TAR Venezia, sez. III, sentenza 2012-02-03, n. 201200132
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N. 00132/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00692/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 692 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-O-, -O-e -O-, rappresentati e difesi dall'avv. M L T, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 25, comma 1, cod. proc. amm..
contro
Comune di -O-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti G C, R M, F S e G M, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 25, comma 1, cod. proc. amm..;
I.P.A.B. - Istituto assistenza anziani, rappresentato e difeso dagli avv.ti Massimo Guerra, Lorenzo Dalla Rosa, Eleonora Cicogna, Patrizia Orani e Giorgio Pinello, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, San Polo, 3080/L;
Ulss 20 di -O-, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Azzini, Amleto Cattarin e Alessandra Volpato, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Venezia, Santa Croce, 468/B;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
-O-, -O-, -O-, rappresentati e difesi dall'avv. Maria-Luisa Tezza, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 25, comma 1, cod. proc. amm.;
per l'annullamento
A) quanto al ricorso originario:
- della determinazione dirigenziale n. 043717 del 9 febbraio 2010 – prot. 003 del dirigente Centro responsabilità servizi sociali Comune di -O-;
- del “regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette” approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 10 marzo 2005, e successive modificazioni ed integrazioni;
- del sollecito di pagamento del 18 febbraio 2010 ricevuto in data 24 febbraio 2010.
B) quanto ai motivi aggiunti:
- della determinazione dirigenziale n. 176939 del 6 luglio 2010 del Comune di -O- e del regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 10 marzo 2005.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -O-, dell’I.P.A.B. - Istituto Assistenza Anziani e dell’Ulss 20 di -O-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2011 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Sig.ra -O-, nata nel 1912, ha vissuto nella propria residenza di via Montanara 3 a -O- fino al 2008, quando, riconosciuta invalida al cento per cento e bisognosa di assistenza continuativa, è stata inserita presso la Casa di riposo “Santa Caterina” dell’Istituto assistenza anziani di -O-.
Contestualmente al ricovero la figlia G ha sottoscritto un impegno al pagamento delle rette, cosicché, data l’insufficienza della pensione di reversibilità del marito di cui è titolare la Sig.ra -O- di € 630,00, i figli G e -O-hanno integrato la retta mensile (giunta fino ad € 1.875,50) per la differenza.
In data 26 gennaio 2010, il Sig. -O-ha comunicato al Comune di voler sospendere il pagamento dell’integrazione della retta diffidandolo contestualmente ad assumersi i relativi obblighi in favore della Sig.ra -O-.
Il Comune di -O- con nota del 15 febbraio 2010 ha affermato che, in base al proprio regolamento approvato con deliberazione consiliare n. 8 del 10 marzo 2005, al pagamento delle rette è tenuta la persona inserita nella struttura con tutto il proprio patrimonio, ed eventualmente, in caso di insufficienza delle risorse personali disponibili, i parenti tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c. e che solo laddove si ravvisino condizioni di impossibilità a provvedere da parte del contesto familiare, può ammettersi l’intervento suppletivo del Comune.
Tale nota è impugnata con il ricorso originario, unitamente al regolamento comunale, per le seguenti censure:
I) violazione degli artt. 6, comma 4, 22 e 25 della legge 8 novembre 2000, n. 328, del DPCM 14 febbraio 2001, della legge regionale 3 febbraio 1996, n. 5, nonché dell’art. 38 della Costituzione perché il regolamento esenta il Comune dall’integrazione economica cui è tenuto per legge;
II) violazione dell’art. 2 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, e dell’art. 24 della legge 8 novembre 2000, n. 328, carenza di istruttoria e travisamento, perché nulla può essere preteso dai figli che da anni vivono con un proprio ed autonomo nucleo familiare e la situazione economica da valutare è solo quella della Sig.ra -O-;
III) sviamento, illogicità, irragionevolezza, nonché violazione dei principi di equità e proporzionalità, e degli artt. 32, 38, 53 e 97 della Costituzione perché vengono pretesi a carico della Sig.ra -O- importi superiori alle risorse economiche disponibili e non sono indicati i criteri di determinazione della retta, nella quale risulta conteggiata una quota di spesa sanitaria che invece è a carico del servizio sanitario;
IV) violazione dell’art. 3, comma 2 ter, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, e dell’art. 53 della Costituzione, perché tali norme dispongono che per gli ultra sessantacinquenni non autosufficienti debba tenersi conto dei redditi del solo assistito inserito nella struttura, e perché l’omessa adozione del decreto del presidente del consiglio dei ministri previsto da tali norme non costituisce un ostacolo alla loro piena operatività;
V) violazione dell’art. 2, comma 6, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, dell’art. 433 c.c. e dell’art. 23 della Costituzione per l’improprio richiamo, contenuto nel regolamento, all’istituto degli alimenti disciplinato dagli artt. 433 e ss. cc.;
VI) violazione degli artt. 2 e 3 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, ingiustizia manifesta, irragionevolezza e sviamento perché il regolamento omette di considerare la nozione di “nucleo familiare” inteso come famiglia anagrafica, previsto dalla normativa statale, e introduce la diversa nozione di “nucleo familiare collegato” al fine di aumentare il numero di soggetti obbligati;
VII) violazione del DPCM 29 novembre 2001, del DPCM 23 aprile 2008, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e del Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 502 per l’improprio richiamo, al fine di sottrarre il Comune dagli obblighi concernenti l’integrazione economica, all’avvenuta sottoscrizione di un impegno di natura contrattuale di integrazione della retta, cui è peraltro condizionato il ricovero;
VIII) violazione della legge 8 novembre 2000, n. 328, erronea applicazione della legge regionale 20 luglio 1989, n. 22, illogicità, irragionevolezza e sviamento, perché la norma regionale invocata dal Comune è stata abrogata dalla citata normativa statale ad essa sopravvenuta.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di -O-, l’Istituto di assistenza anziani e l’Ulss n. 20 di -O-, eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse in quanto l’atto impugnato non è un provvedimento, e comunque per difetto di giurisdizione ove si intenda prescindere da un giudizio di tipo impugnatorio, concludendo per la reiezione del ricorso.
Successivamente la Sig.ra -O- con nota del 31 maggio 2010 ha formulato al Comune un’istanza volta ad ottenere la concessione di un intervento economico ad integrazione delle somme dalla medesima corrisposte per il pagamento delle rette per il ricovero nella struttura, facendo valere la propria condizione di non autosufficiente ultrasessanticinquenne con reddito da pensione di reversibilità di € 638,00 mensili.
Il Comune con nota prot. n. 176939 del 14 giugno 2010, non ha accolto l’istanza, invitando la Sig.ra -O-, o altro familiare, a presentare la domanda su un apposito modulo, richiamando l’art. 3 del regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette, in base al quale devono essere presentate le certificazioni I.S.E.E. dei figli Francesco e -O-, nonché del marito e dei figli di quest’ultima per valutare tutti i redditi disponibili.
Con motivi aggiunti tale nota è impugnata per le medesime censure, esposte nello stesso ordine, già formulate con il ricorso originario.
Il Comune e l’Istituto hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti, perché hanno ad oggetto una mera comunicazione contenente la richiesta di un’integrazione documentale, e non un atto provvedimentale.
I Sig.ri -O-, -O- e -O-, nipoti della Sig.ra -O-, sono intervenuti in giudizio formulando proprie censure, con le quali contestano la mancata integrazione da parte del Comune, la mancata considerazione economica del solo assistito, il ricorso alla nozione di nucleo “familiare collegato”, e la violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali.
L’Istituto di assistenza anziani ha eccepito l’inammissibilità dell’atto di intervento, se qualificato come intervento ad adiuvandum, perché formula autonome censure, anziché limitarsi a chiedere l’accoglimento di quelle proposte dai ricorrenti.
Alla pubblica udienza del 24 novembre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dell’atto di intervento perché gli intervenienti, in quanto parenti chiamati dal Comune a concorrere con i redditi propri alla determinazione della soglia di reddito sulla quale calcolare la necessità o meno di un’integrazione da parte del Comune, sono titolari di una autonoma legittimazione al ricorso non proposta nei termini di impugnazione.
Affermano infatti nell’epigrafe dell’atto di intervento di aver avuto conoscenza della nota prot. n. 176939 del 14 giugno 2010, il 2 agosto 2010, e l’atto di intervento è stato notificato dopo il 14 novembre 2010, data nella quale è scaduto il termine di decadenza per l’impugnazione della predetta nota.
2. Sempre in via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del ricorso originario.
Infatti questo ha ad oggetto non un diniego dell’attribuzione di contributi o risorse pubbliche, in quanto i ricorrenti agiscono avverso una nota del Comune che non è l’esito di un procedimento avviato sull’istanza formulata al Comune di disporre l’integrazione della retta dovuta per l’inserimento nella struttura della Sig.ra -O-, ma scaturisce dalla comunicazione unilaterale del Sig. -O-, figlio dell’assistita, di non voler più contribuire con risorse proprie al pagamento delle rette.
La nota impugnata consiste pertanto in un atto interlocutorio privo di carattere autoritativo - provvedimentale e che non è adottato nell’ambito di un procedimento amministrativo di cui i ricorrenti siano i destinatari.
Per completezza va soggiunto che un ricorso così caratterizzato non può essere neppure ricondotto nell’ambito delle controversie prive dello schema impugnatorio devolute al giudice amministrativo, perché la fattispecie non rientra nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva (per fattispecie analoghe Tar Veneto, Sez. III, 3 maggio 2011, n. 742;id. 16 novembre 2010, n. 6023 e 6041;Tar Sardegna, Sez. I, 8 settembre 2009 , n. 1472).
3. Non possono invece essere condivise le eccezioni di inammissibilità dei motivi aggiunti sollevate dal Comune e dall’Istituto assistenza anziani.
Infatti la nota impugnata con i motivi aggiunti non è un atto interlocutorio, ma si sostanzia in un vero e proprio arresto procedimentale che incide in senso negativo sull'interesse pretensivo sotteso all'emanazione del provvedimento.
Costituisce infatti un sostanziale diniego alla concessione di un contributo economico, consistente nell’integrazione per il pagamento della retta per l’inserimento nella struttura, che consegue alla domanda presentata direttamente dall’assistita.
Il ricorso per motivi aggiunti deve pertanto ritenersi ammissibile.
4. Nel merito il ricorso è fondato per le censure, che hanno carattere assorbente, di cui al primo e quarto dei motivi aggiunti.
Con il primo e il quarto motivo si lamenta la violazione delle norme di rango primario che prevedono che, con riguardo ai soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti, è possibile considerare la situazione economica del solo assistito per ciò che attiene alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e lamenta quindi l’illegittimità del regolamento comunale che fa invece indiscriminatamente riferimento alla situazione economica del nucleo familiare “ristretto” e “collegato”, intendendo, rispettivamente, la famiglia anagrafica e i parenti tenuti agli alimenti.
La questione è già stata esaminata in senso favorevole alla prospettazione contenuta nel ricorso anche da questo Tribunale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 7 giugno 2011, n. 950) che si è richiamato, condividendolo, all’orientamento più recente espresso dal Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5185;id. 16 marzo 2011, n. 1607;26 gennaio 2011, n. 551).
4.1 Partendo dal dato normativo, va infatti evidenziato che il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, in linea generale, adotta l'indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.) come criterio di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate, che fa riferimento ad informazioni del nucleo familiare di appartenenza, di cui fanno parte i soggetti che compongono la famiglia anagrafica.
L’art. 3, comma 1, del menzionato decreto legislativo, ammette inoltre che gli enti erogatori ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione, possano prevedere ulteriori criteri di selezione dei beneficiari.
Tuttavia per particolari situazioni, l’art. 3, comma 2 ter, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 3, comma 4, del Dlgs. 3 maggio 2000, n. 130, prevede che “limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell'articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”.
Per effetto di tale norma, al fine di determinare la contribuzione a carico dell’assistito, deve essere evidenziata esclusivamente la sua situazione economica, e non quella del nucleo familiare, qualora si tratti di prestazioni rese nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria, a domicilio o in ambiente residenziale di tipo diurno oppure continuativo, ed erogate in favore di persone con handicap permanente grave o di soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti.
In passato, in ragione del riferimento ad un apposito D.P.C.M. volto a definire i limiti di applicazione della norma nei confronti di disabili gravi e anziani non autosufficienti, si è dubitato dell’immediata applicabilità della norma nella parte in cui prevede che, in tali casi, si debba evidenziare la situazione economica del solo assistito e non più del suo nucleo familiare, applicando l'ordinario parametro dell’indicatore della situazione economica equivalente (cfr. quanto affermato in sede consultiva dal parere n. 569 reso nell’adunanza del 24 maggio 2009 dalla III Sezione del Consiglio di Stato).
La più recente giurisprudenza, cui il Collegio aderisce (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 7 giugno 2011, n. 950;Consiglio di Stato, Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5185;id. 16 marzo 2011, n. 1607;26 gennaio 2011, n. 551;Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 7 febbraio 2011 , n. 362), ha invece precisato che in realtà tale norma ha introdotto un principio immediatamente applicabile, in quanto il citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, può sì introdurre misure innovative per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, ma non sarebbe comunque abilitato, stante il tenore della legge, a stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione del solo assistito.
Ne consegue che, anche nelle more dell’adozione del decreto, opera tale principio idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, atteso che persegue lo scopo di assicurare una facilitazione all’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza.
Tale conclusione, peraltro, si pone in una linea di coerente continuità con i principi di valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile, sanciti dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, sui “diritti delle persone con disabilità”, ratificata con legge 3 marzo 2009 n. 18, e ciò costituisce un ulteriore argomento interpretativo a favore della tesi dell’immediata applicabilità.
Per tali ragioni sono quindi fondate e meritevoli di accoglimento le censure di cui al primo e quarto dei motivi aggiunti, alla luce delle quali devono ritenersi assorbite le censure di cui al secondo, quinto, sesto, settimo e ottavo dei motivi aggiunti, e deve conseguentemente essere annullato, quale atto presupposto, il regolamento approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 10 marzo 2005, e modificato con deliberazione del Consiglio n. 18 del 22 febbraio 2007, limitatamente alla parte in cui, relativamente ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, non tiene conto della situazione economica del solo assistito, come invece previsto dalla norma, di immediata applicabilità, di cui all’art. 3, comma 2 ter, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 109, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 3, comma 4, del Dlgs. 3 maggio 2000, n. 130, e deve altresì essere annullata, quale atto applicativo del regolamento, la nota dirigenziale n. 176939 del 6 luglio 2010, che costituisce un diniego a considerare la situazione economica del solo assistito.
5. E’ invece da respingere il terzo dei motivi aggiunti, ove si lamenta che la compartecipazione richiesta è maggiore dei redditi personali disponibili dell’assistita, perché il presupposto sul quale si fonda è privo di riscontri.
Infatti il regolamento all’art. 10 prevede delle modalità di calcolo per determinare l’importo mensile lasciato all’utente per le spese residue di carattere personale, e tale disposizione non è oggetto di specifiche censure volte a contestarne il fondamento o l’eventuale contrasto con norme di legge.
6. Le pretese restitutorie proposte dai parenti nei confronti dell’Istituto assistenza anziani, sono inammissibili perché esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si fondano su un atto negoziale intervenuto con l’Istituto quanto alla Sig.ra -O-, o su di un atto spontaneo (secondo quanto emerge dalla documentazione versata in atti) quanto al Sig. -O-, e rientrano pertanto nella cognizione del giudice ordinario.
Eguale sorte segue la domanda di risarcimento da fatto illecito proposta dai parenti nei confronti del Comune.
Infatti, nel caso di specie, i danni da fatto illecito non sono risarcibili nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, perché i parenti non sono i destinatari del provvedimento impugnato e fanno valere, ai fini risarcitori, non l’interesse pretensivo leso dal diniego del Comune all’integrazione delle rette, l’unico ristorabile in questa sede secondo le coordinate indicate dalle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. la sentenza 23 marzo 2011, n. 6594 che ha precisato che l’attrazione della tutela risarcitoria nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo “può verificarsi esclusivamente qualora il danno, patito dal soggetto che ha proceduto alla impugnazione dell'atto, sia conseguenza immediata e diretta - art. 1223 c.c. - della illegittimità dell'atto impugnato), ma la lesione di un diritto soggettivo, consistente nell’affidamento ingenerato dalla condotta del Comune, circa il loro obbligo di pagamento delle rette (in sostanza i parenti affermano che, se fossero stati resi edotti di non esserne tenuti, non avrebbero provveduto all’integrazione economica, facendo quindi valere un danno che, fondandosi su doveri di comportamento che non dipendono dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto che ne è responsabile, in realtà prescinde da valutazioni sull'esercizio del potere pubblico).
Nessun danno risarcibile è invece configurabile in favore della Sig.ra -O-, che, avendo redditi largamente insufficienti rispetto all’importo della retta, non ha versato somme che dovevano essere corrisposte dal Comune, al quale compete l’onere degli interventi economici integrativi tenendo conto della situazione economica della sola assistita.
Conclusivamente, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso originario, dell’atto di intervento, nonché delle pretese restitutorie e di risarcimento, mentre i motivi aggiunti devono essere accolti con conseguente annullamento del regolamento e del diniego con essi impugnati, nel senso sopra precisato.
Le spese di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni affrontate e delle oscillazioni giurisprudenziali intervenute sul punto controverso, possono essere integralmente compensate.