TAR Salerno, sez. II, sentenza 2010-09-13, n. 201011035

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2010-09-13, n. 201011035
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201011035
Data del deposito : 13 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01211/2009 REG.RIC.

N. 11035/2010 REG.SEN.

N. 01211/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 1211 del 2009, proposto da:
N A M e S M, rappresentate e difese dagli Avv. A B, A V e V B, con domicilio eletto, in Salerno, al Largo Dogana Regia, n. 15, presso l’Avv. A B;

contro

Comune di Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. A B e G S d M, con domicilio eletto, in Salerno, alla via M. Gaudiosi, 6, presso l’Avv. A. De Vivo;
Seconda Commissione Esaminatrice per la selezione interna per titoli ed esami per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, tramite progressione verticale – categoria D – posizione economica D1, indetta dal Comune di Avellino con determina del dirigente del Settore Personale, prot. n. 2595 del 29.08.2008, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti di

A V, G E e M S, rappresentati e difesi dagli Avv. Alfredo Messina, Annabella Messina e Laura Messina, con domicilio eletto, in Salerno, alla via F. Crispi, n. 1/7;
Spagnuolo Patrizia, Nappa Gerardo, Russomanto Angelo, Melillo Vincenzo, Puzo Alberto, Landi Enrico, De Prizio Patrizio, Minucci Giuseppina, Solimene Lucio e Barbarisi Carmine, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

a) della determina n. 1209 del 4.05.2009, del Dirigente Settore Personale e Progetti Speciali del Comune di Avellino, che ha approvato la graduatoria di merito della selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, mediante progressione verticale – categoria D – posizione economica D1, successivamente comunicata;

b) dell’anzidetta graduatoria di merito;

c) ove occorra, della nota, prot. n. 1688 del 12.05.09, notificata il 13.05.09, del Settore Personale e Progetti Speciali del Comune di Avellino, con la quale è stata comunicata alla Sig.ra N A M la graduatoria definitiva, relativa alla selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, mediante progressione verticale – categoria D – posizione economica D1, indetta dal Comune di Avellino con determina del dirigente del Settore Personale, prot. n. 2595 del 29.08.2008;

d) ove occorra, della nota, prot. n. 1688 del 12.05.09, notificata il 14.05.09, del Settore Personale e Progetti Speciali del Comune di Avellino, con la quale è stata comunicata alla Sig.ra S M la graduatoria definitiva, relativa alla selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, mediante progressione verticale – categoria D – posizione economica D1, indetta dal Comune di Avellino con determina del dirigente del Settore Personale, prot. n. 2595 del 29.08.2008;

e) ove occorra e nei limiti dell’interesse, del bando di selezione interna per titoli ed esami, per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, mediante progressione verticale – categoria D – posizione economica D1, indetta dal Comune di Avellino con determina del dirigente del Settore Personale e Progetti Speciali del Comune di Avellino, prot. n. 2595 del 29.08.2008;

f) dei verbali: n. 1 del 18.11.08;
n. 2 del 25.11.08;
n. 3 del 2.12.08;
n. 4 del 5.12.08;
n. 5 del 21.01.09;
n. 6 del 5.02.09;
n. 7 del 27.02.09;
n. 8 del 4.03.09;
n. 9 del 12.03.09;
n. 10 del 24.03.09 e n. 11 del 23.04.09, della Commissione esaminatrice della anzidetta selezione;

g) di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale;


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Avellino e dei controinteressati G E, A V e M S;

Visto il ricorso incidentale, proposto da questi ultimi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2010, il dott. Paolo Severini;

Uditi, per le parti, i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.


FATTO

Le ricorrenti, premesso d’essere in servizio quali istruttrici di vigilanza del Corpo di Polizia Municipale di Avellino, cat. 5, pos. economica C5, d’aver partecipato alla selezione interna in epigrafe, nonché d’aver superato le prove scritte ed orali, segnalavano d’essersi graduate rispettivamente al 5° (la N) e al 14° posto (la S);
tanto premesso, denunziavano una serie di gravi illegittimità, che, a loro dire, avevano inficiato la selezione in oggetto, avverso la quale articolavano, pertanto, i seguenti motivi di ricorso:

1) Violazione di legge (art. 14 d. P. R. n. 487/94;
art. 97 Cost.);
Violazione art. 35 d. l.vo 165/01;
Violazione e falsa applicazione dell’art. 24, punto 9, del Regolamento per le selezioni pubbliche del personale e dell’art. 39 del Regolamento per la valutazione del personale ai fini delle progressioni verticali;
Violazione dei principi di legalità, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa;
Violazione art. 97 Cost. e art. 1 l. 241/90 e s. m. i.;
Violazione dei principi di segretezza e di par condicio nelle procedure concorsuali;
Eccesso di potere per arbitrarietà, irrazionalità, manifesta illogicità, disparità di trattamento: le buste, contenenti gli elaborati del singoli candidati, non erano state firmate, né datate sui lembi di chiusura, dal Presidente della Commissione, recando solo, sul fronte, delle sigle, assolutamente inidonee, tuttavia, a surrogare l’inderogabile prescrizione di cui sopra;
anche le norme regolamentari del Comune, sopra riportate, recavano, del resto, analoghe prescrizioni;

2) Violazione di legge (art. 1, comma 2 e 12, d. P. R. n. 487/94, anche in correlazione con gli artt. 1 e 3 l. n. 241/90);
Carenza assoluta di motivazione;
Violazione dell’art. 35 del d. l.vo 165/2001;
Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 lett. e) del Regolamento per le selezioni pubbliche del personale, approvato con delibera di G. C. n,. 690/05 e dell’art. 36 della delibera Giunta Comunale di Avellino, n. 272/08;
Eccesso di potere per arbitrarietà e disparità di trattamento;
Violazione dei principi di legalità, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa;
Violazione del principio della par condicio: la Commissione esaminatrice non aveva preventivamente determinato i criteri di valutazione da seguire, per la correzione delle prove scritte e la valutazione di quelle orali, né alcun criterio del genere era rinvenibile nel bando di concorso, che si era limitato a descrivere lo svolgimento delle operazioni;

3) Violazione di legge (artt. 1 e 3 l. 241/90e s. m. i., anche in rel. agli artt. 1, comma 2 e 12, d. P. R. n. 487/94);
Violazione art. 17 del Regolamento per le selezioni pubbliche del personale, approvato con delibera di G. C. n,. 690/05;
Art. 36 della delibera Giunta Comunale di Avellino, n. 272/08 (Sistema di valutazione del personale ai fini delle progressioni);
Eccesso di potere per difetto di motivazione, perplessità, illogicità, arbitrarietà;
Violazione del principio della par condicio: la mancanza dei criteri, preordinati alla valutazione, determinava, a parere delle ricorrenti, anche una palese violazione dell’obbligo di congrua motivazione, sancito dall’art. 3 l. 241/90, essendosi determinata un’assoluta arbitrarietà nell’attribuzione dei voti, riferiti alle prove sia scritte, sia orali;
in particolare, quanto alle prime, la Commissione aveva adoperato una serie di valutazioni descrittive, in termini aggettivali, e, solo al termine delle correzioni dei compiti, aveva “riesaminato gli elaborati”, attribuendo il voto numerico, espresso in 30/mi;
qualora, poi, si fosse ritenuto che la causa dell’arbitrario, secondo le ricorrenti, comportamento della Commissione Giudicatrice fosse stato determinato dalla stringata disciplina, dettata dall’art. 5 del bando di selezione (che nulla o quasi stabiliva, per lo svolgimento delle prove), se ne deduceva l’illegittimità, per gli stessi, surriferiti, vizi;

4) Violazione di legge (artt. 8 e 12, d. P. R. n. 487/94);
Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 lett. i) e 22 del Regolamento per le selezioni pubbliche del personale, approvato con delibera di G. C. n,. 690/05: la Commissione avrebbe illegittimamente sovvertito l’ordine dei lavori, previsto dalla normativa di settore, che imponeva una tassativa scansione procedimentale, laddove, nella specie, la valutazione dei titoli aveva proceduto lo svolgimento delle prove scritte e orali;

5) Violazione di legge (art.12 d. P. R. n. 487/94);
Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 comma 5 del Regolamento per le selezioni pubbliche del personale, approvato con delibera di G. C. n,. 690/05 e dell’art. 36 della delibera Giunta Comunale di Avellino, n. 272/08 (Sistema di valutazione del personale ai fini delle progressioni): il numero delle domande predisposte dalla Commissione, ai fini dello svolgimento delle prove orali, era stato insufficiente, rispetto al numero dei candidati.

Si costituivano, in data 1.08.09, i controinteressati G E, A V e M S (classificati, rispettivamente, ai primi tre posti della selezione in argomento), depositando controricorso e ricorso incidentale;
nel primo, eccepivano preliminarmente l’inammissibilità del ricorso collettivo, per conflitto d’interessi tra le ricorrenti;
indi, eccepivano l’inammissibilità dei motivi sub 1), 3), 4) e 5) e, comunque, sostenevano l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso, presentati dalle ricorrenti;
nel ricorso incidentale, impugnavano gli stessi provvedimenti, gravati da queste ultime, nella parte in cui le stesse non erano state escluse, a seguito della correzione delle prove scritte, nonostante che dette prove presentassero, a loro avviso, chiari segni di riconoscimento (nel caso della N, la redazione dell’elaborato in stampatello maiuscolo;
nel caso della S, la presenza di indicazioni a stampatello, fuori campo, in alto a sinistra della seconda facciata del compito).

Si costituiva, in data 21.08.09, il Comune di Avellino, con memoria, in cui eccepiva la tardività del ricorso, poiché tutte le contestazioni, avanzate dalle ricorrenti, avrebbero riguardato violazioni di legge, anzitutto riconducibili alle previsioni contenute nel bando di selezione, onde era dalla sua pubblicazione che sarebbe decorso il termine per impugnare;
quindi, l’inammissibilità dell’impugnativa degli atti concorsuali, in quanto atti meramente esecutivi delle previsioni del bando;
indi l’inammissibilità del gravame, per carenza d’interesse, non avendo le ricorrenti contestato alcuna delle valutazioni, effettuate dalla Commissione;
ancora l’inammissibilità, perché le ricorrenti sarebbero state titolari di un’aspettativa di mero fatto alla ripetizione delle operazioni di selezione;
nel merito, sosteneva l’infondatezza delle censure sollevate nell’atto introduttivo del giudizio;
quanto al ricorso incidentale, del pari ne chiedeva il rigetto.

Nell’imminenza della discussione, tutte le parti depositavano memorie riepilogative, e la difesa delle ricorrenti anche di replica alle eccezioni delle controparti, ed ulteriori documenti.

All’udienza pubblica del 25 marzo 2010, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Rileva, anzitutto, il Tribunale che la competenza a conoscere della presente controversia appartiene al G. A., in conformità all’orientamento prevalente della giurisprudenza, per il quale si cfr., “ex multis”, la seguente decisione: “Considerato che mediante accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all’interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un’area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso, tali essendo anche le procedure che vengono denominate “selettive”, qualunque sia l’oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere, con la conseguenza che su di esse la cognizione spetta al g. a. (nel caso di specie, si trattava di una selezione volta ad attuare progressione verticale nel sistema di classificazione del personale dipendente, ai sensi dell’art. 4 del c. c. n. l. 31 marzo 1999, volta alla copertura di posti della cat. D e riservato ai dipendenti appartenenti alla cat. C, con anzianità di almeno 36 mesi nella predetta categoria)” (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 29 aprile 2009, n. 2203).

Ciò posto, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni d’inammissibilità/tardività del ricorso, in generale, sollevate dalle difese dell’Amministrazione Comunale di Avellino e dai controinteressati, laddove può prescindersi, per ragioni che saranno chiare in seguito, dalle eccezioni d’inammissibilità delle singole censure, articolate in ricorso.

Iniziando dal rilievo in rito, emergente dalla lettura del controricorso prodotto, in data 1.08.09, dai controinteressati A, G e M, osserva il Tribunale come lo stesso sia volto alla denunzia dell’inammissibilità dell’avverso gravame, qualificato come ricorso collettivo, per la sussistenza di un conflitto d’interessi tra le ricorrenti S M, “interessata a conseguire la caducazione di tutti gli atti del procedimento a partire dalle prove scritte” e N A M, di cui sarebbe stato viceversa evidente l’opposto interesse “alla conservazione della predetta fase procedimentale”.

L’eccezione è priva di pregio.

Il principio di fondo che governa la materia è il seguente: “Il ricorso collettivo, proposto da una pluralità di soggetti, è ammissibile solo a condizione che sussista identità di situazioni sostanziali e processuali, che le domande siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e identità di censure e, infine, che non sussista un conflitto di interessi tra i ricorrenti, nel senso che l’interesse sostanziale fatto valere non deve presentare punti di contrasto o conflitto, perché l’eventuale accoglimento del gravame avanti al giudice amministrativo deve portare vantaggio a tutti i ricorrenti” (Consiglio Stato, sez. IV, 1 marzo 2006, n. 991).

Orbene, nella specie, tutti gli elementi che rendono ammissibile un ricorso cumulativo sono senz’altro presenti (identità di situazioni sostanziali e processuali, domande identiche nell’oggetto, medesimo contenuto degli atti impugnati, identità di censure), laddove è stato posta in discussione l’esistenza dell’ulteriore elemento, dell’assenza di un conflitto d’interessi tra le ricorrenti, nel senso appena precisato: ma il rilievo è infondato, essendo chiaro che entrambe le ricorrenti hanno, direttamente ed immediatamente, di mira l’annullamento della selezione e la ripetizione dell’intera procedura concorsuale, vale a dire un interesse comune ad entrambe, sicché “l’eventuale accoglimento del gravame avanti al giudice amministrativo” porterebbe loro indistintamente vantaggio.

Quanto alle numerose eccezioni preliminari, svolte dalla difesa del Comune di Avellino, le stesse neppure possono trovare accoglimento.

Iniziando dalla prima, il ricorso sarebbe irricevibile per mancata impugnativa del bando (indetto con determina dirigenziale n. 2595 del 29.08.2008 e pubblicato in pari data) nel termine perentorio di legge, decorrente dalla sua pubblicazione;
tanto, in ragione della riferibilità di tutte le censure di controparte a previsioni, già contenute nella “lex specialis” della selezione;
la seconda può esser considerata, a ben vedere, una variante della prima, posto che dalla tardività dell’impugnativa del bando discenderebbe, per l’Amministrazione, l’inammissibilità dell’impugnativa degli atti concorsuali, in quanto atti “meramente esecutivi” delle previsioni della “lex specialis” del concorso.

Le due eccezioni, che possono essere esaminate congiuntamente, vanno disattese, in conformità al prevalente indirizzo della giurisprudenza in materia, espresso, da ultimo, nella seguente massima: “L’onere di immediata impugnazione delle norme disciplinanti la partecipazione ad una procedura selettiva deve essere assolto con riguardo a quelle sole disposizioni concernenti i requisiti soggettivi di partecipazione e a quelle che integrano un’immediata preclusione alla partecipazione, ossia a clausole che ledano immediatamente e direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura concorsuale. Ogni diversa questione inerente all’applicazione delle norme regolamentari generali, così come l’impugnazione di norme del bando che, pur potendo considerarsi immediatamente lesive non siano peraltro univocamente chiare e vincolanti, può e deve essere proposta unitamente agli atti che di esse fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della sua situazione soggettiva” (T. A. R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 25 marzo 2010, n. 94).

Né sussiste la dedotta contraddittorietà della condotta delle ricorrenti, le quali avrebbero accettato le previsioni del bando, partecipando alla selezione, salvo poi contestarle, dopo essere risultate non vincitrici.

Tale rilievo, configurante in realtà una – distinta – eccezione d’inammissibilità del ricorso per acquiescenza, non può sortire alcun effetto paralizzante del gravame, posto che la suddetta forma, sopravvenuta, di carenza d’interesse all’impugnazione dev’essere oggetto di una valutazione particolarmente rigorosa (cfr. T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 1 marzo 2005, n. 1392), improntata alla seguente regola: “Il bando di gara, normalmente impugnabile con l’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, deve essere considerato immediatamente impugnabile solo allorché contenga clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione;
con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione della domanda non costituiscono acquiescenza e non impediscono la proposizione di un eventuale gravame” (Consiglio Stato, sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1716).

Ancora, la difesa del Comune di Avellino ha eccepito la carenza d’interesse ad agire delle ricorrenti, non avendo le stesse contestato, nel merito, le valutazioni effettuate dalla Commissione, “sub specie” dei punteggi attribuiti ai concorrenti, con il conseguente riconoscimento da parte delle medesime – ad avviso dell’ente – “che le valutazioni della Commissione Esaminatrice e la graduatoria finale della selezione” corrispondevano “all’effettivo e corretto giudizio sulle prove sostenute dai partecipanti”.

L’eccezione è infondata, risolvendosi la stessa – oltre che in una petizione di principio – nella denunzia di un’ulteriore presunta acquiescenza da parte delle ricorrenti (non più dovuta alla partecipazione, senza obiezioni, al concorso, ma alla ritenuta accettazione, da parte loro, dei punteggi, attribuiti dalla Commissione, e quindi, in definitiva, delle rispettive posizioni – rispettivamente quinta e quattordicesima – assunte nella graduatoria finale della selezione): a confutarla valga, oltre quanto riferito sopra, circa l’impossibilità di configurare un comportamento acquiescente nel comportamento tenuto da parte delle medesime e circa l’attenzione, da riservare alla relativa valutazione, la considerazione dello scopo fondamentale cui esse tendono nella specie, vale a dire l’invalidazione dell’intera procedura concorsuale.

Le stesse osservazioni valgono a respingere l’ulteriore sviluppo dell’eccezione, secondo cui non andrebbe consentito l’ingresso, nel presente giudizio, ad un interesse, meramente strumentale, alla legalità della procedura ed alla ripetizione delle operazioni concorsuali, il quale si risolverebbe, secondo la difesa del Comune, in una “mera aspettativa di fatto”, priva di adeguata consistenza giuridica.

L’obiezione è priva di pregio, posto che è, viceversa, evidente come l’interesse alla ripetizione della selezione “de qua” vada ben al di là di una mera aspettativa di fatto, priva di valenza sostanziale;
nell’ambito di una nuova selezione, infatti, le ricorrenti, in quanto portatrici di uno “status” professionale che le legittimerebbe a parteciparvi, riacquisterebbero le “chances” di risultare vincitrici: l’interesse di cui sono portatrici, quindi, non può considerarsi equivalente a quello, proprio di un “quivis de populo”, al puro e semplice ripristino della legalità, in tesi, violata.

Ciò posto, può passarsi all’esame del merito del ricorso, senza necessità di analizzare previamente il ricorso incidentale, proposto dai controinteressati: la ragione di tale scelta risiede nella natura del vizio, che si ritiene aver assunto, nella specie, carattere invalidante dell’intera procedura di selezione.

Il vizio, che il Collegio opina aver radicalmente viziato il procedimento di selezione in oggetto, è rappresentato da quello, rubricato sub 2) nell’atto introduttivo del giudizio, impingente nell’omessa predisposizione, da parte della Commissione di gara, dei criteri di valutazione delle prove, scritte ed orali, della procedura concorsuale in oggetto.

Detti criteri, in particolare, non sono stati esplicitati né nel bando di selezione interna per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” – categoria D – posizione economica D1 – mediante progressione verticale, indetta dal Comune di Avellino, che si è limitato – all’art. 5 – a disciplinare lo “svolgimento della selezione” con stringate disposizioni, volte a delineare il contenuto delle prove “de quibus”, nonché le modalità di calcolo del voto numerico in trentesimi (con la specificazione che le stesse dovevano intendersi superate, in caso di raggiungimento del voto di almeno 21/30 in ognuna di esse;
i voti conseguiti dovevano sommarsi, infine, al punteggio per i titoli, alla cui disciplina era dedicato il precedente art. 4);
né, tampoco, i predetti criteri sono stati elaborati dalla Commissione di gara, prima dello svolgimento delle prove e dell’attribuzione dei relativi punteggi.

E, infatti, dalla lettura dei verbali delle operazioni concorsuali, contrassegnati con i numeri 6 e 7, emerge che la Commissione non ha preventivamente fissato alcun criterio, in linea generale ed astratta, per la valutazione e l’attribuzione del punteggio delle prove scritte, alla cui correzione sono state, indi, dedicate le sedute, il cui svolgimento è stato consacrato nei verbali, contrassegnati con i numeri da 8 a 10;
analogamente è a dirsi per la prova orale, per la quale, del pari, è mancata qualsivoglia predisposizione di linee – guida per la valutazione e la stima – in termini numerici – del grado di preparazione dei concorrenti, come risulta pacificamente dal verbale, indicato con il n. 11.

Sussiste quindi il vizio, denunziato dalle ricorrenti al punto n. 2) dell’atto introduttivo del giudizio, in conformità alla pacifica giurisprudenza che s’è occupata del tema.

Il principio generale, cui deve ancorarsi il giudizio, è espresso nella seguente decisione: “La giurisprudenza in tema di sufficiente motivazione del giudizio espresso con voto numerico nei concorsi per l’ammissione agli impieghi, va interpretata alla luce del principio enunciato dall’art. 12, comma 1, d. P. R. 9 maggio 1994 n. 487. La disposizione citata, ai fini di “trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali” – che è la rubrica dell’articolo – stabilisce che le commissioni devono fissare i criteri e le modalità di valutazione delle prove di concorso. Sicché il voto numerico deve atteggiarsi – ed è per questa ragione espresso legittimamente – come puntuale applicazione dei criteri preventivamente enunciati. Così è stato chiarito che la votazione numerica è legittima solo se i criteri di massima siano predeterminati rigidamente e non si risolvano in espressioni generiche. È stato sottolineato che è, in ogni caso, illegittima la votazione numerica nelle prove d’esame di un concorso, senza predisposizione dei criteri di massima. Inoltre, per la legittimità della votazione numerica data ad una prova scritta, è necessaria almeno l’apposizione di note a margine dell’elaborato o l’uso di segni grafici, che consentano di individuare gli aspetti della prova non valutati positivamente” (Consiglio Stato, sez. V, 28 giugno 2004, n. 4782).

Del tutto in linea con il principio, dianzi riferito, è la giurisprudenza del T. A. R. Campania, per la quale si tenga presente la seguente, ulteriore, massima: “In materia di valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico, deve ritenersi che l’espressione del solo voto numerico sia sufficiente, ma solo a condizione che esso sia “leggibile” o interpretabile alla stregua di una congrua e articolata predeterminazione dei criteri stabiliti per la sua attribuzione, predeterminazione che può essere contenuta direttamente nel bando e/o essere aggiunta (o integrata) dalla commissione giudicatrice nella sua prima riunione costituiva (e comunque, come è ovvio, prima dell’esame o dello svolgimento delle prove)” (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 2 settembre 2008, n. 9992).

Ben si vede, alla luce della sentenza da ultimo citata, come la fonte della predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove di un pubblico concorso possa alternativamente risiedere o nella “lex specialis” della procedura (nel qual caso, evidentemente, basterà alla Commissione un richiamo agli indirizzi, autovincolanti, già espressi in sede di redazione del bando), ovvero, ove quest’ultimo nulla – o poco – dica al riguardo, sarà compito precipuo della Commissione giudicatrice formulare – o integrare – i criteri “de quibus”, ovviamente “prima dell’esame o dello svolgimento delle prove”;
solo in tal modo potrà ritenersi che il voto numerico contenga una sufficiente esplicazione del percorso logico – argomentativo, seguito dalla Commissione nell’attribuzione di quei determinati punteggi.

Nella specie, invece, come s’è visto, sono risultati deficitari, sotto il profilo della predeterminazione dei criteri di stima delle prove d’esame sostenute dai concorrenti, sia il bando per la selezione “de qua”, sia, la stessa attività, posta in essere dalla Commissione giudicatrice nel corso dello svolgimento del concorso: ne consegue l’illegittimità, radicale, dell’intera operazione valutativa afferente il concorso interno in oggetto, posto che l’attribuzione del voto numerico agli elaborati scritti e all’esposizione orale dei candidati – stante l’assenza, “ex ante”, di un chiaro parametro di riferimento – ha finito inevitabilmente per tradursi in un’operazione formalistica ed arbitraria, senza alcuna possibilità di verifica, “ex post”, della rispondenza dei singoli punteggi ad una griglia di valori, preventivamente stabilita e condivisa.

La gravità del vizio, inficiante la procedura di selezione interna in argomento, emerge limpidamente dalla seguente decisione: “La circostanza che dai verbali della commissione di concorso non emerga alcuna individuazione dei criteri di valutazione delle prove, integra una grave violazione delle regole di trasparenza ed imparzialità che devono presiedere ad ogni procedura concorsuale, attesa la valenza imperativa dell’art. 12 del d. P. R. n. 487 del 1994, che impone espressamente la previa fissazione di criteri di massima anche per la valutazione delle prove d’esame, sia scritte sia orali. Infatti, il voto numerico integra di per sé la doverosa esternazione della motivazione del giudizio solo se trova fondamento in parametri predeterminati, dato che, in assenza dei medesimi, ogni valutazione risulterebbe arbitraria ed irrimediabilmente illegittima, anche in presenza di un eventuale giudizio sintetico od analitico di supporto al punteggio numerico attribuito” (T. A. R. Calabria Catanzaro, sez. II, 3 ottobre 2006, n. 1095).

Né potrebbe ritenersi che, a salvare la procedura di gara in argomento dalla rilevata illegittimità, siano sufficienti le sintetiche disposizioni sullo svolgimento delle prove d’esame, contenute nell’art. 5 del bando di gara (a loro volta, sostanzialmente corrispondenti ai punti 36 e 37 del “Sistema di valutazione e selezione del personale dell’ente ai fini delle progressioni verticali”, approvato con delibera della Giunta Comunale di Avellino, n. 272/2008), il cui contenuto s’è sopra riferito;
è stato osservato, al riguardo, che: “Alla stregua dell’art. 12 comma 1 d. P. R. n. 487 del 1994 la commissione giudicatrice di un concorso a pubblico impiego (nel caso di specie: ad un posto di dirigente medico) è tenuta a predeterminare i criteri di valutazione delle prove al fine dell’assegnazione dei punteggi, non essendo sufficiente un generico riferimento nel verbale a disposizioni concernenti il materiale svolgimento della prova scritta e non già la successiva attività di correzione degli elaborati” (T. A. R. Piemonte Torino, sez. II, 10 marzo 2007, n. 1180).

Alla luce di tali considerazioni, inconferenti appaiono gli argomenti, ai quali s’è appellata la difesa dell’Amministrazione, nella memoria in atti, vale a dire che “i giudizi sulle prove sostenute hanno tenuto conto della rispondenza degli elaborati alla traccia e delle risposte fornite rispetto alle domande poste ai singoli partecipanti”;
la circostanza, quand’anche provata, non eliminerebbe comunque l’invalidità, derivante dall’omessa preventiva fissazione dei criteri di valutazione, nel che si sostanzia la violazione dei principi di trasparenza e buon andamento della P. A., e che finisce, come s’è già riferito, per inficiare – al di là di ogni considerazione circa i singoli giudizi espressi dalla Commissione – l’intera procedura di gara.

Le considerazioni che precedono fondano il rigetto degli analoghi argomenti, espressi dalla difesa dei controinteressati;
quest’ultima ha osservato, peraltro, come l’obbligo della predeterminazione dei criteri “de quibus” non varrebbe, in ogni caso, nei concorsi interni, in quanto “forme di riqualificazione del personale già in servizio”, essendo la sua applicazione limitata ai soli concorsi pubblici, aperti a tutti.

Al contrario, è stato osservato come: “Nel caso di selezione interna di personale già in organico dell’amministrazione, la stessa, nell’ambito del proprio potere organizzatorio, ben può stabilire, concordando con le OO. SS., criteri specifici di valutazione dei requisiti che il personale deve possedere per accedere alla mobilità nonché le modalità di accesso;
tuttavia, l’esigenza di trasparenza propria di ogni procedura selettiva richiede che, unitamente alla fissazione dei criteri di valutazione, venga predeterminato il punteggio per ogni singolo elemento che concorre a definire la scelta dell’amministrazione;
pertanto, è illegittimo l’atto di interpello il quale indichi esclusivamente i requisiti di accesso senza specificare i criteri di valutazione e i relativi punteggi, in quanto la prefissione dei criteri di massima rimane vaga e priva di una reale possibilità di controllo” (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 7 dicembre 2004, n. 18527).

Si tenga presente, per di più, che l’ambito, nel quale l’obbligo in discorso non opera, è stato individuato, dalla giurisprudenza, in una diversa tipologia di procedure selettive, come risulta, chiaramente, dalla decisione che segue: “L’art. 12, l. n. 487 del 1994, secondo cui “le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove”, opera esclusivamente all’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e alle modalità di svolgimento dei concorsi e non anche agli esami di abilitazione professionale, che soggiacciono a diversi criteri selettivi, non presupponendo una valutazione comparativa tra i candidati in relazione al ristretto numero di posti messo a concorso” (T. A. R. Toscana Firenze, sez. I, 17 marzo 2009, n. 460).

Risulta confermata la valenza invalidante dell’intero concorso, propria della censura in argomento, posta in risalto precedentemente;
si tratta di un vizio chiaramente assorbente, comportante l’annullamento degli atti impugnati, onde non è necessario esaminare le ulteriori doglianze, sollevate da parte ricorrente.

La natura radicale – testé evidenziata – della rilevata illegittimità spiega, altresì, perché non si debba esaminare affatto il ricorso incidentale, proposto dai controinteressati: poiché, infatti, esso tende a stigmatizzare l’operato della Commissione, la quale non avrebbe escluso dal concorso le due ricorrenti, pur presentando gli elaborati scritti delle medesime, a parere dei predetti controinteressati, evidenti segni di riconoscimento, è evidente, a parere del Tribunale, come in nessun caso l’accoglimento del ricorso incidentale (in ipotesi, esaminato con priorità) avrebbe potuto paralizzare l’esame del ricorso principale.

Premesso, infatti, che in materia vige il principio generale, secondo cui: “La questione dell’ordine di priorità fra impugnazione principale ed impugnazione incidentale deve essere risolta alla luce dell’art. 276, comma 2, c. p. c., da ritenersi applicabile anche al processo amministrativo, articolo che impone l’esame prioritario del ricorso incidentale ad efficacia cd. paralizzante, in quanto volto a negare, ove accolto, la sussistenza delle condizioni dell’azione concernenti la legittimazione ad agire o l’interesse ad agire del ricorrente principale” (T. A. R. Lombardia Milano, sez. I, 7 aprile 2009, n. 3227), nella specie il Tribunale ritiene che tale carattere dell’impugnativa incidentale non sussista, posto che la censura, che s’è rilevata decisiva, implica non già la conservazione, bensì l’effetto demolitorio dell’intera procedura selettiva, con la conseguenza che ogni discorso, circa la necessità, o meno, d’escludere le ricorrenti dalla gara (e in disparte qualsivoglia valutazione, da parte del Collegio, circa la fondatezza dei motivi, per cui ciò dovrebbe avvenire) finisce per essere sterile, perché priva di ogni conseguenza, circa la sorte del ricorso principale.

Una volta annullata l’intera operazione di valutazione degli elaborati scritti e dei colloqui orali, svolta dalla Commissione di gara, diventa ozioso domandarsi se le ricorrenti dovessero essere, o meno, escluse dal concorso pubblico “de quo”, ormai radicalmente compromesso.

La conseguenza è limpidamente scolpita, nella massima che segue (sia pur relativa alla materia delle gare ad evidenza pubblica, anziché a quella – invero contigua – dei concorsi a pubblici impieghi e delle procedure selettive interne, assimilate alle prime): “È inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla parte controinteressata con il quale si lamenta la illegittima mancata esclusione della ricorrente principale, quando i motivi di ricorso incidentale miranti all’ammissione o esclusione di imprese concorrenti non possono esplicare effetto paralizzante sull’impugnativa principale, permanendo in ogni caso l’interesse dell’originario ricorrente ad una pronuncia di merito sul proprio gravame che, comportando la caducazione degli atti impugnati ivi compresa la lettera invito e la conseguente rinnovazione della procedura, ne lasci comunque impregiudicata la “chance”, di ottenere la definitiva aggiudicazione” (T. A. R. Sicilia Catania, sez. III, 25 gennaio 2010, n. 82).

In applicazione della regola testé enunciata, il ricorso incidentale in questione va dichiarato inammissibile.

Quanto, infine, al governo delle spese processuali, le stesse, in applicazione della regola della soccombenza, vanno poste a carico del Comune di Avellino e sono liquidate nella misura, specificata in dispositivo;
quanto ai controinteressati, sussistono tuttavia giustificate ragioni per disporne la compensazione integrale.

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