TAR Firenze, sez. II, sentenza 2015-12-09, n. 201501676
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N. 01676/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00369/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 369 del 2011, proposto da:
V B e F s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. F G, N G, con domicilio eletto presso N G in Firenze, Via Vittorio Alfieri n. 19;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, Ministero della Salute in persona del Ministro pro tempore, Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliata in Firenze, Via degli Arazzieri 4;
Provincia di Massa Carrara in persona del Presidente pro tempore, Comune di Carrara in persona del Sindaco pro tempore, Comune di Massa in persona del Sindaco pro tempore, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) Toscana, Apat-Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto direttoriale 26 novembre 2010, del Ministero dell' Ambiente- Direzione Generale Qualità della Vita;nonchè, per quanto occorrer possa, del verbale della conferenza dei servizi istruttoria del 22.01.2010, ove ritenuta autonomamente lesiva;nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso, ancorché incognito.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute e Ministero dello sviluppo economico;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2015 il dott. L V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società ricorrente è proprietaria di un sito industriale sito in Comune di Massa, via Catagnina, ricadente nel sito di interesse nazionale (S.I.N.) di Massa-Carrara.
Con decreto 26 novembre 2010 prot. n. 945//TRI/DI/B, il Direttore della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare decideva di fare proprie le conclusioni della conferenza di servizi decisoria del 23 novembre 2010 e, quindi, anche l’ordine alla ricorrente, a seguito del riscontro del superamento dei limiti fissati per il tetracloroetilene nelle acque di falda, di avviare idonee misure di messa in sicurezza d’emergenza delle acque di falda, consistenti nella realizzazione di una serie di pozzi di emungimento, comprendente anche quello risultato contaminato e di presentare, entro 30 giorni dalla detta data, il progetto di bonifica delle acque di falda.
La società ricorrente impugnava il già citato decreto Direttoriale e gli atti presupposti per: 1) violazione e falsa applicazione art. 242 del d.lgs. 152 del 2006, eccesso di potere per difetto dei presupposti soggettivi e idfetto di istruttoria;2) eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento, violazione art. 3 l. 241 del 1990, difetto di motivazione;3) violazione del corretto procedimento e del contraddittorio, violazione dei principi desumibili dalla l. 241 del 1990, violazione art. 223 disp. att. c.p.p.;4) violazione art. 97 Cost., violazione Allegato 3 alla parte IV del d.lgs. 152/2006, eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, difetto dei presupposti ed illogicità, difetto di motivazione.
Si costituivano in giudizio il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute ed il Ministero dello Sviluppo economico, controdeducendo sul merito del ricorso.
Con ordinanza 7 maggio 2014 n. 783, la Sezione disponeva la sospensione del procedimento <<ai sensi degli artt. 79 cod. proc. amm., 295 c.p.c., 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, fino alla sua riassunzione, a cura della parte più diligente, a mezzo di apposita istanza di fissazione di udienza, entro novanta giorni dalla pubblicazione della decisione assunta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’ordinanza 25 settembre 2013 n. 21 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato>>;dopo l’intervento di Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534, il giudizio era quindi tempestivamente proseguito da parte ricorrente nelle forme previste dall’art. 80, 1° comma c.p.a.
Il primo motivo di ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto.
La problematica è già stata affrontata dalla Sezione con numerose decisioni (T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666), spesso rese con riferimento al S.I.N. di Massa-Carrara e che possono essere richiamate anche in funzione motivazionale della presente decisione: <<come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665;id., 6 maggio 2009, n. 762), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).
Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355;T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448)……Del resto, l’obbligo di procedere alla bonifica dell’area non potrebbe neanche essere desunto, come preteso dagli atti impugnati, dall’applicazione della previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode);a prescindere da ogni considerazione relativa all’aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l’accertamento della qualità di custode dell’area al momento dell’inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In buona sostanza, si tratta pertanto di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall’art. 2051 c.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi>>(T.A.R. Toscana, sez. II, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666).
L’impostazione seguita dalla Sezione è poi stata pienamente confermata, sotto il profilo del diritto interno, dall’ordinanza 25 settembre 2013 n. 21 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (resa proprio sugli appelli proposti sulle sentenze 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666 della Sezione), che ha così concluso: <<emerge, quindi, come l'orientamento interpretativo di gran lunga prevalente escluda la possibilità per l'Amministrazione nazionale di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza d'emergenza o di bonifica del sito inquinato. A tale indirizzo, l'Adunanza Plenaria ritiene di dover dare continuità, in quanto esso, alla luce delle considerazioni già svolte, esprime l’unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle disposizioni in esame>>.
Sotto il profilo del diritto comunitario, la soluzione è poi stata confermata da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534 (resa sul rinvio pregiudiziale operato da Cons. Stato, ad plen. ord. 25 settembre 2013 n. 21) che ha rilevato come <<l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE non p(ossa) essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale>>(punto n. 41 della motivazione) e ricapitolato, sulla base della propria precedente giurisprudenza, le condizioni di applicabilità della direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale);in particolare le condizioni di applicabilità della dir. 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE sono state individuate:
a) nel fatto che l’<<evento o … incidente>>fonte di inquinamento si sia verificato il 30 aprile 2007 o successivamente (punto n. 44 della motivazione);
b) nella possibilità, al fine del riconoscimento della responsabilità oggettiva, di riportare l’autore dell’inquinamento alla tipologia di operatore ed alle lavorazioni previste dall’Allegato III alla direttiva (punto n. 53);
c) nel riconoscimento (in aggiunta o in sostituzione dell’elemento riportato alla lettera precedente, in questo caso con riferimento alla responsabilità da dolo o colpa) della sussistenza di un nesso causale tra le attività svolte e l’inquinamento (punti 54 e ss. della motivazione).
Nel caso di specie, dalla documentazione in atti non si evince alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l’imposizione, a carico dell’odierna ricorrente, degli obblighi di messa in sicurezza;in particolare, né nelle conferenze di servizi che hanno preceduto l’emanazione dell’atto impugnato, né nel decreto direttoriale impugnato si rinviene alcun approfondimento istruttorio volto ad accertare un comportamento dell’odierna ricorrente, che possa aver dato luogo all’inquinamento dell’area;dai pochi elementi valutati dalla conferenza di servizi istruttoria emergono anzi circostanze fattuali (svolgimento di attività di concessionaria di autoveicoli e, successivamente, di stoccaggio sull’area;mancanza di contaminazione del terreno sottostante) che portano a ritenere assai improbabile che l’inquinamento da tetracloroetilene della falda acquifera possa derivare dalle attività svolte dalla ricorrente, essendo piuttosto probabile che derivi da altre attività svolte nell’area industriale in questione.
Per quello che riguarda l’applicabilità della dir. 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE, non è poi stato svolto alcun accertamento in proposito e non sussiste alcun elemento che possa portare a ritenere sussistenti i tre requisiti della responsabilità richiamati da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534.
In definitiva, il ricorso deve pertanto essere accolto e deve essere disposto l’annullamento degli atti impugnati.
La particolare novità e complessità della materia trattata (che ha costituito oggetto degli interventi sopra citati dell’Adunanza plenaria e della Corte giustizia UE) giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.