TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-04-06, n. 202100362

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-04-06, n. 202100362
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202100362
Data del deposito : 6 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/04/2021

N. 00362/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00300/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 300 del 2018, proposto da
-ricorrente-, rappresentato e difeso dall'avvocato E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana n. 82;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via Arsenale, n. 21;

per l'annullamento

- del decreto n. -OMISSIS-datato -OMISSIS- e notificato al ricorrente in data 17.01.2018, adottato dal Ministero dell’Interno -Dipartimento della Pubblica Sicurezza- Compartimento della Polizia Stradale “Piemonte e Valle d’Aosta”- Torino, con il quale è stata inflitta al ricorrente medesimo la sanzione disciplinare della “deplorazione”, ex art. 5, n. 2 d.P.R. n.737/1981;

nonché di tutti gli altri atti presupposti, preparatori, connessi e conseguenti, anche non conosciuti, ivi compresi, ove occorra, la “Contestazione degli addebiti” del 30 novembre 2017.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2021, celebrata con modalità telematica, la dott.ssa F R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame indicato in epigrafe il ricorrente ha impugnato il decreto adottato dal Ministero dell’Interno -Dipartimento della Pubblica Sicurezza- Compartimento della Polizia Stradale “Piemonte e Valle d’Aosta”, con il quale è stata inflitta al ricorrente medesimo la sanzione disciplinare della “deplorazione”, ex art. 5, n. 2 del d.P.R. n.737/1981, nonché gli atti connessi.

Avverso gli atti impugnati, il ricorrente ha dedotto l’illegittimità per: 1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 31 d.P.R. n. 737/1981, dell’art. 103, comma 2, d.P.R. n. 3/1957;
dell’art. 55, comma 5, d.lgs. 165/2001, violazione del principio della contestazione immediata degli addebiti, nullità, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 97 della Costituzione;
2) Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 n. 2, d.P.R. 737/1981, del principio di tipicità e tassatività delle infrazioni e correlative sanzioni disciplinari e dell’art. 1 e ss del d.P.R. 737/1981;
dell’art. 3, legge n. 241 del 1990, dell’art. 97 della Costituzione, eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;
3) in estremo subordine, salvo gravame, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 d.P.R. 737/1981, degli artt. 3 e 97 della Costituzione, violazione del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni disciplinari.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno.

All’udienza del 10 marzo 2021, celebrata con modalità telematica, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – Con il primo motivo di gravame il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per tardività della contestazione degli addebiti e per violazione del principio di immediatezza della contestazione di cui all’art. 103 del d.P.R. n. 3 del 1957 e di cui all’art 55, comma 5 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Sul punto si osserva che il procedimento relativo all’applicazione delle sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è regolato dal d.P.R. n. 737 del 1981, rubricato “Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti”.

Tale normativa, oltre a prevedere il tipo e i presupposti applicativi delle varie sanzioni disciplinari, per ognuna di esse disciplina le varie fasi del procedimento di irrogazione, differenti a seconda della loro gravità.

Per quanto specificamente attiene alla contestazione degli addebiti al trasgressore, gli artt. 14 e 18 del d.P.R. n. 737/1981 dispongono che essa, qualora si tratti di sanzione più grave del richiamo orale, debba “essere fatta per iscritto” e debba “indicare succintamente e con chiarezza i fatti e la specifica trasgressione di cui l’incolpato è chiamato a rispondere”, senza indicare alcun termine di decadenza per la pubblica amministrazione.

Anche l’art. 103 del T.U. impiegati civili dello Stato che, sulla base del rinvio contenuto all’art. 31 del d.P.R. n. 737 del 1981, integra la normativa di che trattasi, non prevede alcune termine perentorio in capo all’Amministrazione.

L’art. 103 del d.P.R. n. 3 del 1957, infatti, dispone soltanto che: “Il capo dell'ufficio che a norma dell'art. 100 è competente ad irrogare la censura deve compiere gli accertamenti del caso e, ove ritenga che sia da irrogare una sanzione più grave della censura, rimette gli atti all'ufficio del personale. L'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio;
negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni”.

Anche tale norma non prevede alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti, quanto piuttosto la mera generica imposizione di una certa doverosa solerzia nell’attivazione della procedura disciplinare, sin dalle sue prime fasi.

Di recente, sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che “secondo la costante giurisprudenza amministrativa ( ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 15 giugno 2020, n. 3840;
id., Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112;
Cons. giust. amm. Sicilia, 13 febbraio 2019, n. 114;
Cons. Stato Sez. III, 20/06/2018, n. 3779), l'art. 103, comma 2, del D.P.R. n. 3 del 1957, nel prescrivere che la contestazione degli addebiti debba avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione ad osservare un termine rigido, il cui decorso comporti la decadenza dello stesso potere disciplinare;
per converso, tale norma ha posto una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione dell'illecito, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedurale e preordinata ad un equo contemperamento dell'esigenza dell'Amministrazione di procedere agli accertamenti preliminari dei fatti disciplinari con ponderata valutazione della gravità e complessità degli stessi, da un lato, con l'esigenza della parte privata rispetto all'esercizio del diritto di difesa sul piano disciplinare e a non essere esposta sine die ad iniziative disciplinari, dall'altro” (Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 235).

Ebbene, nel caso in esame, dall’analisi dei fatti che emergono dagli atti depositati in giudizio, risulta che l’Amministrazione abbia provveduto con sufficiente tempestività a comunicare al ricorrente la contestazione degli addebiti, tenuto conto che il fatto che ha dato origine agli addebiti disciplinari, ovvero la mancata presentazione in servizio del ricorrente, è avvenuto in data 7 novembre 2017, la segnalazione della violazione disciplinare al competente Compartimento, da parte della Sezione di appartenenza del dipendente, al fine di svolgere le azioni successive, è avvenuta in data 16 novembre 2017 (come da documentazione depositata in giudizio) e si è proceduto a notificare la contestazione degli addebiti in data 30 novembre 2017, cioè entro 15 giorni dalla segnalazione e, comunque, entro 30 giorni dallo stesso fatto che ha dato origine all’addebito disciplinare.

Per quanto riguarda il richiamo all’art. 55, comma 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001, il Collegio si limita ad evidenziare che la norma è stata modificata e che, dal 11 novembre 2009 (con la sostituzione dell’articolo ad opera dall'articolo 68, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150) l’art. 55 risulta essere composto solo da quattro commi.

La disposizione alla quale fa riferimento il ricorrente oggi è contenuta nell’art. 55 bis del medesimo decreto legislativo, rubricato infatti “Forme e termini del procedimento disciplinare” che, al comma 4 (a seguito dell’ulteriore modifica apportata dall'art. 13, comma 1, lett. d), decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75) dispone quanto segue: “L'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell'addebito…”.

Neppure tale normativa risulta essere stata violata e pertanto non si può ritenere che la contestazione degli addebiti sia stata tardiva o intempestiva.

Alla luce di quanto sopra esposto, la prima censura risulta essere priva di pregio.

2. – Con la seconda censura il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sia illegittimo per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, n. 2, del d.P.R. 737/1981.

Più nello specifico, nel gravame si sostiene che il comportamento asseritamente tenuto dal ricorrente non integrerebbe affatto una mancanza disciplinare già tenuta più volte dal ricorrente e già punita, così come prevedrebbe l’art. 5, n. 2, del d.P.R. 737/1981, con la conseguente violazione del principio di tassatività e tipicità delle sanzioni disciplinari.

Il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sia illegittimo anche per grave difetto di motivazione poiché farebbe riferimento a precedenti disciplinari senza però dimostrare di aver considerato precisamente la loro specifica rilevanza ai fini della determinazione del tipo di sanzione oggi inflitta, nonché perché si fonderebbe su presupposti di fatto non correttamente istruiti, dal momento che egli avrebbe diligentemente inviato con congruo anticipo la richiesta ex legge n. 104/1992.

Anche tali censure sono prive di pregio.

Invero, la disposizione ora citata prevede quanto segue “La deplorazione è una dichiarazione scritta di formale riprovazione, con la quale vengono punite:…2) le persistenti trasgressioni già punite con sanzioni di minore gravità…”.

Ebbene, da quanto risulta dallo stesso provvedimento impugnato e da come chiarito dall’Avvocatura dello Stato, il ricorrente era già stato punito prima della suddetta deplorazione.

Nel provvedimento, invero, si legge: “tenuto conto che risultano a suo carico nr. 7 sanzioni disciplinari per alcune delle quali il comportamento negligente è stato sanzionato” e, da quanto affermato dalla difesa erariale, emerge che in data 16 febbraio 2017, il ricorrente era stato punito con la sanzione di minore gravità della pena pecuniaria per aver creato un disservizio all’ufficio di appartenenza a causa di un’assenza non adeguatamente preavvisata.

In merito alla contestazione del ricorrente circa il tentativo di integrazione postuma del provvedimento da parte della difesa erariale il Collegio si limita ad osservare che “sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l'obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l'Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato o si verta in ipotesi di attività vincolata” (in termini, Cons. Stato, Sez. IV 4 marzo 2014, n.1018 che richiama Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4610 e sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3376).

Nel caso in esame, il provvedimento richiama espressamente l’esistenza di ben 7 sanzioni disciplinari a carico del ricorrente, mentre la difesa erariale si è limitata a specificare in cosa consistesse una di queste.

Peraltro, la stessa difesa del ricorrente riporta alcuni particolari di tale condotta nella memoria del 4 febbraio 2021, evidenziando che in data 16 febbraio 2017 il ricorrente si trovava in malattia, che più precisamente vi era stato un malore cui aveva fatto seguito un periodo di malattia, che in quel caso veniva contestata una anticipazione della tempistica del malore e che la Pubblica Amministrazione aveva sanzionato tale condotta con pena pecuniaria in forza di una norma avente ad oggetto presupposti diversi da quelli oggetto della presente contestazione, e che pertanto le condotte non erano le medesime.

Anche alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, il Collegio non ritiene sussistente il vizio di difetto di motivazione, poiché ai fini dell’applicazione della sanzione della deplorazione era sufficiente la sussistenza di altri precedenti trasgressioni, precedenti ai quali – dopo una puntuale descrizione della condotta tenuta dal ricorrente in data 7 novembre 2017 - fa espresso riferimento il provvedimento impugnato.

Per quanto riguarda l’affermazione del ricorrente secondo la quale il provvedimento si fonderebbe su presupposti non istruiti perché egli avrebbe inviato con congruo anticipo la richiesta ex legge n. 104 del 1992 ci si limita ad osservare che né nel corso del procedimento disciplinare, né in sede processuale il ricorrente è riuscito a dimostrare quanto affermato.

Invero, dal verbale del procedimento disciplinare del 15 gennaio 2018 risulta che alla specifica domanda dell’Isp. Sup. S.U.P.S. -OMISSIS-, se egli era in grado di reperire la comunicazione della legge 104 per verificare il motivo per il quale la trasmissione dell’istanza non era andata a buon fine, il ricorrente aveva risposto che verosimilmente la e-mail era rimasta nelle bozze e, a richiesta del dirigente del Compartimento se egli avesse ulteriori dichiarazione da fare, il ricorrente aveva risposto negativamente.

Sul punto, la difesa erariale ha affermato che la prima mail con cui sarebbe stata inviata l’istanza anticipatamente non era mai giunta presso l’indirizzo di posta elettronica della Sezione Polizia Stradale di Torino e che il dipendente non aveva fornito, a posteriori, alcuna ricevuta comprovante tale invio, dichiarando di esserne sprovvisto, precisando che il dipendente avrebbe comunque potuto assicurarsi, mediante conferma telefonica, della corretta ricezione della mail, mentre invece aveva effettuato l’invio tardivo della stessa, in data 7 novembre 2017 alle ore 10.15, solo dopo essere stato sollecitato dall’Ufficio di appartenenza e dopo aver irrimediabilmente creato il disservizio.

Anche tali censure pertanto non colgono nel segno.

3. – Con la terza censura, in estremo subordine, il ricorrente contesta il vizio di proporzionalità e della gradualità della sanzione inflitta rispetto alla condotta tenuta, adducendo altresì la violazione dell’art. 13 del d.P.R. n. 737 del 1981 poiché egli aveva comunicato la fruizione dei benefici di cui alla legge n. 104 del 1992, la sua condotta non aveva integrato un disservizio così grave e il comportamento non era stato commesso in concorso con inferiori.

Sul punto, il Collegio si limita ad osservare che la valutazione della sanzione irrogabile una volta accertati i fatti disciplinarmente rilevanti rientra nella potestà tecnico-discrezionale dell’amministrazione, sindacabile dal giudice amministrativo solo per irragionevolezza, illogicità, mancata proporzionalità, travisamento dei fatti o difetto di istruttoria o di motivazione (sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1434).

Quanto allo specifico profilo della proporzionalità della sanzione adottata, questo Tribunale ha già avuto occasione di evidenziare che spetta esclusivamente all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione ed il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (T.A.R. Piemonte, sez. I, 14 agosto 2019, n. 950 che richiama Cons. Stato, sez. VI, n. 1858 del 2017 e sez. III, n. 2791 del 2015).

Ebbene, tenuto conto della condotta complessivamente tenuta dal ricorrente, ivi compresi i precedenti disciplinari in rapporto all’anzianità di servizio, il Collegio ritiene che la valutazione dell’Amministrazione non sia né irragionevole, né illogica, né in contrasto con il principio di proporzionalità, e che non sia ravvisabile la violazione dell’art. 13 del d.P.R. n. 737 del 1981;
pertanto anche tale ultima censura risulta essere priva di pregio.

Per completezza, per quanto riguarda l’assenza di un grave disservizio, l’Avvocatura dello Stato ha evidenziato che l’aggiornamento tecnico professionale, per gli appartenenti alla Polizia di Stato, va considerato a tutti gli effetti quale prestazione lavorativa e che, tra l’altro, qualora il dipendente avesse provveduto a trasmettere con un congruo preavviso l’istanza finalizzata ad avvalersi dei permessi ex art. 33 della legge n. 104 del 1992 con riferimento al giorno 7 novembre 2017 o, quantomeno, se si fosse assicurato che tale comunicazione fosse giunta a buon fine, l’Ufficio avrebbe provveduto a sostituirlo con altro dipendente.

Anche tale ultima censura pertanto è priva di pregio.

4. – In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

5. – La vicenda nel suo complesso e la natura della controversia giustificano la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

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