TAR Perugia, sez. I, sentenza 2014-12-03, n. 201400590

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2014-12-03, n. 201400590
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 201400590
Data del deposito : 3 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00162/2013 REG.RIC.

N. 00590/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00162/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 162 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
L e F C, in proprio e quali titolari dell’azienda agricola F.lli Cerchecci, P B, M G B e M C, tutti rappresentati e difesi dagli avv. F R e A P, con domicilio eletto presso Laura Modena, in Perugia, via Alessi, 32;

contro

Comune di Orvieto, rappresentato e difeso dall'avv. F F, con domicilio eletto presso Cesare Carini, in Perugia, largo Madonna Alta, 29;

per l'annullamento

previa sospensiva

- dell'ordinanza di demolizione n. 2 del 31.1.2013 prot. n. 4123 del 1.2.2013 del Comune di Orvieto - Ufficio Urbanistica - sezione Vigilanza Edilizia, a mezzo della quale veniva ordinata ai ricorrenti, nella loro qualità di nudi proprietari ed usufruttuari "la rimozione, demolizione e restituzione in pristino, entro gg. 90 dalla notifica del presente atto, delle opere eseguite in assenza di titolo abilitativo (permesso di costruire) su area ubicata in Orvieto, loc. Strada del Lapone, azienda agricola F.lli Cerchecci, censita al foglio n. 118, part.lla 98, cosi come sopra descritte e di seguito sommariamente elencate:

- tettoia destinata al ricovero di ovini e bovini - dimensioni ml 9.90 x 15.00;

- tettoia destinata a rimessa attrezzi agricoli- dimensioni ml 9.75 x 30.00;

- tettoia adibita a fienile - dimensioni ml. 25.00 x 12.20;

- struttura in ferro priva di copertura - dimensioni ml 15.00 x 12.00;

- porzione di fabbricato adibita in parte a deposito latte ed in parte a stalla per vitelli - dimensione 26.05 x 4.75;

- porzione di fabbricato in aderenza alla stalla autorizzata con C.E. n. 372/1998 destinata a stalla per vitelli;

- pesa a ponte di dimensioni ml 8.00 x 3.00 rilevati realizzati con materiale proveniente da demolizione e con inerti di fiume";

- di ogni atto presupposto, connesso e comunque conseguente, nonché di tutti gli atti relativi al procedimento amministrativo volto ad adottare il provvedimento definitivo di demolizione compresi quelli di tipo endoprocedimentale e/o istruttorio allo stato non conosciuti;

quanto ai motivi aggiunti:

- della nota prot. 36482 del 4 dicembre 2013 del Comune di Orvieto di comunicazione esito esame della Commissione edilizia relativa alla pratica avente ad oggetto accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 17 della L.R. Umbria 21/2004 per opere inerenti la costruzione di accessori agricoli a servizio del fondo rurale sito in Loc. Rocca Ripesena - Pod. Voc. Stallone;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente o collegato ancorché non conosciuto


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Orvieto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 il dott. P A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso introduttivo gli odierni ricorrenti hanno chiesto l’annullamento previa adozione di idonee misure cautelari, dell’ordinanza di demolizione n. 2 del 31 gennaio 2013 emessa nei loro confronti dal Comune di Orvieto, avente ad oggetto alcuni manufatti realizzati abusivamente in località “Strada del Lapone” in area solo in parte sottoposta a vincolo ambientale, consistenti, tra l’altro, in alcune tettoie destinate al ricovero di animali, a fienile e a rimessa attrezzi agricoli oltre a porzione di fabbricato destinata a stalla, tutti funzionali all’attività agricola dei F.lli Cerchecci.

A sostegno del ricorso deducono, in necessaria sintesi, censure di violazione dell’art. 3 della legge 241/90, eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, nonché di violazione e falsa applicazione dell’art. 146 c. 1 e 4 del D.lgs. 42/2004. Ad avviso di parte ricorrente, infatti, le opere oggetto dell’impugnata ordinanza, tutte strumentali all’esercizio dell’azienda agricola F.lli Cerchecci, sarebbero del tutto inidonee alla trasformazione dell’assetto urbanistico edilizio, in quanto manufatti di modeste dimensioni e precari;
inoltre, soltanto uno dei sei manufatti in questione ricadrebbe entro il vincolo paesaggistico.

Si è costituito il Comune di Orvieto, chiedendo il rigetto del gravame, stante l’infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, in sintesi evidenziando:

- l’evidente impatto sul territorio dei manufatti de quibus in relazione alle dimensioni (ml 9.90 x 15.00, ml 9.75 x 30.00, ml. 25.00 x 12.20, ml 15.00 x 12.00) e al carattere tutt’altro che precario, essendo destinati all’uso prolungato nel tempo in funzione dell’attività agricola.

Alla camera di consiglio del 19 giugno 2013, con ordinanza n. 79/2013 è stata accolta l'istanza cautelare nelle more dell’esame da parte dell’Amministrazione dell’ istanza di accertamento di conformità presentata dai ricorrenti.

Con nota prot. 36482 del 4 dicembre 2013 il Comune di Orvieto ha comunicato ai ricorrenti l’ esito negativo dell’esame della Commissione edilizia relativa all’istanza di accertamento di conformità presentata, ai sensi dell’art. 17 della L.R. 21/2004, il 5 aprile 2013 per le opere per cui è causa, non sussistendo il richiesto requisito della “doppia conformità” mancando al momento della realizzazione dell’abuso il presupposto della disponibilità fondiaria dei terreni di che trattasi.

Con atto di motivi aggiunti i ricorrenti impugnano anche il suddetto atto negativo, deducendo censure così riassumibili:

I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 della L.R. 21/2004 per eccesso di potere per illogicità manifesta, arbitrarietà ed irragionevolezza, violazione principio di proporzionalità: le opere oggetto dell’istanza di sanatoria sarebbero, come riconosciuto dall’Amministrazione comunale, perfettamente conformi alla disciplina urbanistico edilizia oggi vigente, ragione per cui sarebbe contrario a evidenti ragioni di buon andamento, ragionevolezza ed economicità dell’azione amministrativa pretenderne la demolizione per poi consentire immediatamente dopo la riedificazione, sostanzialmente invocando l’applicazione dell’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale.

La difesa comunale con memoria ha evidenziato l’infondatezza anche dei motivi aggiunti, non sussistendo i presupposti tipici fissati dall’art. 17 della L.R. Umbria n. 21/2004 per il rilascio del titolo abilitativo a sanatoria.

Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 22 ottobre 2014, nella quale la causa è passata in decisione.

DIRITTO

2. E’ materia del contendere la legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 2 del 31 gennaio 2013 e del successivo provvedimento di diniego della relativa istanza di accertamento di conformità, emesse dal Comune di Orvieto in danno degli odierni ricorrenti relativamente ad alcuni manufatti realizzati abusivamente in località “Strada del Lapone” consistenti in varie tettoie destinate al ricovero di animali, a fienile e a rimessa attrezzi agricoli oltre a porzione di fabbricato destinata a stalla, tutti funzionali all’attività agricola dei F.lli Cerchecci. Le parti concordano che soltanto uno dei manufatti in questione insiste su area sottoposta a vincolo paesaggistico, impegnandosi i ricorrenti a demolirlo spontaneamente, come da dichiarazioni rese dal proprio difensore all’udienza pubblica.

3. Deve premettersi che le opere oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione, per caratteristiche e dimensioni, debbano ritenersi oggi tutte sottoposte al permesso a costruire ai sensi degli artt. 3 c. 1 lett. e) e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 in quanto suscettibili di arrecare una sensibile trasformazione del territorio, trattandosi di strutture che sviluppano una nuova volumetria e di carattere non precario, alla luce della nozione restrittiva di precarietà comunemente accolta in subiecta materia ( ex multis T.A.R. Umbria 7 agosto 2013, n.434) risultando destinati a recare un'utilità prolungata e perdurante nel tempo.

4. Anzitutto, va dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo, dal momento che la documentata presentazione di istanza di sanatoria (o di condono) comporta l'improcedibilità del ricorso per carenza d'interesse avverso i pregressi provvedimenti repressivi, stante la necessità di una riedizione del potere sanzionatorio, anche se si tratti di un provvedimento del tutto vincolato e, anzi dovuto, stante le caratteristiche abusive del manufatto ( ex plurimis Consiglio di Stato sez. V, 23 giugno 2014, n. 3143;
T.A.R. Umbria 13 marzo 2014, n. 154).

L’interesse dei ricorrenti si sposta, pertanto, interamente sull’esame di legittimità del sopravvenuto diniego dell’istanza di accertamento di conformità presentata il 5 aprile 2013, implicante una nuova regolamentazione dell’assetto degli interessi controversi ovvero la possibilità di rilascio di un titolo a sanatoria delle opere abusive realizzate.

5. Preme evidenziare come con l’atto di motivi aggiunti parte ricorrente non muova censure avverso la sussistenza o meno del negato requisito della “doppia conformità” richiesto dall’art. 17 della L.R. 21/2004, del tutto non contestato, limitandosi ad invocare in buona sostanza l’applicazione dell’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”.

5.1. Questione di diritto unica per la decisione della presente controversia consiste pertanto nella ammissibilità o meno, accanto alla sanatoria legale di tipo formale codificata dall’art. 17 della richiamata legge regionale (sostanzialmente ma non completamente ricalcante la disposizione di cui all’art. 36 del vigente testo unico dell’edilizia approvato con d.P.R. 380/2001) del controverso istituto della sanatoria “giurisprudenziale”, ovvero di una forma di sanatoria “minore” valevole ai soli fini amministrativi, da ritenersi - secondo esegesi affatto pacifica - implicita nell’ordinamento in base a diverse ragioni logico sistematiche.

Come noto, sia in base all’art. 17 della L.R. Umbria 21/2004 che all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e ancor prima all’art. 13 L. 47/1985) è possibile ottenere il permesso in sanatoria solamente se l'intervento sine titulo realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della sua realizzazione, sia della presentazione della domanda. A dire il vero, il citato art. 17 della legge regionale umbra presenta alcuni significativi profili di deroga rispetto alla fattispecie di cui al testo unico dell’edilizia, dal momento che nell’ultimo periodo del primo comma è consentita la sanatoria anche in caso di sola conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda seppur limitatamente ai soli cambi di destinazione d’uso. Il successivo art. 18 poi, sempre in aperta deroga alla normativa statale, seppur in via esclusivamente transitoria (“norme di prima applicazione”) consente la sanatoria anche per le opere conformi solo in via postuma, con la fissazione di un termine (perentorio) per la presentazione delle relative istanze di 120 giorni dall’entrata in vigore della legge 1/2004 (su cui T.A.R. Umbria 14 gennaio 2011, n.9).

5.2. Accanto alla sanatoria legale di cui all’art. 36 del d.P.R. 327/2001, parte della giurisprudenza ha riconosciuto in via puramente pretoria la possibilità di sanatoria anche in presenza della sola conformità urbanistico edilizia con riferimento alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità, evidenziando l’evidente contrasto con i principi di buon andamento, economicità e ragionevolezza dell’attività amministrativa che si verificherebbe dando ingresso nell’ordinamento alla demolizione di opera solo formalmente abusiva ma sostanzialmente riedificabile nella stessa forma e consistenza dietro presentazione di istanza di rilascio di titolo edilizio ordinario.

La ratio sottesa alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, è dunque da individuarsi nell'esigenza di non imporre la demolizione di un'opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di attività inutili, sia per l'Amministrazione, che per il privato autore dell'abuso ( ex multis Consiglio di Stato sez. V, 6 luglio 2012, n.3961).

La tesi dell’ammissibilità di una sanatoria edilizia giurisprudenziale, era stata sostenuta in passato anche da talune pronunce dell’adito Tribunale (T.A.R. Umbria 14 gennaio 2011, n.9;
vedi ex multis anche T.A.R. Abruzzo - Pescara 30 maggio 2007, n.583) oltre che del supremo consesso di Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato sez. V, 28 maggio 2004, n.3431;
id. sez. V, 21 ottobre 2003, n.6498;
id. sez. VI, 7 maggio 2009 n.2835).

Anche l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (parere n. 52/2001) aveva espresso parere favorevole in ordine all’ammissibilità, entro certi limiti, di tale ulteriore forma di sanatoria, fermo restando la sanzione penale per l’illecito commesso nonché il pagamento di una oblazione maggiore rispetto all’ipotesi di doppia conformità.

5.3. Trattasi però di tesi oggi ampiamente minoritaria in giurisprudenza, se non del tutto recessiva.

Infatti, secondo l’orientamento oggi dominante, predicare l'operatività della sanatoria giurisprudenziale, consentendo la legittimazione postuma di opere originariamente e sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost., oltre che dall'art. 1 comma 1, L. n. 241 del 1990 (secondo cui “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge") sia in quanto svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e vincolante la disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale, ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001) alle sole violazioni di ordine formale. Inoltre, si finirebbe per premiare gli autori degli abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo del territorio ( ex multis T.A.R. Campania Napoli sez. VIII, 3 luglio 2012, n.3153;
T.A.R. Toscana sez. III, 13 maggio 2011, n.837;
Consiglio di Stato sez. V, 6 luglio 2012, n.3961).

5.4. Secondo poi una ulteriore tesi “mediana” - del tutto minoritaria - la pur riconosciuta impossibilità a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, di autorizzazione postuma senza la “doppia conformità” potrebbe “bilanciarsi” in sede sanzionatoria, potendosi in tal segmento procedimentale - del tutto autonomo seppur connesso - valutare l’irrazionalità della demolizione (T.A.R. Piemonte 18 ottobre 2004, n. 2506) ai fini dell’applicazione di una diversa sanzione.

5.5. Osserva il Collegio come, in linea di principio, l’istituto della sanatoria giurisprudenziale possa rispondere effettivamente ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa, dal momento che sarebbe obiettivamente in contrasto con il principio di ragionevolezza ed economia dei mezzi giuridici oltre che di giustizia sostanziale e di proporzionalità, procedere alla demolizione di manufatto abusivo realizzabile dall’interessato con la stessa forma e consistenza immediatamente dopo, mediante la presentazione di istanza di rilascio di titolo ordinario.

Si tratterebbe, come osservato da parte della dottrina, di una mera causa di legittimazione postuma delle opere, sotto il profilo esclusivamente amministrativo, diversamente dalla sanatoria legale che come è noto ha effetto estintivo (pur se non automatico cfr. Cassazione penale sez. III, 5 luglio 2010, n.25387) dei correlati reati edilizi.

E’ però vero che risulta arduo, anche sul piano sistematico, ammettere un’istituto con valenza sanante non previsto dalla legge ed anzi in contrasto con la espressa previsione dell’art. 36 T.U. edilizia, in considerazione della stessa eccezionalità degli strumenti di sanatoria ( ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 13 febbraio 2013, n.894) per i quali sembrerebbe incompatibile la stessa predicabilità di forme atipiche, avendo il principio di legalità e tipicità dell’attività autoritativa in questa materia valenza ancor più stringente. Non si tratta, infatti, di autotutela con funzione di conservazione di pregressa attività illegittima, bensì di sanatoria del tutto atipica inerente l’attività illecita dei soggetti privati quale la realizzazione di manufatto privo del necessario titolo abilitativo, non rinvenendosi nell’ordinamento un generale ed indistinto principio di sanabilità dell’attività illecita ( ex multis T.A.R. Piemonte 18 ottobre 2004, n. 2506).

5.6. Potrebbe in ipotesi allora porsi d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art 17 della legge regionale umbra e del corrispondente art. 36 t.u. edilizia nella parte in cui limitano o non prevedono con carattere di generalità tale forma di sanatoria “minore” - con la doverosa sottoposizione al pagamento di oblazione in misura maggiore, in ossequio al principio di uguaglianza - poiché parrebbe porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.) l’identica sanzionabilità di situazioni obiettivamente diverse, quali la realizzazione di opera tout court abusiva e la realizzazione di opera originariamente abusiva ma poi divenuta conforme ai successivi strumenti urbanistici.

La Corte Costituzionale ha più volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità” (sent. nn. 31 marzo 1998 n. 370;
13 maggio 1993 n. 231;
27 febbraio 2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici (sent. 370/1998 e 231/93).

Con tale ultima pronuncia, in riferimento a giudizio di costituzionalità di legge regionale della Toscana, ha affermato che il rigore insito nel principio della “doppia conformità” trova la propria ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria in questione, “finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’ istanza per l’accertamento di conformità.

La Consulta ha dunque già vagliato anche sotto il profilo amministrativo la costituzionalità della disciplina in questione, nel senso della assoluta inconciliabilità tra l’istituto legale e quello pretorio, ragion per cui ritiene il Collegio di non dover sollevare d’ufficio questione di legittimità costituzionale, da ritenersi manifestamente infondata alla luce delle precisazioni del giudice costituzionale - come peraltro incidentalmente già rilevato (Consiglio di Stato sez. V, 11 giugno 2013, n.3220) - se non inammissibile.

In disparte per tanto ogni considerazione, sul piano della opportunità, in merito al mancato riconoscimento in via normativa di tale forma di sanatoria, è da escluderne la creazione per via ermeneutica, come vorrebbero i ricorrenti.

5.7. In definitiva, non è possibile l'estensione del permesso di sanatoria al di fuori dei presupposti della cosiddetta “doppia conformità”, di cui all'art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con la conseguenza che non può trovare applicazione l'istituto della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, poiché il principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in base allo strumento vigente, deve recedere di fronte a quello, di pari rango costituzionale, di legalità che vuole che, anche in questa materia, siano osservate le disposizioni del legislatore (ancora T.A.R. Puglia Lecce sez. III, 9 dicembre 2010 n. 2816).

5.8. Fermo restando quanto sopra esposto, ritiene invece il Collegio non escludibile a priori, in nome dei richiamati principi di ragionevolezza ed economia dei mezzi giuridici, la possibilità per l’Amministrazione di valutare discrezionalmente, in sede sanzionatoria, la possibilità di applicare misure alternative alla demolizione, ove non sussistano al riguardo ragioni ostative al pubblico interesse da indicare con congrua motivazione (quali la presenza di vincoli ambientali ecc.) analogamente a quanto già previsto in riferimento ad altre ipotesi di violazioni edilizie meramente formali, segnatamente all’art. 38 del T.U. edilizia, seppur norma di “speciale favore” (cfr. T.A.R. Liguria sez. I, 18 febbraio 2014, n.282)

6. Per i suesposti motivi i motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti.

Sussistono giusti motivi ai sensi degli artt. 26 cod. proc. amm. e 92 c.p.c. per disporre la compensazione delle spese di lite, attesa la complessità delle questioni trattate.

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