare i precedenti professionali delle imprese concorrenti e quindi di tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse, al fine di stabilire il grado di capacità tecnico-professionale (cfr. Cons. St., Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1550).

Tuttavia, come fondatamente dedotto dall’appellante nel primo motivo di gravame, questo Consiglio, nella decisione della VI Sezione n. 8720 del 24 dicembre 2009, riguardante proprio la vicenda per cui è causa e che ha costituito il presupposto del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione impugnato in primo grado - ed avente ad oggetto la segnalazione, da parte del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Campania e Molise, nella qualità di stazione appaltante dei <<lavori di realizzazione della nuova sede dei vigili del fuoco di Salerno in località Sant’Eustachio>>, di cui era affidatario il Consorzio Cooperative Costruzioni (CCC), all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici relativi al avori, servizi, forniture, che nel corso dell’esecuzione di detti lavori erano state riscontrate situazioni di subappalto non autorizzato, segnalazione sulla cui base l’Autorità di vigilanza, inseriva la relativa annotazione nel casellario informatico, in data 25 marzo 2009, anche con riferimento al CCC, odierno appellante - pur avendo premesso, con riferimento alla questione relativa “a quale sia il soggetto che deve curare, nei rapporti con la stazione appaltante, gli adempimenti amministrativi necessari perché i subappalti possano avere luogo” (indicazione, in sede di offerta, delle parti di opere che si intende subappaltare;
deposito dei contratti di subappalto presso la stazione appaltante, etc), che “i rapporti con la stazione appaltante sono curati dall’aggiudicatario-appaltatore”, per cui “anche gli adempimenti amministrativi ai fini del subappalto devono essere curati dal consorzio aggiudicatario”, sicchè “risulta infondato l’assunto di CCC di essere estranea alla fase di esecuzione dell’appalto e dunque alle vicende relative ad eventuali subappalti”, aggiungendo che “in caso di subappalti non autorizzati, la relativa responsabilità ricade anche sul consorzio aggiudicatario, in quanto soggetto tenuto a chiedere l’autorizzazione, e non solo sui consorziati che stipulano i subappalti in difetto di autorizzazione”, tuttavia, ha al contempo ritenuto che “il primo che il terzo motivo del ricorso di primo grado sono fondati.

Con il primo si lamenta insufficiente istruttoria e carenza di motivazione, in quanto non vi era la prova della sussistenza di subappalti non autorizzati.

Le censura è fondata.

Il CCC ha fornito elementi di fatto che non sono stati né acclarati né smentiti dalla stazione appaltante e dall’Autorità” e, quanto al terzo motivo, “E’ … fondata la censura di omessa partecipazione al procedimento. Questo Consesso ha già ritenuto che dell’avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’Autorità deve essere notiziato l’interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l’indubbio interesse del soggetto all’esattezza delle iscrizioni”;
conclude, la sentenza n. 8720/2009 citata, nel senso che “Nel caso di specie, la segnalazione si basa su dati opinabili e che necessitano di accertamenti e valutazioni, per cui non si trattava di una segnalazione dovuta. Parimenti, l’annotazione nel casellario informatico non poteva essere automatica, ma doveva essere preceduta da avviso di avvio del procedimento”.

Pertanto, alla luce di quanto statuito da questo Consiglio nella pronuncia ora menzionata (n. 8720/2009), relativa alle medesime vicende che hanno costituito il presupposto del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione di cui si controverte in questo giudizio, ne consegue la fondatezza del primo motivo di appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, l’annullamento di tale provvedimento di revoca.

Ritiene, inoltre, il Collegio che debba essere risarcito il danno subito dall’appellante.

In particolare, come fondatamente dedotto dall’appellante, quanto all’elemento soggettivo, in data 2 dicembre 2009 è stato pubblicato il dispositivo della sentenza (dispositivo n. 787/2009) con il quale, in accoglimento dell’appello proposto dal CCC, è stata annullata l’annotazione nel Casellario Informatico (inserita dall’AVCP) nonché la segnalazione del Provveditore.

Questi atti, come si è detto, costituivano i presupposti del provvedimento di revoca impugnato in questa sede, ma, ciò nonostante, il Provveditore ha comunque sottoscritto il contratto per l’aggiudicazione dei lavori con la C.I.S. di Boschetti Gianni s.n.c. e la T.M.C. Costruzioni Immobiliari Italiane s.r.l.

Tale condotta integra, pertanto, gli estremi dell’elemento soggettivo della colpa nella produzione dell’evento pregiudizievole per cui si chiede il risarcimento.

Orbene, sulla scia segnata dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 7.2.2012, n. 662), ritiene il Collegio che, nel caso di revoca di provvedimento amministrativo (come è quello in esame, riferito ad una precedente aggiudicazione definitiva), possono ricorrere situazioni diverse, cui il legislatore (e la stessa giurisprudenza) riconnettono differenti discipline e conseguenze.

Occorre, infatti, distinguere tra:

- obbligo dell’amministrazione all’indennizzo, ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo;

- risarcimento del danno conseguente a constatata illegittimità del provvedimento di revoca, laddove venga accertata l’esistenza degli ulteriori presupposti di configurazione del danno risarcibile;

- risarcimento del danno derivante da accertata responsabilità contrattuale, laddove la revoca del provvedimento giunga a determinare la caducazione del contratto già stipulato;

- risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale (in particolare, precontrattuale) della Pubblica amministrazione (ex art. 1337 c.c.).

Quanto al primo caso, ai sensi dell’art. 21- quinquies l. n. 241/1990, la revoca del provvedimento amministrativo determina che se la stessa “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo” (comma 1).

La misura di tale indennizzo è stata, successivamente, definita, per la revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali, dallo stesso legislatore che (dapprima inserendo il comma 1-bis nel citato art. 21-quinquies, per mezzo dell’art. 13, co. 8 – duodevicies d. l. n. 7/2007, conv. in l. n. 40/2007, in seguito per il tramite del comma 1-ter, aggiunto dall’art. 13, d. l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008: commi, peraltro, di identico testo), ha parametrato detta misura “al solo danno emergente”, e tenendo conto “sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.

L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall’art. 21- quinquies, non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.

Ricorre, dunque, l’ipotesi che suole definirsi come di responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività legittima (forma conosciuta dal nostro ordinamento, come conseguente ad atti leciti, fin dall’art. 46 l. 25 giugno 1865 n. 2359), la quale, lungi dal trovare il proprio presupposto in fatti o atti illeciti ovvero in atti illegittimi imputabili alla stessa amministrazione, più propriamente risponde ad intenti equitativi, e, a stretto rigore, non potrebbe essere definita utilizzando il termine “responsabilità”.

Tale ipotesi differisce nettamente da quella risarcitoria, di modo che anche le due azioni devono essere tenute distinte, sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum.

La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l’indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell’atto adottato dall’amministrazione, ovvero nella liceità della condotta da questa tenuta, e che ha causato il pregiudizio;
mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell’atto produttivo del danno.

Quanto al petitum, nel giudizio per responsabilità da atti legittimi o leciti, esso è limitato al pregiudizio immediatamente subito, ed è quindi limitato al cd. danno emergente, mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende – fermi, ovviamente, i necessari presupposti probatori - a tutto il pregiudizio (danno emergente e lucro cessante), conseguente all’illegittima violazione della sfera giuridico - patrimoniale del soggetto leso.

Con riferimento alla revoca ed alle sue conseguenze, l’art. 21 – quinquies rappresenta, come è noto, un punto di arrivo di un percorso giurisprudenziale che, inizialmente, e fino a tempi recenti, era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti fosse intervenuta la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo per lui vantaggioso (Cons. St., sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266), salvo ipotizzarla solo in casi particolari (Cass. Sez. Un. 2 aprile 1959, n. 672).

Attualmente, dunque, l’attribuzione dell’indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio, presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente, sussistendone gli ulteriori presupposti, la diversa ipotesi del risarcimento del danno (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 aprile 2008, n. 1667;
sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266).

Inoltre, poiché, nel caso dell’indennizzo ora considerato, e per le ragioni esposte, non sussiste una responsabilità contrattuale o extracontrattuale (e segnatamente, precontrattuale), che determini l’insorgere di tale obbligazione, non vi è luogo per accertare la presenza di colpa nell’apparato amministrativo (Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010 n. 671).

Infine, l’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al "danno emergente", sia perché ciò è espressamente stabilito dalla norma, sia perché esso risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della P.A. per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita, sia perché esso costituisce applicazione particolare di una previsione in via generale introdotta per le conseguenze dell’esercizio del potere di autotutela.

Infatti, è altresì previsto, in forme non dissimili da quanto statuito per la revoca, l’obbligo di indennizzo per il caso di annullamento di provvedimento amministrativo incidente su rapporti contrattuali.

L’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, prevede che “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

Come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2009 n. 5621), la disposizione nel suo contenuto prescrittivo è volta a rendere recessivo il c.d. consolidamento delle situazioni soggettive del privato derivanti da provvedimenti inficiati da vizi di legittimità, consentendo l’autotutela indipendentemente dal lasso temporale decorso dall’adozione dell’atto, ma, come reso evidente dal termine “può” che precede la scelta di disporre dell’annullamento l’ufficio, essa non fa venir meno la natura ampiamente discrezionale di detta potestà che non può essere resa coercibile ad iniziativa del destinatario del provvedimento o di un terzo interessato.

Allo stesso, tempo, la norma prevede, per i provvedimenti “incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali”, un termine all’esercizio del potere di annullamento (tre anni dall’acquisita efficacia dell’atto annullando), nonché la necessità di “tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante”.

Anche in questo caso, ed a maggior ragione, trattandosi di intervento in autotutela su provvedimento illegittimo, la natura dell’obbligazione dell’amministrazione è indennitaria e non risarcitoria;
presuppone che non vi sia stata conoscenza, secondo criteri di media diligenza, dell’illegittimità dell’atto da parte del suo destinatario (che invece ha confidato nella sua legittimità), e che non vi sia stato il concorso nella produzione del vizio di legittimità inficiante l’atto. La misura dell’indennizzo, infine, deve ritenersi limitata al danno emergente.

In definitiva, per le ipotesi di esercizio di potere di autotutela su provvedimenti inerenti a rapporti contrattuali (revoca o annullamento d’ufficio), ferma la necessità di riscontrare la sussistenza degli altri presupposti previsti, l’indennizzo è parametrato al solo “danno emergente”.

Diversamente da quanto affermato per l’indennizzo, l’obbligazione della pubblica amministrazione per responsabilità contrattuale o extracontrattuale ha natura risarcitoria e, nel caso della responsabilità precontrattuale (che ricorre nel caso in esame e che costituisce species della responsabilità extracontrattuale: Cons. St., sez. V, 10 novembre 2008 n. 5574), si fonda, ai sensi dell’art. 1337 cod. civ., sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede “nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto”.

Come ha chiarito anche l’Adunanza Plenaria (dec. 5 settembre 2005 n. 6), l’accertamento della eventuale responsabilità precontrattuale dell’amministrazione non è esclusa dalla dichiarata legittimità del provvedimento (di annullamento o, in particolare, di revoca) assunto in via di autotutela, posto che, se “la revoca dell’aggiudicazione e degli atti della relativa procedura (vale) a porre al riparo l’interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l’amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti” (tale il presupposto della revoca nel caso considerato), permane tuttavia “il fatto incancellabile degli "affidamenti" suscitati nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi (affidamenti che sono perdurati fino a quando non è stata comunicata alla parte privata la revoca degli atti . . .”, posto che “l’impresa non poteva non confidare, durante il procedimento di evidenza pubblica, dapprima sulla "possibilità" di diventare affidataria del contratto e più tardi - ad aggiudicazione intervenuta - sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso”.

Precisa, inoltre, l’Adunanza Plenaria che “occorre, naturalmente, che i comportamenti predetti - per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale - risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 del c.c..”.

In sostanza, ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c. (Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009 n . 5245).

Si è, dunque, affermato che la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, come nella fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla gara (Cons. St., sez. V, 28 maggio 2010 n. 3393;
id., 8 settembre 2010 n. 6489).

Tuttavia, si è anche sostenuto (Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264) che non vi sono ragioni sistematiche onde escludere la configurabilità di una responsabilità di carattere precontrattuale in capo all’Amministrazione in ipotesi in cui il mancato rispetto dei generali canoni di buona fede e correttezza in contrahendo si sia risolto in un’attività nel suo complesso illegittima, la quale abbia comunque determinato l’impossibilità del sorgere del vincolo contrattuale, atteso che - per un verso - le trattative fra le parti sono state interrotte al mero stadio dell’aggiudicazione provvisoria (fase in cui, anche nel sistema anteriore all’entrata in vigore del c.d. “codice dei contratti” era pacifica l’assenza di un vincolo stricto sensu contrattuale) e che - per altro verso - nel corso di tale fase grava sul soggetto pubblico l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, atteso che nel corso delle trattative sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l’ordinamento ritiene meritevole di tutela.

Secondo tale giurisprudenza, se, infatti, durante la fase formativa di un negozio giuridico la p.a. viola il dovere di lealtà e correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c.

Al contrario, è stata esclusa la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione allorché la stipulazione del contratto avverrebbe in violazione di norme imperative (Cons. St., sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 780). Occorre, infatti, ricordare che l’art. 1337 mira a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede, ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dall’ignoranza della causa di invalidità del contratto, che né doveva da egli essere conosciuta (come nel caso di violazione di norme imperative), né poteva essere conosciuta con l’ordinaria diligenza (Cass. Civ., sez. III, 8 luglio 2010 n. 16149;
sez. I, 13 maggio 2009 n. 11135).

Così ricostruiti gli aspetti salienti della responsabilità precontrattuale, il Collegio rileva che, secondo un orientamento affermato in giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264), il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Amministrazione a seguito della mancata stipula dal contratto, debba intendersi limitato:

a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente);

b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680;
id., Sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1667 e 10 novembre 2008 n. 5574;
Cons. giust. Sicilia, 25 gennaio 2011 n. 63).

Tuttavia, a fronte di tale orientamento, che – positivamente ricondotto il danno risarcibile al cd. “interesse negativo”, cioè all’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale – richiede che sia comunque fornita la prova della esistenza di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti, impedite nel loro realizzarsi proprio dalle trattative indebitamente interrotte, si pone altra giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005 n. 6), che afferma come “anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell’impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo . . . (già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa), del riconoscimento al concorrente dell’utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell’ammontare dell’offerta”.

Il Collegio osserva, innanzi tutto, che la misura del risarcimento del danno, conseguente a responsabilità precontrattuale, non è concettualmente riducibile al solo “danno emergente”.

Può dirsi, infatti, sufficientemente condiviso che la responsabilità precontrattuale comporta obbligo di risarcimento del danno nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (laddove l’interesse positivo è interesse all’esecuzione del contratto).

Mentre l’interesse positivo consiste nella perdita che il soggetto avrebbe evitato (danno emergente) e nel vantaggio economico che avrebbe conseguito (lucro cessante) se il contratto fosse stato eseguito, al contrario il danno proprio dell’interesse negativo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato nella conclusione e nella validità del contratto ovvero per avere stipulato un contratto che senza l’altrui ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse.

Ne consegue che, nel caso di mancata conclusione del contratto, il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente innanzi tutto nelle spese inutilmente sostenute, e consistente inoltre nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali, cioè di ulteriori possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa della trattativa inutilmente intercorsa, ovvero a causa dell’inutile stipulazione del contratto.

A tali voci, ritiene il Collegio che deve essere aggiunto il cd. “danno curriculare”, cioè quel danno consistente nell’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito.

E ciò in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la responsabilità precontrattuale della P.A. non si configura con riferimento ad una interruzione delle trattative, che determina la mancata stipula del contratto, intervenuta in un generico momento delle stesse, bensì laddove si era già addivenuti alla sicura individuazione del contraente, per il tramite dell’aggiudicazione definitiva ed in presenza di un contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il tramite del bando di gara e dell’offerta aggiudicataria.

In definitiva:

- mentre nel caso di indennizzo ex art. 21 – quinquies, la misura del medesimo è parametrata al solo “danno emergente”;

- nel caso di responsabilità precontrattuale, la misura del risarcimento comprende sia il danno emergente, sia (ove provato) il danno derivante dalla perdita di ulteriori favorevoli occasioni contrattuali, sia (laddove vi sia mancata stipulazione del contratto a fronte di aggiudicazione definitiva) il cd. danno curriculare.

Ove si voglia diversamente considerare, appare singolare e privo di ragionevolezza che l’ordinamento riconosca due attribuzioni patrimoniali, distinte ma di identica misura, benché nel primo caso ( ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990), non vi sia alcuna attività illegittima o illecita dell’amministrazione, mentre nel secondo vi è un accertato illecito comportamento della medesima, tale da fondare responsabilità precontrattuale.

Già tale considerazione – afferente al titolo causale dell’attribuzione patrimoniale – induce ad una ricerca più attenta sulla esatta misura del danno risarcibile, laddove, come nel caso di specie, vi sia stata mancata stipulazione del contratto per intervenuta revoca (illegittima) dell’atto di aggiudicazione definitiva.

Ulteriori considerazioni, volte a determinare diversamente la misura del danno da responsabilità precontrattuale, discendono dall’esame della giurisprudenza in tema di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso in cui vi sia successivo annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione definitiva).

Innanzi tutto, occorre ricordare, in via generale, che, secondo questo Consiglio (sez. V, n. 490/2008) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.

In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. “da perdita di chance” a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una “eventualità” di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440;
sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014;
sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628;
Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007 n. 15947).

Quanto al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3827). Il requisito è inoltre integrato dalla violazione delle regole procedimentali in tema di autotutela (Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2009 n. 5004).

In ogni caso, non è configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione, vi sia ripetizione della gara d’appalto (e della connessa attività amministrativa), e quindi il ripristino della chance di aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2009 n. 5105).

Quanto alle “voci” del danno risarcibile, esse consistono (Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008;
sez. VI, n. 2384/2010):

a) nel danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (secondo Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144, solo in caso di illegittima esclusione dalla gara);

b) nel lucro cessante, determinato nel 10% del valore dell’appalto, precisandosi anche che il lucro cessante è innanzi tutto determinato sulla base dell’offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143);

c) una ulteriore percentuale del valore dell’appalto, “a titolo di perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito”, cd. “danno curriculare” (in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751;
sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594;
secondo Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009, la percentuale del “danno curriculare” va calcolata sulla misura del lucro cessante e non già sull’importo dell’appalto);

d) il danno, equitativamente liquidato, per il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari;

e) infine, il danno esistenziale, posto che “il diritto all’immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anzi riconosciuto anche alle persone giuridiche”.

Orbene, come è dato osservare, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso del danno subito dal partecipante alla gara secondo classificato che avrebbe dovuto essere aggiudicatario, e che ha quindi subito gli effetti di un provvedimento illegittimo), la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto, che faccia concludere per la “certezza” del danno, sussistente sia laddove questo possa essere a tutta evidenza riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile”.

In definitiva, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:

- o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);

- o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;

- ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).

Alla luce di quanto sin qui esposto, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale debba consistere:

- nel danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione alla gara;

- nel cd. danno curriculare, derivante dalla mancata stipulazione ed esecuzione del contratto, non potendosi far valere, da parte dell’impresa appellante incolpevole, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito. Tale voce va equitativamente determinata nella misura del 3% del valore dell’appalto, come definibile dalla misura dell’offerta oggetto dell’aggiudicazione definitiva (Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2008 n. 491 e 23 ottobre 2007 n. 5592).

Non spetta, invece, il lucro cessante, inerente ad ulteriori, non sfruttate, favorevoli occasioni contrattuali, in quanto voce di danno non provata dall’appellante.

Può, invece, essere riconosciuto il danno consistente nell’utile che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto (normalmente definito nel 10% del valore dell’appalto), dato che, nel caso di specie, vi è stata esecuzione del contratto da parte di altro contraente (trattandosi, quindi, di un caso di risarcimento del danno da illegittima aggiudicazione ad altro concorrente), dal momento che la società appellante avrebbe potuto conseguire tale utile.

Infine, non può essere riconosciuto il risarcimento del danno all’immagine, posto che esso non è stato richiesto e nemmeno allegato.

Per le ragioni sin qui esposte, l’appello, deve essere accolto, nei limiti sopra indicati, con conseguente riforma della sentenza appellata e annullamento del provvedimento impugnato in primo grado.

Ne consegue che l’amministrazione provvederà a formulare all’appellante una proposta, nei termini sopra disposti (art. 34, co. 4, C.p.a.), secondo i criteri di quantificazione del risarcimento, come individuati dalla presente decisione.

Le spese, diritti ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e vanno determinati come in dispositivo a carico dell’Amministrazione, disponendosene, invece, la compensazione nei confronti della controinteressata.

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