TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-07-18, n. 202210196

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-07-18, n. 202210196
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202210196
Data del deposito : 18 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2022

N. 10196/2022 REG.PROV.COLL.

N. 12182/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12182 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

1) per l'annullamento del decreto del Ministero dell'Interno prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-, recante il rigetto dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 a carico del sig. -OMISSIS-, notificato al suindicato ricorrente il -OMISSIS- presso gli Uffici della Prefettura – Ufficio del Territorio di -OMISSIS-, nonché di ogni atto allo stesso preordinato, presupposto, consequenziale e connesso, in specie il preavviso di diniego ai sensi dell'art. 10 bis della Legge n. 241/1990 e s.m.i. asseritamente inviato in data -OMISSIS-;

2) nonché per la condanna dell'amministrazione a emanare il provvedimento richiesto, ovvero la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9 comma 1 lettera f) della Legge 5 febbraio 1992 n. 91 a favore dell'odierno ricorrente sig. -OMISSIS-, non essendo necessari ulteriori adempimenti istruttori che debbono essere compiuti dall'amministrazione;

3) in via istruttoria si chiede che il giudice acquisisca dall'amministrazione tutti gli atti del procedimento ed in particolare il preavviso di diniego ai sensi dell'art. 10 bis della Legge n. 241/1990 e s.m.i., inviato in data -OMISSIS-, non in possesso del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati.

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 8 luglio 2022 la dott.ssa Ida Tascone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data -OMISSIS- il ricorrente, cittadino ivoriano, ha impugnato il decreto n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato in data -OMISSIS-, con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza presentata in data -OMISSIS-, volta alla concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della legge n. 91 del -OMISSIS-.

Per quanto di interesse ai fini del presente giudizio, nell’ambito dell’istruttoria prodromica alla definizione del richiesto provvedimento concessorio, il Ministero ha rilevato

una comunicazione di notizia di reato del -OMISSIS- proveniente dalla Polizia di Stato – Sezione frontiera territoriale del -OMISSIS-, per la fattispecie di cui all’art. 477 c.p.c (falsità in certificati commessa dal privato);

una comunicazione di notizia di reato del -OMISSIS- proveniente dai Carabinieri di -OMISSIS-, per la fattispecie di cui all’art. 625 primo comma parte seconda c.p. (furto aggravato) gravante sul figlio del ricorrente -OMISSIS-, all’epoca dei fatti ancora minorenne.

Sulla base di tali presupposti, il Ministero ha denegato il richiesto provvedimento concessorio, giudicando non coincidenti l’interesse del ricorrente a conseguire la cittadinanza italiana e quello pubblico ad ampliare, con il suo ingresso, la platea della comunità nazionale.

Prima di adottare il provvedimento di diniego, con nota del -OMISSIS- Il Ministero ha anche attivato il sub-procedimento ex art. 10 bis della L. n. 241/1990 il quale, ancorché ritualmente notificato presso la residenza del ricorrente, non ha avuto seguito a causa del mancato ritiro del relativo avviso da parte del ricorrente fino al suo ritorno al mittente per compiuta giacenza.

Di tanto il Ministero da testualmente conto nel corpo del provvedimento impugnato ancorché indicando – a causa di un evidente e riconoscibile errore materiale - quale data di inizio del subprocedimento il giorno 29 dicembre 2018.

Il decreto è stato quindi gravato, unitamente agli atti ad esso presupposti, dall’odierno ricorso articolato in tre motivi nell’ambito dei quali il ricorrente eccepisce

- violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990, spingendosi letteralmente a sostenere che il preavviso di diniego “ sarebbe stato inviato in data -OMISSIS- in ogni caso in epoca successiva alla notifica del decreto di diniego e alla stesura di questo stesso ricorso” ;

- violazione dell’art. 8, comma 2, l. n. 91/1992, affermando l’impossibilità per il Ministero di adottare un provvedimento di diniego dell’istanza di cittadinanza decorsi due anni dalla relativa presentazione;

- eccesso di potere per incongruità del processo valutativo ed erronea conoscenza della situazione di fatto in quanto il primo dei due pregiudizi rilevati dal Ministero (violazione dell’art. 477 c.p.) non ha avuto seguito in sede giurisdizionale, mentre il secondo (violazione dell’art. art. 625 primo comma parte seconda c.p. da parte del figlio minorenne -OMISSIS-) non è culminato con una condanna in ragione della intervenuta concessione del cd. “perdono giudiziale”.

L’avvocatura erariale si è costituita in giudizio insistendo per il rigetto del ricorso e fornendo prova documentale della regolarità della notifica della nota del -OMISSIS-, ritualmente pervenuta presso la residenza del ricorrente e da questi non ritirata fino alla sua restituzione al mittente per compiuta giacenza.

All’udienza pubblica del 08.07.2022 – celebratasi secondo le speciali modalità previste dall’art. 17, comma 6, del D.L. n. 80 del 09 giugno 2021 - la causa è stata introitata per la decisione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Con riferimento al primo motivo, il Collegio deve osservare che l’indicazione della data della comunicazione di avvio del procedimento è caratterizzata da un riconoscibile errore materiale.

Come evidenziato in punto di fatto, prima di adottare il provvedimento di diniego, con nota del -OMISSIS-, il Ministero ha ritualmente attivato il sub-procedimento ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, il cui avviso, ancorché ritualmente notificato presso la residenza del ricorrente, non è stato da questi ritirato fino al suo ritorno al mittente per compiuta giacenza.

Di tanto il Ministero da testualmente conto nel corpo del provvedimento impugnato ancorché indicando – a causa di un evidente e riconoscibile errore materiale - quale data di inizio del subprocedimento il giorno 29 dicembre 2018.

Si tratta, all’evidenza, di un palese errore materiale che in nulla inficia la validità del provvedimento finale soprattutto ove si consideri che – come documentato in corso di causa dall’Avvocatura erariale - il Ministero ha assicurato al ricorrente il necessario contraddittorio procedimentale.

Di qui la manifesta infondatezza del motivo.

Non miglior sorte merita il secondo motivo, ove la difesa del ricorrente lamenta il completo decorso del termine biennale previsto dall’art. 8 comma 2 della L. n. 91/1992 ancora vigente ratione temporis .

La summenzionata disposizione, però, si applica esclusivamente al distinto istituto dell’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano di cui all’art. 5 della L. n. 91/1992 (cd. cittadinanza italiana iuris communicatione ) e non, invece, al procedimento attivato dal ricorrente il quale, invece, è disciplinato dal successivo art. 9 comma 1 lett. f (cd. cittadinanza italiana per naturalizzazione) e non prevede alcun termine perentorio per l’adozione dell’eventuale provvedimento di diniego.

Venendo al terzo motivo appare opportuno ripercorrere, preliminarmente, gli approdi cui è giunta la giurisprudenza amministrativa in subiecta materia, la quale appare ormai granitica nell’affermare:

- che l’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione in questo procedimento si esplica in un potere valutativo che “ si traduce in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta ” (Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Cons. Stato, Sez. VI, n. 52 del 10 gennaio 2011;
Cons. Stato, Sez. VI, n. 282 del 26 gennaio 2010;
Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 3547 del 18 aprile 2012);

- che “ l'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone, infatti, che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante ” (Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 5565 del 4 giugno 2013);

- che “ trattandosi di esercizio di potere discrezionale da parte dell’amministrazione, il sindacato sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione, non può che essere di natura estrinseca e formale;
non può spingersi, quindi, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole
” (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 5665 del 19 giugno 2012).

In particolare, il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della L. n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

L’ampia discrezionalità in questo procedimento si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

Pertanto, l'interesse dell'istante a ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In tal modo, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e Sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
Sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò perché la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;
il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012, Sez. V bis n. 6254/2022).

Con riferimento al caso di specie, il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia valutato in maniera procedimentalmente corretta e non manifestamente illogica la complessiva situazione del ricorrente, attribuendo valenza ostativa alla presenza due pregiudizi penali di cui uno pure definitivamente accertato in capo al figlio (allora) minorenne e, quindi, ad uno stretto componente del suo nucleo familiare.

Ora, se, da un lato, il Collegio non ignora quell’orientamento giurisprudenziale che – al fine di evitare che l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione in materia di cittadinanza sconfini in arbitrio – esclude, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 6 della legge n. 91/1992, la rilevanza automatica dei precedenti penali, in particolare ove trattasi di fatti qualificabili come reati “non gravi” e risalenti nel tempo (Cons. St., sez. VI, n. 3907/2008;
TAR Lazio, sez. II quater n. 292/2010;
Id., sez. I ter, n. 13686/21;
Cons. St., sez. III, n. 3121/19), dall’altro rileva che, in tali ipotesi, non è che venga automaticamente vanificata la rilevanza delle medesime condotte, ma, semplicemente, che le stesse possono e devono essere attentamente valutate dall’Amministrazione, tenendo in considerazione tutto quel complesso degli specifici elementi che risultino rilevanti nel caso concreto, al fine di esprimere un giudizio sull’effettiva assimilazione dei valori fondamentali su cui si regge la comunità di cui il richiedente aspira a far parte, nonché di formulare una valutazione prognostica sull’inserimento dello stesso nella medesima comunità.

In tale contesto a nulla rileva – per le finalità di cui trattasi – il figlio del ricorrente abbia conseguito il beneficio del perdono giudiziale.

E ciò in quanto ciò che rileva ai fini della concessione – o meno – dello status non è il singolo esito processuale e/o le sue conseguenze sul piano sostanziale e dell’esecuzione quanto, piuttosto, l’irrevocabile accertamento della condotta penalmente rilevante sancita in sede giurisdizionale.

In tal senso, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, si rammenta che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis, di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “ le valutazioni volte all'accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali ” (ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015). E tale valutazione ovviamente può estendersi anche agli stretti componenti del nucleo familiare – nella specie, il figlio minorenne del richiedente – ove dalle relative condotte possono ricavarsi elementi indicativi di una insufficiente acquisizione dei valori fondanti dell’ordinamento.

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