TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-11-13, n. 202005218

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-11-13, n. 202005218
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202005218
Data del deposito : 13 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/11/2020

N. 05218/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02845/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2845 del 2015, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato M A, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R.;

contro

il Comune di Forio, in persona del Sindaco in carica, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

dell' ordinanza di demolizione delle opere abusive n.-OMISSIS-del 31 marzo 2015;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 settembre 2020 la dott.ssa A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente è proprietaria di un suolo sito nel territorio del Comune di Forio d’Ischia, sul quale – in esecuzione della licenza edilizia n. 2 del 4 gennaio 1968 – è stato realizzato un fabbricato di due livelli.

2. Col ricorso in esame, ella ha dedotto che:

- in ampliamento del fabbricato posto al primo piano, nel 1998 ha realizzato una ‘copertura in lamiera coibentata, in luogo di altra ormai fatiscente, con parziale sua tamponatura e realizzazione di un vano-finestra’, integrata con ‘una piccola tettoia in legno’, ultimata prima del 31 marzo 2003;

- in data 9 dicembre 2004 ha presentato di domanda di condono edilizio, ai sensi della legge n. 326 del 2003.

- in data 14 ottobre 2014, la polizia municipale ha accertato la realizzazione di tali lavori, rilevando nel relativo verbale che ella ‘proseguiva i lavori presso una struttura in tubolari metallici con copertura in lamiera coibentate di mq 23 circa, parzialmente tamponata con mattoni, sequestrata in data 22 gennaio 1998 e dissequestrata in data 30 gennaio 2001. Essa allo stato risulta trasformato in un locale adibito a soggiorno, quale parte integrante dell’abitazione. Inoltre antistante risulta realizzata una tettoia costituita da pali in legno, tavolato e tegole avente una superficie di 20 mq circa ed un’altezza di mt 2,70 circa’;

3. Ciò premesso, con il ricorso in esame, ella ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS-del 31 marzo 2015, con cui il Comune – nel richiamare una propria ordinanza di demolizione di data 9 febbraio 1999 - ha ordinato la demolizione di quanto è stato oggetto del verbale di data 14 ottobre 2014.

4. Con il primo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione degli articoli 38 e 44 della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 326 del 2003, nonché la sussistenza di vari profili di eccesso di potere, anche per violazione del principio di affidamento, poiché l’ordinanza di demolizione è stata emessa in assenza del previo esame della istanza di condono edilizio, presentata in data 9 dicembre 2004.

5. La censura risulta infondata e va respinta, con riferimento a tutti i profili dedotti.

Dalla documentazione acquisita emerge che la ricorrente – dopo aver dapprima realizzato i lavori per i quali è stato disposto il sequestro – ha proseguito i lavori abusivi, già oggetto della domanda di condono.

Dal verbale del 14 ottobre 2014 della polizia municipale, emerge che in quella data è risultato in loco un soggiorno, ‘rifinito’ nelle sue parti, mentre originariamente vi era struttura ‘tamponata con mattoni’: evidentemente, questa opera a suo tempo – prima della ‘prosecuzione’ - non era ultimata e rifinita.

La ricorrente non ha fornito specifici elementi da cui si possa desumere che, al momento della presentazione della domanda di condono, la situazione di fatto era proprio quella accertata in data 14 ottobre 2014.

Pertanto, rileva la pacifica giurisprudenza, per la quale il Comune ben può disporre la demolizione delle opere risultate abusive, senza previamente respingere la domanda di condono, quando risulti la sussistenza di una situazione di fatto diversa da quella posta a base della domanda, perché nel frattempo i lavori sono proseguiti l’originaria domanda riguardi un manufatto poi modificato con ulteriori lavori abusivi.

6. Col secondo motivo, è lamentata la violazione dell’art. 27 del testo unico n. 280 del 2001, oltre la presenza di vari profili di eccesso di potere, perché in pendenza del procedimento del condono ed in assenza di adeguata motivazione è stata ordinata la demolizione delle opere, senza neppure esporre le relative ragioni di interesse pubblico.

7. Tali censure vanno respinte, in quanto infondate.

Quando l’Amministrazione comunale rileva la sussistenza di opere abusive (e non rilevando nella specie la domanda di condono, per le ragioni sopra esposte), si deve considerare doverosa la misura della demolizione e del ripristino dello stato dei luoghi: non può sussistere un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo di per sé non può legittimare.

D’altra parte, come precisato dall’Adunanza plenaria n. 9/2017, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure a distanza di un notevole lasso di tempo, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso (in termini, v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 93;
Sez. VI, 29 luglio 2019, n. 5330).

8. Col terzo motivo, è lamentata la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, poiché l’ordinanza di demolizione è stata emessa in assenza del previo avviso di avvio del procedimento.

Col quinto motivo, è lamentata la violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, poiché in concreto l’avviso di avvio del procedimento sarebbe stato utile, per chiarire quali fatti siano in concreto accaduti.

8.1 Tali censure vanno esaminate congiuntamente, poiché strettamente connesse.

Esse risultano infondate e vanno respinte.

Per la pacifica giurisprudenza, poiché ha natura vincolata, il provvedimento di demolizione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (Cons. Stato, Sez. II, 23 luglio 2020, n. 4704;
Sez. II, 29 luglio 2019, n. 5317;
Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281;
Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281;
Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681).

9. Col quarto motivo, è lamentata la violazione dell’art. 13 delle n.t.a. del P.T.P.dell’isola di Ischia e dell’art. 167 del codice n. 42 del 2004, oltre alla violazione di altre disposizioni di legge e la presenza di profili di eccesso di potere.

E’ dedotto che per l’art. 13 delle n.t.a. si potrebbe realizzare un ‘adeguamento igienico-sanitario e tecnologico’ delle unità abitative di superficie residenziale non superiore a 75 mq e occupate stabilmente da residenti da oltre tre anni.

Con il sesto motivo, è lamentata sotto altri profili la violazione della legge n. 241 del 1990, della legge n. 47 del 1985 e di altre leggi rilevanti in materia edilizia, oltre profili di eccesso di potere: vi sarebbe una pertinenza urbanistica, per la quale – essendovi una opera accessoria - non si giustificherebbe la misura della demolizione.

10. Tali censure vanno esaminate congiuntamente, per la loro connessione.

Al riguardo, si deve escludere che si possa ravvisare un adeguamento igienico-sanitario e tecnologico o una pertinenza, rispetto ai quali si possa consentire lecita la realizzazione delle opere in questione.

Nella specie, si è trattato della realizzazione di un manufatto che ha ampliato l’originario immobile, con l’aggiunta di un ulteriore edificio adibito ad uso abitativo.

Va pertanto richiamata la pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide e fa propria (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1995;
Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155;
Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694), per la quale va « rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze ».

« La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica » (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2348;
Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19;
Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952;
Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817;
Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).

« Nell’ordinamento statale, infatti, vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma ».

Nella specie, trattandosi di un ulteriore vano destinato a soggiorno, va rilevato come effettivamente sarebbe stato necessario il previo rilascio del titolo edilizio.

11. Peraltro, in considerazione della sussistenza del vincolo paesaggistico (evidenziato nell’ordinanza impugnata di demolizione e non oggetto di contestazione), va rilevato come comunque le opere – anche nella loro originaria consistenza - risultassero non condonabili, sulla base della legge n. 326 del 2003.

Per l’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e l’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, l’abuso commesso su un bene sottoposto a tale vincolo di inedificabilità non può essere condonato quando il vincolo sia stato imposto prima della esecuzione delle opere e queste non siano conformi alle disposizioni urbanistiche: il condono previsto dalla legge del 2003 era applicabile solo alle di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), non potendo essere sanate le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato (Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, n.7341;
Sez. VI , 17 settembre 2019, n. 6182;
Sez. IV, 29 marzo 2017, n. 1434;
Sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813;
Sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487;
Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4587;
Cass. Pen. sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676;
cfr. Corte Cost., ord. n. 150 del 2009, sulla manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui ha previsto la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985).

12. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto.

Nulla va disposto sulle spese in ragione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Forio.

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