TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2022-01-21, n. 202200725
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Pubblicato il 21/01/2022
N. 00725/2022 REG.PROV.COLL.
N. 02070/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2070 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Societatea De Asigurare Reasigurare City Insurance Sa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A M e G C, elettivamente domiciliata in Roma, via Alberico II, 33, presso lo studio dell’avv. A M;
contro
Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (I), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M C, P R, S S, M M, E G e M S, elettivamente domiciliato in Roma, via del Quirinale, 21, presso la sede dell’Ufficio consulenza legale dell’Istituto;
Banca D'Italia, non costituita in giudizio;
per il risarcimento, quanto al ricorso introduttivo,
dei danni subiti e subendi dalla City Insurance S.A. in conseguenza del provvedimento n. 2988 del 2 luglio 2012, di “divieto di stipulare nuovi contratti nel territorio della Repubblica Italiana”, annullato dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 20 febbraio 2014, n. 840, passata in giudicato;
e, quanto ai motivi aggiunti, il risarcimento
dei danni subiti e subendi dalla City Insurance S.A. in conseguenza del provvedimento 28 febbraio 2014, n. 51, con il quale IVASS, in pretesa ottemperanza della sentenza aveva confermato, integrandone la motivazione “il provvedimento di divieto di assunzione di nuovi affari in Italia”;provvedimento annullato dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 11 aprile 2018, n. 2188, notificata il 18 aprile 2018 e passata in giudicato.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2022 la dott.ssa R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo la Societatea De Asigurare Reasigurare City Insurance Sa - società per azioni di diritto romeno operante in Italia e avente per oggetto principale l’esercizio di attività di assicurazioni, diverse da quelle sulla vita, e l’attività di riassicurazione - ha agito per il risarcimento dei danni ad essa asseritamente arrecati dal provvedimento dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (d’ora innanzi anche I o Istituto) n. 2988 del 2 luglio 2012.
La ricorrente rappresenta che il provvedimento, con il quale le veniva comminato il divieto di stipulare nuovi contratti nel territorio della Repubblica Italiana, è stato annullato con sentenza del Consiglio di Stato n. 840 del 20 febbraio 2014, così che ricorrerebbero, nel caso in esame, tutti i presupposti per la condanna dell’I al risarcimento del danno, essendo evidenti l’ingiustizia del danno (accertata dalla sentenza) e il nesso causale tra l’adozione dell’atto e la perdita economica subita (connessa all’impossibilità, per la società, di svolgere la sua attività) e non ricorrendo la necessità di indagare la ricorrenza dell’elemento soggettivo in ragione dell’operatività, in materia, del principio di responsabilità oggettiva affermato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di contratti pubblici.
Con i motivi aggiunti la Societatea De Asigurare Reasigurare City Insurance Sa ha proposto una seconda domanda risarcitoria, volta ad ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito dell’adozione del provvedimento 28 febbraio 2014, n. 51, con il quale I, in ottemperanza della sentenza citata sentenza n. 840/2014, aveva confermato, integrandone la motivazione “ il provvedimento di divieto di assunzione di nuovi affari in Italia ”, provvedimento, a sua volta, annullato dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 11 aprile 2018, n. 2188.
Anche con riferimento al danno derivante da tale atto, ricorrerebbero, a giudizio della ricorrente, tutti i presupposti per il risarcimento, sussistendo l’ingiustizia del danno, il nesso causale e l’elemento soggettivo.
I, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
All’odierna udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati, ciò che consente al Collegio di prescindere dall’esame delle eccezioni in rito formulate dall’Istituto resistente.
Ai fini dell’esame delle due domande risarcitorie proposte dalla Societatea De Asigurare Reasigurare City Insurance Sa è necessario esaminare, sinteticamente, il contenuto delle due pronunce di annullamento poste a base della pretesa attivata.
Con la prima decisione (sentenza n. 840 del 20 febbraio 2014), il Consiglio di Stato, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’odierna ricorrente, ha annullato il provvedimento I n. 2988 del 2 luglio 2012, con il quale alla società era stato comminato, con effetto immediato e in applicazione dell’art. 193, comma 4, del Codice delle assicurazioni private (CAP) e della direttiva 92/49/CE, il divieto di assunzione di nuovi affari sul territorio della Repubblica italiana.
Nell’esame dei diversi motivi di ricorso, il giudice di appello, dopo aver riconosciuto, nel caso di specie, “ che […] l’Isvap ha legittimamente esercitato il potere d’intervento d’urgenza consentito dalla normativa, date le informazioni all’atto emerse (su cui non incidono perciò eventi successivi anche in sede giudiziaria), restando anche osservata, data l’urgenza, la prescrizione della comunicazione del provvedimento all’autorità dello Stato di origine (pur avvenuta lo stesso 2 luglio);che, di conseguenza, risulta giustificata la non attivazione delle garanzie procedimentali, alla luce dell’esigenza di celerità del procedimento (art. 7 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche);che la natura del potere esercitato legittima l’adozione del provvedimento da parte del Presidente dell’Istituto ai sensi dell’art. 13 della legge istitutiva (legge n. 576 del 1982);che, in questo quadro, le modalità dell’interlocuzione svoltasi con l’ISC rilevano in quanto obbiettivamente convergenti alla definizione dell’urgenza del provvedere venutasi in concreto a determinare.”, ha poi disposto l’annullamento dell’atto in accoglimento della censura con la quale era stato lamentato il difetto di motivazione riguardo al tipo di provvedimento adottato.
La sentenza ha espressamente affermato che l’accoglimento non risultava in alcun modo dipendente dalla ritenuta fondatezza delle ulteriori censure, pure dedotte, “ sugli effetti di mancata tutela degli assicurati e della concorrenza, essendo fine di ogni motivato provvedimento in materia quello della tutela del corretto funzionamento del mercato, né valendo l’affidamento formatosi nella ricorrente, dati i comportamenti rilevati e, comunque, non essendo stato emanato un provvedimento in autotutela ma di urgenza a fini inibitori ”, riconoscendo testualmente di ritenere che “ che nella specie è stato legittimamente esercitato, con adeguata motivazione, il potere di intervento in urgenza, mentre il provvedimento è viziato per lo specifico profilo del difetto della necessaria motivazione quanto alla giustificazione della scelta sul tipo di misura ritenuta da adottare tra quelle possibili ”, così espressamente respingendo le ulteriori doglianze, “ ferma l’adozione di ogni ulteriore provvedimento che sia adottato dall’Isvap (oggi I) sul presupposto dell’urgenza del provvedere che nella specie il Collegio ha qui asseverato ”.
Con la seconda decisione (sentenza n. 2188 del 11 aprile 2018, n. 2188) il Consiglio di Stato, in parziale accoglimento dell’appello proposto da parte ricorrente, ha annullato il provvedimento I del 28 febbraio 2014, n. 51.
Con tale atto l’Istituto, in dichiarata ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 840/2014 e in applicazione dell’art. 193, comma 4, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, attuativo della direttiva 92/49/CE, aveva confermato il divieto, in capo alla Societatea de asigurare – reasigurare City Insurance S.A., di stipulare nuovi contratti in regime di libera prestazione dei servizi nel territorio della Repubblica italiana.
Anche con la sentenza 2188/2018, il giudice secondo grado ritenuto la parziale fondatezza dell’appello con riferimento a specifiche carenze argomentative presenti nella motivazione del provvedimento dell’I, avendo condiviso la ricostruzione dalla difesa della società odierna ricorrente “ sulla portata del principio tempus regit actum […] , in base al quale – trattandosi di una vicenda dinamica e non della sanzione irrogata unicamente per singoli episodi temporalmente delimitati e singolarmente considerati […] l’Amministrazione, nel provvedere nuovamente circa un anno e mezzo dopo (il 28 febbraio 2014, rispetto all’originario atto del 2 luglio 2012), avrebbe dovuto esporre le ragioni che l’hanno indotta essa stessa ad emanare ulteriormente la sanzione ”.
Il Consiglio di Stato ha, in sostanza affermato che I, in sede di rinnovazione dell’esercizio del potere sanzionatorio, abbia errato “ nel rilevare l’effettiva portata conformativa della sentenza n. 840/2012 […], ribadendo (né invero avrebbe potuto essere altrimenti essendosi sul punto formato giudicato sulla base della sentenza 840/2014) il corretto accertamento, da parte dell’Autorità, dei fatti di mala gestione che fondavano l’adozione del provvedimento sanzionatorio ”, senza, tuttavia considerare, come sarebbe stato, invece, necessario in considerazione del fatto che il procedimento sanzionatorio si è concluso (dopo l’esito del precedente giudizio amministrativo) a distanza di circa un anno e mezzo, che “ si sarebbe dovuta rinnovare, con adozione di un ulteriore provvedimento sanzionatorio nel solo caso in cui l’urgenza di provvedere fosse stata ritenuta essa stessa persistente, in base ad una nuova istruttoria (con la conseguente rinnovazione della valutazione se fosse il caso o meno di interessare, questa volta, l’Autorità di vigilanza dello Stato di stabilimento) ”.
Anche tale seconda decisione rilevava, in ogni caso, che residuava, comunque, spazio per l’adozione di provvedimenti ulteriori per l’emanazione di nuovi provvedimento, per l’emanazione dei quali li limitava ad indicare dei criteri.
Osserva il Collegio come in entrambi i casi si è in presenze di sentenze di annullamento per (parziale) difetto di motivazione, in nessuna delle quali si afferma la spettanza alla ricorrente del bene della vita, così che nessun accertamento giudiziale si è formato in ordine all’illegittima lesione dell’interesse oppositivo a tutela del quale la società ha agito con le domande di annullamento a suo tempo proposte.
Tali essendo i limiti oggettivi dell’accertamento contenuto nella sentenza, le due domande di risarcimento oggi in esame non possono trovare accoglimento in conformità del consolidato indirizzo giurisprudenziale alla stregua del quale “ l’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, o procedimentali (come il vizio di incompetenza), in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, quale è il risarcimento del danno. Infatti mentre la caducazione dell’atto per vizi sostanziali vincola l’amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l’annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio potere in merito all’amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicchè non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (così Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2020, che richiama, le sentenze del medesimo Consiglio, sezione V, 22 novembre 2019, n. 7977, sezione III, 17 giugno 2019, n. 4097 e sez. V, 14 dicembre 2018, n. 7054).
Il risarcimento del danno, infatti, non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), nonché la riscontrata ricorrenza, pur in presenza di un interesse legittimo oppositivo, di un accertamento in ordine all’illegittima compressione della situazione giuridica lesa (con riferimento alla applicabilità, anche agli interessi oppositivi, del principio secondo cui “ per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto;ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico ”, cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 28 settembre 2021, n. 6538, che conferma Tar Piemonte, 3 gennaio 2014, n. 2).
Ne discende che pur in presenza di interessi oppositivi non ricorre l’ingiustizia del danno nel caso in cui la pronuncia di annullamento, intervenuta per vizi formali, abbia espressamente individuato gli spazi residui per un corretto esercizio del potere in senso nuovamente sfavorevole al ricorrente, così da non contenere alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene.
Il detto accertamento di spettanza è del tutto assente nei casi in esame, atteso che la sentenza n. 840/2018 lo ha espressamente escluso (avendo riscontrato la ricorrenza di tutti i presupposti per l’esercizio del potere, uno solo dei quali, pur sussistendo, non era stato trasfuso nella motivazione), mentre la successiva sentenza n. 2188/2018 lo ha logicamente presupposto, avendo fatto nuovamente salva la possibilità di riedizione del potere, così rimettendo all’Amministrazione la valutazione discrezionale in ordine al futuro riesercizio, anche in senso sfavorevole al privato destinatario, pur nel rispetto del principio conformativo discendente dal giudicato.
Dalla motivazione delle due sentenze, inoltre, emerge come difetti, con riferimento ad entrambe le domande risarcitorie formulate dalla ricorrente, pure l’ulteriore presupposto della colpa dell’amministrazione, l’accertamento della ricorrenza della quale, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, è invece necessaria condizione del domandato risarcimento, non applicandosi in materia di atti delle Autorità indipendenti il modello di responsabilità oggettiva dettato per la sola materia degli appalti pubblici.
Con riferimento all’assenza di colpa in capo all’I occorre considerare che entrambe le sentenze sono state adottate in riforma di statuizioni di rigetto di primo grado, l’appello cautelare avverso le quali era stato respinto dal medesimo Consiglio di Stato, ciò che già fornisce un indice significativo in ordine alle difficoltà connesse all’interpretazione della normativa della quale è stata fatta applicazione.
La non agevole soluzione dei profili ermeneutici in rilievo, inoltre, è espressamente riconosciuta dal giudice dell’annullamento che, sia pure nella parte in cui motiva in ordine alla compensazione delle spese, riconosce, in tutte e due i casi, “ la novità e complessità delle questioni ” affrontate.
Le citate novità e complessità emergevano, in ogni caso, dall’intero impianto motivazionale delle due sentenze, attese le particolari difficoltà interpretative poste dalla disposizione applicata e dagli articolati accertamenti connaturati al tipo di provvedimento adottato.
Le circostanze indicate, considerate nel loro insieme, escludono quindi, a giudizio del Collegio, che l’Amministrazione abbia agito in violazione delle regole di correttezza e buona fede, così che non può essere ravvisata la ricorrenza di una condotta colposa della stessa (cf. Consiglio di Stato, sez. III, 17 settembre 2019, n. 4097).
In proposito è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, “ ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l'illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell'Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione;con specifico riferimento all'elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione;pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 agosto 2021, n.5963 e, con specifico riferimento all’I, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409).
Ciò è tanto più vero nel caso in esame, atteso che all’I si applica la previsione di cui all’art. 24, comma 6 bis, della legge n. 232/05, secondo cui l’Autorità, i componenti dell’organo e i dipendenti della stessa rispondono dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave” (con riferimento all’individuazione del coefficiente psicologico necessario per il risarcibilità dei danni derivanti dall’operato dell’I, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 18 dicembre 2019, n. 14517).
La carenza della prova sulla spettanza del bene della vita e la non ravvisabilità della colpa consentono al Collegio di respingere la domanda risarcitoria senza esaminare la questione relativa alla prova del danno.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda in fatto.