TAR Milano, sez. III, sentenza 2021-07-26, n. 202101828

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2021-07-26, n. 202101828
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202101828
Data del deposito : 26 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2021

N. 01828/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02519/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2519 del 2017, proposto da
POZZOLI FOOD s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato A V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

COMUNE DI ERBA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M L R ed E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

MINISTERO DEI BENI, DELLE ATTIVITA' CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, Via Freguglia, n. 1;

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Erba prot. n. 0024719 del 19 luglio 2017, recante rigetto della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica del 13 febbraio 2017 per la posa di insegna pubblicitaria sull'immobile commerciale della ricorrente ed ordine di rimozione della stessa;

del parere negativo istruttorio reso dalla Soprintendenza ai beni Ambientali della Lombardia del 7 giugno 2017 in merito all'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica del 13 febbraio 2017 per la posa di insegna pubblicitaria sull'immobile commerciale della ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Erba e del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2021 il dott. Stefano Celeste Cozzi, tenutasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, convertito con legge n. 176 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame, viene principalmente impugnato il provvedimento del 19 luglio 2017, con cui il Comune di Erba ha respinto l’istanza di compatibilità paesaggistica postuma 593D1C9A2" data-article-version-id="e1904a9f-74d9-577c-ab51-695f88164f31::LR3A6A12B22E7593D1C9A2::2008-04-09" href="/norms/codes/itatextc2jzvpf9k63v16/articles/itaart3fnohdf2zwsf1cd?version=e1904a9f-74d9-577c-ab51-695f88164f31::LR3A6A12B22E7593D1C9A2::2008-04-09">ex art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 presentata dalla ricorrente in data 13 febbraio 2017, istanza avente ad oggetto un’insegna pubblicitaria collocata sul tetto dell’edificio nel quale la ricorrente stessa svolge la sua attività commerciale.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Erba ed il Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo.

La ricorrente ed il Ministero hanno depositato memorie, insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza telematica del 22 giugno 2021.

Con il primo motivo di ricorso, l’interessata – dopo aver precisato di aver presentato l’istanza di compatibilità paesaggistica a soli fini collaborativi a seguito di una serie di contestazioni sollevate dagli uffici comunali – sostiene che, a suo giudizio, l’opera di cui si discute non necessiterebbe di previa autorizzazione paesaggistica, e ciò in quanto trattasi di opera non avente alcun impatto sul paesaggio collocata su un edificio non espressamente dichiarato di interesse storico o artistico, a sua volta inserito in un contesto non specificatamente tutelato né caratterizzato da valenze naturalistiche o di pregio storico-architettonico.

In proposito si osserva quanto segue.

Come noto, in base all’art. 146, secondo comma, del d.lgs. n. 42 del 2004, i soggetti che intendono intraprendere interventi su beni oggetto di vincolo paesaggistico hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi stessi e di astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione.

La norma, per consolidato orientamento giurisprudenziale, riguarda tutti gli interventi che possano avere una qualsiasi incidenza sul paesaggio e, quindi, tutti quegli interventi di modifica dei beni esistenti che siano visivamente percepibili da un osservatore esterno. Necessitano pertanto di preventiva autorizzazione tutti i lavori che importino modificazioni all'aspetto esteriore dei fabbricati inseriti in aree vincolate, attuati attraverso qualsiasi tipo di opera visivamente percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico (cfr. fra le tante T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 19 febbraio 2021, n. 478;
T.A.R. Campania Napoli sez. III 30 marzo 2020, n. 1293)

In questo senso dispone peraltro esplicitamente anche l’art. 149, lett. a) dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004 il quale, nell’individuare in via tassativa (cfr. Corte Costituzionale, 21 aprile 2021, n. 74) i casi di esenzione dall’obbligo di autorizzazione preventiva per le modifiche da apportare su edifici esistenti, vi include la sola ipotesi di interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici stessi.

Ciò premesso, si deve osservare che, come anticipato, l’intervento oggetto del presente giudizio consiste nella collocazione di una insegna pubblicitaria sul tetto dell’edificio all’interno del quale la ricorrente svolge la propria attività commerciale, insegna che, come emerge dalla documentazione fotografica depositata in giudizio (docc. 3a, 3b e 3c di parte ricorrente), risulta facilmente percepibile dall’osservatore esterno (e questa del resto è proprio la funzione svolta dalle insegne) e incide perciò in maniera determinante sull’aspetto esteriore del suddetto edificio. Ne consegue che, per le ragioni sopra illustrate, per la sua apposizione sarebbe stata necessaria l’autorizzazione prevista dal citato art. 146, secondo comma, del d.lgs. n. 42 del 2004.

Non rileva in senso contrario il punto A23 dell’allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017 atteso che tale previsione esclude dall’obbligo di preventiva autorizzazione le insegne collocate all’interno dello spazio vetrina, mentre, come ripetuto, l’insegna oggetto del presente giudizio è stata collocata sulla copertura dell’immobile.

Neppure è rilevante il fatto che le disposizioni di tutela (parte ricorrente cita l’art. 12 della NTA del piano territoriale di coordinamento del Parco Regionale della Valle del Lambro) non dispongano il divieto di collocazione di insegne, posto che ciò che unicamente rileva, ai fini della necessità della previa autorizzazione, è il solo fatto che l’intervento arrechi modificazioni all’aspetto esteriore degli edifici, mentre la sussistenza di una esplicita previsione di divieto sarebbe stata semmai determinante ai fini del diniego dell’autorizzazione stessa.

Va dunque ribadita, in tale contesto, l’infondatezza della censura.

Con il secondo motivo di ricorso, l’interessata deduce la violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, e ciò in quanto, a suo dire, il provvedimento impugnato sarebbe intervenuto dopo la formazione del silenzio assenso sulla sua istanza, ed avrebbe quindi inciso su un provvedimento tacito di accoglimento senza rispettare le condizioni previste dalla suindicata norma per l’esercizio del potere di autotutela.

Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata per le ragioni di seguito esposte.

Con l’istanza del 13 febbraio 2017, l’interessata ha attivato il procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica di un intervento già realizzato, disciplinato dagli artt. 167, commi 4 e 5, e 181, comma 1-quater, del d.lgs. n. 42 del 2004 (e non dall’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017 che riguarda il procedimento di rilascio dell’autorizzazione preventiva), i quali non prevedono la formazione del silenzio assenso. Ne consegue che, contrariamente da quanto ritenuto dall’interessata, il provvedimento impugnato non costituisce esercizio del potere di autotutela con conseguente inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Con il terzo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 nonché dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017 posto che l’Amministrazione avrebbe omesso di inviarle il preavviso di rigetto dell’istanza previsto dalle succitate norme.

Ritiene il Collegio che questa censura sia fondata per le ragioni di seguito esposte.

Come noto, l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 obbliga la pubblica amministrazione ad inviare al soggetto che ha formulato un’istanza una comunicazione con la quale vengano preventivamente esplicitate le ragioni che, secondo la stessa amministrazione, sarebbero ostative al suo accoglimento. Il mancato inoltro di tale preavviso rende il provvedimento finale illegittimo.

Questi principi, secondo la giurisprudenza, si applicano pacificamente anche ai procedimenti di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica di cui ai citati artt. 167, commi 4 e 5, e 181, comma 1-quater, del d.lgs. n. 42 del 2004, salvi i casi in cui sussistano nella fattispecie concreta elementi che rendano il potere vincolato e rendano, quindi, palese che, ai sensi dell’art. 21-octies, della legge n. 241 del 1990, il contenuto dispositivo del provvedimento finale non avrebbe comunque potuto essere diverso (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2020, n. 6300).

Nel caso concreto, la determinazione negativa assunta con l’atto impugnato non si basa su elementi che hanno reso il potere amministrativo vincolato (quale ad esempio la creazione di nuova volumetria) ma su valutazioni discrezionali relative alla compatibilità del manufatto con il vincolo esistente.

Ne consegue che l’amministrazione avrebbe dovuto inviare alla ricorrente il preavviso di rigetto e che, non avendolo fatto, ha violato l’art. 10-bis della legge n, 241 del 1990.

Va dunque ribadita la fondatezza della censura.

Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, viene dedotto il vizio di difetto motivazionale, per non aver né il Comune di Erba nel provvedimento principalmente impugnato, né la Soprintendenza nel proprio parere vincolante, indicato in maniera puntuale le ragioni che hanno indotto a ritenere che l’opera di cui si discute sia contrastante con i valori paesaggistici espressi dall’aera in cui essa è inserita.

Anche questa censura è fondata per le ragioni di seguito indicate.

Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui la motivazione dell'autorizzazione paesaggistica (o del diniego della stessa) deve consentire il riscontro dell'idoneità dell'istruttoria, dell'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e della non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata. Ne discende che il provvedimento di diniego di tale autorizzazione non può fondarsi su affermazioni apodittiche, ma deve invece dar conto delle ragioni per le quali si ritiene che la realizzazione dell’intervento comporti una compromissione dell'area protetta, accertando in concreto la sua compatibilità con il mantenimento e l'integrità dei valori dei luoghi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3207;
T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 29 marzo 2021, n. 296;
T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 30 luglio 2018, n.1635 ).

Questi principi sono stati estesi anche ai provvedimenti di accertamento postumo dalla compatibilità paesaggistica di opere abusive già realizzate, emessi ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 (si vedano in tal senso Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2858;
id, 18 gennaio 2019, n. 470;
id., 29 maggio 2018, n. 3207).

Nel caso concreto i provvedimenti impugnati si limitano a rilevare come le opere di cui è causa, “…per la loro natura e consistenza, arrechino sostanziale pregiudizio ai valori paesaggistici dell’area sottoposta a tutela e comportino il rischio di proliferazione” (parere della Soprintendenza del 7 giugno 2017).

Ritiene il Collegio che tale formula sia eccessivamente generica potendo la stessa essere astrattamente utilizzata per qualsiasi opera, e non consenta, quindi, di comprendere le ragioni concrete per le quali lo specifico intervento per il quale è stata proposta istanza sia stato ritenuto in contrasto con i valori paesaggistici espressi dall’area.

Deve dunque ribadirsi la fondatezza della censura.

In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento degli atti impugnati.

La particolarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

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