TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2017-11-07, n. 201705239
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Testo completo
Pubblicato il 07/11/2017
N. 05239/2017 REG.PROV.COLL.
N. 12317/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12317 del 2002, proposto da:
G M, rappresentata e difesa dagli avvocati A A, A C, V V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S C sito in Napoli, viale Gramsci 16;
contro
Ministero dei Beni Architettonici e per il Paesaggio, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso, come per legge, dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli alla via A. Diaz n. 11;
per l'annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza di Salerno e Avellino, del 29.08.2002 con cui si è annullata l’autorizzazione paesaggistica concessa dal Comune di Praiano (SA) in relazione a lavori di “prolungamento dell’ascensore dell’hotel Holiday al terrazzo solarium di copertura in via Umberto I n. 105”;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2017 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO e DIRITTO
1.1. Il ricorso è mosso da GALLO Marianna avverso il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza di Salerno e Avellino, del 29.08.2002 con cui si è annullata l’autorizzazione paesaggistica concessa dal Comune di Praiano (SA) in relazione a lavori di “prolungamento dell’ascensore dell’hotel Holiday al terrazzo solarium di copertura in via Umberto I n. 105”.
1.2. La parte ricorrente censura:
I) l’illeggibilità e l’invalidità della sottoscrizione apposta con una sorta di “croce” da parte del Soprintendente;
II) la violazione di legge in quanto l’atto avrebbe dovuto essere sottoscritto dal direttore generale del Ministero e non dal Soprintendente delegato;
III) l’incompetenza poiché il potere di annullamento spetterebbe esclusivamente alla Regione e non al Soprintendente;
IV) il difetto di motivazione del provvedimento in quanto si fa riferimento a un immobile da “sanare” allorché ogni altra opera è perfettamente legittima, discutendosi in questa sede della sola installazione dell’ascensore con relativo torrino;
V) la violazione di legge per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento;
VI) l’illegittimo sconfinamento nel merito del potere Soprintendentizio che avrebbe, invece, dovuto essere limitato a una valutazione di stretta legittimità;
VII) la mancata considerazione dell’essere l’opera destinata alla rimozione di barriere architettoniche, non potendosi far ricorso ad altri sistemi di elevazione a tal fine;
VIII) la violazione del termine di 60 giorni di cui all’art. 151 co. 4 del d.lgs. 490/1999.
1.2. L’Amministrazione intimata, con articolata memoria di costituzione, eccepisce l’incompetenza territoriale della sede di Napoli a favore della staccata di Salerno e, nel merito, richiede rigettarsi il ricorso.
1.3. Con ordinanza del 07.06.2000, era respinta l’istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento.
1.4. Con decreto n. 2602/2013, il ricorso era dichiarato estinto per perenzione;la perenzione era, poi, revocata, con decreto 4894/2016, in relazione alla presentazione della prevista manifestazione di interesse alla decisione.
1.5. All’udienza dell’11.01.2017, la parte ricorrente ribadiva il proprio interesse alla decisione. All’esito dell’udienza pubblica del 25.10.2017, la causa era trattenuta in decisione.
2. In primo luogo, occorre rappresentare che l’eccezione di incompetenza della sede di Napoli a favore della sezione staccata di Salerno è tardiva e, in quanto tale, inammissibile poiché è stata sollevata oltre i 45 giorni dalla notifica del ricorso (v. art. 32 L. 1034/1971: essa è avvenuta in data 12.11.2002 mentre la memoria di costituzione con cui si è sollevata l’eccezione è stata depositata in data 11.01.2003).
3.1. Nel merito, è infondata la prima censura, relativa alla illeggibilità della sottoscrizione, in quanto l’identità e la qualità del sottoscrittore dell’atto (il soprintendente F P) sono indicate con esattezza e non è intervenuto alcun disconoscimento da parte dell’amministrazione;conseguentemente, il provvedimento deve essere ritenuto riconducibile all’indicato organo della P.A. senza che possa residuare alcuna incertezza circa l’attribuibilità dell’atto all’amministrazione.
3.2. Giova rammentare, in merito, che anche la giurisprudenza di legittimità civilistica ha affermato che l'atto amministrativo non è invalido solo perché privo di sottoscrizione, in quanto la riferibilità dell'atto all'organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato può essere desunta anche dal contesto dell'atto stesso (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva annullato un provvedimento di diniego di condono esclusivamente in ragione dell'assenza di firma, omettendo qualunque ulteriore verifica: Cassazione, Sezione VI, sent. n. 11458 del 06.07.2012, riportata in Consiglio di Stato, sez. IV, 04/12/2012, n. 6190).
4.1. Parimenti infondati sono i mezzi relativi alla pretesa incompetenza della Soprintendenza a favore della Regione e del Ministero.
4.2. L’art. 151 co. 4 del d.lgs. 490/1999, vigente ‘ratione temporis’, infatti, prevedeva espressamente il potere ministeriale di annullamento (« le regioni danno immediata comunicazione delle autorizzazioni rilasciate alla competente soprintendenza, trasmettendo contestualmente la relativa documentazione. Il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa comunicazione ») e, per altro verso, il D.P.R. 441/2000, art. 14 co. 3, recante l’allora vigente regolamento di organizzazione del Ministero dei beni culturali attribuiva al Soprintendente il potere di annullamento in questione.
5.1. Le censure sub IV, sub VI e sub VII – che riguardano il difetto di motivazione del provvedimento e il suo “sconfinamento” nel merito - sono anch’esse infondate.
5.2.1. In primo luogo, occorre rilevare che il provvedimento indica esattamente le opere a cui si riferisce, precisando che il torrino dell’ascensore, poiché raggiunge un’altezza superiore rispetto al parapetto che delimita il terrazzo di copertura, costituirebbe un’alterazione del paesaggio incompatibile con il vincolo esistente nell’area.
5.2.2. Non v’è dubbio, quindi, che non sussistano difetti motivazionali o istruttori circa la corretta individuazione dell’opera.
5.3.1. In secondo luogo, sebbene sia corretta la tesi che limita il sindacato della Soprintendenza alla legittimità dell’autorizzazione comunale (v. per una più compiuta ricostruzione, T.A.R. Campania, Napoli, IV sezione n. 979/2015), occorre ribadire che i rilievi dell’autorità tutoria circa la compatibilità dell’opera ben possono valere a evidenziare, anche implicitamente, i vizi dell’autorizzazione annullata.
5.3.2. La lettura del provvedimento non lascia, invero, dubbi nel senso che la Soprintendenza abbia inteso sanzionare l’atto annullato in relazione a dei chiari vizi istruttori e di motivazione. Per quanto, infatti, il Comune abbia effettuato un’attività istruttoria culminata in alcune richieste di modifica del progetto e nell’apposizione di alcune condizioni alla realizzazione dello stesso, il provvedimento di autorizzazione è, in sostanza, immotivato limitandosi a prendere atto del parere favorevole della C.E.I., basato esclusivamente in rapporto all’ «adeguamento del progetto alle richieste avanzate» (v. provvedimento comunale annullato, in atti).
5.3.3. Nel nulla osta comunale, risulta, invero, assente una specifica motivazione in merito alla compatibilità paesistica del torrino, che, pure, raggiunge un’altezza superiore all’edificato preesistente, e non si dà conto della mancata attestazione della liceità dei manufatti già presenti sul terrazzo di copertura e dell’incompletezza dei grafici rispetto allo stato dei luoghi rappresentato nella documentazione fotografica (v. il provvedimento impugnato).
5.3.4. Il provvedimento impugnato, quindi, appare correttamente riferibile a degli specifici vizi dell’autorizzazione comunale con la conseguenza che deve respingersi la tesi attorea secondo cui vi sarebbe stato un illegittimo sindacato di merito.
5.4. In terzo luogo, va precisato che non incide su tale valutazione la mancata considerazione dell’eliminazione delle barriere architettoniche e ciò sia perché le norme di riferimento non contemplano alcuna deroga alla tutela del vincolo paesaggistico in rapporto alla finalità indicata sia perché l’impossibilità di ricorrere a diverse tipologie di sistemi di elevazione non appare adeguatamente documentata dalla parte ricorrente (la relazione tecnica di parte, del 21.11.2001, ricollega tale necessità alla preesistenza dell’ascensore su quella verticale, ma non esclude la possibilità di applicare diversi sistemi di elevazione, ad esempio, nelle scale esistenti).
6.1. Quanto all’omessa comunicazione di avvio del procedimento, va detto che, essendosi il procedimento concluso con provvedimento del 29.08.2002, non era necessaria alcuna comunicazione di avvio del procedimento.
6.2. La relativa disciplina, infatti, è stata modificata, nel senso della non necessità della comunicazione, prima della conclusione del presente procedimento a opera del D.M. 165/2002 (pubblicato in G.U. il 02.08.2002) che ha modificato, introducendo il co. 1 bis, l’art. 4 del D.M. 495/1994 (“ regolamento concernente disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della L. 7 agosto 1990, n. 241 ”;v. l’art. 4 co. 1 bis: « la comunicazione prevista dal comma 1 non è dovuta per i procedimenti avviati ad istanza di parte, ed in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli …, 151, 154 e 157 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, anche quando l'istanza è stata previamente valutata da una diversa amministrazione, in applicazione di norme di legge o di regolamento »).
6.3. Quand’anche, tuttavia, si ritenesse non (ancora) operante la predetta modifica normativa (intervenuta nelle more della conclusione del procedimento), il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui, nel vigore della precedente disciplina, l’indicazione dell’invio del provvedimento comunale all’autorità tutoria tenesse luogo della comunicazione dell’avvio del procedimento in ossequio al principio di raggiungimento dello scopo (v., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 30/08/2011, n. 4841): risultavano, infatti, comunque soddisfatte le garanzie conoscitive finalizzate alla partecipazione al procedimento coerentemente agli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, VI, 7 gennaio 2008, n. 30;18 agosto 2010, n. 5874).
7.1. Da ultimo, è infondata la censura relativa al mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui al menzionato art. 151 d.lgs. 490/1999. L’istanza del Comune risulta, infatti, pervenuta al Ministero dei beni culturali (v. richiesta di integrazione documentale) in data 11.01.2002, il Ministero ha richiesto una corposa integrazione documentale in data 01.03.2002 e l’integrazione è stata, poi, resa in data 01.07.2002.
7.2. È da tale ultima data, quindi, che va calcolato il termine di sessanta giorni, essendo pacifico che la richiesta di integrazione documentale integri una causa di interruzione del termine medesimo.
7.3. Pertanto, il provvedimento è stato adottato, nei termini di legge, il 29.08.2002, dovendosi considerare, a tal fine, il momento di adozione del provvedimento stesso e non la successiva fase della sua notifica in quanto essa attiene al profilo dell’integrazione dell’efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento (v. Consiglio di Stato sez. VI, 04/10/2013, n. 4900 e T.A.R. Campania sez. IV n. 2094/2017).
8.1. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto.
8.2. Le incertezze giurisprudenziali e la stratificazione normativa che ha interessato, in particolare, l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento in simili ipotesi impongono la compensazione delle spese di lite.