TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-11-10, n. 201512704

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-11-10, n. 201512704
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201512704
Data del deposito : 10 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00815/2015 REG.RIC.

N. 12704/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00815/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 815/15, proposto dal dott. A C, rappresentato e difeso dall’avv.ti A C, D L, F S e L M e con questi elettivamente domiciliato in Roma, via Vittorio Colonna n. 40, presso lo studio dell’avv. L,

contro

il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, e la Commissione esaminatrice del concorso a 250 posti di notaio, indetto con d.d. 22 marzo 2013, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono per legge domiciliati, nonché

nei confronti di

dott.ri Gian Simone Grasselli e Chiara Manzo, non costituiti in giudizio,

per l'annullamento

del provvedimento di mancata ammissione alle prove orali del concorso a 250 posti di notaio indetto con d.d. 22 marzo 2013;
della graduatoria dei candidati ammessi a sostenere le prove orali del concorso a 250 posti di notaio indetto con d.d. 22 marzo 2013, nella parte in cui non contempla il nominativo del ricorrente;
del verbale n. 42 del 28 gennaio 2014 della Commissione esaminatrice, nella parte in cui sono state corrette le prove scritte del ricorrente (busta n. 82) e quest’ultimo dichiarato non idoneo e dell’allegata scheda di valutazione;
del verbale n. 8 del 4 dicembre 2013 della Commissione esaminatrice, nonché di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e conseguenziale ai provvedimenti impugnati.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e della Commissione esaminatrice del concorso a 250 posti di notaio, indetto con d.d. 22 marzo 2013;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 4 novembre 2015 il Consigliere Giulia Ferrari;
uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:


FATTO

1. Con ricorso notificato in data 12 gennaio 2015 e depositato il successivo 16 gennaio il dott. A C ha impugnato, tra gli altri, il provvedimento di mancata ammissione alle prove orali del concorso a 250 posti di notaio indetto con d.d. 22 marzo 2013.

Espone, in fatto, di essere stato dichiarato “non idoneo” dalla Commissione esaminatrice per asseriti errori riscontrati nella lettura dei compiti e, conseguentemente, non è stato ammesso a sostenere le prove orali. Aggiunge che la suddetta Commissione esaminatrice , dopo la disamina della prima prova scritta, ha deciso a maggioranza di passare all’esame della seconda atteso che la riscontrata insufficienza della prima non presentava le gravità richieste dall’art. 11, comma 7, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166 per esprimere un giudizio di inidoneità. Anche nei riguardi della seconda prova scritta era stata espresso un giudizio di insufficienza non grave, che aveva consentito l’esame anche del terzo elaborato, conclusosi però con un giudizio di inidoneità, con conseguente non ammissione alle prove orali.

2. Ciò premesso, deduce le seguenti censure:

a) Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.;
Violazione, falsa applicazione degli artt. 10 e 11, d.lgs. 24 aprile 2005, n.166;
Violazione, falsa applicazione degli artt. 1 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241;
Violazione dei principi generali di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa e di salvaguardia del legittimo affidamento;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, d’istruttoria, di motivazione, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti.

La Commissione esaminatrice ha proceduto alla determinazione dei criteri di valutazione individuando dapprima le ipotesi di immediata esclusione (nullità dell’atto, gravi insufficienze);
ha poi proceduto alla fissazione dei più generali criteri di correzione delle prove, stabilendo le condizioni per il giudizio complessivo d’idoneità, ma in tal modo violando la ratio della normativa vigente, la quale fa obbligo alla Commissione di procedere innanzi tutto alla predeterminazione dei criteri di valutazione di idoneità degli elaborati dei candidati, ai sensi dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 e, solo dopo, all’individuazione dei criteri per affermarne invece la nullità o la grave insufficienza, in presenza delle quali soltanto può pronunciare un giudizio di non idoneità. A causa dell’erronea applicazione della normativa vigente il ricorrente è stato dichiarato inidoneo sulla base di una sola valutazione, cioè quella finale relativa all’ultimo elaborato, mentre avrebbe dovuto essere giudicato in base all’esame complessivo della sua preparazione, maturità e capacità risultante dall’insieme dei tre elaborati.

b) Sotto altri profili: violazione degli artt. 3. 24, 97 e 113 Cost.;
violazione, falsa applicazione degli artt. 10 e 11, d.lgs. n. 166 del 2006;
violazione, falsa applicazione degli artt. 1 e ss., l. n. 241 del 1990;
violazione dei principi generali di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa, di salvaguardia del legittimo affidamento;
eccesso di potere per difetto di presupposti, difetto d’istruttoria;
difetto di motivazione illogicità, contraddittorietà, travisamento, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, violazione dei principi d’imparzialità e buon andamento, sviamento.

Il ricorrente à stato ingiustamente valutato non idoneo atteso che il giudizio negativo espresso nei suoi confronti non trova riscontro nei contenuti dei relativi elaborati, per due dei quali il giudizio espresso è stato di insufficienza non grave. E’ ben vero che il giudizio espresso dalla commissione giudicatrice del concorso notarile non può formare oggetto di sindacato giurisdizionale, ma la giurisprudenza ha chiarito che questa regola non trova applicazione nei casi in cui emergano elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico, un errore di fatto, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Come è accaduto nel caso in esame ed è documentalmente comprovato.

c) Sotto altri profili: violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.;
violazione, falsa applicazione degli artt. 10 e 11, d.lgs. n. 166 del 2006;
violazione, falsa applicazione degli artt. 1 e ss., l. n. 241 del 1990;
violazione dei principi generali di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa, di salvaguardia del legittimo affidamento;
eccesso di potere per difetto di presupposti, difetto d’istruttoria;
difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà, travisamento, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, violazione dei principi d’imparzialità e buon andamento, sviamento.

Il ricorrente è stato vittima di una evidente disparità di trattamento da parte della Commissione giudicatrice atteso che dall’esame di alcuni elaborati di candidati dichiarati idonei sono emersi errori ed imprecisioni, ignorati in conseguenza di un trattamento di favore riservato agli stessi e negato al ricorrente.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero della giustizia che con memoria, depositata il 19 febbraio 2015, ha contestato le doglianze del ricorrente.

4. Con ordinanza del 26 febbraio 2015 è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato presentata dal ricorrente ed è stato ordinato all’Amministrazione di procedere alla riammissione del ricorrente alla procedura concorsuale, affidando ad una Commissione di concorso, in diversa composizione, la rivalutazione della prova tecnico-pratica di parte ricorrente come condizione per la riammissione alla procedura concorsuale.

Con ordinanza n. 1551 del 15 aprile 2015 la sez. IV del Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Ministero della giustizia e ha annullato l’ordinanza della Sezione.

5. Con memoria depositata il 24 settembre 2015 il Ministero della Giustizia ha ripreso e ampliato la sua motivata difesa dell’impugnato provvedimento.

6. Con memoria depositata il 3 ottobre 2015 e replica del successivo 13 ottobre 2015 il ricorrente ha contestato la motivazione addotta dal Consiglio di Stato, in essa ravvisando “il completo stravolgimento del sistema concorsuale pubblico, basato come noto sui principi di trasparenza, pubblicità, parità di trattamento, forma”.

7. I dott.ri Gian Simone Grasselli e Chiara Manzo non si sono costituiti in giudizio.

8. All’udienza del 4 novembre 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare deve essere stralciata dal fascicolo di causa, ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a., la memoria di replica depositata dal ricorrente il 13 ottobre 2015 (come comunicato alle parti ai sensi del comma 3 del citato art. 73). Ed invero, ai sensi del comma 1 del citato art. 73, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. q), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della parte resistente ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte ricorrente stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.);
la ratio legis si individua nell’impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell’evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l’espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica, con la conseguente impossibilità per l’avversario di controdedurre per iscritto (Cons. St., sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561). Nella specie l’ultimo atto difensivo dell’Amministrazione resistente è la memoria del 24 settembre 2015, al quale ha fatto seguito il deposito, da parte del ricorrente, della memoria del successivo 3 ottobre 2015.

2. Come esposto in narrativa, il dott. A C non è stato ammesso a sostenere le prove orali del concorso notarile per essere stato dichiarato non idoneo a conclusione della disamina delle sue prove scritte. In particolare, pur avendo avuto un giudizio complessivamente insufficiente relativamente alle prime due prove scritte (rispettivamente, atto mortis causa e inter vivos di diritto commerciale), ma non tanto gravi da precludere alla Commissione esaminatrice, ai sensi dell’art. 11, comma 7, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, di passare alla lettura del terzo elaborato (atto inter vivos di diritto civile), su quest’ultimo il giudizio è stato di “gravemente insufficiente”.

Con il primo motivo il ricorrente afferma che illegittimamente la Commissione esaminatrice, in palese violazione dell’art. 10, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, ha proceduto alla determinazione dei criteri di valutazione individuando dapprima le ipotesi di immediata esclusione (nullità dell’atto e gravi insufficienze) e fissando solo dopo i più generali criteri di correzione delle prove, stabilendo le condizioni per il giudizio complessivo d’idoneità.

Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione.

L’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 dispone che “La commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse”. La norma quindi non indica come i criteri devono essere predeterminati. Aggiungasi che nella seduta del 4 dicembre 2013 (verbale n. 8) la Commissione ha individuato prima le ipotesi di esclusione per inidoneità - id est la “nullità dell’atto, anche solo parziale, per ragioni di natura formale o sostanziale”, e “gravi insufficienze consistenti ….” - e poi ha indicato le “condizioni per il giudizio complessivo di idoneità”, debitamente elencandole. Quindi, essendo le condizioni per il giudizio di idoneità individuate nel dettaglio, e non in via residuale, non rileva averle indicate dopo quelle di inidoneità.

Il Collegio rileva altresì la corretta interpretazione che della disciplina dettata dall’art. 11, d.lgs. n. 166 del 2006 è stata data dalla Commissione.

Ed invero, il comma 7 del citato art. 11 dispone che “Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.

Il legislatore ha quindi espressamente chiarito che basta un elaborato gravemente insufficiente o nullo per il giudizio di inidoneità e, quindi, per precludere al concorrente di sostenere la prova orale. A fronte di tale principio diventa del tutto irrilevante stabilire quale sia la prova gravemente insufficiente o nulla, essendo comunque preclusivo a svolgere la prova orale un solo giudizio in tal senso negativo. Aggiungasi che una diversa conclusione – e cioè il ritenere che ove sia la terza prova ad essere gravemente insufficiente o nulla occorra tenere conto, ai fini del giudizio finale, anche delle precedenti due prove scritte – creerebbe una palese disparità di trattamento tra candidati. Ed infatti il concorrente, che ha avuto il giudizio negativo per nullità o grave insufficienza di uno dei primi due atti corretti sarebbe considerato inidoneo mentre il candidato, che ha avuto tale giudizio negativo sul terzo scritto corretto, avrebbe una valutazione finale resa sulle tre prove scritte in cui concorrono anche i giudizi resi sulle precedenti due prove.

3. Il secondo motivo di ricorso è volto a rilevare l’illegittima valutazione resa dalla Commissione sulle tre prove scritte.

Preliminarmente il Collegio deve dichiarare l’inammissibilità delle censure rivolte a sostenere la non corretta valutazione dell’atto mortis causa e di quello inter vivos di diritto commerciale. Ed infatti, per quanto argomentato sub 2, è sufficiente, ai fini della non ammissione alla prova orale, il giudizio di grave insufficienza reso nei confronti della terza prova scritta, id est dell’atto inter vivos di diritto civile. Ove pure, infatti, i primi due scritti, invece di essere giudicati “complessivamente insufficienti”, fossero ritenuti sufficienti, ciò non basterebbe al dott. C per essere ammesso alla prova orale, ostando il giudizio di “grave insufficienza” reso sul terzo atto (inter vivos di diritto civile).

Con riferimento al terzo elaborato, giudicato – ad avviso del ricorrente erroneamente – gravemente insufficiente il Collegio, richiamando principi ormai consolidati nella giurisprudenza del giudice amministrativo, ricorda che il giudizio della Commissione di concorso, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (Cons. St., sez. IV, 17 gennaio 2006, n. 172;
Tar Lazio, sez. I, 6 settembre 2012, n. 7590).

Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico dell’organo collegiale essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà. Deve, pertanto, ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

La mancanza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza e l’assenza del “travisamento dei fatti” invocato dal ricorrente preclude quindi al Collegio di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, valutazione che peraltro appare al Collegio, nella sua sinteticità, ben motivata sotto ogni profilo contestato. Come affermato dal Consiglio di Stato (sez. IV, ord., 1 aprile 2015, n. 1401), il giudizio concernente l'incompletezza dell'atto inter vivos di diritto civile è ancorato a incontestati elementi testuali, con la conseguenza che non appare connotato da travisamento e illogicità, risolvendosi in squisita valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, la considerazione del livello di gravità delle riscontrate incompletezze.

Giova ancora precisare che in sede cautelare la Sezione aveva ritenuto di poter valutare favorevolmente il motivo di ricorso – seppure in sede di sommaria delibazione – in considerazione della circostanza che la traccia della prova inter vivos di diritto civile non era di esemplare chiarezza e a tratti ambigua. Tale conclusione deve però essere superata in ragione della considerazione – effettuata dal Consiglio di Stato nel giudizio di appello sulla pronuncia cautelare resa da questa Sezione – che “la ambiguità della traccia, la cui formulazione rientra nella discrezionalità della commissione, è suscettibile di essere ovviata mediante indicazioni da parte della commissione stessa”. A tale arresto il Collegio intende adeguarsi.

4. Non è in grado di portare a diversa conclusione il deposito, agli atti di causa, di un parere pro veritate che, in relazione a ciascun elaborato del ricorrente perverrebbe, invece, ad un giudizio lusinghiero.

È consolidato, infatti, l'indirizzo giurisprudenziale circa la sostanziale irrilevanza dei pareri pro veritate al fine di confutare il giudizio delle Commissioni valutatrici, atteso che spetta in via esclusiva a queste ultime la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e che, a meno che non ricorra l'ipotesi residuale del macroscopico errore logico (nella fattispecie prima facie non rilevabile), non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua (Cons.St., sez. IV, 17 aprile 2009, n. 1853;
11 gennaio 2008, n. 71;
30 maggio 2007, n. 2781;
Tar Lazio, sez. I, 5 febbraio 2015, n. 2151;
Tar Molise 15 dicembre 2014, n. 702;
Tar Lazio, sez. I, 14 marzo 2012, n. 2503).

5. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche il motivo di disparità di trattamento, sollevato sul rilievo che la Commissione avrebbe valutato idonei elaborati scritti da altri candidati sulla stessa traccia con soluzione identiche a quelle di parte ricorrente, e ciò in quanto non è provata la perfetta identità di tali scritti, non solo come soluzione cui il candidato è pervenuto ma anche come supporto motivazionale della stessa. Sarebbe infatti sufficiente una diversa parabola argomentativa contenuta in due atti che pervengono alle stesse soluzioni per giustificare una differente valutazione. Come chiarito dal giudice di appello (sez. IV, ord., 25 febbraio 2015, n. 835), non è invocabile una pretesa disparità di trattamento rispetto ad altre posizioni in relazione alle quali, ove anche ne fosse dimostrata l’identità rispetto a quella dell’odierno ricorrente, dovrebbe concludersi nel senso dell’erroneità o illegittimità del giudizio (non invocabile, pertanto, quale precedente cui necessariamente conformarsi). In altri termini, a fronte di un elaborato gravemente insufficiente del ricorrente, un giudizio favorevole reso alla prova scritta – identica – di altro candidato non servirebbe a sanare gli errori in cui è incorso il ricorrente stesso ma rileverebbe, in ben altra sede, ai fini dell’indagine sul corretto comportamento tenuto dalla Commissione.

5. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.

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