TAR Bologna, sez. I, sentenza 2020-07-09, n. 202000481
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Pubblicato il 09/07/2020
N. 00481/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00380/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 380 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-O- S.n.c. di -O- e -O-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato F M, domiciliato presso la Segreteria TAR Emilia Romagna in Bologna, via D'Azeglio, 54;
contro
Ufficio Territoriale del Governo Bologna, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria in Bologna, via A. Testoni 6;
Ministero Interno non costituito in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensiva
-dell'informazione antimafia interdittiva ex art. 89-bis del D.lgs. n. 159/2011, emessa da U.T.G. - Prefettura di Bologna in data -O-, nonché del verbale di riunione del 15 marzo 2017 del Gruppo Interforze allargato alla partecipazione del G.I.R.E.R., che a seguito di valutazione del complesso degli elementi raccolti nell'istruttoria, ha ritenuto concreto ed attuale il pericolo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi della società ai sensi degli artt. 84, comma 4 e 91 comma 6 del D.Lgs. n.159/2011;
-della nota con la quale la Prefettura di Bologna ha trasmesso la copia dell'informativa antimafia del -O- all'Agenzia delle Dogane dei Monopoli per l'Emilia - Romagna sede di Bologna, a seguito della richiesta della stessa;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Bologna e del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2020 il dott. P A e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell'art. 84 comma 5 del DL n. 18/20 convertito in legge n.27/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-Espone l’odierna società ricorrente di svolgere dal 2000 attività di gestione di pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande con ricevitoria e scommesse ippiche e sportive presso -O-in Provincia di Bologna.
Nel 2014 è stata modificata la compagine societaria, che vedeva tra i soci anche -O-, con l’ingresso di -O- e -O- in qualità di amministratore.
Con provvedimento del -O-la Prefettura di Bologna ha disposto nei confronti della suddetta società interdittiva antimafia, ai sensi dell’ art. 89-bis del D.lgs. n. 159/2011, motivata - in sintesi - sia da legami familiari con particolare riferimento alla famiglia -O- di Vibo Valentia che da cointeressenze economiche (sino al 2014 figurava tra i soci -O- coniuge di -O-).
Con l’intestato ricorso la ricorrente ha impugnato la suddetta interdittiva, deducendo motivi così riassumibili:
I)VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS 6.9.2011 n.159. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.89 BIS, 84, 91 del D.LGS 6.9.2011 n.159 E DELL'ART.3 DELLA L.n.. 241/1990;ERRORE NEI PRESUPPOSTI DI FATTO. ECCESSO DI POTERE. TRAVISAMENTO DEI FATTI. ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ MANIFESTA: la misura interdittiva impugnata, gravemente lesiva degli interessi della società, difetterebbe completamente dei presupposti tipici non essendo sufficiente ai fini dell’emanazione di una misura di tal fatta la presenza di soli legami familiari;in secondo luogo la famiglia -O- di Vibo Valentia sarebbe completamente estranea alla società ricorrente, non avendo -O- alcun rapporto con i relativi componenti;la sorella -O-, socia solo sino al 2014 e sposata con -O- è da tempo domiciliata in Calabria;le asserite cointeressenze economiche non sarebbero state indicate dalla Prefettura;
II) VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS 6.9.2011 n..159. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART.3 DELLA LEGGE n.241/90 DIFETTO DI MOTIVAZIONE: mancherebbe qualsiasi collegamento atto a dimostrare i rapporti tra la società e la criminalità organizzata, dovendosi peraltro lo strumento dell’interdittiva antimafia essere applicato con particolare cautela in considerazione della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. e di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., come dimostrerebbe la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità in rapporto agli artt. 76, 77 comma 1 e 3 comma 1 Cost. effettuata dal T.A.R. per la Sicilia (ord. n. 2337/2016).
Con ordinanza n. 189/2017 la domanda incidentale cautelare è stata respinta dall’adito Tribunale così come la successiva istanza di cui ai motivi aggiunti motivata dalla sopravvenienza di nuovi elementi “non sussistendo, al riguardo, i presupposti per sovvertire l’esito della prima istanza cautelare, in ragione della ritenuta esistenza , oltre a quello venuto meno nelle more del giudizio, di ulteriori plurimi elementi sui quali si regge la motivazione della gravata misura prefettizia antimafia”.
Con ordinanza n. 2769/2018 la III sez. del Consiglio di Stato ha respinto l’appello cautelare “Rilevato che, allo stato – e nei limiti della valutazione sommaria della presente fase cautelare – non risulta documentata la sussistenza del “ fumus boni iuris” neppure con riferimento agli elementi di novità dedotti dalla parte appellante;che sotto tale profilo la chiusura dell’esercizio commerciale di -O-e il decreto emesso dalla sezione MP della Corte di Appello di Catanzaro n. -O-non apportano novità significative in grado di incidere sul ben più ampio quadro indiziario posto a sostegno dell’interdittiva impugnata e fondato su un intreccio di legami familiari e societari idoneo, allo stato, a legittimare l’impugnato provvedimento”.
Si è costituita in giudizio il Ministero dell’Interno eccependo l’infondatezza del ricorso alla luce della puntuale indicazione nella misura impugnata dei presupposti delineati dall’art. 89 bis d.lgs. 159/2011 e depositando documentazione tra cui il verbale del Gruppo Interforze.
All’udienza pubblica del 24 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 84, comma 5 del DL n. 18/20 convertito nella legge 27/2020.
DIRITTO
1.- E’ materia del contendere la legittimità della misura interdittiva antimafia disposta ai sensi dell’art. 89 bis d.lgs. 159/2011 dalla Prefettura di Bologna con provvedimento del -O-nei confronti della società ricorrente con sede a -O-.
2. - Come anticipato nella parte in fatto, a motivazione dell’impugnata misura interdittiva il Prefetto ha evidenziato sia il rapporto di parentela della sorella dell’attuale amministratore della società -O- con la famiglia -O-, gravemente indiziata di avere rapporti con la “ndrangheta” calabrese, sia cointeressenze economiche con tale famiglia.
In particolare, secondo la richiamata presupposta relazione del Gruppo provinciale interforze, anch’essa impugnata, vi sarebbe un innegabile legame tra -O- e la sorella -O- moglie di -O- e dunque fortemente legata alla famiglia -O-, dimostrato anche dall’esser stata essa socia della società sino al 2014 oltre che da altri elementi indiziari, tutti indicati nell’impugnata informativa.
3. - Può anzitutto procedersi all’esame congiunto dei motivi di gravame dedotti, in quanto tra loro strettamente connessi.
4. - Secondo la giurisprudenza, l'interdittiva prefettizia antimafia di cui all’art. 89 bis d.lgs. 159/2011 costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;trattandosi quindi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;pertanto, si è in presenza di una valutazione che costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati ( ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286;id. sez. III, 22 marzo 2017, n. 1312).
L’istituto della misura interdittiva antimafia si colloca, dunque, al centro di esigenze contrapposte ovvero tra il contrasto in modo efficace della criminalità organizzata ed il rispetto della libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita nonché la stessa dignità ed onorabilità delle persone.
Le esigenze di ordine pubblico compendiate in particolare nel Codice antimafia hanno determinato una forte anticipazione della soglia di difesa sociale, non essendo richiesta a presupposto dell’esercizio del potere interdittivo la prova della concreta infiltrazione mafiosa bastando il solo “tentativo”.
4.1. - In considerazione, tuttavia, della delicatezza degli interessi in gioco e della tutela del diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.) oltre che di ulteriori valori costituzionali (2, 3, 27, 97, 111, 113 e 117 c. 1, Cost.) deve essere ricercato un giusto punto di equilibrio tra le esigenze di precauzione e di garanzia dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti (T.A.R. Emilia-Romagna Parma 2 dicembre 2015, n. 1060) non essendo sufficienti meri sospetti bensì elementi obiettivi e univoci tali da denotare il rischio concreto di condizionamenti mafiosi nella conduzione dell'impresa.
Si impone dunque, ad avviso del Collegio, una interpretazione costituzionalmente orientata con particolare riferimento agli artt. 2, 3, 27, 41, 97, 111, 113 e 117 c. 1, Cost., specie tenendo presente come la Consulta non risulti mai essersi espressa “ funditus ” sulla legittimità costituzionale della misura in esame, riguardando le questioni sino ad ora sollevate profili estranei al merito quali in particolare l’eccesso di delega.
Ne consegue che il Prefetto può ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da specifici ed obiettivi elementi indiziari, quali ad esempio dichiarazioni di pentiti, frequentazioni elettive, rapporti di parentela con soggetti malavitosi, ove al dato dell’appartenenza familiare si accompagni la frequentazione, la convivenza o la comunanza di interessi con l’individuo sospetto ( ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 6380), non risultando invece sufficiente ai fini dell’adozione della misura di prevenzione il mero dato dei rapporti di parentela con esponenti della criminalità organizzata (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 2 dicembre 2015, n. 1060;T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 7 novembre 2016, n. 2866;Consiglio di Stato, sez. III, 5 aprile 2016, n. 1328).
4.2. - In particolare quanto ai legami familiari deve però evidenziarsi che la giurisprudenza non ha mancato di rilevare che “specialmente nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli un mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicchè in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del capofamiglia e dell’associazione” (così Consiglio di Stato, sez III 3 maggio 2016, n. 1743)
5. - Tanto premesso, ritiene il Collegio che nel caso di specie il provvedimento impugnato sia immune dalle censure dedotte.
5.1. - Anzitutto emerge la rilevanza dei rapporti familiari tra -O-, attuale socio amministratore e la famiglia -O- di Vibo Valentia appartenente alla “ndrangheta” i cui esponenti risultano interessati da vari procedimenti penali anche per associazione a delinquere oltre che destinatari di misure di prevenzione e restrittive della libertà personale. In particolare -O- è fratello di -O- che è moglie di -O- gravato di vari precedenti penali e a sua volta fratello di -O-oltre che cognato di -O-, quest’ultimo ritenuto dall’autorità di pubblica sicurezza esponente della “ndrangheta” di Vibo Valentia Marina.
5.2. - Oltre a tali rilevanti legami familiari, tali da far presumere un’influenza della famiglia -O- anche sull’amministratore della società ricorrente, vanno poi evidenziate le cointeressenze economiche comprovate dall’appartenenza quantomeno sino al 2014 nella compagine societaria della stessa -O-, unitamente alla titolarità di quest’ultima sino al 6 luglio 2016 di impresa individuale con sede presso il medesimo recapito della società ricorrente (-O-via Zanarini n. 33) si da dar vita ad un quadro indiziario sintomatico secondo il criterio del “più probabile che non” ( ex plurimis Consiglio di Stato sez. III, 24 febbraio 2020, n.1348) del concreto pericolo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare l’attività della società ricorrente.
5.3. - Quanto poi ancora ai dubbi di costituzionalità sollevati, mette conto evidenziare come il codice antimafia abbia, al suo interno, principi ed istituti - ancorché diversi dalla interdittiva antimafia - che sono posti a presidio di un ragionevole contemperamento tra l'interesse generale prioritario alla prevenzione contro la mafia e il diritto di ciascun imprenditore alla tutela costituzionale di cui all'art. 41 Cost., appunto con i limiti che spetta al legislatore stabilire. In particolare l'istituto della gestione con controllo giudiziale di cui all'art. 34-bis del codice antimafia, introdotto dall'art. 11 della l. n. 161 del 2017, dimostra in particolare come il legislatore abbia ben considerato ipotesi in cui - pur in presenza di una informazione antimafia - l'interesse alla sopravvivenza di una impresa può essere tutelato accordando una "occasione" per rimuovere entro un periodo temporale breve, grazie appunto al controllo giudiziale sulla gestione aziendale, la contaminazione mafiosa che il provvedimento interdittivo aveva rilevato (Consiglio di Stato sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
5.4. - Ritiene il Collegio, infine, del tutto irrilevanti le sopravvenienze fattuali allegate dalla ricorrente mediante l’atto di motivi aggiunti, consistenti nel decreto del -O-emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che ha revocato i provvedimenti di confisca inerenti la società ricorrente, e l’ordinanza -O-adottata dal Comune di -O-, con cui è stata ordinata la cessazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Trattasi infatti di provvedimenti che non modificano il descritto quadro indiziario circa il pericolo di infiltrazione mafiosa in riferimento alla società ricorrente e che semmai confermano, per quel che qui rileva, l’esistenza della “cosca -O-” così come le misure di prevenzione personali applicate nei confronti di -O--O-.
6. - Alla luce delle suesposte considerazioni tutti i motivi dedotti non meritano adesione, si che il ricorso come integrato dai motivi aggiunti è infondato e va respinto.
Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.