TAR Milano, sez. I, sentenza 2022-11-15, n. 202202535
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Pubblicato il 15/11/2022
N. 02535/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00928/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 928 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Gelsia Ambiente S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati C V, E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Solaro, Brianza Energia Ambiente S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati P F, E R, F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio E R in Milano, piazza Eleonora Duse n.4;
nei confronti
Servizi Comunali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Bea Gestioni S.p.A., Servizi Comunali Milano Monza Brianza S.p.A., non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
1) quanto al ricorso principale:
della Deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Solaro n. 23 del 26 marzo 2021, pubblicata sull’Albo pretorio per 15 giorni dal 6 aprile 2021, avente ad oggetto la revisione del modulo gestorio di BEA Gestioni e il nuovo assetto societario nonché l’affidamento alla medesima per dieci anni “del servizio dei rifiuti urbani consistente nelle seguenti prestazioni: recupero e/o smaltimento delle frazioni provenienti dalla raccolta differenziata di rifiuti solidi urbani;recupero energetico della frazione secca residuale;gestione dei contributi CONAI;trasporto dei rifiuti agli impianti di recupero e smaltimento, subordinando l’efficacia dell’affidamento al buon esito della procedura di riorganizzazione societaria descritta nei punti precedenti […]”, compresi i relativi allegati, nonché di ogni altro atto antecedente, presupposto, susseguente e/o comunque connesso con quelli impugnati, ivi compresa la deliberazione dell’assemblea dei Soci di BEA S.p.A. del 15.12.2020 e gli atti attuativi della stessa;
nonché per la declaratoria dell’inefficacia
del contratto di servizio eventualmente stipulato fra il Comune di Solaro e BEA Gestioni S.p.A.;
2) quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato da Gelsia Ambiente S.r.l. in data 3 agosto 2021:
degli atti antecedenti, presupposti e/o comunque connessi alla Deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Solaro n. 23 del 26 marzo 2021, già impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio quali “atti attuativi della deliberazione dell’assemblea dei Soci di BEA S.p.A. del 15.12.2020”, e segnatamente della lettera invito del 18 dicembre 2020 e relativi allegati e del verbale n. 1 del 25 gennaio 2021, depositati in giudizio dalle controparti in data 21 giugno 2021, nonché degli atti tutti della relativa gara, ancorché non conosciuti, e degli atti tutti che prevedono, approvano e avallano l’operazione societaria e l’affidamento del servizio censurati con il ricorso introduttivo;
nonché per la declaratoria dell’inefficacia
del contratto di servizio eventualmente stipulato fra il Comune di Solaro e BEA Gestioni S.p.A..
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Solaro e di Brianza Energia Ambiente S.p.A. e di Servizi Comunali S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2021 il dott. F F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) Con il ricorso principale, Gelsia Ambiente srl impugna il provvedimento n. 23, in data 26 marzo 2021, con il quale del Comune di Solaro ha approvato la ridefinizione del modulo gestorio di Bea Gestioni S.p.A., transitando dal modello della società mista pubblico-privata a quello della gestione in house.
Il modello in house viene realizzato mediante l’integrazione di Bea Gestioni spa “con Servizi Comunali S.P.A., proposta aggiudicataria della procedura ad evidenza pubblica bandita da BEA S.p.A. e controllante interamente Servizi Comunali Milano Monza Brianza S.p.A., a socio unico”.
Viene approvato anche il nuovo assetto societario di Bea Gestioni spa, funzionale alla sua trasformazione da società mista a organismo in house.
Nel contempo, la deliberazione dispone l’affidamento alla società ora indicata e per la durata di dieci anni “del servizio dei rifiuti urbani consistente nelle seguenti prestazioni: recupero e/o smaltimento delle frazioni provenienti dalla raccolta differenziata di rifiuti solidi urbani;recupero energetico della frazione secca residuale;gestione dei contributi CONAI;trasporto dei rifiuti agli impianti di recupero e smaltimento, subordinando l’efficacia dell’affidamento al buon esito della procedura di riorganizzazione societaria descritta nei punti precedenti”.
Con il ricorso per motivi aggiunti, Gelsia Ambiente srl impugna, oltre ai provvedimenti già oggetto del ricorso principale, anche la lettera di invito del 18 dicembre 2020 e gli altri atti della procedura ad evidenza pubblica sottesa all’operazione societaria e all’affidamento del servizio censurati con il ricorso introduttivo.
Si richiede, infine, la dichiarazione di inefficacia del contratto di servizio eventualmente stipulato fra il Comune di Solaro e Bea Gestioni S.p.A..
2) La trattazione della controversia postula, per la particolare complessità fattuale e giuridica che la caratterizza, la ricognizione della complessa operazione societaria sottesa all’affidamento in house, muovendo dall’analisi della posizione dei diversi soggetti coinvolti, come emergente dagli atti depositati in giudizio e dalle deduzioni delle parti.
Va premesso che la ricorrente, Gelsia Ambiente S.r.l. - società che appartiene al Gruppo AEB, partecipato da A2A S.p.A. - gestisce i servizi di igiene ambientale in 26 comuni del territorio della Brianza.
L’operazione societaria contestata coinvolge, oltre al Comune di Solaro, quattro società: 1) Brianza Energia Ambiente s.p.a. (d’ora in poi anche BEA);2) Bea Gestioni s.p.a. (d’ora in avanti anche Bea Gestioni);3) Servizi Comunali s.p.a.;4) Servizi Comunali Milano Monza Brianza s.p.a. (d’ora in poi anche SCMMB).
Va osservato che:
- il Comune di Solaro è socio di BEA, con una percentuale del 3,65% ed è altresì socio, con una percentuale del 0,258%, di Servizi Comunali spa, cui in passato ha affidato il servizio di igiene urbana;
- BEA è una società a totale capitale pubblico, partecipata da enti pubblici territoriali, quali: la Provincia di Monza Brianza 20%, il Comune di Desio 12,03%, il Comune di Cesano Maderno 11,25%, il Comune di Limbiate 11,25%, il Comune di Meda 7,34%, il Comune di Nova Milanese 7,28%, il Comune di Muggiò 7,2%, il Comune di Seveso 6,22%, il Comune di Lentate sul Seveso 5%, il Comune di Varedo 4,55%, il Comune di Bovisio Masciago 4,23%, il Comune di Solaro 3,65%;
- in base allo statuto BEA si occupa delle attività di progettazione, di costruzione e di gestione di impianti per lo smaltimento, il trattamento, lo stoccaggio di rifiuti solidi urbani e di ogni altra categoria di rifiuti prevista dalla normativa;e ancora, del servizio di raccolta di qualsiasi tipologia di rifiuti e delle attività diverse di igiene urbana ed ambientale;della progettazione, realizzazione e gestione di reti per il trasporto e la distribuzione di energia termica e dei relativi impianti strumentali, nonché della produzione, distribuzione e vendita di energia elettrica;
- BEA gestisce il trattamento di RSU in 84 comuni e, pertanto, in favore anche di Enti diversi da quelli da cui è partecipata;tali servizi sono gestiti tramite la controllata Bea Gestioni;
- Bea Gestioni è stata costituita da BEA nel 2013, mediante una gara a doppio oggetto, all’esito della quale è stata individuata, con il ruolo di socio operativo, la società Comef srl, cui Bea ha ceduto il 10% del capitale sociale;
- BEA ha, quindi, affittato a Bea Gestioni il ramo di azienda costituito dal complesso tecnologico composto dall’impianto di incenerimento di rifiuti solidi urbani con produzione di energia elettrica ed erogazione del servizio di teleriscaldamento, oltre agli immobili ad esso strumentali e le ha affidato l’attività di smaltimento dei rifiuti per suo conto;
- Servizi Comunali è una società che ha sede nel Comune di Sarnico ed è partecipata da oltre 100 Comuni e svolge attività afferenti al settore della gestione dei rifiuti e, in particolare, servizi di raccolta, trasporto, smaltimento o recupero dei rifiuti;
- Servizi Comunali si presenta come una società in house, poiché lo Statuto prevede che i soci esercitino il controllo analogo nei confronti della società stessa;
- Servizi Comunali Milano Monza Brianza S.p.A. è stata costituita nel mese di gennaio 2021 da Servizi Comunali, che ne detiene il 100% del capitale sociale;la società ha un oggetto statutario corrispondente a quello di Servizi Comunali e si presenta anch’essa come un operatore in house.
L’operazione prende le mosse dalla scelta di BEA di trasformare Bea Gestioni in una società in house.
A tale fine, BEA ha pubblicato, in data 4 novembre 2020, un avviso rivolto a soggetti pubblici per l’acquisizione di manifestazioni di interesse da parte di Enti territoriali e Società a partecipazione pubblica totalitaria, al fine di verificare la “sussistenza dei presupposti per la possibile strutturazione di un modello di gestione c.d. in house providing dell’intero ciclo integrato dei rifiuti, attraverso l’acquisizione di un nuovo socio pubblico, al quale cedere la partecipazione in Bea Gestioni già detenuta da Comef S.r.l..
La procedura ha condotto ad individuare come aggiudicataria l’unico soggetto partecipante alla procedura, ossia la società Servizi Comunali, di cui si è già detto.
Il provvedimento impugnato precisa che l’individuazione di Servizi Comunali quale aggiudicataria comporta:
- la vendita da parte di BEA del 10% delle azioni della società BEA Gestioni S.p.A. all’aggiudicatario, per sé o per una società a partecipazione pubblica totalitaria da esso controllata;
- il conferimento all’aggiudicatario del termovalorizzatore di Desio gestito da BEA Gestioni per dieci anni dalla data indicata nel contratto di servizio nella quantità e nel prezzo indicati nell’offerta economica “e ciò allo specifico fine di assicurare da parte di BEA Gestioni il rispetto del limite minimo dell’80% di fatturato svolto per conto dei soci”;
- l’acquisto da parte di BEA di azioni o quote, fino ad un massimo del 10% dell’Aggiudicatario o di una società da questi controllata, “cessione finalizzata all’affidamento del servizio di igiene urbana”;
- l’“esecuzione, attraverso l’integrazione con l’Aggiudicatario o Società da questi controllata, del servizio di raccolta e spazzamento nei Comuni che affideranno il servizio a BEA Gestioni S.p.A.”.
L’operazione societaria descritta determina le seguenti modificazioni nell’assetto dei soggetti coinvolti:
a) BEA Gestioni risulta partecipata al 90% da BEA e al 10% da Servizi Comunali, quale aggiudicataria della gara diretta alla vendita del 10% del capitale sociale di Bea Gestioni;
b) SCMMB, già appartenente per il 100% a Servizi Comunali, diventa partecipata al 90% da Servizi Comunali e al 10% da BEA;
c) i Comuni soci di BEA e quelli soci di Servizi Comunali affidano a BEA Gestioni i servizi di smaltimento e recupero dei RSU e a Servizi Comunali o a SCMMB i servizi di raccolta e di trasporto dei medesimi rifiuti.
Insomma, l’operazione è diretta a trasformare BEA Gestioni da società mista a società in house, al fine di consentire l’affidamento diretto ad essa dei servizi di igiene urbana da parte dei Comuni soci sia di BEA, sia di Servizi Comunali.
3) Devono essere esaminate con precedenza le eccezioni di rito sollevate dalle parti resistenti.
E’ infondata l’eccezione di carenza di interesse e di legittimazione sollevata in quanto Gelsia non sarebbe qualificabile come operatore del settore, perché attiva solo nell’ambito dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti e non anche in quelli di trattamento e smaltimento, cui pure si riferisce la deliberazione comunale impugnata.
L’eccezione si sostanzia in una mera deduzione non supportata da elementi di riscontro, sicché non vale a superare le allegazioni della ricorrente che ha documentato di essere operativa nel mercato dei servizi di gestione dei rifiuti, comprese le attività di smaltimento e recupero dei rifiuti.
Con un’altra eccezione, si lamenta l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione tempestiva di atti ritenuti presupposti, quali le deliberazioni dell’Assemblea dei soci di BEA spa recanti l’approvazione dell’operazione di trasformazione di Bea Gestioni in un organismo in house, l’avviso pubblicato per l’individuazione del socio cui cedere il 10% del capitale di Bea Gestioni e gli atti della relativa procedura ad evidenza pubblica.
L’eccezione non può essere condivisa.
Al di là della circostanza che taluni degli atti indicati sono compresi tra quelli impugnati, va osservato che Gelsia non lamenta un pregiudizio in ragione della scelta di Bea di costituire una società in house, né degli atti di trasformazione di Bea Gestioni, tra i quali quelli che, all’esito di un’apposita gara, hanno condotto alla cessione del 10% del capitale della società a Servizi Comunali.
Gelsia contesta la scelta del Comune di Solaro di affidare in house a Bea Gestioni il servizio di gestione dei rifiuti, evidenziando l’insussistenza dei presupposti per un affidamento diretto, in quanto, secondo le deduzioni articolate, il Comune non eserciterebbe un controllo analogo sulla società.
Il pregiudizio lamentato non è correlato alla trasformazione societaria di Bea Gestioni, ma alla sottrazione al mercato dei servizi di cui il Comune ha disposto l’affidamento diretto a tale società.
Ne deriva che Gelsia, contestando la deliberazione del Comune di Solaro, ha censurato proprio il provvedimento che le arreca un pregiudizio, con conseguente infondatezza dell’eccezione proposta.
La circostanza che già in passato le delibere comunali avessero manifestato l’intenzione di utilizzare il modello in house non sposta i termini della questione, poiché è la deliberazione n. 23/2021 il provvedimento con il quale il Comune ha, da un lato, deciso di avvalersi della società Bea Gestioni, dall’altro, ha approvato il modulo gestorio individuato da BEA spa ed ha affidato il servizio alla prima, così producendo effetti giuridici lesivi per la ricorrente.
Viene eccepito anche il difetto di giurisdizione rispetto alla contestazione - ipoteticamente tardiva - di alcune delibere assembleari di Bea spa.
L’eccezione è infondata, in quanto, le delibere sono solo menzionate tra gli atti impugnati, sulla base di un’indicazione meramente formale, poiché il ricorso e i motivi aggiunti non recano puntuali censure rivolte avverso tali delibere.
Si tratti di atti menzionati per la descrizione, fattuale e giuridica, della fattispecie complessiva, ma non oggetto di effettive contestazioni, sicché la loro presenza nell’epigrafe degli atti di impugnazione non vale a dilatare o a modificare la natura delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio, che restano comprese nella giurisdizione del giudice adito, con conseguente infondatezza dell’eccezione in esame.
4) Gelsia Ambiente srl propone, con il ricorso e i successivi motivi aggiunti, più censure dirette a contestare, sotto diversi profili, la sussistenza dei presupposti per la configurazione di un legittimo affidamento diretto in house da parte del Comune di Solaro e in favore di Bea Gestioni spa.
5) L’esame dei diversi profili contestati dalla ricorrente postula, da un lato, la ricognizione del quadro normativo che disciplina l’affidamento in house, dall’altro, la disamina in dettaglio dei meccanismi che sono stati posti in essere per trasformare Bea Gestioni in società in house, al fine di verificare la legittimità dell’affidamento diretto disposto dal Comune di Solaro con il provvedimento impugnato.
5.1) I presupposti dell’affidamento in house emergono dal coordinamento tra l’art. 12 della direttiva n. 24/2014 e le norme del codice dei contratti pubblici, quali gli artt. 5 e 192 del d.l.vo 2016 n. 50, a loro volta da coordinare con gli artt. 2 e 16 del d.l.vo 2016 n. 175.
L’art. 5 del d.l.vo 2016 n. 50 ripete il contenuto dell’art. 12 della direttiva n. 24/2014, sicché ad esso può essere fatto riferimento immediato.
La norma prevede, quale paradigma generale, che una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell’ambito di applicazione del codice in presenza di specifiche condizioni, che devono tutte concorrere contemporaneamente.
In presenza di tali condizioni è legittimo procedere ad un affidamento diretto in favore del soggetto c.d. in house.
In particolare (comma 1) è necessario che: a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore eserciti sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;b) oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore;c) nella persona giuridica controllata non vi deve essere alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati e che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
La norma è centrata sulla nozione di “controllo analogo”, definito nel successivo comma 2 come l’esercizio di “un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata”, con la precisazione che “tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore”.
Quest’ultimo inciso introduce il tema del c.d. controllo analogo a cascata.
La citata lett. b) del comma 1, pone un presupposto quantitativo consistente nello svolgimento dell’80% dell’attività della controllata (soggetto in house) nell’ambito dei compiti che le sono affidati dalla controllante.
I commi 7 e 8 prevedono che il calcolo della percentuale indicata sia basato sul fatturato totale medio, o su una idonea misura alternativa basata sull’attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione. Nondimeno, se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile.
La disposizione reca un’ulteriore specificazione in ordine alle caratteristiche che può assumere il controllo che giustifica l’affidamento in house, disciplinando il “controllo analogo congiunto”.
I commi 4 e 5 prevedono, infatti, che in presenza delle ricordate condizioni di cui al comma 1, l’affidamento diretto in house possa essere effettuato anche in caso di controllo congiunto.
Il comma 5 individua il proprium di questo concetto, stabilendo che il controllo analogo congiunto sussiste se ricorrono, contemporaneamente, tre condizioni, quali: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.
Le nozioni ora viste si integrano e si completano con la disciplina dettata dal d.l.vo 2016, n. 175, recante il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
In particolare, l’art. 2, lett. b) e c), del T.U. ribadisce, da un lato, che per “controllo analogo” si intende la situazione in cui l’amministrazione esercita su una società “un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata”, precisando che “tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante”, dall’altro, che il “controllo analogo congiunto” si realizza quando “l’amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La suddetta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.
La successiva lett. o) dell’art. 2 specifica che sono “società in house” quelle sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all’articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell’attività prevalente di cui all’articolo 16, comma 3.
La norma rinvia all’art. 16 per la disciplina sia delle forme nelle quali avviene la partecipazione di capitali privati, sia per la definizione di “attività prevalente”.
In proposito, l’art. 16, dedicato proprio alla disciplina delle società “in house”, definisce queste ultime come i soggetti che “ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata”.
La norma si occupa delle modalità di realizzazione dell’assetto organizzativo che consente l’affidamento diretto in house, prevedendo che a tale fine: a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile;b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, terzo comma, del codice civile;c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali;tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile.
In coerenza con il citato art. 5, comma 1, lett. b), del d.l.vo 2016 n. 50, l’art. 16 in esame ribadisce che “gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci” (comma 3) e che “la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società” (comma 3 bis).
La cornice normativa si completa con il riferimento all’art. 192, comma 2, del d.l.vo 18 aprile 2016, n. 50, a mente del quale l’operazione di affidamento in house, sottraendo l’assegnazione di servizi all’ordinario regime concorrenziale, deve trovare giustificazione in una puntuale relazione, dalla quale emerga che le stazioni appaltanti abbiano effettuato “preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione”.
Non solo, la motivazione del provvedimento di affidamento deve rendere conto “delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
A sua volta, l’art. 34, comma 20, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221 prevede che: “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.
5.2) La giurisprudenza, interna ed eurounitaria, formatasi sul tema dell’affidamento in house, ha chiarito che la legittima applicazione dell’istituto postula l’effettiva sussistenza di un “controllo analogo”, anche nelle declinazioni del controllo a cascata e del controllo analogo congiunto, con la precisazione che esso si sostanzia in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma “al socio pubblico controllante”, che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6460/2020).
Il controllo analogo è tale se, per effetto della sua concreta modulazione, la società affidataria non è terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione, sicché tra socio pubblico controllante e società sussiste “una relazione interorganica e non intersoggettiva”, perché il controllo esercitato deve corrispondere a quello che l’ente pubblico esplica sui propri servizi.
La giurisprudenza eurounitaria specifica che tale relazione deve intercorrere tra soci affidanti e società, “non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza” (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89/19 e C-91/19).
Va, inoltre, osservato che le norme citate, laddove si riferiscono al “controllo analogo congiunto”, confermano quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia (sin dalla sentenza 18 novembre 1999, C-107/98 - Teckal), la quale ha ammesso che, in caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo possa essere esercitato in forma congiunta (cfr. anche sentenza 13 novembre 2008 nella causa C-324/07 - Coditel Brabant SA).
La Corte precisa che a tal fine non possono ritenersi adeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sicché è necessario dotare i soci affidanti di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.
Il profilo ora introdotto – rilevante nel caso di specie – deve essere esaminato tenendo conto dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016, che ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”.
Nondimeno, la giurisprudenza esclude la riferibilità della disposizione agli organismi in house, sicché il controllo analogo può essere realizzato anche attraverso l’istituzione, ad opera dei soci pubblici, di organi speciali ad esso funzionali.
In tal senso, si sostiene (cfr. Consiglio di Stato, 30 aprile 2018, n. 2599 e 16 luglio 2020, n. 8028) che l’esclusione, per gli organismi in house, del divieto di istituire organi speciali discenda dai seguenti profili: a) il divieto è previsto in relazione alle “società a controllo pubblico” regolate appunto dall’art. 11 e non è ripetuto nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina risulta, pertanto, speciale e derogatoria;b) a differenza delle società a controllo pubblico, per le quali, l’art. 2, comma 1, lett. m), del d.l.vo n. 175 del 2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell’art. 2359 cod. civ., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall’art. 2, comma 1, lett. o) d.lgs. n. 175 del 2016).
Il tema è rilevante, in quanto la giurisprudenza ha precisato che una partecipazione “pulviscolare” sia in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti e, quindi, a palesare la sussistenza di un controllo analogo almeno congiunto.
Nondimeno, proprio in ragione della non riferibilità dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016 agli organismi in house, si è chiarito che i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578).
La tipizzazione normativa e l’elaborazione giurisprudenziale hanno condotto ad enucleare diverse “forme di in house” connotate da specificità rispetto all’ in house “tradizionale” (sul punto Consiglio di Stato, sez. I, 26 giugno 2018, n. 1645).
Si è già detto che l’art. 5, comma 2, del d.l.vo 2016 n. 50 introduce il c.d. “in house a cascata” caratterizzato dalla presenza di un controllo analogo “indiretto”, ossia esercitato da una persona giuridica diversa da quella affidante, ma a sua volta controllata allo stesso modo da quest’ultima.
In altri termini, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su un ente che a propria volta esercita un controllo analogo sull’organismo in house;anche se tra la l’amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta è comunque ammesso l’affidamento diretto.
Sul punto, vale ricordare che già in passato la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE 11 maggio 2006 C-340/04) configurava un legittimo controllo analogo anche in caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo, determinandosi così un in house a cascata.
E’ configurabile, inoltre, il c.d. “in house frazionato o pluripartecipato”, che trova fondamento positivo nel citato art. 5, commi 4 e 5, ed è centrato sul concetto di “controllo congiunto”, i cui caratteri sono definiti dalle disposizioni appena richiamate.
Si definisce “in house invertito o capovolto” quello descritto dall’art. 5, comma 3, del d.l.vo 2016 n. 50, che si verifica quando il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida un contratto al soggetto controllante senza procedura di evidenza pubblica.
Questa ipotesi evidenzia una sorta di bi-direzionalità dell’in house;la cui giustificazione risiede nel fatto che mancando una relazione di alterità, i rapporti tra i due soggetti sfuggono al principio di concorrenza qualunque sia la “direzione” dell’affidamento.
Diverso è il c.d. “in house orizzontale”, che presuppone la presenza di tre soggetti.
Un soggetto A aggiudica un appalto o una concessione a un soggetto B, ma tanto A quanto B sono controllati da un altro soggetto C, secondo i canoni propri del controllo analogo.
In tale ipotesi non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che così controlla sia A, sia B. Insomma, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su due operatori economici distinti di cui uno affida un appalto all’altro (cfr. giur cit.).
5.3) Il provvedimento impugnato e la documentazione prodotta dalle parti mettono in luce quali siano gli strumenti posti in essere nel caso concreto per configurare Bea Gestioni come società in house.
La deliberazione gravata afferma che, sin dalla determinazione n. 96 del 19 dicembre 2011, il Comune di Sarnico ha affidato, mediante l’istituto dell’in house providing, alla Società Servizi Comunali S.p.A. la gestione dei servizi pubblici locali di igiene ambientale, consistenti nei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento di alcuni rifiuti solidi urbani, con scadenza il 31 marzo 2017.
La delibera precisa che la riconduzione di BEA Gestioni ad un organismo in house è funzionale all’integrazione di tale società proprio con Servizi Comunali - aggiudicataria della gara indetta da BEA spa per l’assegnazione del 10% del valore di Bea Gestioni - a sua volta controllante interamente Servizi Comunali Milano Monza Brianza spa. Il tutto al fine di pervenire alla rimodulazione complessiva del servizio di igiene urbana tramite “una integrazione di tipo sia orizzontale che verticale tra BEA S.p.A. e Servizi Comunali S.p.A. e le rispettive società controllate”, così da realizzare “un reciproco scambio di servizi in via indiretta a beneficio dei diversi enti locali contraenti”.
Il Comune prevede la costituzione di “specifici organi per l’esercizio del controllo analogo”, che eserciteranno tale “forma di controllo su BEA Gestioni S.p.A. e Servizi Comunali Milano Monza Brianza S.p.A., anche per il tramite delle partecipazioni detenute da BEA S.p.A. e Servizi Comunali S.p.A.”.
La delibera precisa che gli organi del controllo analogo hanno “natura esclusivamente funzionale” e sono volti a consentire “agli enti locali soci di controllare congiuntamente dall’esterno, BEA Gestioni S.p.A. e Servizi Comunali Milano Monza Brianza S.p.A.” e ciò anche “attraverso strumenti di natura societaria che influenzino l’assetto gestorio delle predette società”.
A tale fine si prevede “la modifica degli statuti societari volta all’attribuzione agli enti pubblici soci di particolari diritti” e la “definizione di patti parasociali o di altri strumenti, anche in deroga alle disposizioni del codice civile”, ai sensi dell’articolo 16 del d.l.vo n. 175/2016.
5.3.1) Lo Statuto di Bea Gestioni prevede, dopo le modificazioni tese alla sua trasformazione in soggetto in house, una distinzione tra: 1) azioni di tipo A, denominate “azioni ordinarie” la cui titolarità è riservata ad enti pubblici “in grado di assicurare il controllo analogo congiunto” su Bea Gestioni e che attribuiscono anche il diritto agli utili;2) azioni di tipo B, denominate “azioni correlate”, che sono riservate ad enti pubblici territoriali o ai loro consorzi o alle loro società in house, sono cedibili solo a BEA spa, sono postergate nelle perdite della società e non partecipano alla distribuzione di dividendi, né ad alcuna forma di riassegnazione degli utili generati dalla società, “traendo la loro soddisfazione unicamente dal risultato della gestione dei servizi che saranno affidati al loro detentore”;si tratta dunque di azioni destinate ai soggetti operativi cui viene affidata la gestione dei servizi e che da essa traggono remunerazione.
5.3.2) Quanto alla struttura del controllo analogo, il successivo art. 11 dello Statuto lo configura come esercitato non tanto dai soci di Bea Gestioni – ossia BEA e Servizi Comunali – ma dai soci di queste ultime e per il tramite di esse;gli enti in questione – soci di BEA e di Servizi Comunali – procedono, dunque, all’affidamento diretto dei servizi a Bea Gestioni, cui non partecipano.
Gli artt. 11 e 12 dello Statuto disciplinano il controllo analogo e il Comitato per il controllo analogo.
Il controllo viene definito come “controllo analogo congiunto e differenziato” (art. 11.5 dello Statuto), la cui concreta strutturazione viene rimessa anche alla disciplina del Regolamento del Comitato per il controllo analogo e alle previsioni dei patti parasociali.
L’art. 11 prevede le prerogative spettanti agli Enti affidanti, che si aggiungano a quelle esercitate per il tramite del Comitato.
Così, ogni Ente: a) ha il diritto di ottenere dalla Società tutte le informazioni e tutti i documenti che possano interessare i servizi gestiti nel territorio di propria competenza;b) può svolgere dei controlli ispettivi in ordine alle modalità di svolgimento dei servizi affidati;c) può elaborare e sottoporre alla Società documenti di programmazione in ordine agli obiettivi da perseguire tramite la gestione in house, mediante l’utilizzo di indicatori qualitativi e quantitativi, e verificare lo stato di attuazione degli obiettivi, individuando azioni correttive in caso di scostamento o squilibrio finanziario;d) può impartire all’Organo Amministrativo e al Comitato direttive e indirizzi vincolanti relativamente alle decisioni sulla organizzazione e gestione, anche da un punto di vista economico-finanziario, del servizio affidato che abbiano esclusiva attinenza al proprio territorio di riferimento.
5.3.3) Quanto al Comitato per il controllo analogo, l’art. 12 dello Statuto prevede che sia composto da tre membri, due dei quali nominati dagli Enti locali soci di BEA S.p.A. e uno nominato dagli Enti locali soci di Servizi Comunali spa, “secondo modalità idonee ad assicurare il controllo analogo congiunto”.
Si precisa che i due membri del Comitato nominati dagli Enti locali affidanti soci di BEA S.p.A. devono “essere rappresentativi, in misura proporzionale, degli Enti affidanti e della diversa tipologia di servizi affidati”, con la precisazione che ciascuno di essi “viene votato dagli Enti affidanti, soci di BEA spa, a maggioranza semplice, attribuendosi il diritto a ciascun Ente affidante “di esprimere un voto, indipendentemente dalle dimensioni dell’ente di cui trattasi e dal numero di azioni che esso detiene”, sempre secondo “le modalità e secondo i criteri fissati nel Regolamento per il funzionamento del Comitato”, che deve essere approvato dall’Assemblea.
L’art. 12.5, da un lato, rimette al Regolamento del Comitato per il controllo analogo la definizione delle “funzioni decisionali, consultive e di indirizzo e controllo” del Comitato stesso, dall’altro, elenca le funzioni direttamente assegnate ad esso.
In particolare, il Comitato a) designa la maggioranza dei componenti dell’Organo Amministrativo della Società, e ne chiede la revoca;b) designa la maggioranza dei membri del Collegio Sindacale della Società, e ne chiede la revoca;c) autorizza l’adozione, da parte dell’Organo Amministrativo, del bilancio di esercizio, del piano industriale, del bilancio economico di previsione pluriennale, del bilancio economico di previsione annuale e del rendiconto consuntivo annuale, con potere di valutazione di tutte le questioni comunque relative ai servizi affidati;d) propone all’Assemblea l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli Amministratori, ai sensi dell’art. 2393 c.c.;e) promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli Amministratori, ai sensi dell’art. 2395 c.c.;f) assume le necessarie iniziative nei confronti dell’Organo Amministrativo, ivi incluso l’annullamento e/o la revoca degli atti in contrasto con gli interessi pubblici della collettività e del territorio a cui si riferisce il servizio;g) può porre il veto sulle operazioni ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi pubblici della collettività e del territorio interessati dal servizio;h) riceve direttive, indirizzi e documenti di programmazione dagli Enti affidanti, sulla cui base delinea le prescrizioni amministrative per l’Organo Amministrativo.
L’ulteriore disciplina riguardante il Comitato è contenuta nel relativo Regolamento, approvato dall’assemblea di Bea Gestioni.
La disciplina (art. 2 e seguenti) prevede che il controllo analogo sia attuato dal Comitato mediante tre livelli di attività: a) livello strategico (indirizzo e controllo societario);b) livello di coordinamento e monitoraggio (indirizzo e controllo economico-finanziario);c) livello gestionale (indirizzo e controllo sull’efficienza e efficacia dei servizi).
Tale controllo si articola in preventivo, concomitante e consuntivo.
Il controllo preventivo (art. 6 del regolamento) viene esercitato sui documenti programmatici della società, quali il Budget previsionale economico, finanziario e patrimoniale di ciascun esercizio, nonché il piano pluriennale contenente gli obiettivi strategici, le attività e le dinamiche patrimoniali, economiche e finanziarie;atti rispetto ai quali il Comitato può fare richiesta di dati e informazioni integrative e può proporre modifiche vincolanti per la Società.
Il controllo concomitante consiste nel: a) monitoraggio delle relazioni semestrali, relative allo stato di attuazione degli obiettivi indicati nel Budget, nonché dell’andamento della situazione economica, finanziaria e patrimoniale e, inoltre, dell’elenco aggregato degli acquisti di beni, servizi e lavori;b) monitoraggio di Report economici e di Report sui flussi di liquidità e soprattutto nella possibilità di indicare le azioni necessarie da intraprendere alle quali l’organi amministrativo della società dovrà attenersi. Il Comitato, in caso di squilibrio finanziario e in caso di scostamento rispetto agli obiettivi programmati, può indicare le azioni necessarie da intraprendere alle quali l’Organo amministrativo dovrà attenersi.
Il controllo a consuntivo consiste nell’esame della proposta di bilancio di esercizio, a seguito del quale il Comitato può rimodulare gli obiettivi della programmazione.
5.3.4) Il meccanismo di funzionamento del controllo analogo si completa con i patti parasociali per l’esercizio del controllo analogo, stipulati fra gli enti locali territoriali soci di BEA e di Servizi Comunali al fine di disciplinare “le forme di esercizio congiunto da parte degli Enti locali soci, del controllo analogo richiesto dalla vigente normativa nei confronti delle società BEA S.p.A., Bea Gestioni S.p.A. e Servizi Comunali spa”.
L’art. 4 dei patti prevede che gli enti locali soci di BEA spa e di Servizi Comunali spa esercitano “di concerto tra loro e nel rispetto delle forme e delle modalità previste dai rispettivi ordinamenti interni” la direzione politico amministrativa delle Società, definendone, gli obiettivi e le strategie gestionali tenuto conto del principio della sana gestione;“a tali obiettivi e strategie gestionali saranno uniformati gli obiettivi strategici stabiliti dagli organi della Società, nel rispetto dell’autonomia decisionale di detto organo”.
L’art. 5 assegna agli enti indicati anche il c.d. “controllo politico-amministrativo”, da svolgere tramite il Comitato per il controllo analogo, con il compito di verificare il generale andamento delle Società Bea Gestioni S.p.A. e Servizi Comunali spa, nonché lo stato di attuazione degli obiettivi e la gestione dei servizi svolti dalle Società, in relazione alle attività e all’ambito territoriale di riferimento.
L’art. 7 dei patti disciplina il “Comitato per il controllo analogo”, espressamente destinato a garantire il “controllo analogo congiunto”.
Il secondo comma della norma regola la composizione del Comitato, prevedendo che “nel Comitato di Bea Gestioni S.p.A. e nel Comitato di Servizi Comunali spa dovranno essere nominati rispettivamente un rappresentante degli enti locali soci di Servizi Comunali spa e un rappresentante degli enti locali soci di BEA S.p.A., nelle quote stabilite dai relativi statuti”.
In aggiunta alle funzioni assegnate dal Regolamento che lo disciplina, la disposizione assegna al Comitato per il controllo analogo le seguenti funzioni: a) designa la maggioranza dei componenti dell’Organo Amministrativo della Società, e ne chiede la revoca;b) designa la maggioranza dei membri del Collegio Sindacale della Società, e ne chiede la revoca;c) autorizza l’adozione, da parte dell’Organo Amministrativo, del bilancio di esercizio, del piano industriale, del bilancio economico di previsione pluriennale, del bilancio economico di previsione annuale e del rendiconto consuntivo annuale, con potere di valutazione di tutte le questioni comunque relative ai servizi affidati;d) propone all’Assemblea l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli Amministratori, ai sensi dell’art. 2393 c.c.;e) promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli Amministratori, ai sensi dell’art. 2395 c.c.;f) assume le necessarie iniziative nei confronti dell’Organo Amministrativo, ivi incluso l’annullamento e/o la revoca degli atti in contrasto con gli interessi pubblici della collettività e del territorio a cui si riferisce il servizio;g) riceve direttive, indirizzi e documenti di programmazione dagli Enti affidanti, sulla cui base delinea le prescrizioni amministrative per l’Organo Amministrativo.
6) Con un primo, articolato, gruppo di censure, Gelsia Ambiente srl lamenta l’insussistenza dei presupposti per qualificare il rapporto tra il Comune di Solaro e la società Bea Gesioni spa in termini di in house providing, per violazione del paradigma normativo di riferimento.
Il problema deve essere affrontato considerando che, in base agli atti già richiamati, il modello di in house cui ha aderito il Comune di Solaro attribuisce il controllo analogo a soggetti che non sono soci di Bea Gestioni spa e che, ciò nonostante, le affidano il servizio di gestione dei rifiuti.
Gli enti affidanti, compreso il Comune di Solaro, sono soci di BEA spa e di Servizi Comunali spa, le quali sono le uniche partecipanti al capitale sociale di Bea Gestioni spa, la prima al 90%, la seconda al 10%.
Sul punto, lo Statuto di Bea Gestioni e il regolamento per la disciplina del Comitato esplicitano che il controllo analogo su Bea Gestioni viene esercitato dagli enti locali affidanti, anche per il tramite di BEA spa e di Servizi Comunali, cui partecipano.
Si tratta pertanto di stabilire se tale meccanismo, che consente ad un ente locale di effettuare l’affidamento del servizio ad una società di cui non è socio, sia coerente con il quadro normativo che governa l’istituto, come interpretato dalla giurisprudenza richiamata.
Gli atti e le deduzioni difensive configurano il controllo analogo come congiunto, diretto ed esercitato dall’esterno.
A fronte delle contestazioni sollevate dalle parti, va precisato sin d’ora che tale meccanismo esula dal controllo a cascata in senso stretto, che è un tipo di controllo indiretto, previsto dalle norme già richiamate e caratterizzato dal fatto che la società in house non è controllata direttamente dal soggetto che le affida il servizio, ma da un altro, a sua volta controllato “allo stesso modo” - ossia secondo il modello in house – dal soggetto affidatario (art. 5, comma 2, secondo periodo, del d.l.vo 2016 n. 50).
Non è dubitabile che l’inciso “allo stesso modo” vada riferito al controllo proprio della gestione in house;invero, il modulo “a cascata” postula che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo su un ente che, a propria volta, esercita un controllo analogo sull’organismo in house, sicché, seppure tra la l’amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta, è comunque ammesso l’affidamento diretto (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1374/2021;id, parere n. 883/2019).
Il dato in esame evidenzia che nell’ipotesi del controllo analogo indiretto c.d. “a cascata”, il quadro normativo prevede che l’affidamento del servizio venga effettuato senza gara da parte di un ente che non è socio della società in house.
Nel caso di cui si tratta – si ripete - non è ipotizzato un controllo indiretto, ma un controllo diretto congiunto ed esterno da parte degli Enti locali non soci della società cui affidano direttamente il servizio.
Il tema sollevato dai ricorrenti deriva da un profilo di ambiguità emergente dagli atti che disciplinano il peculiare meccanismo posto in essere.
Lo Statuto, il Regolamento e i Patti parasociali non sono del tutto lineari sul punto, in quanto a più riprese affermano che il controllo analogo è esercitato anche per il tramite delle società BEA e Servizi Comunali, che detengono il capitale sociale di Bea Gestioni e alle quali partecipano gli enti locali che affidano il servizio.
Tale connotazione introduce un elemento di opacità nella struttura del modulo gestorio, in quanto, accanto al controllo congiunto diretto ed esterno, si assegna rilevanza al controllo indiretto esercitato per il tramite delle società BEA e Servizi Comunali, che partecipano a Bea Gestioni.
Nondimeno, ferma restando tale opacità, nella fattispecie non è ipotizzabile una doppia natura del controllo analogo, in parte diretto e in parte indiretto.
Invero, come già detto, il controllo indiretto presuppone una doppia relazione in house, ma la società BEA non è in house rispetto agli enti pubblici che la compongono e tale dato è pacifico in causa, atteso che anche il Comune di Solaro ribadisce, nelle memorie depositate, che BEA spa è una società a totale capitale pubblico, interamente partecipata da 12 enti locali, senza addurre che si tratti di un soggetto in house.
Pertanto, il riferimento al controllo congiunto esercitato anche tramite la società BEA non vale a ricondurre, neppure in parte, il meccanismo posto in essere nell’alveo delle ipotesi di in house indiretto configurate sul piano normativo.
Si tratta allora di stabilire se il controllo diretto, congiunto e ab externo, configurato nella relazione tra il Comune di Solaro e la società Bea Gestioni sia compatibile con le caratteristiche proprie dell’in house providing.
Il tema richiede una considerazione più generale.
Sin dalla sua prima configurazione l’in house si è basato sulla peculiare relazione che intercorre tra l’ente pubblico e la società affidataria.
La società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un “ufficio interno” dell’ente pubblico che l’ha costituita, una sorta di longa manus;non sussiste tra l’ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale.
Queste caratteristiche della società in house giustificano e legittimano l’affidamento diretto e dispensano l’amministrazione aggiudicatrice dall’avviare una procedura di evidenza pubblica.
Ciò perché, nella sostanza, non si tratta di un effettivo “ricorso al mercato” (outsourcing), ma di una forma di “autoproduzione” o, comunque, di erogazione di servizi pubblici “direttamente” ad opera dell’amministrazione, attraverso strumenti “propri” (in house providing).
L’istituto, che affonda le radici nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (sin dalla sentenza Teckal), è espressione del principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche di cui all’articolo 2 della direttiva 2014/23/Ue, che afferma: “le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici. Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni”.
In altre parole, con l’in house si verifica un affidamento diretto ad un soggetto che non è sostanzialmente diverso dall’amministrazione affidante, sicché non può dare luogo alla lesione dei principi del Trattato e, in particolare, del principio di concorrenza, proprio perché si tratta non di esternalizzazione ma di autoproduzione della stessa amministrazione.
In tal senso, l’istituto segna la “delicata linea di confine tra i casi in cui non occorre applicare le direttive appalti e concessioni e la relativa normativa nazionale di trasposizione, ed i casi in cui invece è necessaria l’applicazione” (per tali considerazioni si veda Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1374/2021).
Il meccanismo dell’in house, per come strutturato dalle norme nazionali, si basa di regola su un controllo interno;il controllo analogo, qualunque sia il suo concreto atteggiarsi, riguarda il rapporto tra il socio aggiudicatore e la società aggiudicataria, cui esso partecipa.
Ciò emerge non solo dal dato normativo, ma dall’elaborazione giurisprudenziale.
L’istituto è ricondotto ad un’ipotesi di autoproduzione del servizio, perché la società in house è in sostanza un “ufficio interno dell’ente pubblico che l’ha costituita”, sicché non può configurarsi “un’alterità sostanziale” tra l’ente pubblico e la società.
La Corte di Giustizia ha chiarito che il controllo esercitato dall’ente affidante sulla società in house deve essere effettivo, strutturale e funzionale (in tal senso, Corte di Giustizia UE, sez. III, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord) e ciò comporta che “la partecipazione alla società da parte dell’ente sia una condizione necessaria”, ancorché non sufficiente, “dovendosi verificare la presenza di strumenti di controllo da parte dell’ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile a favore del socio totalitario”.
Del resto, l’art. 192 del d.l.vo 2016 n. 50, nel trattare del “regime speciale degli affidamento in house”, ribadisce che gli enti aggiudicatori “operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house”;l’art. 5 del d.l.vo cit. precisa, nel delineare il controllo analogo congiunto, che gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti di “tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti”;l’art. 16, comma 2, lett. b), del d.l.vo 2016 n. 175 precisa che ai fini della realizzazione del controllo analogo, anche congiunto, gli statuti delle società “possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti”.
Pertanto, il legislatore nazionale, in coerenza con le caratteristiche strutturali dell’istituto, configura l’in house come una peculiare relazione tra una società e l’ente pubblico da cui è partecipata.
Vero è che le norme legittimano delle ipotesi di controllo esterno, ma si tratta di casi puntualmente disciplinati e che presuppongono una particolare relazione tra tutti i soggetti coinvolti.
Il controllo esterno, ossia effettuato da chi non partecipa all’organismo in house, è ammesso dalla normativa nei casi di “controllo a cascata” e di “controllo orizzontale”;in tali ipotesi, il controllo si atteggia come indiretto, ossia realizzato per il tramite di un soggetto diverso dall’ente aggiudicatore.
Va ribadito che in questi ultimi casi il controllo si profila come esterno, perché è esercitato da un soggetto che non appartiene alla compagine societaria dell’organismo in house, ma per il tramite di un soggetto interno ad esso, con il quale è legato da un particolare rapporto.
La relazione esterna e indiretta è prevista dal legislatore solo se sussistono i presupposti dell’in house a cascata o dell’in house orizzontale.
Nel controllo a cascata (di cui all’art. 5, comma 2, del d.l.vo 2016 n. 50) l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su un ente che, a propria volta, esercita un controllo analogo sull’organismo in house e, anche se tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta, è comunque ammesso l’affidamento diretto.
Nel “controllo orizzontale”, invece, sono presenti tre soggetti;un soggetto A aggiudica un appalto o una concessione a un soggetto B e tanto A quanto B sono controllati da un altro soggetto C. Non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che controlla sia A, sia B.
Le situazioni ora descritte sono caratterizzate dal fatto che l’ente aggiudicatore, pur se non socio dell’aggiudicataria, è in una relazione di in house con un’altra società, che a sua volta controlla l’affidataria secondo il meccanismo dell’in house.
Si tratta di situazioni in cui il controllo esterno è configurabile perché mediato dalla presenza di un soggetto in posizione di in house con l’ente aggiudicatore.
La scelta operata dal legislatore nazionale è volta, pertanto, a limitare l’ambito di applicabilità dell’istituto, anche rispetto alle previsioni dettate a livello europeo;ciò è evidenziato non solo dalla disciplina esaminata, ma anche dalla scelta di subordinare l’attivazione del meccanismo a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate.
Il riferimento va all’art. 192 del d.l.vo 2016 n. 50, che subordina l’affidamento diretto alla preventiva valutazione della congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Tale scelta ha superato il vaglio di compatibilità eurounitaria;difatti, la Corte di Giustizia ha precisato sul punto che l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che subordina la conclusione di un’operazione interna, denominata anche “contratto in house”, all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna (Corte di giustizia, nona sezione, ordinanza 6 febbraio 2020, in cause da C-89/19 a C-91/19, Rieco spa).
La ratio sottesa alle scelte restrittive operate dal legislatore nazionale è quella di realizzare una più ampia tutela del mercato, limitando in modo chiaro la possibilità di affidare direttamente dei contratti sottraendoli al libero gioco della concorrenza, che impone – di regola – l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica.
Si tratta di una scelta che non suscita dubbi di compatibilità comunitaria, come evidenziato, né di legittimità costituzionale, come di recente chiarito dalla Corte Costituzionale (Corte cost., sent., 27 maggio 2020, n. 100).
Vero è che l’ordinamento prevede, in sede di attuazione del diritto eurounitario, il divieto di gold-plating, termine che si riferisce alla prassi delle autorità nazionali di regolamentare oltre i requisiti imposti dalla legislazione UE, in sede di recepimento o di attuazione in uno Stato membro.
Il divieto di gold-plating è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 15, comma 2, lettera b), della L. 12 novembre 2011, n. 183, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge di stabilità 2012)”, con l’inserimento nell’art. 14 della L. 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), dei commi 24-bis, ter e quater.
Il comma 24-bis dispone che “gli atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salvo quanto previsto al comma 24-quater”.
Il comma 24-ter, precisa cosi si intenda per livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, ovvero: “a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive;b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive”.
Quanto alla disciplina dei contratti pubblici, l’art. 1, comma 1, lettera a), della legge delega n. 11 del 2016, ribadisce il divieto gold plating, vietando l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie.
La ratio del divieto è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato.
Il maggior rigore che connota il diritto nazionale “non si pone in contrasto ... con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l’esistenza di un margine di apprezzamento del legislatore nazionale rispetto a principi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato” (Corte cost., sent. n. 325 del 2010).
La scelta esplicita di ancorare l’affidamento di un contratto in house all’esistenza di un particolare rapporto interno tra l’ente socio e la società aggiudicataria, limitando a specifiche ipotesi il controllo esterno, restringe l’ambito di applicazione dell’istituto al fine di tutelare la concorrenza, perché limita la possibilità per le stazioni appaltanti di procedere ad affidamenti diretti sottraendoli al mercato.
Si tratta, pertanto, di una scelta coerente con il divieto di gold plating e compatibile con la disciplina eurounitaria.
Del resto, proprio la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ribadito che, dal principio di libera autorganizzazione delle autorità pubbliche (di cui al quinto considerando della direttiva 2014/24/UE e all’art. 2, paragrafo 1, della direttiva 2014/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione), discende la “libertà degli Stati membri di scegliere il modo di prestazione di servizi mediante il quale le amministrazioni aggiudicatrici provvederanno alle proprie esigenze” e, conseguentemente, quel principio “li autorizza a subordinare la conclusione di un’operazione interna all’impossibilità di indire una gara d’appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna” (Corte di giustizia, nona sezione, ordinanza 6 febbraio 2020, in cause da C-89/19 a C-91/19;Corte di giustizia, quarta sezione, sentenza 3 ottobre 2019, in causa C-285/18, Irgita), con ciò riconoscendo la legittimità di scelte nazionali più restrittive della normativa comunitaria, ma coerenti con la finalità proconcorrenziale di essa.
A ben vedere, la scelta del legislatore è espressione della tendenza a restringere il ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento e “che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali, come emerge dalla relazione AIR dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), relativa alle Linee guida per l’istituzione dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, ai sensi dell’art. 192 del codice dei contratti pubblici” (cfr. Corte cost., n. 100/2020 cit.).
Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha anche affermato che l’affidamento in regime di delegazione interorganica “costituisca un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica” (sentenza n. 46 del 2013).
L’approvazione, da parte del Comune di Solaro, del nuovo modulo gestorio di Bea Gestioni S.p.A. e del suo nuovo assetto societario, con correlato affidamento diretto ad essa del servizio di igiene urbana complessivamente inteso, non rispetta, sul piano strutturale, le condizioni necessarie per realizzare un legittimo affidamento in house.
Il controllo ipotizzato da parte del Comune è esterno e non interno, perché l’Ente non è socio di Bea Gestioni, di cui non detiene neppure una minima parte del capitale sociale.
Il Comune è socio di BEA, che a sua volta controlla, unitamente a Servizi Comunali, la società Bea Gestioni.
Nondimeno la società BEA non è una società in house rispetto agli enti locali che ne detengono il capitale, compreso il Comune di Solaro.
Ne deriva che il meccanismo predisposto si pone al di là dei limiti entro i quali il legislatore nazionale consente l’utilizzo del modulo gestorio in house, perché il Comune di Solaro non è legato a Bea Gestioni da una relazione che giustifichi l’affidamento diretto.
L’Ente, da un lato, non è socio di Bea Gestioni, dall’altro, interviene ab externo su Bea Gestioni senza l’intermediazione di un soggetto che sia in un rapporto di in house con il Comune stesso.
Questo tipo di relazione esterna non è compatibile con il quadro normativo nazionale, che è improntato ad una logica restrittiva, coerente con la disciplina eurounitaria e centrato sulla necessaria esistenza o di un rapporto interno o di un legame esterno ma intermediato da un altro organismo in house.
Il meccanismo cui ha aderito il Comune di Solaro, con conseguente affidamento diretto a Bea Gestioni, è illegittimo, perché si pone al di là dei limiti di ammissibilità dell’affidamento in house stabiliti dal legislatore nazionale.
7) Seppure i profili di illegittimità dianzi evidenziati siano tali da travolgere radicalmente il provvedimento impugnato, tuttavia il Tribunale, in ragione della complessità e dell’ampiezza delle questioni complessivamente dedotte, ritiene di procedere all’esame di ulteriori censure sollevate con il ricorso principale e con il ricorso per motivi aggiunti.
Con un altro gruppo di doglianze, Gelsia Ambiente evidenzia ulteriori profili per i quali il Comune di Solaro non è investito di un potere controllo analogo su Bea Gestioni, in ragione anche della difettosa rappresentatività negli organi gestori della società affidataria.
La censura è fondata.
Il meccanismo di controllo analogo su Bea Gestioni, cui il Comune di Solaro ha aderito con il provvedimento impugnato, è centrato su tre profili.
La costituzione di un Comitato per il controllo analogo, disciplinato da un apposito regolamento, l’attribuzione di specifici poteri in capo agli enti aggiudicatori e la predisposizione di patti parasociali.
La giurisprudenza eurounitaria ha precisato che, in caso di società partecipata da più autorità amministrative, non è indispensabile che ciascuna di queste detenga da sola un potere di controllo individuale sulla società, ma è sufficiente che i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, “attraverso la partecipazione di ciascuno di essi sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta” (in tal senso, Corte di giustizia UE, sez. III, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord;già Corte di Giustizia U.E., III, 13 novembre 2008, n. 324, in C-324/07, Brabant;Corte di Giustizia UE, III, 10 settembre 2009 n. 573 cd. Sentenza SEA).
A tal fine non è necessario il possesso di una quota minima di partecipazione al capitale sociale (sul punto anche Cons. Stato, sez. V, n. 3554/2017);per contro occorre che in virtù della partecipazione azionaria acquisita non sia preclusa alla singola autorità la benché minima possibilità di partecipare al controllo sulla società (Cons. Stato, sez. VI, n. 7272/2021).
La Corte di giustizia ha dunque declinato il requisito dell’influenza determinante, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di un organismo in house providing, come controllo esercitabile in modo collettivo da tutti gli enti pubblici partecipanti e, per quanto concerne la posizione del singolo, in modo effettivo, secondo i meccanismi di funzionamento dell’ente societario partecipati disciplinati dallo statuto (sul punto anche Cons. Stato, sez. V, n. 2602/2015).
L’orientamento della Corte è stato positivizzato dall’art. 12, comma 3, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, a mente del quale il controllo congiunto ricorre, tra l’altro, quando gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da “rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti”.
Come già accennato, la norma europea è stata recepita nell’ordinamento giuridico nazionale mediante il d.l.vo 18 aprile 2016, n. 50 e il d.l.vo 2016, n. 175.
Il controllo analogo, che consiste in una “influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata” (art. 2 comma 1, lett. c) d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), è ammissibile (art. 5 del d.l.vo n. 50/2016) anche in caso di controllo congiunto, che postula tre condizioni, che devono essere contestualmente presenti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 7093/2021), quali:
a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;
b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori devono essere in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
c) la persona giuridica controllata non deve perseguire interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.
L’art. 16 del d.l.vo 2016, n. 175 aggiunge che per realizzare l’assetto organizzativo proprio dell’in house, è possibile che: a) gli statuti delle società per azioni contengano clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile;b) gli statuti delle società a responsabilità limitata attribuiscano all’ente o agli enti pubblici soci particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, terzo comma, del codice civile;c) i requisiti del controllo analogo siano acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali, di durata anche superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile.
Si configura così il c.d. in house “frazionato” o “pluripartecipato” o “pulviscolare”.
Nel caso in esame, difetta il requisito della presenza di rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici negli gli organi decisionali della persona giuridica controllata, ossia la prima delle condizioni necessarie per l’in house pluripartecipato.
Lo statuto di Bea Gestioni prevede i seguenti organi di governo e di controllo: l’Assemblea, l’Organo amministrativo (strutturato come Amministratore unico o Consiglio di amministrazione), il Comitato per il controllo analogo, il Collegio sindacale.
Gli artt. 13 e seguenti dello Statuto disciplinano l’Assemblea dei soci, la quale è composta esclusivamente dai soci di Bea Gestioni con la precisazione che le sue deliberazioni “obbligano tutti i soci”.
Lo Statuto non prevede la rappresentanza, neppure indiretta, del Comune di Solaro e degli altri enti soci di Bea spa, nell’assemblea di Bea Gestioni.
Va precisato che la “rappresentanza indiretta” non è ipotizzabile neppure valorizzando il rapporto tra BEA spa e gli enti pubblici da cui è partecipata.
Difatti, BEA non è una società in house rispetto agli enti che ne detengono il capitale, sicché non è sottoposta al controllo analogo di costoro e ciò preclude la configurazione di una loro presenza indiretta nell’organo deliberativo di Bea Gestioni.
Pertanto, nell’organo assembleare non è presente, neppure indirettamente, il Comune di Solaro, con conseguente carenza di uno dei presupposti per la configurazione del controllo analogo congiunto, ex art. 5, comma 5, lett. a), del d.l.vo 2016 n. 50.
Quanto al Comitato per il controllo analogo, va osservato che si tratta di un organo non previsto dalla normativa generale in materia di società, la cui ammissibilità nei soggetti in house, quale strumento di realizzazione del controllo analogo congiunto, è stata riconosciuta in generale dalla giurisprudenza, trattandosi di un mezzo teso a consentire l’interferenza in maniera penetrante dei soci anche “pulviscolari” nella gestione della società.
Tale organo, come già detto, non incorre nel divieto di cui all’art. 11, comma 9, lett. d), del d.l.vo n. 175 del 2016, perché la norma è dettata per le “società a controllo pubblico”, disciplinate dall’art. 11, e non è ripetuta nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina è speciale e derogatoria.
Pertanto, “nel caso di società partecipata da più enti pubblici è consentito nell’ambito e ai fini dell’in house istituire organi speciali, come un comitato unitario per l’esercizio del controllo analogo” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 30 aprile 2018, n. 2599;Cons. di Stato, sez. V, 16 luglio 2020, n. 8028;Cons. di Stato, sez. IV, 22 ottobre 2021 n. 7093).
A differenza di altre situazioni già sottoposte al vaglio favorevole della giurisprudenza, compresa quella del Tribunale (cfr. Tar Lombardia, sez. IV, 3 novembre 2022, n. 2437), la fattispecie in esame presenta un’evidente peculiarità.
L’idoneità del Comitato alla realizzazione del controllo analogo congiunto è stata esaminata in situazioni in cui esso era istituito per consentire il controllo da parte di enti soci dell’organismo in house, ma connotati da una partecipazione pulviscolare.
Si tratta cioè di situazioni che riflettono la già indicata regola generale secondo la quale gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da “rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti”.
Nel caso di specie, invece, il Comitato non è composto dai soci di Bea Gestioni, ma dovrebbe rappresentare all’interno di essa i soci di BEA e di Servizi Comunali spa, ossia gli enti aggiudicatori.
Tale dato colloca il particolare Comitato al di fuori del paradigma normativo richiamato, perché l’organo è costituito non per consentire il controllo analogo congiunto da parte dei soci pulviscolari della società in house, ma da parte di terzi, che per tale via dovrebbero essere rappresentati all’interno degli organi gestori di Bea Gestioni.
Non solo, soffermandosi su quest’ultimo profilo va osservato che la disciplina dettata per la composizione e il funzionamento dell’organo non è tale da rendere certa ed effettiva la rappresentatività dei soggetti aggiudicatori.
L’art. 12 dello Statuto prevede che:
- il Comitato è composto da tre membri, due dei quali nominati dagli Enti locali soci di BEA S.p.A. e uno nominato dagli Enti locali soci di Servizi Comunali spa, secondo modalità idonee ad assicurare il controllo analogo congiunto;
- i due membri del Comitato nominati dagli Enti locali affidanti soci di BEA S.p.A. devono essere rappresentativi, “in misura proporzionale, degli Enti affidanti e della diversa tipologia di servizi affidati”;
- ciascuno dei predetti membri viene votato dagli Enti affidanti, soci di BEA S.p.A., a maggioranza semplice, attribuendosi il diritto a ciascun Ente affidante di esprimere un voto, indipendentemente dalle dimensioni dell’ente e dal numero di azioni che detiene, con le modalità e secondo i criteri fissati nel Regolamento per il funzionamento del Comitato.
Il dato certo è che i due rappresentati dei soci di BEA sono scelti assicurando un voto a ciascun socio, indipendentemente dall’entità della partecipazione detenuta e ciò consente anche ai soci titolari di una limitata partecipazione, come il Comune di Solaro, di non trovarsi in una posizione deteriore rispetto agli altri.
Tuttavia la norma, dopo avere introdotto la regola della votazione a maggioranza semplice, rimette la determinazione delle “modalità” e dei “criteri” per l’espressione del voto al Regolamento per il funzionamento del Comitato.
Il riferimento introduce un evidente elemento di incertezza, in quanto il Regolamento non detta alcuna specifica disciplina relativamente alle modalità e ai criteri indicati, limitandosi, ex art. 1, a ribadire che il Comitato è costituito “secondo le previsioni dello Statuto”.
Non solo, la disposizione richiede che i due componenti scelti dai soci di BEA siano rappresentativi “in misura proporzionale degli Enti affidanti e della diversa tipologia di servizi affidati”.
Sembra così introdotta una rappresentatività diversificata sul piano soggettivo e su quello oggettivo, basata su criteri di proporzionalità.
In mancanza di altre precisazioni, sembra che uno dei due membri debba rappresentare i soci di BEA e l’altro le diverse tipologie di servizi affidabili;nondimeno, difetta ogni ulteriore specificazione che consenta di stabilire come sia realizzata in concreto tale distinta rappresentatività.
Quanto all’Organo amministrativo, l’art. 19 dello Statuto lo configura alternativamente come Consiglio di amministrazione o Amministratore unico;nel primo caso esso è composto da tre componenti nominati dall’assemblea.
La rappresentanza nell’Organo amministrativo degli enti aggiudicatori – non soci di Bea Gestioni, come più volte ricordato – sembra realizzata attraverso il ruolo del Comitato per il controllo analogo, che interviene, ex art. 20 dello Statuto, nella scelta dell’Amministratore unico e della “maggioranza dei componenti del Consiglio”, ossia nella scelta di due dei suoi componenti, essendo il terzo riservato all’Assemblea.
In particolare, l’art. 20 prevede che la nomina sia effettuata “sulla base delle designazioni del Comitato per il controllo analogo, che vi provvede secondo il relativo regolamento di funzionamento approvato dall’Assemblea dei soci”.
L’art. 12 dello Statuto, nel descrivere le funzioni del Comitato, gli assegna la designazione della maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo della società e il potere di chiederne la revoca.
Seppure difetta l’esplicitazione del carattere vincolante della designazione, si può ritenere che la formulazione letterale delle disposizioni vincoli l’assemblea a scegliere due componenti del Consiglio o l’Amministratore unico esclusivamente tra i soggetti designati dal Comitato.
Quindi, considerando la posizione del Comune di Solaro, le norme esaminate consentono di affermare che esso concorre alla scelta di due soli componenti del Comitato, sulla base di una non meglio precisata distinzione tra rappresentatività degli “Enti affidanti” e “della diversa tipologia di servizi affidati”, nonché in ragione di non meglio precisati “criteri” e “modalità” di espressione del voto.
A sua volta il Comitato incide sulla composizione dell’organo amministrativo, nel senso che designa l’amministratore unico o due dei tre componenti del Consiglio di amministrazione.
Tuttavia l’art. 20 prevede che il Comitato provveda alle designazioni “secondo il relativo regolamento di funzionamento approvato dall’Assemblea dei soci”;anche in tale caso, il regolamento che disciplina il Comitato non detta alcuna disposizione in ordine alle modalità con le quali l’organo procede alla designazione dei due componenti del Consiglio di amministrazione o dell’Amministratore unico.
Pertanto non è dato sapere se le modalità della designazione siano tali da preservare la rappresentatività del Comune di Solaro.
Ne deriva che, anche rispetto alla composizione dell’organo amministrativo, sussistono delle opacità nello Statuto e nel Regolamento che non consentono di ritenere certa la rappresentatività degli Enti aggiudicatori.
In definitiva nella situazione concreta non è configurabile il primo presupposto del controllo analogo congiunto, ossia la rappresentanza delle amministrazioni aggiudicatrici negli organi decisionali della società in house, da un lato, perché tali enti restano estranei all’organo assembleare, dall’altro, perché la loro rappresentanza nel Comitato e, tramite quest’ultimo, nell’organo di amministrazione è regolata da una disciplina incompleta e non chiara, che non consente di ritenere certa la rappresentatività, secondo i parametri posti dalla richiamata giurisprudenza interna ed eurounitaria.
8) Con delle altre censure, Gelsia Ambiente deduce che la relazione allegata alla deliberazione impugnata non è idonea a dimostrare la sussistenza delle condizioni per ricorrere all’affidamento in house, secondo le previsioni dell’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012, dell’art. 5 del d.l.vo n. 175/2016 e dell’art. 192 del d.l.vo 2016 n. 50.
Si lamenta, inoltre, che la relazione non dimostra il rispetto del parametro quantitativo posto dall’art. 5, comma 1, lett. b, del d.l.vo 2016 n. 50, ove si richiede che l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sia effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore.
Le censure sono fondate.
8.1) La relazione contestata è stata adottata ai sensi dell’art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012, ove si prevede che “per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.
Parimenti l’art. 192, comma 2, del d.l.vo n. 50/2016, specifica che “ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
Si è già evidenziato come la Corte di Giustizia (sentenza 6 febbraio 2020, cause C-89/19 e C-91/19) abbia accertato la compatibilità comunitaria dell’art. 192 cit. e la Corte costituzionale (sentenza n. 100/2020) la sua legittimità costituzionale.
L’elaborazione giurisprudenziale ha precisato, sulla base delle norme citate, il contenuto della motivazione rafforzata richiesta alla stazione appaltante che intenda affidare un servizio in house.
In particolare:
- è sostanzialmente uniforme l’orientamento che deduce dalle norme in esame le due condizioni necessarie per il legittimo ricorso al modello di gestione in house dei servizi pubblici;
- la prima di esse consiste nella dimostrazione del cd. “fallimento del mercato”, ovvero dell’incapacità del mercato di offrire il servizio de quo alle medesime condizioni, qualitative, economiche e di accessibilità, garantite dal gestore oggetto del “controllo analogo”;la seconda nella dimostrazione della sussistenza di specifici “benefici per la collettività” derivanti dall’affidamento diretto del servizio in house (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7023);
- con riferimento all’obbligo di motivare le ragioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato, si è precisato che tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato “fallimento del mercato”, rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe (cfr. Cons. St., sez. V, n. 1564/2020);
- l’ente affidante deve “rappresentare i benefici derivanti alla collettività” dalla gestione in house e giustificare il “mancato ricorso al mercato”, ad esempio dimostrando che nelle passate gestioni il ricorso al mercato non aveva saputo garantire nel territorio comunale un livello adeguato di efficienza del servizio e che il costo del servizio per i cittadini sarebbe diminuito (Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 5444/2019);
- l’obbligo motivazionale implica che sul piano istruttorio spetta all’amministrazione definire ed attivare gli strumenti più appropriati “a percepire, in relazione alla concreta situazione di fatto, i dati necessari al fine di compiere, in maniera oggettiva quanto completa, la predetta valutazione di preferenza” (giur cit.);
- in ogni caso si impone all’amministrazione di prendere in considerazione sia la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house, sia la capacità del mercato di offrirne una equivalente, se non maggiormente apprezzabile, sotto i profili della “universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche”;
- le valutazioni da esprimere (benefici per la collettività e fallimento del mercato) possono essere accorpate in un’unica motivazione che esponga in modo “ragionevole e plausibile le ragioni che, nel caso concreto”, hanno condotto l’amministrazione a scegliere il modello in house rispetto alla esternalizzazione (cfr. Cons. St., sent. 2102/2021);
- proprio perché si tratta di una valutazione unitaria e complessa, la verifica del giudice amministrativo dovrà, pertanto, arrestarsi allo scrutinio esogeno della funzione amministrativa esercitata, avuto riguardo all’idoneità delle modalità sottese alla scelta a fornire un quadro attendibile ed esaustivo della realtà fattuale rilevante nei sensi illustrati (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7023) e resta fermo che la congruità dell’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione deve essere valutata caso per caso.
8.2) La relazione predisposta dal Comune di Solaro dedica la prima parte all’esposizione del contesto normativo di riferimento, per poi passare a descrivere l’operazione che ha condotto alla trasformazione di Bea Gestioni, riferendo della posizione dei diversi soggetti coinvolti e precisando che sin dal 2017 il servizio di igiene urbana era svolto in house con affidamento alla società Servizi Comunali Spa di Sarnico.
In ordine al quantum di attività svolta da Bea Gestioni in favore degli enti affidanti, l’art.