TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2020-07-15, n. 202008073

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2020-07-15, n. 202008073
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202008073
Data del deposito : 15 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/07/2020

N. 08073/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01463/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1463 del 2012, proposto da
Istituto Figlie di San Camillo - Ospedale Madre Giuseppina Vannini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste, 88, come da procura in atti;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna, 27, come da procura in atti;
Presidente Regione Lazio - Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi Regionali per la Spesa Sanitaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Asl 103 - Rm/C, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Barbara Bentivoglio, Gabriella Mazzoli, Maria Cristina Tandoi, con domicilio eletto presso lo studio Barbara Bentivoglio in Roma, via Primo Carnera, 1, come da procura in atti ;

nei confronti

Aurelia Hospital, European Hospital non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

provvedimento n. 113 del 02.12.11 avente ad oggetto il riparto del Fondo Sanitario Regionale per l'anno 2011 finanziamento delle aziende sanitarie locali art. 2 comma 2 - sexies lett.d) del dlgs 502/92 e successive modificazioni ed integrazioni


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Presidente Regione Lazio - Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi Regionali per la Spesa Sanitaria e di Asl 103 - Rm/C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 26 giugno 2020 il consigliere A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso spedito a notifica il 25 febbraio 2012 l’ospedale classificato in epigrafe ha impugnato il decreto del Presidente della Regione Lazio in qualità di Commissario ad acta n. 113 del 2011, relativo alla ripartizione del Fondo Sanitario Regionale per l’anno 2011, nella parte in cui esso riguarda la remunerazione delle attività a destinazione finalizzata.

2. – Con il primo motivo il ricorrente lamenta che, ai sensi dell’art. 8sexies comma 2 d.lgs. n. 502\1992 le prestazioni sanitarie oggetto del decreto di ripartizione impugnato dovrebbero essere remunerate a seconda dei costi di produzione (eccetto la terapia intensiva), ma che il Commissario non avrebbe tenuto conto che tale costo dovrebbe essere rapportato ai parametri di cui all’art. 3 DM del 30 giugno 1996, ossia ai costi del personale direttamente impiegato, ai costi dei materiali consumati, a quelli di manutenzione e all’ammortamento delle apparecchiature, oltre ad una quota dei costi generali, criterio che non sarebbe rispettato;
ulteriore vizio sarebbe costituito dalla mancata previsione della destinazione delle somme previste in caso di loro inutilizzazione parziale, e, inoltre, la previsione di un rigido tetto predeterminato di finanziamento delle prestazioni contrasterebbe con la natura non definitiva dell’assegnazione alla regione operata a monte dalla Conferenza Stato-Regioni.

Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta, in modo specifico, i criteri di ponderazione posti dalla Tabella 1 allegata al decreto per il calcolo dei costi di produzione, con riferimento al peso “attività” specifico della struttura cui farebbe da indebito moltiplicatore il ricovero per acuti, nonchè per i punteggi specifici assegnati in considerazione al peso totale della struttura.

Con il terzo motivo, ancora, l’Ospedale classificato censura la parte del decreto che si riferisce alla Quota relativa al finanziamento per il maggior costo per le attività di terapia intensiva, di terapia intensiva neonatale e di unità coronarica, per cui, dalla Tabella 2, non emergerebbero gli standard organizzativi, ma solo che il parametro sarebbe costituito dal numero dei posti letto, senza conoscere il costo congruo dei medesimi, né considerando il rapporto tra numero di giornate di degenza in terapia intensiva e numero di giornate di degenza in generale.

Il quarto mezzo riguarda i costi di finanziamento per le strutture universitarie assistenziali, la cui remunerazione non è prevista per l’Ospedale ricorrente, sebbene quest’ultimo sia convenzionato con L’Università cattolica del Sacro Cuore per la laurea di primo livello in Infermieristica, ed è invece prevista per i solo Policlinici Universitari pubblici e privati, la cui attività non si differenzierebbe in alcuna parte da quella del ricorrente.

Il quinto motivo si appunta sulla pretesa illegittimità della fissazione dei tetti di spesa in materia sanitaria con effetto retroattivo.

Con il sesto motivo, invece, il ricorrente censura le modalità procedimentali con cui la Regione è addivenuta alla determinazione dei tetti di spese, che non hanno visto la consultazione delle parti sindacali, né, tanto meno, hanno previsto la partecipazione del soggetto interessato dalla fissazione del tetto specifico, adempimento che sarebbe stato necessario in ragione della natura di atto plurimo del decreto gravato.

Il settimo motivo, poi, lamenta che le remunerazioni previste nel decreto gravato non abbiano tenuto conto degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali del personale dipendente, come implicherebbero l’art. 9 del DL n. 203\2005 convertito nella L. n. 248\2005 nonché l’art. 1 commi17 e 71 della L. n. 191\2009: tanto riguarderebbe i costi dei medici convenzionati incardinati nelle strutture pubbliche, e quindi dovrebbe altresì essere previsto per i medici delle strutture private.

3.- La Regione Lazio si è costituita in giudizio, contrastando il ricorso con memoria.

5. - Anche il ricorrente ha depositato una memoria, con la quale ha illustrato i motivi di ricorso, nella quale ha preso atto –invero assai correttamente- che la giurisprudenza in materia di remunerazione delle prestazioni sanitarie e dei relativi tetti di spesa ha visto il consolidarsi di determinati arresti non favorevoli agli interessi delle strutture ricorrenti, ed ha illustrato solo i motivi su cui non si sarebbe formata giurisprudenza consolidata. Ha poi chiesto disporsi verificazione sui seguenti quesiti: “Di accertare con una relazione di chiarimenti o ogni altro atto istruttorio se l’Amministrazione ha ricevuto dallo Stato il riparto definitivo delle risorse e o la abbia utilizzato anche per la remunerazione delle funzioni di cui si discute”;
Di accertare con una relazione di chiarimenti o ogni altro atto istruttorio se l’Amministrazione ha proceduto al rendiconto finale e con quale modalità ha remunerato i costi reali sostenuti dalle singole strutture, seppure nei limiti della somma massima assegnata per ogni funzione”;
“Di acquisire una relazione di chiarimenti o ogni altro atto istruttorio volto ad acquisire gli atti propedeutici e/o istruttori alla tabella 2”.

6. – In occasione dell’udienza straordinaria di smaltimento del 26 giugno 2020 il ricorso è stato posto in decisione.

7. – Ritiene il Collegio che non debba darsi luogo alle verificazioni istruttorie per accertamenti di fatto richieste dal ricorrente, in quanto il gravame è maturo per la decisione in punto di diritto.

8. – Il ricorso deve essere respinto.

Non possono essere condivisi i primi tre motivi, con i quali, rispettivamente, l’Ospedale ricorrente assume l’illegittimità in generale di una ripartizione delle risorse che non tenga conto dei costi di produzione, che sarebbero errati i criteri di determinazione dei budget.

Come già affermato condivisibilmente in numerosi precedenti, deve osservare innanzitutto il Collegio che già l’art. 1 comma 180 della legge n. 311 del 2004 disponeva, per quanto qui interessa: “I Ministri della salute e dell'economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui alla intesa prevista dal comma 173. La sottoscrizione dell'accordo è condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento anche in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma”.

Inoltre, il comma quinto dell’art. 8 d.lgs. n. 502\1992, là dove si esprime nel senso di un “corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa” non depone affatto per una necessaria correlazione tra prestazione e remunerazione, in quanto –sotto il profilo sistematico- la prescritta “predeterminazione” bene può conto delle esigenze contemplate dal su richiamato art. 1 comma 180 della legge n. 311\2004.

In definitiva, «in materia di sanità pubblica spetta alle Regioni provvedere, con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e distribuire le risorse disponibili, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché stabilire i preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l'equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario;
il carattere impellente delle esigenze di riequilibrio della spesa sanitaria impone allo Stato, in una situazione di scarsità di risorse pubbliche, interventi correttivi immediati, con sacrifici posti a vario titolo su tutti coloro che sono presenti nello specifico settore di attività e quindi anche sulle strutture convenzionate, queste ultime libere di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando il tariffario imposto, o porsi fuori del servizio sanitario nazionale operando privatamente, a favore dei soli utenti solventi;
conseguentemente, il sistema di determinazione tariffaria delle prestazioni sanitarie concesse dal S.S.R., se ed in quanto eccedenti il limite massimo prefissato, è espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria in funzione di tutela della finanza pubblica affidato alle Regioni e trova giustificazione concorrente nella possibilità che le aziende erogatrici fruiscano di economie di scala, nonché effettuino opportune programmazioni della rispettiva attività per cui, ove venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa fissati dalla Regione, il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato» (da ultimo C.d.S., III, 3 marzo 2017, n. 994).

Ne segue che sono infondati i motivi che si appellano alla mancata corrispondenza tra le prestazioni che saranno rese (e dunque con i relativi costi, che vengono necessariamente ricompresi nel computo del prezzo della prestazione) e il budget concesso.

9. – Neppure il quarto mezzo, relativo alla mancata remunerazioni delle prestazioni assistenziali va accolto, in quanto, come affermato in relazione allo specifico decreto gravato da TAR Lazio, sez. III quater, n. 11875\2019, l’art. 7, comma 2 dell’art. 517\1999 statuisce, in particolare che: “la regione riconosce i maggiori costi indotti sulle attività assistenziali dalle funzioni di didattica e di ricerca, detratta una quota correlata ai minori costi derivanti dall'apporto di personale universitario”;
ma l’attività didattica rilevante (che induce maggiori costi sull’attività assistenziale da remunerare pertanto in base al finanziamento a funzione) è quella effettuata con l’impiego del personale universitario e non quella svolta mediante personale della struttura sanitaria come previsto dall’art. 6, comma 3 del d.lgs. n. 502/1992, che è la norma in base alla quale parte ricorrente ha sottoscritto i Protocolli d’Intesa con l’Università, sottoscrizione che ella invoca a sostegno della propria titolarità al finanziamento in questione;
inoltre, la norma ora citata si occupa di formazione professionale esperibile, oltre che in sede ospedaliera in “altre strutture del Servizio sanitario nazionale e istituzioni private accreditate” e specifica che “la titolarità dei corsi di insegnamento previsti dall’ordinamento didattico universitario è affidata di norma a personale del ruolo sanitario dipendente dalle strutture presso le quali si svolge la formazione stessa”, al contrario dell’art. 7, comma 2 del d.lgs. n. 517/99, che invece specifica che “la Regione riconosce i maggiori costi indotti sulle attività assistenziali dalle funzioni di didattica e di ricerca, detratta una quota correlata ai minori costi derivanti dall’apporto di personale universitario”. Per il resto il provvedimento esaminato individua le funzioni assistenziali da remunerare ex art. 8 sexies, comma 2 del d.lgs. n. 502/1992 e tra queste prevede alla Tabella 7 il finanziamento dei maggiori costi dovuti alla presenza delle facoltà di medicina, prevedendo l’individuazione dei Policlinici universitari statali e non statali e delle Aziende Ospedaliere “sedi dell’intero triennio delle facoltà di medicina”, secondo i Protocolli d’Intesa conclusi tra la Regione e l’Università, e non tra strutture private, come è l’interessata e Università, cioè tra soggetti diversi da quelli previsti dalla norma, come opposto dalla ricorrente. In sostanza si stanno trattando due fattispecie diverse con differenti ricadute in termini di finanziamento a funzione: da un lato della formazione professionale esperibile in sede ospedaliera e “in altre strutture del SSN e istituzioni private accreditate” come è il ricorrente, in base all’art. 6, comma 3 del d.lgs. n. 502/1992 e dall’altro delle funzioni di didattica e di ricerca svolte dai Policlinici universitari ed i cui maggiori costi indotti sulle attività assistenziali vanno riconosciuti dalla Regione ai sensi dell’art. 7, comma 2 del d.lgs. n. 517/1999;
e sotto questo profilo è la stessa norma ora citata, che, con il rinvio alle aziende ospedaliere previste dall’art. 2, commi 1 e 2 e cioè a quelle ospedaliero – universitarie, a dettare la differenza rispetto alle altre “strutture del SSN e istituzioni private accreditate”, come è il ricorrente, che dunque non appaiono perciò destinatarie della stessa modalità di finanziamento. In conclusione, l'attività documentata dal ricorrente non può configurare in alcun caso quella che la Regione ha inteso finanziare in ossequio alla normativa sopra richiamata, e non esiste alcuna altra norma che obblighi in tal senso la Programmazione Regionale (come invece per le aziende ospedaliere con reparti clinicizzati) nell'ambito della definizione della remunerazione a funzione di cui all'art. 8 sexies del D.Lgs 502/1992.

10. – Non può essere condiviso il quinto mezzo, che si appunta sulla pretesa irretroattività delle previsioni impugnate, in quanto, come ripetuto anche dal Giudice d’appello (si veda Cons. Stato, sezione III, 22 gennaio 2018 n. 373), “La fissazione dei tetti di spesa anche in una fase avanzata dell'anno al quale si riferiscono è legittima, secondo quanto ha chiarito più volte la giurisprudenza di questo Consiglio prima nella sentenza n. 8 del 2 maggio 2006 dell'Adunanza plenaria e, poi, nelle sentenze n. 3 e n. 4 del 12 aprile 2012 della stessa Adunanza plenaria”.

Inoltre, la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 8/2006, afferma espressamente che si possano determinare tetti di spesa con effetti retroattivi, considerato che “in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell'atto determinativo della spesa, solo in epoca successiva all'inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo - fino a quando non risulti adottato un provvedimento - all'entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell'anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell'anno in corso”.

E la sentenza n. 4 del 2012 ha espressamente statuito che “l'esercizio, con effetto ex tunc, del potere di programmazione si svolga in guisa da bilanciare l'esigenza del contenimento della spesa con la pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate e, soprattutto, con l'interesse degli operatori privati ad agire con un logica imprenditoriale sulla base di un quadro, nei limiti del possibile, certo e chiaro circa le prestazioni remunerabili e le regole applicabili (Cons. Stato, sez. V, 11 agosto 2010, n. 5632)”.

È stato inoltre rilevato che “la retroattività in corso d'anno dei tetti di spesa è legittima e intrinseca al sistema sanitario pubblico, in cui è fisiologico che il budget da ripartire sia calcolato ad anno già in corso alla stregua dei risultati di finanza pubblica e dei tagli di conseguenza eventualmente necessari” (Cons. St., sez. III, 29 novembre 2018, n.6802)

“Deve altresì aggiungersi che i principi regolatori della negoziazione con le strutture erogatrici vengono fissati a livello regionale di anno in anno, mediante appositi provvedimenti che esauriscono la loro efficacia nell'annualità di riferimento, connotandosi di una transitorietà incompatibile con la genesi, in capo agli operatori del settore, di un ragionevole affidamento sulla protrazione, anche per gli anni successivi, dei relativi effetti: ciò che, del resto, sarebbe confliggente con l'esigenza di esercizio efficiente del potere di programmazione, il quale esige il costante adattamento alle esigenze di fabbisogno ed ai limiti finanziari intrinsecamente mutevoli nel tempo, anche in forza delle sopravvenute disposizioni nazionali intese a fissare (ed aggiornare) gli obiettivi in termini di risparmio di spesa.

Peraltro, proprio la caratteristica di transitorietà, connaturata al potere di programmazione, preclude la formazione in capo alle strutture erogatrici, nelle more del suo esercizio, di un serio affidamento in ordine alla prosecuzione del regime previgente, al pari del fatto che l'entrata in vigore delle nuove regole di programmazione, lungi dall'intervenire, con effetti sovvertitori, su un assetto regolatorio già consolidato ed operativo, si limita a colmare un vuoto normativo, solo provvisoriamente disciplinato dalla proroga dei criteri di remunerazione dettati per le annualità precedenti” (Cons. St., sez. III, 13 maggio 2020, n.3044).

11. –Vanno infine disattese le censure contenute nel motivo che riguarda le modalità procedimentali che hanno condotto alla fissazione delle remunerazioni contestate.

Non pare potervi essere spazio per una diretta contrattazione del budget, cui tenderebbe la invocata partecipazione procedimentale, poiché, come affermato da Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2018 n. 396, ad esempio, “in tema di fissazione dei tetti di spesa, nessuna irragionevolezza od illogicità può ascriversi alla previsione di un parametro quantitativo difforme rispetto al regime relativo all'anno precedente, in ragione del dichiarato e motivato intento di contenimento della spesa pubblica sanitaria e del suo esplicarsi non casuale ma mirato, in quanto rivolto nella direzione della riduzione di quelle prestazioni che, sulla base dei parametri tecnico-discrezionali individuati in sede programmatoria, appaiano quantitativamente eccedenti" (così parere n. 1085/2015) - quantomeno sulla considerazione che l'azione amministrativa regionale, per come costantemente si evince dal tenore dei decreti gravati, è interamente informata dal piano di rientro della Regione Lazio i cui interventi attuativi vanno pacificamente considerati vincolanti ai sensi dell'art. 1 comma 796, lettera b) della legge 27 dicembre 2006, n. 296».

Da tanto discende “che i vincoli posti dal legislatore statale alla Regione Lazio col piano di rientro, vengono ad assumere una funzione assorbente nella ripartizione delle risorse, e nel cui ambito ciò che residua ai fini della legittimità della azione amministrativa sono la ragionevolezza interna e la par condicio nel concreto svolgimento di questa azione. Principi che risultano rispettati, avuto riguardo alla differente disciplina della posizione da un lato degli ospedali pubblici e dall'altro degli ospedali classificati”.

E’ altresì infondata, pertanto, la doglianza ruotante attorno al dato della mancata contrattazione preventiva dei tetti di spesa fra Regione ed organizzazioni di categoria, nonché le corrispondenti censure dei motivi aggiunti;
essendo evidente, per quanto detto in precedenza, come non residui oramai spazio alcuno per tale contrattazione.

11. – Il ricorso va dunque respinto.

Le spese, anche per il tenore complessivo delle difese del ricorrente (che in memoria si è, correttamente, detta consapevole dei negativi orientamenti maturati dopo la proposizione del gravame) possono essere compensate.

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