TAR Catania, sez. IV, sentenza 2015-11-11, n. 201502609

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2015-11-11, n. 201502609
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201502609
Data del deposito : 11 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00340/2015 REG.RIC.

N. 02609/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00340/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 340 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
P G, nella qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dagli avv.ti G M e G A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. La M in Catania, via Perugia n. 10;

contro

Comune di Modica, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Dell'Ali Miriam, con domicilio eletto presso Scuderi Ignazio in Catania, Via V. Giuffrida, 37;

per l'annullamento

con il ricorso principale

- dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Modica n. 2/OR del 2 gennaio 2015 avente ad oggetto servizio di raccolta e trasporto RSU, Nettezza Urbana ed Accessori del Comune di Modica. proroga fino al 30.4.2015;

- del provvedimento denominato Integrazione Ordinanza n. 2/OR del 2.01.2015;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;

con il ricorso per motivi aggiunti

dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Modica n. 474/OR del 29/04/2015 nella parte in cui il Sindaco, dopo aver prorogato l’ordinanza sindacale del 2/1/15 fino alla data del 31/8/15, dispone che la proroga del servizio avverrà secondo le modalità, i mezzi e le attrezzature e ogni altra dotazione previsti nel progetto di raccolta e trasporto dei r.s.u. di nettezza urbana, approvato dal dirigente competente con determina n.1614 del 14/6/06 e dalla successiva perizia di variante del 17/1/08 e secondo le prescrizioni contenute nella ordinanza sindacale n.1412 del 7/10/09 di affidamento del servizio nonché nella parte in cui sub 3), dopo aver dato atto che relativamente al trasporto dei r.s.u. in discarica le condizioni sono quelle dei precedenti provvedimenti di proroga, omette di riportare i termini di pagamento del corrispettivo del servizio stesso pari a 10 gg dall’invio della fattura per come previsti dall’ordinanza di assegnazione n.16/OR del 4/1/13;

-nonché ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, ivi comprese: -la determina del responsabile P.O. del XII settore del Comune di Modica, atto n.1117 dell’8/5/15, ad oggetto la prenotazione della spesa occorrente per il periodo maggio-agosto 2015 per i servizio in questione;
-la determina del medesimo responsabile n.1120 dell’8/5/15, ad oggetto la prenotazione della spesa per il predetto periodo relativamente al trasporto dei rifiuti solidi urbani indifferenziati raccolti nell’ambito urbano comunale presso l’impianto di discarica autorizzata, nonché

per l’accertamento del diritto dell’impresa a ricevere, anche per il periodo predetto, il giusto corrispettivo del servizio in questione, rapportato agli effettivi costi del servizio, notevolmente aumentati rispetto a quelli iniziali vigenti all’epoca dell’affidamento ed incrementato d’un ragionevole margine di utile in misura pari a quello dell’epoca di assegnazione indicato in seno all’analisi prezzi in misura pari all’11% o in quella diversa misura ritenuta equa, nonché ancora del diritto a ricevere il corrispettivo nel termine di 10 giorni dall’invio della fattura per quanto attiene ambedue i servizi nonchè

per la conseguente condanna del comune a corrispondere le somme riconosciute nei sensi di cui sopra.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Modica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2015 il dott. G G R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di Modica, al fine di garantire lo svolgimento del servizio di igiene urbana nell’ambito del proprio territorio, avviava una procedura di evidenza pubblica per individuare l’operatore economico cui affidare il relativo incarico. Accadeva però che, dopo la stipula di un formale contratto con la ditta aggiudicataria P G, il Comune di Modica procedesse alla revoca dello stesso;
di conseguenza, all’esigenza di garantire lo svolgimento del servizio di igiene urbana nell’ambito del territorio comunale il Comune autore dell’atto di revoca provvedeva a mezzo dell’ordinanza contingibile ed urgente n. 1412/OR del 07/10/2009 emessa ai sensi dell’art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 nei confronti della ditta P G.

Poiché a tale provvedimento non faceva seguito l’avvio ed il completamento di alcuna nuova procedura di evidenza pubblica per l’individuazione del soggetto cui affidare il servizio in questione, a ciò il Comune sopperiva mediante successive proroghe dell’ordinanza sindacale n. 1412/OR del 07/10/2009 alle medesime condizioni economiche da quella previste.

Poiché ciò determinava, secondo quanto rilevato dall’istante, assieme all’aumento dei costi per lo svolgimento del servizio “de quo” -e in dipendenza di esso- un pregiudizio per la ditta P G, essa chiedeva a più riprese un adeguamento dei corrispettivi previsti all’interno di tale ordinanza. Dopo aver positivamente corrisposto con nota del Dirigente del Settore Ecologia prot. n. 553 del 05/01/2013 ad una delle predette richieste di adeguamento del corrispettivo, il Comune di Modica tornava successivamente sui propri passi, negando il diritto all’adeguamento del corrispettivo con nota prot. n. 46431 del 02/10/2014, ed altresì riservandosi di avviare il procedimento per il recupero delle maggiori somme corrisposte - in misura ritenuta non dovuta - nel periodo fra il 05/01/2013 ed il 02/10/2014.

Il provvedimento menzionato da ultimo, in relazione alla ritenuta sua lesività, veniva fatto oggetto di impugnativa da parte della ditta P G con ricorso proposto dinnanzi a questo stesso TAR ed ivi rubricato al n. 2980/2014 di R.G., e positivamente delibato in sede cautelare con la concessione dell’ordinanza sospensiva n. 23/2015.

Infine, con ordinanza contigibile ed urgente n. 2/OR del 02/01/2015 il Comune di Modica reiterava per l’ennesima volta l’affidamento del servizio di igiene urbana nel territorio comunale alla ditta P G, alle stesse condizioni economiche di cui alla ordinanza n. 1412/OR del 07/10/2009.

La ditta istante, ritenendo illegittimo tale provvedimento, lo impugnava con ricorso notificato l’11/02/2015 e depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito il 16/2/15.

L’Amministrazione intimata si costituiva in giudizio con deposito di memoria in segreteria il 09/03/2015.

Nelle more del giudizio il Comune di Modica prorogava gli effetti dell’ordinanza n. 2 del 02/01/2015 sino al 31/08/2015 con ordinanza n. 474/OR del 29/04/2015, “ secondo le prescrizioni contenute nella ordinanza sindacale n. 1412/OR del 7 ottobre 2009 di affidamento del servizio ”.

La ditta P G pertanto, ritenuto a sé pregiudizievole anche tale provvedimento, lo impugnava con ricorso per motivi aggiunti notificato il 28/05/2015 e depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito il 09/06/2015.

Il Collegio, stante la difficile quantificazione del danno che la ditta P G riteneva aver subìto a causa del mancato adeguamento dei corrispettivi per il servizio svolto, disponeva una verificazione a norma dell’art. 66 c.p.a. con Ordinanza Collegiale Istruttoria n. 799/2015, che si concludeva con deposito della relativa relazione finale in segreteria il 18/06/2015.

Le parti scambiavano fra loro ulteriori scritti defensionali.

In data 23/07/2015 aveva luogo l’udienza pubblica per l’esame del ricorso in epigrafe, con discussione orale della causa dinnanzi al Collegio, nel corso della quale il difensore della società ricorrente, in relazione alla grave situazione debitoria di quest’ultima, manifestava il proprio interesse a che il Collegio, nel definire la presente controversia, ciò facesse mediante la immediata pubblicazione del dispositivo della sentenza secondo le previsioni di cui all’attuale nono comma dell’art. 120 c.p.c.

DIRITTO

I – Con il primo motivo del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti è stata contestata la correttezza sostanziale delle ordinanze impugnate per la violazione di plurime norme, anche di rilevanza costituzionale (artt. 23 e 41), nonché per il sussistere del vizio di eccesso di potere per sviamento, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria, violazione dei principi di correttezza e buon andamento e difetto di motivazione.

L’argomento utilizzato dall’Amministrazione intimata a più riprese, prima per rigettare le più richieste di revisione del costo del servizio espletato avanzate dalla ditta attuale ricorrente, e poi per fissarlo con riferimento al regime tariffario previsto nella precedente ordinanza sindacale n. 1412 del 07/10/2009 all’interno delle ordinanze sindacali impugnate con il ricorso principale e con quello per motivi aggiunti, è quello secondo cui “ il rapporto con la ditta è regolato, non da un contratto di servizio e fornitura a prestazione periodica, ma da un’ordinanza contingibile ed urgente per motivi legati all’igiene e alla salute pubblica, emessa in conformità alle direttive regionali dettate in materia di rifiuti ”.

Il Collegio non intende certo disconoscere la rilevanza del bene-interesse che l’Amministrazione intimata ha inteso tutelare ricorrendo all’esercizio dei poteri d’urgenza attribuiti all’autorità comunale dagli artt. 191, primo comma, del D.Lgs. n. 152/2006 e 50, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000, trattandosi “ non solo di interessi pubblici ma anche di diritti soggettivi fondamentali (quali il diritto alla salute e all'incolumità personale) minacciati da "emergenze sanitarie o di igiene pubblica", che pur in “'assenza di specifici parametri normativi di riferimento, o comunque del formale recepimento in atti normativi di determinate prescrizioni di carattere igienico-sanitario, non esclude la possibilità, e anzi la necessità, di impor(re il loro) rispetto ove le stesse (ordinanze) appaiono idonee, sul piano tecnico-scientifico, a prevenire situazioni di pericolo alla salute o all'ambiente ”(T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, sent. 9 giugno 2005, n. 4695).

Nondimeno, quell’esigenza di tutela non può spingersi sino alla nullificazione di posizioni giuridiche di pari rilevanza costituzionale: quali, nel caso di specie, quelle guarentigiate dagli artt. 23 e 41 della vigente Carta Fondamentale.

Con particolare riguardo all’art. 23 Cost., secondo il quale “ nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge ”, il Collegio osserva che né l’art. 191 del D.Lgs. n. 152/2006, né gli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, autorizzano il Sindaco a porre in essere provvedimenti che, pur perseguendo scopi senz’altro meritevoli, ciò facciano mediante disposizioni attraverso le quali si realizzino effetti analoghi a quelli di un provvedimento di requisizione di servizi adottato in danno della ditta ricorrente, in assenza delle garanzie che l’ordinamento specificamente prevede in relazione a tale fattispecie.

Si tratta cioè, nella fattispecie, di tenere presente il principio giuridico secondo cui, pur in presenza di gravi circostanze che mettono in pericolo la collettività, occorre bilanciare e contemperare le diverse esigenze in conflitto. Con riferimento alla fattispecie, le esigenze sottese alla tutela della salute e della pubblica igiene da un lato, e dell’iniziativa economica privata e dell’impresa dall’altro devono trovare un punto di equilibrio non deteriore rispetto a quello, fissato, ad esempio, dalla previsione normativa di cui all’art. 427 del D.Lgs. n. 66/2010 che disciplina l’ipotesi della requisizione di servizi nelle ipotesi di “requisizioni in tempo di guerra o di grave crisi internazionale” (stabilendo che “l'indennità per la requisizione di servizi è stabilita tenendo presenti le tariffe stabilite a norma delle leggi vigenti”).

L’amministrazione intimata, pertanto, non avrebbe dovuto arrestarsi al mero riscontro della (correttamente ritenuta) impossibilità di applicare, nel caso di specie, l’art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006, ma, nell’esercizio dei poteri di cui agli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, avrebbe dovuto procedere a dettare una disciplina dei propri rapporti economici con il destinatario della relativa ordinanza che fosse rispettosa del principio generale <<
secondo il quale in materia di provvedimenti contingibili ed urgenti deve essere arrecato al privato destinatario dell'ordinanza il minor sacrificio possibile>>
e che ciò <<
comporta l'obbligo di non imporre, attraverso il ricorso ai poteri extra ordinem, corrispettivi ancorati a valori risalenti nel tempo e non preceduti dalla previa verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio reso. >>
(cfr. TAR Lazio, Roma, II, 6/11/12, n.9062), con la conseguenza che <<
il provvedimento contingibile ed urgente non può giustificare anche una sorta di prezzo imposto dall'Amministrazione al privato, dovendo all'obbligo di proseguire nell'espletamento del servizio essere connessa la corresponsione di un giusto compenso per il destinatario del provvedimento. L'imposizione di una prestazione ad un prezzo non più corrispondente ai prezzi di mercato determinerebbe, infatti, un ingiustificato sacrificio dell'iniziativa economica privata a beneficio della p.a., con violazione dei principi desumibili dall'art. 41 Cost. (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 dicembre 2002 n. 6624).>>
(cfr. TAR Lazio cit.;
nello stesso senso c.f.r. TAR Puglia, Lecce, 22/5/14 n.1240;
T.A.R. Sardegna, I, 19/2/10 n.204 e TAR Sicilia, Palermo, I, 27/3/08 n.383).

Il non averlo fatto nel caso di specie, rende pertanto fondato il dedotto vizio – sostanzialmente unico, e comune tanto al ricorso principale quanto a quello per motivi aggiunti;
malgrado una sua più articolata rubricazione all’interno degli stessi - di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, con consequenziale illegittimità delle ordinanze sindacali impugnate, nella parte in cui esse rinviano al contenuto della ordinanza sindacale n. n. 1412 del 07/10/2009 per la disciplina dei rapporti economici fra il Comune di Modica e la ditta P G.

Del resto, una tale soluzione risulta altresì imposta, a giudizio del Collegio, dal principio dell’interpretazione costituzionalmente conforme della normativa vigente.

Infatti, a ben vedere, la stessa previsione di cui all’art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006(che impone per tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture l’inserimento d’una clausola di revisione periodica del prezzo), esprime le medesime esigenze di tutela cui, in assenza di un titolo negoziale a base del rapporto giuridico in specifica considerazione, presiede l’art. 2041 c.c.: evitare la locupletazione – intesa dalla Suprema Corte [ ex plurimis e più di recente, Cass. Civ., sez. I, sent. 4 settembre 2013, n. 20226] (anche) come (mero) non autorizzato risparmio di spesa;
esattamente come nel caso a mani, - di un soggetto in danno dell’altro in assenza di una “giusta causa” .

Ove fonte del rapporto sia invece un provvedimento amministrativo unilateralmente adottato “jure principis” dalla pubblica autorità, ebbene, è questo a doversi fare carico dell’osservanza del predetto principio mediante un previo esame dei costi effettivi che l’operatore economico privato è chiamato a sostenere per lo svolgimento del servizio impostogli “ex auctoritate”. Ove così non fosse il provvedimento d’urgenza costituirebbe per la P.A. un comodo “escamotage” per sottrarsi all’applicazione della disciplina in materia di ingiustificato arricchimento: la quale si combina con gli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, apprestando, relativamente ai rapporti economici creati dal provvedimento di urgenza, una tutela paragonabile a quella che l’art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006 offre all’operatore economico privato ove fonte dell’affidamento del servizio sia un titolo contrattuale. Ove pertanto il principio generale sopraenunciato non potesse operare conformando il rapporto oggi in specifica considerazione, il giudice adito non potrebbe sottrarsi all’obbligo di sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale degli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, così come intesi dall’Amministrazione intimata, oltre che per la violazione dell’art. 23 Cost., anche dell’art. 3 della stessa, in ragione della deteriore posizione in cui si troverebbe l’operatore economico incaricato dello svolgimento di un servizio pubblico ex auctoritate, rispetto a quello che invece possa rivendicare un titolo negoziale per l’affidamento del relativo incarico.

Poiché, tuttavia, attenersi al canone dell’interpretazione costituzionalmente conforme delle norme vigenti costituisce un ineludibile obbligo ermeneutico per qualunque giudice della Repubblica Italiana (cfr. C. Cost., sent. 4 luglio 2013, n. 170), esso a maggior ragione impone di disconoscere il valore della ricostruzione delle norme che costituiscono la base giuridica dei provvedimenti impugnati proposta dall’Amministrazione intimata nelle proprie difese.

Conclusivamente, sia gli accertamenti effettuati dal c.t.u. (vedi relazione del 18/6/15) sia il pregresso operato dell’amministrazione -che, con riferimento a periodi di servizio antecedenti a quelli odierni aveva già riconosciuto compensi revisionali alla ricorrente (benchè degli stessi abbia successivamente chiesto la ripetizione avuto riguardo alla natura non contrattuale del titolo giuridico posta a base del servizio svolto dall’impresa Puccia)- confermano la tesi attorea secondo cui all’atto dell’adozione degli atti impugnati non vi è stata alcuna verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio imposto.

II – Con il secondo motivo – tanto del ricorso principale, quanto dei motivi aggiunti – veniva postulata la illegittimità delle ordinanze con essi impugnate, per esser stato disposto un termine per i pagamenti in favore dell’Amministrazione intimata pari a 90 giorni, in violazione di quanto previsto dal D.Lgs. n. 231/2002. Osserva in proposito il Collegio che la censura proposta potrebbe apparentemente trovare il conforto della prevalente giurisprudenza amministrativa, che è univoca - quantomeno per le controversie anteriori all’entrata in vigore delle modificazioni introdotte dall'articolo 24, comma 3, lettera a), numero 2) della Legge 30 ottobre 2014, n. 161.

all’originario art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002 - nell’escludere che le Amministrazioni Pubbliche possano a sé medesime attribuire termini per i pagamenti più ampi di quelli massimi prefigurati dall’art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 1 aprile 2010, n. 1885;
Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 2 febbraio 2010, n. 469). Quella giurisprudenza, tuttavia, trova applicazione unicamente con riguardo ai rapporti costituiti ex contractu . In altri termini il potere di fissazione dei termini di pagamento da parte della P.A. viene imbrigliato dalle norme proibitive di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002 soltanto ove il rapporto cui essi accedano abbia natura di una transazione commerciale: ovvero, a norma della lettera a) del primo comma dell’art. 2 dello stesso, ov’esso abbia la propria fonte in “ contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo ”. E poiché nel caso di specie, al contrario, il rapporto è stato costituito ex auctoritate dalla P.A. con ricorso ai poteri di cui agli artt. 191 del D.Lgs. n. 152/2006 e 50 e 54 del D.lgs. n. 267/2000, non può trovare applicazione il D.Lgs. n. 231/2002;
con reiezione pertanto del presente motivo di ricorso.

III – Dall’accoglimento del gravame discende la necessità di esaminare la domanda (ulteriore) avente ad oggetto l’accertamento del “giusto corrispettivo del servizio ”.

In premessa, il Collegio osserva che, ove quella domanda fosse intesa in senso strettamente letterale, il suo esame risulterebbe ad esso precluso, avendo la stessa ad oggetto l’accertamento della consistenza di un (postulato) diritto di credito della ditta ricorrente nei confronti dell’Amministrazione intimata a poter conoscere del quale sono invece soltanto i competenti organi dell’A.G.O., stante la natura di diritto soggettivo perfetto della relativa posizione giuridica (nonché la mancanza di una prefigurata giurisdizione esclusiva del G.A. in materia). Nondimeno, il legame fra le denunciate illegittimità provvedimentali e quello che sarebbe stato, senza di esse, il “ giusto” costo del servizio, consente al giudice l’esercizio dei poteri di cui al secondo paragrafo del secondo comma dell’art. 32 c.p.a (alla cui stregua “ il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali. Sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni”) ed, in base ad essi, di provvedere alla riqualificazione della proposta domanda di accertamento del “ giusto corrispettivo del servizio ” come domanda di risarcimento del danno (ormai per equivalente pecuniario) che è stato causato alla ditta ricorrente dall’illegittimità delle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco del Comune di Modica nn. 2 del 02/01/2015 e 474 del 29/04/2015, nella parte in cui determinano il corrispettivo per il servizio di igiene urbana svolto da tale ditta con riferimento alle tariffe di cui all’ordinanza n. 1412 del 07/10/2009.

Ciò detto, dall’esame della relazione di verifica, per ciascuna voce considerata (spese per il personale, costi di impiego degli automezzi, costo di impiego attrezzature e materiali) emerge con sufficiente certezza l’esistenza di uno squilibrio fra i costi realmente sostenuti dalla impresa Puccia per lo svolgimento del servizio e la remunerazione corrisposta dall’amministrazione. Il collegio ritiene di potersi avvalere dei risultati della verificazione svolta la cui relazione finale è stata depositata il 18/06/2015, malgrado le contestazioni mosse dall’Amministrazione intimata nella memoria del 02/07/2015, tali però non da inficiarla in radice.

Il Comune intimato contesta innanzitutto che la verificazione si è svolta “senza la presenza di entrambe le parti processuali e senza i loro difensori”, con ciò evidentemente dimostrando di non avere adeguata contezza dei diversi mezzi istruttori cui il G.A. può ricorrere alla stregua delle norme di cui al titolo III del Libro II del D.Lgs. n. 104/2010, e che soltanto nell’ipotesi in cui sia stato scelto lo strumento della consulenza tecnica di ufficio a norma dell’art. 67 c.p.a. – così come non accaduto nel presente giudizio, dove invece il Collegio ha fatto applicazione del meno formalizzato procedimento di cui all’art. 66 c.p.a. (in relazione al quale “non sussiste alcun obbligo per il verificatore di trasmettere preventivamente alle parti in causa lo schema della sua relazione finale, trattandosi di attività disposta ai sensi dell'art. 66 c.p.a., e non di consulenza tecnica d'ufficio ai sensi del successivo art. 67 del medesimo c.p.a.”: Consiglio di Stato, sez. V, sent. 14 ottobre 2014, n. 5084) – esige quella pienezza ed integrità del contraddittorio invece mal invocata nel caso di specie.

Parimenti, il mancato riferimento alle osservazioni avanzate dall’Amministrazione intimata al verificatore dopo la trasmissione alla stessa a mezzo posta elettronica della relazione depositata non vizia in alcun modo quest’ultima, rappresentando un implicito giudizio negativo circa la loro rilevanza, salvo in ogni caso l’apprezzamento finale del Collegio circa la concreta idoneità dell’una e delle altre a determinare il contenuto della decisione da assumere sul “quantum debeatur”.

Al fine della stima circa la misura del danno risarcibile il Collegio premette che appare evidente come il corrispettivo previsto dalle ordinanze impugnate, tutt’ora basato sul progetto del servizio di raccolta e trasporto di nettezza urbana ed accessori approvato dal dirigente competente con determina n.1614 del 14/6/06 e dalla successiva perizia di variante del 17/1/08 e secondo le prescrizioni contenute nella ordinanza sindacale n.1412 del 7/10/09 di affidamento del servizio, non possa più ritenersi adeguato, non tenendo conto delle variazioni intervenute nel potere di acquisto della moneta;
il che appare appunto in palese contrasto col presupposto stesso a base delle ordinanze impugnate che, essendo di mera proroga del servizio avviato ormai anni orsono con attribuzione autoritativa in capo alla impresa ricorrente, scontano la necessità della prosecuzione delle prestazioni stante l’impossibilità di procedere in tempi brevi a nuovi affidamenti e a ordinari regimi contrattuali. Va quindi riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire le somme corrispondenti ai maggiori oneri derivanti dall’esecuzione del servizio “de quo” relativamente ai periodi coperti dalle ordinanze impugnate, rispettivamente col ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti in epigrafe con conseguente condanna dell’amministrazione al relativo pagamento.

Ritiene il collegio sul punto di dover fare applicazione del criterio risarcitorio adottato dalla giurisprudenza in casi analoghi riconoscendo la pretesa risarcitoria nei limiti della rivalutazione dell’originario compenso, in base agli indici ISTAT relativi alle varie categorie cui si riferiscono i fattori produttivi utilizzati dalla ricorrente per la gestione del servizio (costo del lavoro, del carburante etc.) ove sussistenti, questo al fine di individuare il giusto compenso per il servizio afferente i periodi compresi nelle ordinanze impugnate. In caso non fossero stati formati gli indici ISTAT per tutte le componenti, dovrà utilizzarsi l’indice generale FOI (famiglie operai, impiegati) per le voci non oggetto di specifica indicizzazione.

Il corrispettivo indicato negli atti impugnati va quindi maggiorato tenendo conto dell’intera rivalutazione intervenuta, sui costi posti a base del corrispettivo, dal 2009 e fino alla data di avvio di ciascuno dei periodi di servizio previsti nelle ordinanze impugnate.

Va peraltro rilevato che, dalla verificazione è emerso che la ditta Puccia effettua anche una quota di servizio reso in strade ricadenti oltre il perimetro previsto nella planimetria facente parte integrante del foglio “Patti e Condizioni” su cui si basa l’ordinanza sindacale;
trattasi di strade estranee all’elenco di cui al capitolato tecnico e relativa planimetria. Poiché dunque questa parte del servizio non forma oggetto delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal comune, se ne evince che esso viene svolto dalla ditta Puccia sulla base d’un libero consenso prestato nei confronti dell’amministrazione e non in esecuzione d’un ordine dell’autorità. Ora, dal momento che detta quota di servizio compare in tutte le voci di costo, ne consegue che in relazione alla stessa non possa operare il meccanismo risarcitorio indicato da questo collegio.

Quanto all’utile di impresa, il Collegio osserva che il risultato utile ottenuto da qualunque operatore economico che agisca in regime di libero mercato non è un qualcosa di predeterminabile ex ante, ma il mero risultato differenziale, fra la remunerazione percepita come compenso per l’opera svolta, ed i costi concretamente sostenuti per realizzarla. Posta in questi termini, la questione relativa alla misura dell’utile di impresa da riconoscere alla ditta ricorrente è quindi già risolta dal criterio prescelto per l’adeguamento dei corrispettivi per il servizio svolto. L’incremento da riconoscersi alla ditta ricorrente, raffrontato ai costi storicamente sostenuti per lo svolgimento del servizio, rappresenterà la esatta misura (anche) dell’utile di impresa che la ditta corrente potrà conseguire dalla esatta esecuzione della presente sentenza da parte dell’Amministrazione intimata. Alla possibile obiezione secondo cui, in tal modo, l’utile di impresa concretamente percepito dalla ditta ricorrente potrebbe divergere, per eccesso o per difetto, da quello che essa originariamente si prefiggeva di ritrarre dallo svolgimento del servizio in considerazione, il Collegio osserva che ciò è la conseguenza dell’operare dell’impresa sul mercato;
con soggezione quindi a tutti i condizionamenti da ciò discendenti, che in quanto causa dell’obiettivo operare di fattori estranei alla sfera di azione dell’Amministrazione, non può essere richiesto alla stessa di neutralizzare mediante un (addizionale) aumento del corrispettivo del servizio svolto – così come invece sarebbe ove la diminuzione dell’utile di impresa avesse causa specifica in un inadempimento ad essa imputabile. Quel che si intende dire, in definitiva, è che, da un lato, il meccanismo di adeguamento imposto con la presente statuizione soddisfa (anche) quella parte di interesse economico relativo all’utile d’impresa e, dall’altra, che per le oscillazione nella misura della sua concreta percezione è comunque l’imprenditore che, in base all’attività professionalmente esercitata, per le (eventuali) oscillazioni di mercato che su di essa incidano “casus sentit”.

IV - Il Collegio, conclusivamente pronunciando, accoglie tanto il ricorso principale quanto il ricorso per motivi aggiunti, per gli effetti annullando le ordinanze sindacali con essi impugnate per quanta parte riguardi la determinazione del corrispettivo previsto per lo svolgimento del servizio di igiene urbana nel territorio del Comune di Modica da parte della ditta ricorrente.

A tale annullamento consegue, come già fatto presente, in accoglimento della domanda risarcitoria, la condanna del Comune -limitatamente al danno derivante dalla maggiore onerosità della prestazione del servizio rispetto al canore riconosciuto- secondo i principi sopra enunciati.

Il Collegio, nel decidere, non ritiene di poter accogliere la richiesta, della ditta ricorrente, di anticipata pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, né entro il termine di due giorni (a norma del nono comma dell’art. 120 c.p.a.), né entro il termine di sette giorni (a norma del quinto comma dell’art. 119 c.p.a.), in quanto la presente controversia non è relativa né - con riguardo alla prima ipotesi - a procedure di aggiudicazione di contratti di appalto da parte della P.A., né - con riguardo alla seconda - ad “ ordinanze adottate in tutte le situazioni di urgenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 , avendo piuttosto ad oggetto ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal Sindaco in materia di igiene pubblica, per le quali non trova applicazione nessuna disposizione speciale in rito in base agli artt. 119 e 120 c.p.a.

Il collegio statuisce sulla refusione delle spese processuali fra le parti nel rispetto del principio della soccombenza.

Sulla richiesta di liquidazione compensi depositata, nell’osservanza di quanto previsto dall’art. 56 D.P.R. n. 115/2002, dal nominato verificatore in segreteria in data 04/07/2015, e costituente mera reiterazione di quella di identico contenuto già depositata il 26/06/2015, il Collegio osserva che il verificatore, nel determinare il valore della controversia, ha fatto riferimento a quello complessivo del costo aggiornato del servizio, pari ad euro 4.989.025,79. Tuttavia, quanto allo stesso era stato richiesto era di esprimere un giudizio circa il sussistere di un eventuale superiore costo del servizio, rispetto al regime tariffario previsto dall’ordinanza sindacale n. 1412/OR del 7 ottobre 2009. Di conseguenza il valore della controversia deve essere determinato in base all’accertato maggior costo del servizio ricompreso fra la data di adozione dell’ordinanza sindacale n. 2/OR del 02/01/2015, e quella della data del deposito in segreteria della relazione finale del verificatore. Essendo stato accertato il sussistere di un maggior costo del servizio di euro 141.245,83 per ciascun mese di svolgimento del servizio, il valore della controversia deve essere determinato mediante il ricorso alla seguente formula:

Vt = 141.245,83 x 5 + (141.245,83 x 16)/30 = 706.229,15 + 75.331,10 = 781.560,25

In relazione alla somma così individuata, poi, tenuto conto che l’elevato valore della controversia ne consente comunque una remunerazione adeguata all’impegno richiesto al verificatore pur quando si ricorra - entro i margini di oscillazione previsti dall’art. 2 della tabella allegata al D.M. del 30 maggio 2002 -, piuttosto che al valore medio cui questi fa riferimento, a valori più vicini al minore dei due limiti prefigurati con riguardo a ciascuno scaglione, il Collegio ridetermina la misura del compenso da corrispondere al verificatore secondo il computo che segue:

Scaglione Percentuale Importo

Sino a 5.164,57 euro 5% 258,22

Sino a 10.329,14 euro 4% 206,60

Sino a 25.822,84 euro 3% 464,79

Sino a 51.645,69 euro 3% 774,66

Sino a 103.291,38 euro 2% 1032,90

Sino a 258.228,45 euro 1% 1.549,37

Sino a 516.456,90 0,50% 1291,14

Totale 5.577,68 euro

Riconosciuta altresì corretta la domanda di refusione delle spese sostenute, per un importo complessivo pari ad euro 75,00, per lo svolgimento del proprio incarico in base in alla documentazione allegata alla richiesta di liquidazione compensi del 04/07/2015, il Collegio condanna l’Amministrazione intimata a corrispondere al verificatore – previa applicazione della ritenuta d’acconto IRPEF sulla stessa - la somma complessiva di euro 5.652,68 entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.

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