TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2020-06-01, n. 202005851

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2020-06-01, n. 202005851
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202005851
Data del deposito : 1 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/06/2020

N. 05851/2020 REG.PROV.COLL.

N. 05895/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5895 del 2010, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 17;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare datato 25 marzo 2010 e successivamente notificato, con il quale l’Amministrazione decretava la sospensione disciplinare dall’impiego del ricorrente per mesi due;

di ogni altro atto presupposto, conseguente e successivo;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 29 maggio 2020 la dott.ssa Antonella Mangia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 4 giugno 2010 e depositato il successivo 2 luglio 2010, il ricorrente impugna il provvedimento con cui, in data 25 marzo 2010, l’Amministrazione gli ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per mesi due “ai sensi degli articoli 30, 73 e seguenti della legge n. 113/1954”, chiedendone l’annullamento.

In particolare, il ricorrente espone quanto segue:

- in esito all’avvio di un procedimento penale per fatti risalenti agli anni 1994-1995, il Tribunale di Napoli emetteva la sentenza n. 734/2005, di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione;

- nella piena consapevolezza della sua innocenza, proponeva appello, il quale era, però, respinto dalla Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 1927/2009, di piena conferma della precedente pronuncia del Tribunale di Napoli;

- tenuto conto dell’intervenuta definizione del procedimento penale, il Comandante Logistico dell’Esercito dava avvio al procedimento disciplinare, disponendo la nomina dell’Ufficiale inquirente, il quale – al termine dell’inchiesta – redigeva un “rapporto finale”, in cui giungeva “al convincimento che … non vi sono prove, evidenze, riscontri sufficienti per stabilire, con ragionevole certezza, la” sua “sicura colpevolezza” e, pertanto, “proponeva una sanzione disciplinare di corpo esclusivamente in ragione del comportamento processuale” dal predetto tenuto “nel corso del giudizio” penale;

- tale proposta non veniva accolta dal Comandante Logistico dell’Esercito, il quale – con nota del 19 gennaio 2010 - proponeva al Direttore Generale per il Personale Militare l’irrogazione di una sanzione disciplinare di stato pari a quattro mesi di sospensione dall’impiego;

- nonostante, poi, la nota del 22 marzo 2010, avente ad oggetto gli “esiti dell’inchiesta formale disciplinare disposta” nei suoi confronti, con cui il Capo del 3° Reparto della 1° Sezione Ufficiali, 9° Divisione Disciplina della Direzione Generale per il Personale Militare – pur riscontrando “comportamenti disciplinarmente rilevanti” – rappresentava l’opportunità di tenere conto della non univocità dell’“atteggiamento disciplinare” assunto nei confronti “degli ufficiali commissari protagonisti della vicenda di cui si tratta” e, conseguentemente, invitava a non discostarsi dalla “tendenza a diminuire l’entità della sanzione in relazione al tempo trascorso dagli eventi” per non “creare disparità di trattamento che, in caso di eventuale contenzioso, potrebbe essere oggetto di giurisprudenza soccombente”, il Ministero della Difesa adottava il provvedimento impugnato.

Avverso tale provvedimento il ricorrente insorge deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, in quanto adduce - in sintesi - che il provvedimento de quo è stato adottato essenzialmente in aderenza alla proposta del Comandante Logistico dell’Esercito, formulata “sulla base di una accertata e mai dimostrata colpevolezza” del predetto, “senza motivare in alcun modo le ragioni che lo portavano a non aderire alla richiesta dell’Ufficiale Inquirente” e, ancora, senza “specificare quali fossero le responsabilità penali riscontrate” a suo carico, con messa in evidenza – in particolare – dell’illegittimità del provvedimento de quo per difetto di motivazione e contraddittorietà, nonché disparità di trattamento sulla base dell’asserzione che “a nessuno degli ufficiali coinvolti ed assolti con sentenza di prescrizione, nel processo de quo” risulta essere stata irrogata una sanzione disciplinare.

Con atto depositato in data 13 luglio 2010 si è costituito il Ministero della Difesa.

Con ordinanza collegiale n. 1131 del 2010 la Sezione ha disposto incombenti istruttori.

In adempimento all’ordine impartito, in data 23 ottobre 2010 l’Amministrazione ha prodotto documenti e, in particolare, una relazione, connotata, in sintesi, dal seguente contenuto: - l’avvio della vicenda penale risale al 1995, quando il Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano ha sottoposto il ricorrente, unitamente ad altri ufficiali commissari dell’Esercito, alla misura cautelare della custodia in carcere perché fortemente indiziato per il reato di “-OMISSIS-”;
- a fronte della richiesta di rinvio a giudizio da parte dei pubblici ministeri, il Tribunale di Milano emetteva una sentenza dichiarativa di “incompetenza territoriale” e, pertanto, gli atti venivano trasmessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
- in esito alla sottoposizione del ricorrente, dunque, a procedimento penale per “-OMISSIS-” con -OMISSIS-”, con sentenza del 25 maggio 2005 il Tribunale di Napoli “dichiarava il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per due episodi e, nel contempo, lo assolveva da tutti gli altri episodi contestati per non aver commesso il fatto”;
- tale sentenza era oggetto di appello da parte del ricorrente, “rinunciando alla prescrizione”, ma l’appello era respinto con sentenza del 13 marzo 2009;
- avviato il procedimento disciplinare, l’Ufficiale inquirente giungeva alla conclusione che gli addebiti riguardanti le “forniture” fossero infondati, mentre riteneva fondato l’addebito inerente al comportamento assunto nella vicenda giudiziaria e, quindi, proponeva l’irrogazione di una sanzione di corpo;
- il Comandante logistico dell’Esercito, in qualità di autorità militare competente ad effettuare la proposta di sanzione disciplinare ex art. 77 della legge n. 113 del 1954, riteneva, per contro, che “dalla lettura delle sentenze emergeva chiaramente che l’ufficiale era uno dei soggetti che partecipava al complesso sistema di -OMISSIS-” e, conseguentemente, proponeva – in distonia con la proposta dell’Ufficiale inquirente – l’adozione della sanzione disciplinare di 4 mesi di sospensione dall’impiego;
- tutto ciò detto, il provvedimento sanzionatorio è sicuramente motivato, riportando “una completa ed esaustiva” rappresentazione delle circostanze fattuali e dei principi disciplinari violati dall’ufficiale e, ancora, la “ratio” del discostamento dalla proposta dell’ufficiale inquirente, in stretta aderenza, tra l’altro, alle considerazioni del fatto riportate nella sentenza della Corte d’Appello, palesemente trascurate dal menzionato ufficiale, il quale – esprimendo una valutazione “del tutto soggettiva” – ha commesso un errore, “rilevato sia dal Comandante proponente che dall’autorità militare decidente”;
- nessuna disparità di trattamento è, ancora, riscontrabile, atteso che la visione completa della vicenda e, in particolare, la lettura del c.d. “quadro sinottico” evidenzia semplicemente la tendenza a “diminuire l’entità della sanzione” in relazione al tempo trascorso dai fatti e “tale tendenza poteva essere rispettata sia con una sanzione di corpo” che con una sanzione di stato.

Con ordinanza n. 3900 del 4 settembre 2010 il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare.

Tale provvedimento è stato confermato dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 5059 del 6 novembre 2010 (seppure, sulla base dell’insussistenza di “un pregiudizio grave ed irreparabile”).

A seguito del deposito ad opera del ricorrente di una memoria in data 28 aprile 2020, all’udienza di smaltimento del 29 maggio 2020 il ricorso è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto va respinto.

1.1. Come si trae dalla narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto con cui, in data 25 marzo 2010, il Ministero della Difesa gli ha irrogato la sanzione disciplinare di “stato” della sospensione dall’impiego per la durata di mesi due.

Segnatamente, il ricorrente denuncia i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, incentrandosi sul difetto di motivazione, sulla contraddittorietà e sulla disparità di trattamento.

Le censure formulate sono infondate per le ragioni di seguito indicate.

2. Ai fini del decidere appare opportuno ricordare che l’art. 73 della legge 10 aprile 1954, n. 113 – applicabile ratione temporis (ora vedasi l’art. 1357 del codice dell’ordinamento militare - d.lgs. n. 66 del 2010) – elencava le seguenti sanzioni disciplinari di stato:

“a) la sospensione disciplinare dall’impiego, di cui all’art. 30;

b) la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado, prevista dall’art. 52;

c) la perdita del grado per rimozione, di cui al n. 4 dell’art. 70”.

3. Secondo la giurisprudenza pressoché univoca del giudice amministrativo:

- “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità” (C.d.S., Sez. IV, 26 febbraio 2019, n. 1344;
C.d.S., Sez. II, 21 maggio 2018, n. 1332, id., Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858;
id., Sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791;
id., Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1968;
id., Sez. III 20 marzo 2015 n. 1537;
id., 14 marzo 2014, n. 1273);

- la valutazione della gravità dell’infrazione disciplinare commessa dall’incolpato e la determinazione della sanzione adeguata rientrano, dunque, tra gli apprezzamenti di merito, il cui giudizio è sì sindacabile nei ristretti limiti di cui sopra ma, in ogni caso, non può prescindere e, anzi, deve essere necessariamente sorretto da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 16264/2002;
id., n. 12366/2001, come richiamate da ultimo in Cons. Stato, Sez. II, 9 luglio 2018, n. 1770), posto che la “motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile” (C.d.S., Sez. I, Ad. 20 marzo 2019, n. 981/2019);

- per l’ipotesi in cui l’interessato abbia subito un processo penale, conclusosi con il proscioglimento, “a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione”, “in sede disciplinare, l’Amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare” (C.d.S., Sez. IV, 24 marzo 2020, n. 2048);

- del resto, è noto che la sentenza penale dichiarativa dell’intervenuta prescrizione non ha natura ed effetti di «proscioglimento» di merito, avendo essa valenza esclusivamente processuale. Pertanto, in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione, l’Amministrazione - in sede di procedimento disciplinare – ha piena facoltà di prendere in considerazione le risultanze processuali acquisite nel giudizio penale, ferma restando la necessità di autonoma valutazione estrinsecata in adeguata motivazione del provvedimento sanzionatorio (C.d.S, Sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2189;
TAR Trento Trentino Alto Adige, Sez. 1, 14 giugno 2012 n. 194);

- a conferma della correttezza di tale modus procedendi depone, peraltro, la constatazione che l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione presuppone, sempre e in ogni caso, che il giudice penale, pur avendo proceduto - come dovuto - ad una compiuta valutazione dei fatti, non abbia rilevato la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 129, comma 2, c.p.p., il quale – come noto - impone l’obbligo di emettere una sentenza di “assoluzione” anche in presenza di una “causa di estinzione del reato” quando “dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato”.

4. Tutto ciò detto, va osservato che:

- come risulta dal tenore letterale del provvedimento impugnato, l’Amministrazione ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare di stato di due mesi di sospensione dall’impiego “valutato che l’addebito contestato ha trovato riscontro negli atti del procedimento disciplinare e che, dall’esame delle” sentenze emesse dal giudice penale, “l’inquisito, sebbene debba considerarsi non colpevole perché non è stata emessa alcuna condanna può, nel fatto, essere considerato responsabile di comportamenti disciplinarmente rilevanti, avendo l’A.G., in motivazione, provato la sua penale responsabilità”, ritenendo, ancora, che, “in ossequio ai principi di eguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3 della Costituzione, di equità e di imparzialità dell’azione disciplinare nei confronti del personale militare e di buon andamento della pubblica amministrazione, a fronte di una tale condotta, appare maggiormente congruo e proporzionato un provvedimento disciplinare di stato quantitativamente meno gravoso rispetto a quello proposto dal Comandante logistico dell’Esercito”;

- tra i “visti” del provvedimento de quo figurano, ovviamente, “gli atti dell’inchiesta formale e la proposta dell’ufficiale inquirente di infliggere un adeguato provvedimento disciplinare di corpo” nonché “la proposta di definizione della posizione disciplinare dell’ufficiale inquisito del Comandante logistico dell’Esercito di infliggere mesi 4 (quattro) di sospensione disciplinare dall’impiego”.

- tra gli stessi “visti” figurano, ancora, le sentenze n. 734/05 del Tribunale di Napoli e n. 1927/09 della Corte di Appello di Napoli, di “non doversi procedere per intervenuta prescrizione”, a seguito, peraltro, di un accurato esame dei fatti e della condotta del ricorrente, il quale ha portato – in particolare – la Corte d’Appello ad affermare - “sulla scorta delle acquisizioni probatorie del giudizio di primo grado, tutte adeguatamente valutate nella sentenza gravata” – l’impossibilità di condividere “i rilievi difensivi di merito giacché dalla disamina di siffatte emergenze è agevole identificare gli elementi costitutivi a carico di tutti gli imputati”, precisando, nel prosieguo, che “risulta accertata e certamente non contraddetta da prova contraria – e neanche contestata dagli interessati nei motivi di gravame - la sistematicità delle dazioni economiche da parte degli imprenditori aggiudicatari degli appalti per forniture militari sia ai componenti delle commissioni di collaudo che agli altri soggetti …. che si inserivano funzionalmente nel procedimento condizionandone concretamente il risultato. Tra questi sicuramente gli ufficiali periti”, ossia - tra gli altri - il ricorrente.

Tenuto, dunque, conto non solo dei contenuti del provvedimento de quo ma anche di quanto riportato negli atti presupposti e, in particolare, nelle sentenze emesse dal giudice penale, il Collegio ravvia validi motivi per affermare non solo che il provvedimento in trattazione risulta adeguatamente motivato ma anche che lo stesso provvedimento poggia sulla base di una valutazione dei fatti ragionevolmente coerente con le risultanze processuali acquisite nel giudizio penale.

Specificamente, si afferma che:

- l’attività di indagine dell’Ufficiale inquirente e, conseguentemente, la redazione da parte di quest’ultimo del rapporto finale costituiscono una mera fase del procedimento disciplinare;

- sussiste certamente l’obbligo di tenere conto del rapporto finale dell’Ufficiale inquirente ma – come ammesso dallo stesso ricorrente - il Comandante Logistico ha piena facoltà di discostarsi dalle conclusioni riportate nel rapporto de quo, formulando - nell’esercizio dei poteri di cui risulta titolare - la proposta finale;

- preso – in altri termini – atto che anche il Comandante Logistico deve procedere alla valutazione degli atti dell’inchiesta, è certamente doveroso riconoscere che la proposta dal predetto formulata debba essere motivata ma, nel contempo, non si ravvisano motivi per configurare un vero e proprio obbligo a carico dello stesso di procedere alla rappresentazione specifica e dettagliata delle ragioni per le quali la proposta de qua si discosti o, comunque, non risulti aderente alle conclusioni dell’Ufficiale inquirente, tanto più ove si consideri che le ragioni de quibus ben si prestano ad essere evinte dai contenuti della proposta stessa;

- ciò detto, nel caso di specie la proposta del Comandante Logistico risulta motivata, avendo, peraltro, cura di aggiungere che la stessa proposta – a differenza del rapporto finale dell’Ufficiale inquirente (il quale – in verità – induce a riscontrare una vera e propria rivalutazione dei fatti contestati all’inquisito, autonoma o, meglio, non strettamente aderente ai fatti, per come ricostruiti e, quindi, riportati nelle sentenze penali) – si presenta ragionevole, tenuto conto - in particolare - delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale;

- in ogni caso, non può essere sottaciuto come, al fine di valutare la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, rivesta carattere dirimente non tanto il confronto tra il rapporto finale dell’Ufficiale inquirente e la proposta del Comandante logistico, quanto la disamina del provvedimento finale. Orbene, nell’ipotesi in trattazione il provvedimento de quo si palesa esente dai vizi denunciati, riportando un’adeguata esposizione delle ragioni poste a supporto della decisione adottata, le quali si profilano coerenti non solo con gli atti del procedimento disciplinare e con le risultanze del processo penale ma anche con la nota del 22 marzo 2010 del Capo del 3° Reparto della 1° Sezione Ufficiali, 9° Divisione Disciplina della Direzione Generale per il Personale Militare (di invito, tra l’altro, a non discostarsi dalla “tendenza a diminuire l’entità della sanzione in relazione al tempo trascorso dagli eventi”);

- per quanto attiene, poi, alla disparità di trattamento, è sufficiente una veloce disamina del quadro sinottico, prodotto in giudizio dall’Amministrazione (cfr. all. 7 dei documenti depositati in data 23 agosto 2010) per rilevarne l’infondatezza. A ulteriore conferma dell’infondatezza della censura in esame depone, tra l’altro, la constatazione che la sanzione inflitta risulta inferiore a quella proposta dal Comandante Logistico.

5. Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del Ministero della Difesa in € 1.500,00.

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