TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2021-12-15, n. 202112956

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2021-12-15, n. 202112956
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202112956
Data del deposito : 15 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/12/2021

N. 12956/2021 REG.PROV.COLL.

N. 07506/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7506 del 2016, proposto da
C M, rappresentato e difeso dagli avvocati F M P e D D S, con domicilio eletto presso lo studio F M P in Roma, via Nino Oxilia n. 21;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per il risarcimento

dei danni da usura psico-fisica patiti dal ricorrente

nonché per la condanna dell’amministrazione resistente

al pagamento delle ore di attività lavorativa straordinaria prestata e non retribuita nell’ultimo quinquennio di servizio


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2021 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso del 27 giugno 2016 il maresciallo M, già in servizio nei ruoli del Ministero della Difesa, in posizione di comando presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, nel periodo dal 2 aprile 2001 al 31 dicembre 2015, ha adito questo Tar per chiedere la condanna della Presidenza del Consiglio al « risarcimento del danno patito da usura-psico fisica », nonché al pagamento « delle ore di attività lavorativa straordinaria prestata e non retribuita nell’ultimo quinquennio di servizio ».

A sostegno delle pretese fatte valere con il ricorso, il sig. M ha argomentato che « il Dipartimento della Protezione Civile ha illegittimamente imposto al maresciallo M una prestazione lavorativa “a regime” di 48 ore settimanali, e di 192 ore mensili, inesigibile a fronte del limite massimo di 36 ore settimanali stabilito dall’art. 14 del D.P.R. n. 52/2009 e della direttiva dello Stato Maggiore dell’Esercito del 6 marzo 2021 »;
e ha sostenuto che « l’illegittimo abituale abuso dell’utilizzo della prestazione lavorativa aggiuntiva “straordinaria” […] ha reso l’attività di lavoro gravemente usurante e di conseguenza ingiustificatamente lesiva dell’integrità psico-fisica del medesimo ».

Con memoria dell’1 novembre 2021, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha svolto le proprie difese e ha eccepito, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e l’intervenuta prescrizione del credito azionato;
nel merito, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.

In particolare, con riferimento all’eccezione sulla carenza di giurisdizione del G.A., l’amministrazione ha sostenuto che « la sottoposizione del M al potere organizzativo e direttivo del DPC, dal cui preteso illegittimo esercizio sarebbe derivato, secondo l’avversa prospettazione, il lamentato danno patrimoniale, vale a escludere la riconducibilità dell’azionata pretesa risarcitoria al novero dei diritti patrimoniali connessi ad un rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico »;
e ha osservato che la circostanza che il rapporto organico resti attratto alla giurisdizione amministrativa non è rilevante ai fini della configurazione quali diritti patrimoniali connessi, ex art. 63, comma 4, TUPI « di pretese risarcitorie estranee al rapporto organico ma, appunto, riconducibili al rapporto di servizio ».

L’amministrazione resistente ha poi eccepito la prescrizione dell’invocato diritto al risarcimento « risalendo l’evento lesivo al lontano anno 2001, senza che possa in contrario valere il carattere permanente dell’illecito de quo ». In via subordinata, ha inoltre eccepito « la prescrizione del diritto all’invocato risarcimento per il periodo ricompreso tra il 2 aprile 2001- data di collocamento in posizione di comando - e il 7 aprile 2009 (coincidente con il quinquennio precedente la diffida stragiudiziale del 7 aprile 2014) ».

Nel merito, ha notato l’infondatezza della pretesa risarcitoria atteso che il ricorrente ha dedotto l’illegittimo esercizio del potere datoriale sotto il profilo della violazione delle norme che regolano il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione militare (dpr n. 52/2009), mentre la posizione di comando presso il Dipartimento di Protezione Civile in cui lo stesso si trovava sottoponeva il rapporto di servizio alle norme e agli istituti contrattuali dell’ordinamento del DPC in quanto datore di lavoro che ne ha utilizzato la prestazione: norme che – secondo la ricostruzione offerta dalla p.a. – non sarebbero state violate dall’amministrazione.

Con memoria di replica dell’11 novembre 2021, il ricorrente ha sostenuto l’infondatezza dell’eccezione di giurisdizione sollevata dalla PdCM, richiamando a sostegno delle proprie ragioni quanto affermato dalla Corte di Cassazione, SS. UU. 5 maggio 2014, n. 9573;
27 febbraio 2013, n. 4850;
e 6 marzo 2009, n. 5468.

Con riferimento all’eccezione di prescrizione, ha evidenziato la durata decennale del termine di prescrizione « come chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 19 aprile 2013, n. 7) », osservando che tale termine « non può dirsi scaduto stante il carattere permanente del comportamento abusivo tenuto dalla resistente nell’ambito del rapporto di lavoro instaurato dal 2001 al 2015 con il maresciallo M ».

Nel merito ha insistito per l’accoglimento del ricorso e ha ribadito di essere « inquadrato nei ruoli del Ministero della Difesa, pertanto è pacifica l’applicazione della normativa che regola il rapporto di lavoro del personale militare, come correttamente citata in ricorso ».

All’udienza pubblica del 3 dicembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. È fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione, per le ragioni di seguito illustrate.

Com’è noto, il personale militare rientra nel novero dei pubblici dipendenti esclusi dal processo di privatizzazione che ha interessato il pubblico impiego a partire dagli anni novanta (cfr. art. 2, l. n. 421/1992;
art. 2, d.lgs. n. 29/1993;
art. 2, d.lgs. n. 5646/1993;
art. 2, d.lgs. n. 80/1998;
e art. 3, d.lgs. n. 165/2001), con conseguente sottoposizione di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. art. 63, d.lgs. n. 165/2001 e artt. 133, c. 1, lett. i) c.p.a.).

Tale giurisdizione esclusiva – in forza del combinato disposto degli articoli sopra richiamati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza amministrativa – si estende a tutte « le controversie attinenti ai diritti patrimoniali connessi » (cfr. art. 63, c. 4, d.lgs. n. 165/2001), nonché alla cognizione delle azioni inerenti al risarcimento del danno derivante dalla violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.

È stata così affermata, ad esempio, la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle azioni di risarcimento del danno da c.d. mobbing , « a condizione che l’azione proposta possa qualificarsi in termini di responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di garanzia imposto dall’art. 2087 c.c. (C.d.S., Sez. VI, n. 3584/2012) nel caso di comportamenti vessatori adottati nell’esercizio del potere di supremazia gerarchica posto a regolazione dello svolgimento del rapporto di lavoro (C.d.S., Sez. IV, n. 5371/2015) e da ricondurre specificamente al rapporto di servizio », cfr. ex multis Tar Milano, III, 13 gennaio 2021, n. 97.

Parimenti, è stata riconosciuta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno per lesione dell’integrità psicofisica del militare determinata dalla violazione da parte del datore di lavoro pubblico degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. (cfr. Cass. Civ, SS. UU. n. 9573/2014, richiamata dal ricorrente a sostegno della propria tesi sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla vicenda odierna).

È opportuno sottolineare sin d’ora che l’affermazione della giurisdizione esclusiva del G.A. (sulle cui ragioni e limiti, v. Corte costituzionale, 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191), in tali controversie, ha come presupposti:

- il fatto che il rapporto di lavoro dei dipendenti esclusi dalla privatizzazione è regolato dalla legge, o, sulla base di essa, da altre fonti unilaterali;

- la circostanza che gli atti datoriali con cui l’amministrazione di appartenenza (nel caso dei militari, il Ministero della Difesa) gestisce il rapporto di servizio hanno la qualità di provvedimenti amministrativi.

Le controversie in materia di pubblico impiego non contrattualizzato sono quindi naturalmente assegnate alla cognizione del giudice amministrativo in quanto – al pari delle altre materie sottoposte alla giurisdizione esclusiva – sono « contrassegnate della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo », cfr. Corte costituzionale, n. 204/2004.

Proprio per le ragioni sopra indicate deve escludersi la sussistenza della giurisdizione del G.A. sulla controversia in oggetto, promossa sì da un soggetto che ricopre la qualifica di personale militare, ma che, trovandosi in posizione di comando presso altra amministrazione, ha svolto funzioni proprie del personale civile della stessa (sottratto alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 3 e 63, c. 1, d.lgs. n. 165/2001), con conseguente:

- sottoposizione del lavoratore (quantomeno rispetto a tutti i profili connessi alla gestione del “ rapporto di servizio ” e all’organizzazione del lavoro) a un potere datoriale di tipo privatistico ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 165/2001;

- rilevanza, ai fini della disciplina della prestazione del ricorrente, delle norme anche di stampo privatistico (CCNL) che regolano il rapporto di lavoro tra l’amministrazione presso cui il militare è distaccato e i propri impiegati civili addetti al medesimo ufficio.

A tal proposito, è opportuno ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato che la posizione di comando non muta il rapporto organico che continua a sussistere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, bensì modifica il cosiddetto rapporto di servizio, « essendo il dipendente comandato inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale che sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale esclusivamente presta la sua opera », cfr. ex multis Tar Marche, 8 ottobre 2007, n. 613.

Già da tempo, inoltre, è stato specificato che « la posizione di comando di un pubblico dipendente, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di impiego, ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché l’impiegato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza », e che, quindi, « fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera », così Consiglio di Stato, IV, 29 settembre 2003, n. 5545.

Ancora di recente è stato notato che, nell’ipotesi del comando, si ha una « dissociazione fra il rapporto d'ufficio, in forza del quale il comandato rimane un dipendente dell'amministrazione di provenienza ed il rapporto di servizio, in forza del quale l'attività viene prestata alle dipendenze dell'amministrazione comandataria », Trib. Perugia, lav. 12 marzo 2021, n. 78.

La scissione tra rapporto organico e rapporto di servizio che si verifica nelle ipotesi di comando fa sì che il militare comandato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento di Protezione Civile, sia sottoposto al medesimo potere direttivo che tale amministrazione esercita nei confronti di tutti i propri dipendenti « con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro » (art. 5, d.lgs. n. 165/2001), ovvero senza alcuna spendita di potere pubblico.

Ne discende, allora, che ogni pretesa del ricorrente derivante dall’esercizio delle prerogative datoriali, di natura privatistica, di organizzazione del lavoro da parte della PdCM (quali sono, senz’altro, la domanda di risarcimento per danni da usura psico-fisica determinati dal carico di lavoro straordinario e dall’organizzazione dei turni di lavoro, nonché la domanda di corresponsione di compensi per straordinari non pagati) debba essere azionata dal militare solo nei confronti della p.a. presso cui il lavoratore è distaccato (Tar Napoli, IV, n. 12979/2003) e necessariamente innanzi al giudice ordinario, proprio per l’assenza del presupposto che – come si chiarirà infra – ha giustificato l’attribuzione della giurisdizione esclusiva del G.A. nel settore del pubblico impiego non privatizzato.

2. Va osservato – per correttezza e completezza argomentativa – che la questione della giurisdizione sulle azioni proposte dai lavoratori pubblici comandati presso altro ente (pubblico e/o privato, ma sottoposto a diversa giurisdizione secondo le norme del tempo) è stata affrontata dalla Corte di Cassazione in alcune risalenti pronunce (Cass. Civ., SS.UU. 25 marzo 1986, n. 2107;
20 gennaio 1993, n. 642 e 12 dicembre 1998, n. 12543) nelle quali è stato rilevato che « il comando (o distacco) del pubblico dipendente, temporaneamente destinato a prestare la propria attività lavorativa presso un’amministrazione od un ente diversi da quello di provenienza, non comporta una novazione soggettiva dell'originario rapporto e la nascita di un nuovo rapporto con l'ente destinatario delle prestazioni, ma determina solo una modificazione oggettiva del rapporto originario, nel senso che l'ente datore di lavoro rinuncia alle prestazioni lavorative del dipendente, le quali vengono invece espletate a favore dell'ente (o amministrazione) di destinazione, che acquisisce il relativo potere (direttivo e disciplinare) » ed è stata affermata – ai fini della decisione su controversie aventi a oggetto « il pagamento di un compenso (o l'attribuzione di una determinata qualifica , con le conseguenti differenze retributive) » – la giurisdizione del giudice competente per l’originario rapporto di lavoro « atteso che il distacco, di carattere interinale e provvisorio, non vale (indipendentemente dalla sua durata) a determinare una modificazione qualitativa del rapporto di pubblico impiego con l'ente territoriale », cfr. Cass. Civ, SS.UU. 20 gennaio 1993, n. 642.

Tale regola – espressa dalla Corte con riferimento ad azioni instaurate prima della privatizzazione del pubblico impiego (e che vedevano convenuto in giudizio l’ente “ comandante ”) – per un verso, non può trovare applicazione nel caso di specie (attesa la peculiarità dei casi in cui è stata affermata) e, per altro verso, va comunque riconsiderata alla luce dei principi che hanno informato la privatizzazione del pubblico impiego e – più in generale – in considerazione della ratio che giustifica l’attrazione (e la permanenza) nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia di pubblico impiego non privatizzato.

È noto, infatti, che il processo di privatizzazione del pubblico impiego ha innovato la « disciplina sostanziale del pubblico impiego, trasformando un sistema disciplinato da fonti pubblicistiche in un sistema regolato tendenzialmente dalla disciplina giuslavoristica comune [e che] in particolare, gli atti di gestione ed organizzazione del rapporto di lavoro […] non hanno più natura autoritativa ma privatistica, da atti di imperio sono diventati atti di relazione incidenti su posizioni di diritto soggettivo, con conseguente devoluzione alla cognizione del giudice ordinario di tutte le controversie attinenti alla gestione del rapporto di lavoro », Tar Lecce, II, 6 maggio 2015, n. 1459.

Da tale processo di privatizzazione – e contrattualizzazione – sono rimasti esclusi rapporti di lavoro di varia natura, tra cui quelli dei militari, che restano sottoposti ad un regime pubblicistico. In tali settori, gli atti di gestione del rapporto di lavoro hanno conservato l’originaria natura provvedimentale (è noto, infatti, che, per tali carriere, i trasferimenti, le sanzioni disciplinari, i ricomputi stipendiali, le valutazioni in sede di avanzamento sono adottati con provvedimenti amministrativi e non già con determine privatistiche assunte con « le capacità e i poteri del privato datore di lavoro ») con conseguente permanenza nell’ambito di giurisdizione esclusiva del G.A. del relativo contenzioso.

È infatti evidente che – così come è stato, anche di recente, osservato in dottrina – la giurisdizione esclusiva del G.A. con riferimento al personale militare (prevista dagli art. 133 c.p.a. e 3 e 63, c. 4, d.lgs. n. 165/2001) è un coerente corollario della natura provvedimentale, e non privatistico-negoziale, degli atti di gestione di tali lavoratori.

È noto, d’altronde, che le ipotesi di giurisdizione esclusiva consentite dall’art. 103 Cost. – cui va ricondotta quella prevista dall’art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 in materia di pubblico impiego non privatizzato – richiedono la compresenza o coabitazione di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo legate da « un inestricabile nodo gordiano » (tale da giustificare l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di conoscere anche di diritti soggettivi), ovvero muovono dalla circostanza « che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo » (cfr. a tal proposito Corte costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006).

Da ciò discende, quindi, che le controversie nelle quali l’amministrazione non agisce spendendo potere pubblico, ma con atti negoziali o meri comportamenti estranei alla sfera pubblicistica, non possono essere attratte dalla giurisdizione esclusiva del G.A.

La delimitazione dei confini della giurisdizione esclusiva operata dalla Corte Costituzionale con le sentenze di cui sopra conduce a un’interpretazione dell’art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 133 c.p.a. che esclude dalla giurisdizione del G.A. le controversie, la cui causa petendi si fonda sul rapporto di servizio, promosse da militari (soggettivamente sottoposti alla giurisdizione esclusiva) distaccati presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza e ivi assoggettati, in concreto, a un potere di direzione e gestione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 (la cui cognizione appartiene alla giurisdizione ordinaria).

In conclusione, allora, non sussistono ragioni per applicare al caso di specie la regola sancita da Cass. Civ, SS.UU. 20 gennaio 1993, n. 642 – in fattispecie non del tutto sovrapponibile e in data antecedente alla privatizzazione del pubblico impiego e alle sentenze Corte. Cost. nn. 204/2004 e 191/2006 – e va affermata la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento all’azione proposta dal militare distaccato presso uffici della PdCM che faccia valere contro quest’ultima amministrazione pretese che trovano la propria origine nel rapporto di servizio.

3. È appena il caso di rilevare, infine, che le pronunce della Corte di Cassazione (Cass. Civ., SS.UU. n. 5468/2009, 4850/2013 e 9573/2014) richiamate dal ricorrente al fine di sostenere la giurisdizione di questo Tribunale riguardano fattispecie del tutto diverse da quella oggetto nel presente ricorso.

Segnatamente, la sentenza Corte di Cassazione, SS.UU. n. 5468/2009 è stata adottata in un ricorso proposto da un dipendente di un ente locale per il risarcimento del danno biologico patito a causa della violazione, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.

Le sentenze Corte di Cassazione, SS.UU. n. 4850/2013 e 9573/2014 sono state rese nell’ambito di azioni risarcitorie promosse, rispettivamente, da un agente di polizia e dagli eredi di un sottoufficiale dell’Esercito, al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionato dal datore di lavoro (rispettivamente, il Ministero dell’Interno e quello della Difesa) in violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.

Nessuna delle sentenze sopra richiamate, quindi, riguarda fattispecie in cui sussisteva una scissione tra rapporto organico e rapporto di servizio, né contiene affermazioni idonee a sostenere la giurisdizione di questo Tribunale.

Al contrario, la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU. n. 4850/2013, nell’affermare la giurisdizione del giudice amministrativo in una vicenda risarcitoria derivante dal cattivo esercizio da parte del Ministero dell’Interno dei propri poteri datoriali – in violazione, appunto, del generale obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. – ha giustificato la giurisdizione esclusiva, osservando che l’organizzazione del lavoro pubblico non privatizzato « è una materia nella quale coesistono e si intrecciano posizioni giuridiche riconducibili tanto al diritto soggettivo quanto all'interesse legittimo, che appunto per questo giustifica la deroga (arg. Corte cost. sent. n. 204 del 2004) ».

Ciò in quanto, come si è sopra argomentato, nell’ambito del lavoro pubblico non privatizzato gli atti di gestione dei rapporti di lavoro non sono adottati « con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro », ma sono necessariamente sottoposti ad un regime pubblicistico che – nel caso di militari e forze dell’ordine – è coessenziale alle particolari funzioni svolte da tale categorie di lavoratori (tutela dell’ordine pubblico e difesa della sicurezza nazionale) che si riflettono, giocoforza, sullo s tatus di tali dipendenti e giustificano il particolare regime cui gli stessi sono sottoposti.

Nulla di tutto ciò può essere rinvenuto nella vicenda odierna, avente a oggetto l’azione proposta da un militare comandato presso gli uffici del Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il risarcimento del danno patito a causa della pretesa violazione degli obblighi datoriali da parte della p.a. presso cui era comandato.

Si è già sottolineato, infatti, che nella gestione della prestazione di lavoro del ricorrente, così come di quella dei propri dipendenti civili addetti al medesimo servizio, l’amministrazione ha agito ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 165/2001 – senza esercizio di potere pubblico – e che tutta l’organizzazione delle prestazioni lavorative svolte (dal ricorrente così come dagli altri lavoratori impiegati nel servizio ma “di ruolo”) presso la “Sala Situazione Italia” è sottoposta alla disciplina privatistica, ivi compreso il relativo CCNL, che regola i rapporti di lavoro nel Dipartimento.

L’attrazione nella giurisdizione esclusiva del G.A. di una fattispecie come quella odierna – che importa, appunto, l’applicazione di disposizioni di CCNL (espressione e frutto di un modello negoziale, e comunque estranee alla cognizione tipica del giudice amministrativo) – non sarebbe affatto coerente con il modello tracciato dalla giurisprudenza costituzionale, ma anzi proietterebbe « il giudice amministrativo in una dimensione civilistica che fino a ieri costituiva territorio esclusivo del giudice ordinario, per giunta senza sottostare al controllo nomofilattico, che costituisce anche garanzia di parità di trattamento, della Corte di cassazione », cfr., ancora una volta, Corte costituzionale, n. 204/2004.

4. Alla luce delle suesposte considerazioni – impregiudicata ogni altra valutazione sulla fondatezza delle domande spiegate dal ricorrente nei confronti della Presidenza del Consiglio, Dipartimento di Protezione Civile – deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo in favore del giudice ordinario, presso il quale la causa potrà essere riproposta ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 c.p.a.

Attesa la novità e la complessità delle questioni affrontate, le spese di lite vanno compensate.

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