TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2023-07-04, n. 202300373

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2023-07-04, n. 202300373
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - L'Aquila
Numero : 202300373
Data del deposito : 4 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/07/2023

N. 00373/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00370/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 370 del 2016, proposto da
M P, rappresentato e difeso dall'avvocato G L, con domicilio eletto presso il suo studio in L'Aquila, via Giosuè Carducci, 30;

contro

Comune di Pineto, non costituito in giudizio;

per l'annullamento,

previa sospensiva,

- dell'ordinanza del Comune di Pineto, n.6 del 16.06.2016, notificata il 17.06.2016;

- della nota del Comune di Pineto prot. n. 11329 del 16.6.2016

- di ogni altro atto e/o documento presupposto, connesso e/consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2023 la dott.ssa Maria Colagrande;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente è titolare di un’attività agricola che esercita nella frazione di Scerne del Comune di Pineto, su un terreno di cui dispone in comodato.

Con SCIA del 31.3.2016 ha comunicato l’avvio di un’attività agrituristica, con annessa attività di campeggio, sosta caravan e degustazione e vendita dei prodotti dell’azienda agricola.

Insorge quindi contro l’ordinanza del 16.6.2016 con la quale il Comune di Pineto gli ordinato “l’immediata cessazione dell’attività di agricamping” e ha “comunicato i motivi ostativi all’esercizio della “attività inerente l’oggetto della richiesta” del 31.3.2016.

Il provvedimento è censurato per vizi di “ violazione di legge, eccesso di potere, contraddittorietà e violazione del principio di trasparenza, violazione del principio di imparzialità e ragionevolezza dell’azione amministrativa per difetti d’istruttoria e per ingiustizia manifesta per incongruenza e per travisamento dei fatti;
in particolare riferimento, in via preliminare agli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della l. 241/90 e, nel merito, all’art. 23 delle NTA del P.R.G. di Pineto e all’art. 17 delle NTA del Piano stralcio difesa Alluvioni
”.

Il provvedimento gravato sarebbe illegittimo perché:

- non è stato preceduto, soprattutto con riferimento alle disposizioni che vietano l’esercizio dell’attività, dalla comunicazione di avvio del procedimento;

- al ricorrente non sarebbe stato consentito di prendere visione della nota dell’Ufficio Urbanistica n. 111329 del 16.6.2016;

- considera non assentibili opere provvisorie destinate a un uso stagionale, non ancorate in modo fisso al suolo (serbatoio, manufatto in legno, ombrellone con supporti in metallo poggiato su basi mobili di cemento);

- considera incompatibili con il piano stralcio difesa alluvioni, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 94/4 del 29.1.2008, opere momentaneamente appoggiate al suolo.

Il Comune di Pineto non si è costituito, ma ha depositato documenti.

All’udienza di smaltimento del 17 maggio 2023 il ricorso è passato in decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il primo motivo con il quale il ricorrente lamenta di non aver ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, non tiene conto del fatto che il provvedimento impugnato ha ad oggetto la repressione di un abuso edilizio che, per giurisprudenza costante (da Cons. Stato, sez. VI, 05/04/2022, n. 2523,), ha contenuto vincolato con la conseguenza che l’omissione di detta formalità non ha effetti invalidanti del provvedimento conclusivo, ai sensi del comma 2, primo periodo, dell’art. 21 octies l. 241/1990.

Parimenti irrilevante è il fatto che al ricorrente non sarebbe stato permesso di aver accesso alla nota dell’Ufficio Urbanistica n. 111329 del 16.6.2016, perché il contenuto della stessa è riportato fedelmente nell’ordinanza impugnata, come è possibile verificare confrontando l’atto impugnato e la copia di detta nota versata in atti dal Comune.

Con riferimento alle altre censure, occorre premettere un breve inquadramento normativo del caso sottoposto all’esame del collegio.

Secondo l’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato: “ Sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente ”.

La disciplina della SCIA (come poi specificato dalle modifiche al citato art. 22 introdotte dal d.lgs. n. 222/2016) è quella generale contenuta nell’art. 19 l. n. 241/1990 che prevede un termine di trenta giorni dalla presentazione per l’adozione, da parte del Comune, di misure interdittive o conformative dell’attività edilizia.

Il comma 6 bis dell’art. 19 l. 241/1990” stabilisce che “ Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, e dalle leggi regionali ”.

Il comma 6 dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 vigente ratione temporis stabilisce che “ La mancata segnalazione certificata di inizio attività non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 36 ”.

La lettura coordinata delle disposizioni fin qui riepilogate consente di affermare che con la SCIA non possono essere legittimati interventi autorizzabili solo con permesso di costruire, altrimenti non avrebbero alcun senso le clausole di salvaguardia contenute nel comma 6 bis del citato art. 19 e nel comma 6 del citato art. 22, che richiamano le sanzioni irrogabili nel caso di interventi realizzati in assenza o in difformità dal permesso di costruire.

In sostanza il legislatore ha inteso limitare temporalmente l’adozione dei provvedimenti interdittivi o conformativi degli interventi comunicati con SCIA (non oltre trenta giorni dalla presentazione) purché si tratti di interventi assentibili con detto titolo abilitativo.

Proprio l’esigenza di far salva l’applicazione delle sanzioni ripristinatorie “ in relazione all’intervento realizzato ” (comma 6 dell’art. 37 del d.P.R. 380/2001), convince del fatto che il Comune, verificata, (in ogni tempo Cons. Stato A.P. n. 8/2017), ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 380/2001, la consistenza degli interventi edilizi può, anzi è tenuto a reprimere le opere edilizie che, sia pure annunciate con SCIA, avrebbero dovuto essere precedute dal rilascio del permesso di costruire, non potendo la SCIA produrre effetti che ex lege sono riservati al permesso di costruire con le garanzie procedimentali e di controllo dell’attività edilizia previste dall’art. 20 d.P.R. n. 380/2001.

Completa e conferma l’assetto normativo fin qui riepilogato, il comma 2 dell’art. 27 d.P.R. n. 380/2001 che impone al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale di provvedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi “ in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ” e certamente deve ritenersi difforme dalle norme urbanistiche un intervento edilizio soggetto al previo rilascio del permesso di costruire che ne sia privo.

Ciò premesso, le opere realizzate dal ricorrente sono interventi di modificazione del territorio per le quali sarebbe stato necessario il rilascio del permesso di costruire.

Non ha alcuna rilevanza infatti che il serbatoio, il manufatto in legno e la platea in cemento con sovrastante ombrellone siano poggiati al suolo o amovibili in quanto dotati di ruote, perché tutte queste opere sono, per espressa ammissione del ricorrente, destinate all’esercizio dell’attività di agricampeggio durante la stagione estiva.

La giurisprudenza infatti accoglie una nozione funzionale del termine “costruzioni” (soggette al rilascio del permesso di costruire ex art. 10 del d.P.R. 380/2001), riferibile a opere che sono destinate a un uso non meramente occasionale, destinato a ripetersi nel tempo, come nel caso di opere destinate a un uso stagionale, circostanza che non esclude, anzi postula il soddisfacimento di interessi non occasionali e stabili nel tempo (in termini Consiglio di Stato sez. VI, 17/08/2021, n.5911;
Consiglio di Stato sez. II, 03/11/2020, n.6768).

Conforme è l’orientamento seguito dalla Sezione: “ La natura precaria del manufatto va intesa, ai fini dell'identificazione del relativo regime abilitativo edilizio, non tanto e non solo con riferimento alla consistenza strutturale e dell'ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma in termini funzionali, ovvero occorre accertare se si tratta di un'opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa. Il carattere stagionale dell'uso del manufatto (nella specie, opera per la vendita stagionale di generi alimentari) non implica la provvisorietà dell'attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove si svolge, anzi il rinnovarsi dell'attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità dell'attività e dell'opera a ciò necessaria. Ne consegue che, ove non ricorra la deroga prevista dall'art. 3, comma 1, lett. e.5) del d.P.R. n. 380 del 2001, il manufatto, quand'anche fosse strutturalmente amovibile, deve essere considerato, ai sensi dell'art. 3 lett. e) del d.P.R. n. 380/2001, un intervento di nuova costruzione che ai sensi dell'art. 10 dello stesso decreto necessita di permesso di costruire e, di converso, se realizzato in assenza del permesso di costruire, se ne deve ordinare la demolizione ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 ” (T.A.R. Abruzzo - L'Aquila, sez. I, 27/05/2019, n.273).

Va aggiunto che l’area in questione ricade in zona per attrezzature urbane in cui gli interventi edilizi ammessi dall’art. 23 delle NTA del PRG sono subordinati alla previa adozione di un piano attuativo.

Ne consegue che l’intervento realizzato dal ricorrente avrebbe dovuto essere, non solo assentito con permesso di costruire, ma anche preceduto dall’approvazione di un piano la cui mancanza è incontestata.

Pertanto, come in assenza del piano attutivo il Comune non avrebbe potuto rilasciare il permesso di costruire, a maggior ragione la SCIA presentata al ricorrente non può avere alcun effetto, trattandosi peraltro di un atto privato, non di una manifestazione di potestà pubblica, inidoneo a conformare situazioni giuridiche fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge.

Infine è pacifico che l’area in questione ricade in zona di “pericolosità idraulica molto alta”.

Ai sensi del comma 6 dell’art. 22 d.P.R. n. 380/2001 “ La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell’assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative ”.

La disposizione, nell’interdire la posa in opera degli interventi in aree soggette a tutela, sottende chiaramente l’inefficacia della SCIA, se non corredata del parere richiesto.

Il ricorrente però non ha dato prova di aver acquisito il parere dell’Autorità di bacino, né contesta che nell’area in questione l’art. 17 delle NTA del piano stralcio di difesa dalle alluvioni vieta la realizzazione di “ strutture mobili e immobili, ad eccezione di quelle a carattere provvisorio o precario indispensabili per la conduzione dei cantieri o specificamente ammesse dalle presenti norme ”.

Correttamente pertanto il Comune, costatata (anche) l’assenza del parere dell’Autorità di bacino, ha disposto l’immediata cessazione dell’attività a tutela della sicurezza pubblica.

Il ricorso pertanto è respinto.

Non vi è luogo a regolare le spese di giudizio perché il Comune di Pineto non ha svolto attività difensiva.

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