TAR Roma, sez. 4B, sentenza 2022-05-17, n. 202206249

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 4B, sentenza 2022-05-17, n. 202206249
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202206249
Data del deposito : 17 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/05/2022

N. 06249/2022 REG.PROV.COLL.

N. 07544/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7544 del 2020, proposto da
E S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati L R P, A S, E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A S in Roma, via Vittoria Colonna n. 39;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la condanna

ex art. 30, comma 5, c.p.a., al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi derivanti dall'illegittima determinazione del Ministero dello Sviluppo Economico, a firma del Direttore Generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche, “concordata” con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, prot. n. 0023022 del 26.11.2012, comunicata alla ricorrente in data 29.11.2012, avente ad oggetto “Comunicazione di cessazione dell'attività di immissione in consumo di benzina e gasolio ai sensi dell'art.

2-quater del D.L. n. 2/2006, convertito in L. 81/2006 e s.m.i. - Istanza della Società Erg Oil Sicilia S.r.l.”, nonché dall'illegittimo D.M 29 aprile 2008, n. 110, in particolare quanto al suo art. 3, comma 4, nella parte in cui prevede che “i soggetti di cui al comma 1, che cessano l'attività di immissione in consumo di benzina e gasolio, sono tenuti comunque a garantire il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1, lettera b) per l'anno successivo all'ultimo anno solare di attività”, entrambi (determinazione direttoriale e decreto ministeriale) annullati dal TAR per il Lazio, Roma, Sez. III-ter, con sentenza n. 14324 del 12.12.2019, resa nel giudizio RG 1373/2013 notificata in data 24.12.2019, non impugnata e dunque già passata in giudicato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il dott. L D G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società ricorrente EOS S.r.l. (già ERG OIL Sicilia S.r.l.), costituita il 1° aprile 2010, operava nel settore della distribuzione di carburanti di origine fossile;
in tale ambito EOS, immettendo in consumo benzina e gasolio destinati all’autotrazione, era soggetta all’obbligo previsto dalla legge, di immettere sul mercato anche un quantitativo minimo di biocarburanti, prodotti a partire da biomassa ex art.

2-quater, comma 1, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2 ai sensi del quale “a decorrere dal 1° gennaio 2007 i soggetti che immettono in consumo benzina e gasolio, prodotti a partire da fonti primarie non rinnovabili e destinati ad essere impiegati per autotrazione, hanno l'obbligo di immettere in consumo nel territorio nazionale una quota minima di biocarburanti”, obbligo da definirsi tramite apposito regolamento delegato tramite cui stabilire “criteri, condizioni e modalità”.

Il Ministero delle Politiche Agricole con l’adozione del D.M. 29 aprile 2008, n. 110, avente ad oggetto il “Regolamento recante criteri, condizioni e modalità per l'attuazione dell'obbligo di immissione in consumo nel territorio nazionale di una quota minima di biocarburanti” prevedeva, proprio con riguardo all’obbligo di immissione di biocarburanti, che “i soggetti di cui al comma 1, che cessano l'attività di immissione in consumo di benzina e gasolio, sono tenuti comunque a garantire il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1, lettera b) per l'anno successivo all'ultimo anno solare di attività”.

EOS cessava definitivamente l’attività di immissione in consumo di carburanti a far data dal 3 settembre 2012: conseguentemente, con nota del 17 settembre 2012, comunicava la fine dell’attività al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali allora competente in materia, nonché al Ministero dello Sviluppo Economico, del quale era previsto il subentro nella competenza dal 1° gennaio 2013. Cessata l’attività, EOS formulava quindi specifica istanza di presa d’atto da parte dei Ministeri del venire meno dell’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti.

In risposta, con provvedimento del 26.11.2012 i Ministeri intimati comunicavano il rigetto dell’istanza e al contempo disponevano che EOS continuasse ad immettere in consumo biocarburanti anche per l’intero anno 2013 in base a quanto disposto dall’art. 3, comma 4, del suddetto D.M. 29 aprile 2008, n. 110, da interpretare nel senso di prevedere l’obbligo di immissione anche nell’anno successivo alla definitiva cessazione dell’attività di distribuzione di benzina e gasolio.

Sulla base di tale presupposto i Ministeri affermavano dunque che “nel caso oggetto dell’istanza è il 2013 l’anno successivo all’ultimo anno solare di attività ed in tale anno deve essere ottemperato quanto richiesto dalla normativa testè citata”;
secondo l’amministrazione pertanto EOS avrebbe dovuto “comunque” immettere in consumo biocarburanti anche per l’intero anno 2013.

A seguito di impugnativa della medesima EOS srl, questo Tribunale (Sez. III-ter), con sentenza n. 14324 del 12.12.2019, annullava sia la suindicata nota del novembre 2012 sia il Regolamento approvato con il D.M. n. 110 del 29.4.2008, invocato dagli stessi quale atto presupposto.

In particolare, la pronuncia accoglieva i motivi di impugnazione con i quali EOS aveva dedotto che l’imposizione dell’obbligo di immissione di biocarburanti anche in capo a un soggetto che abbia già cessato definitivamente l’attività, fosse incongruente con la stessa finalità della legge e della normativa comunitaria di cui essa costituiva recepimento.

Più precisamente si statuiva che:

- la possibilità “includere una determinata quota di energia da fonti rinnovabili nella loro produzione .. [o] nella loro offerta” (art. 2 della direttiva n. 2009/28/CE del 23 aprile 2009) è sostenuta dalla ratio “di sostenere l’utilizzo dei biocarburanti da parte degli operatori, promuovendo la miscelazione o la progressiva sostituzione dei carburanti tradizionali con una quota obbligatoria di biocarburanti con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili di importazione e di incrementare l’utilizzo delle nuove tecnologie energetiche”;

- “la previsione risulta irragionevole e sproporzionata in quanto l’obbligo di utilizzo di biocarburanti risulta giustificabile solo a fronte dell’immissione nel settore produttivo di combustibili fossili (e quindi dallo svolgimento di attività a maggior impatto ambientale) ma non, una volta conclusa l’attività, in assenza di attività incidenti sul piano energetico o ambientale;
in secondo luogo la detta disposizione attuativa appare priva di copertura legislativa in quanto, come esposto, la disposizione primaria (al pari delle sovraordinate previsioni di diritto europeo) collega l’imposizione dell’obbligo di utilizzo di biocarburante ad imprese effettivamente operanti (“soggetti che immettono”)”;

- la disposizione regolamentare impugnata “risulta quindi in contrasto con la disposizione legislativa, oggetto di attuazione, e comunque illegittima in quanto, al di fuori di una specifica previsione di legge e in misura eccentrica rispetto alla ratio della disciplina di settore, impone una prestazione economica (in forma diretta o attraverso l’acquisto di certificato presso parti terze) a carico di soggetti privati non più operanti nel settore de quo”;

Passata in giudicato la pronuncia di annullamento, con il presente ricorso la società chiede dunque di essere risarcita del danno subito dall’aver dovuto illegittimamente cedere al Ministero n. 14.055 certificati di immissione in consumo di biocarburanti in ragione della previsione regolamentare dichiarata illegittima, adempimento sostitutivo dell’immissione fisica di biocarburanti in commercio.

Si sono costituiti i Ministeri intimati concludendo per la reiezione del ricorso.

All’udienza pubblica del 12 aprile 2022 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Il ricorso deve essere accolto nei termini che seguono.

Va in primo luogo respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa erariale e fondata sulla circostanza che risulterebbe decorso il termine quinquennale ex art. 2947 c.c. (“il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”) in quanto dal giorno della risposta provvedimentale alla ricorrente (26.11.2012) al giorno in cui il risarcimento è stato richiesto (01.10.2020) sarebbero trascorsi oltre sette anni.

Va infatti osservato che la EOS srl ha tempestivamente impugnato l’atto lesivo e che il giudizio impugnatorio si è concluso nel 2019;
in questo caso la tempestiva domanda di annullamento dell’atto proposta al giudice amministrativo - prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria – è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria in quanto dimostra la volontà della parte di reagire all’azione amministrativa illegittima;
il Collegio ritiene quindi di dover aderire all’orientamento giurisprudenziale consolidato che attribuisce all’azione di annullamento effetto interruttivo ai sensi degli artt. 2943 e 2945 cod. civ. rispetto a quella di risarcimento dei danni consequenziali (cfr. Cons. Stato 394/2022, 1514/2019).

Giudicata tempestiva la domanda, il Collegio ritiene che nel caso di specie sussistano gli elementi di cui all’art. 2043 c.c. per ritenere integrata la fattispecie risarcitoria.

Nel caso odierno l’antigiuridicità dell’agire amministrativo non appare contestabile in quanto è stata definitivamente accertata dalla richiamata sentenza di questo Tribunale che – annullando la previsione regolamentare e l’atto applicativo suindicati – ha statuito sull’illegittimità dell’obbligo di immissione per l’anno 2021.

Sul piano eziologico non appare poi dubbio, in quanto incontestato, che l’imposizione dell’obbligo ha comportato un obbligo a carico della ricorrente, concretizzatosi in un esborso per l’acquisto dei titoli, costituente lesione patrimoniale direttamente dovuta alla previsione illegittima.

Quanto all’elemento soggettivo va riscontrato nell’operato dell’amministrazione un elemento di imputabilità, non giustificabile per assenza di cause esimenti, riconducibile in un primo tempo all’adozione di una previsione regolamentare irragionevole e in un secondo momento alla sua applicazione imponendo alla società Eos la prestazione non dovuta.

Alla società non può invece imputarsi, a titolo di concorso di colpa nel danno subito, la scelta di ottemperare all’indicazione dell’Amministrazione invece che restare inadempiente e attendere l’eventuale irrogazione della sanzione amministrativa;
l’acquisto dei titoli era infatti atto necessitato e imposto dalla previsione regolamentare che, illegittimamente, estendeva in forma autoritativa e non derogabile l’obbligo di immissione di biocarburanti.

Diversa valutazione deve essere compiuta con riferimento alla scelta della ricorrente di non proporre nel giudizio impugnatorio alcuna domanda cautelare.

Va osservato che ove nel giudizio impugnatorio la società avesse scelto di proporre istanza cautelare, tale istanza, se accolta, avrebbe evidentemente evitato l’acquisto dei certificati oggetto della pretesa risarcitoria e dunque il pregiudizio economico lamentato;
la mancata proposizione di una domanda sospensiva ha impedito in radice le chance di ridurre o impedire il concretizzarsi del pregiudizio economico lamentato;
l’omessa attivazione di un possibile strumento di tutela pone dunque in rilievo l’applicazione dell’art. 30, comma 3, c.p.a., secondo il quale “nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”, escludendosi “il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Per giurisprudenza consolidata la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, ora sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a., è, infatti, ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c. (“il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza": cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 2017, n. 5237);
tale principio trova applicazione anche per il giudice amministrativo (cfr. Adunanza Plenaria 3/2011) sul versante causale - relativamente all’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, tra cui quello cautelare - ritenuto che “anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica (…), che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno”;
rilevando, conseguentemente, che “l'utilizzo del rimedio appropriato coniato dal legislatore proprio al fine di raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile, costituisce, in linea di principio, condotta esigibile alla luce del dovere di solidale cooperazione di cui alla norma civilistica in esame” .

Nel caso di specie l’esperimento della tutela cautelare avrebbe potuto, secondo un ragionevole grado di probabilità, ridurre o eliminare l’entità del danno (da ultimo cfr. Cons. Stato n. 962/2021;
Cons. Stato n. 7699/2020);
il Collegio ritiene dunque che tale omissione, evidentemente imputabile alla scelta difensiva della ricorrente, costituisca una concausa dell’evento dannoso, assieme all’accertata illegittimità del regolamento oggetto di esecuzione, la cui applicazione costituisce la causa prevalente del fatto illecito;
il danno deve essere dunque per una percentuale equitativamente determinata - pari al 25% - causalmente ricondotto alle scelte difensive della ricorrente.

Ai fini della concreta quantificazione del danno, il Collegio ritiene in conclusione di poter fare applicazione della previsione di cui al comma 4 dell'art. 34, c.p.a., secondo cui, in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine.

A tal uopo il Collegio ordina al Ministero dello Sviluppo Economico di proporre alla ricorrente, entro 120 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, l'ammontare dell'importo spettante a titolo risarcitorio sulla base dei seguenti criteri:

- in primo luogo, vanno risarcite le spese effettivamente sostenute e dimostrate per l’acquisto dei titoli ceduti dall’amministrazione nei limiti del pregiudizio economico effettivamente subito;

- alla somma così determinata dovrà essere applicata una decurtazione del 25%, quale danno concausalmente determinato dalla scelta di non avvalersi della tutela cautelare nel giudizio impugnatorio;

- le parti dovranno inoltre valutare se la restituzione dei certificati illegittimamente pretesi comporti la restitutio in integrum della situazione lesa nei termini indicati e dunque possa far venir meno la necessità di un ristoro monetario;

- salva questa ultima ipotesi, sul quantum risarcitorio determinato, da intendersi quale debito di valore, dovrà essere computata la rivalutazione monetaria, con decorrenza dalla data della domanda e sino al giorno della pubblicazione della sentenza;
dovranno, inoltre, essere computati gli interessi nella misura legale dalla data di deposito della decisione sino all'effettivo soddisfo.

In conclusione, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere accolto, nei termini indicati in motivazione, e per l'effetto deve essere disposta la condanna del Ministero dello Sviluppo Economico al risarcimento del danno a titolo di responsabilità, proponendo in favore della parte ricorrente, entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, una somma di denaro determinata in base ai criteri indicati.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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