TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-05-02, n. 202307392

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-05-02, n. 202307392
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202307392
Data del deposito : 2 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/05/2023

N. 07392/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05478/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5478 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M P, domiciliato presso la Tar Del Lazio Segreteria in Roma, via Flaminia 189;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento emesso il 7 marzo 2017 e notificato in data 18 aprile 2017,-OMISSIS-, con il quale il Ministero dell'interno ha respinto la domanda di concessione della cittadinanza italiana proposta dal ricorrente ai sensi dell'art. 9 comma 1 lett. F), della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per tutti i motivi sopra esposti;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, straniero di origine pakistana, ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale il Ministero dell'Interno ha respinto la domanda di concessione della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f, della legge n. 91/1992.

A fondamento del diniego, il Ministero dell’Interno ha rappresentato che, dall’attività informativa esperita, è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica, circostanza quest’ultima ritenuta ostativa alla concessione dello status civitatis .

Avverso il provvedimento di diniego il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

1. Violazione degli artt. 7 e 10-bis, l. n. 241/90 – difetto di istruttoria , non essendo stato il rigetto preceduto dalla comunicazione sui motivi che ostavano all’accoglimento;

2. Violazione degli artt. 24 e 111 della costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 1, e 8 l. 5 maggio 1992 n. 91, difetto di motivazione ed eccesso di potere , mancando nel provvedimento l’indicazione della ragione ostativa all’accoglimento della domanda, in modo da consentirne la confutazione da parte dell’interessato, che in ogni caso assume di essere estraneo a movimenti non compatibili con la sicurezza dello Stato e di risiedere in Italia dal 2002, conduce una vita dedita alla famiglia e al lavoro.

Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso con mero atto di forma.

A seguito di ordinanza presidenziale istruttoria n. -OMISSIS-del 2022, l’Amministrazione ha depositato gli atti relativi alle informative e ai documenti coperti da riservatezza, sottesi all’avversato diniego.

All’udienza pubblica del 14 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Si controverte sul rigetto della domanda di cittadinanza, presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, fondato su motivi inerenti la sicurezza della Repubblica.

La norma in questione dispone che “ La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno: … f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica ”;
ne deriva che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue “ una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale ” (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474 e, tra le tante, da ultimo, sez. III 23/07/2018 n. 4447).

Alla stregua della giurisprudenza della Sezione, deve ritenersi che l’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione in questo procedimento si esplica in un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistenti nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, n. 8084/2022;
n. 11538/2022;
n. 104/2022;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

Quindi, alla luce di quanto premesso, è facile arguire che la valutazione condotta dall’Amministrazione si estende anche alla correlata assenza di vulnus per le condizioni di sicurezza dello Stato ed in relazione alla quale possono assumere rilievo situazioni che - anche se non caratterizzate nell'immediato da concreta lesività - possano essere tali su un piano potenziale e/o di solo pericolo (v. CdS sez. III, 11/05/2016, n. 1874).

In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121, n. 5679, 6720 e 8039 del 2021;
n. 5236, n. 7036 e n. 8133 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, n. 8084/2022;
n. 11538/.2022;
n. 104/2022;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

Nel caso di specie, secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, dalla attività informativa esperita “ è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica e che tale motivo risulta ostativo alla concessione della cittadinanza ”.

A seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale, con cui l’Amministrazione ha reso noto, con le cautele necessarie a non disvelare notizie riservate e non pregiudicare eventuale attività di intelligence , che il richiedente è noto per la vicinanza (anche in ragione di operazioni sospette riguardanti il finanziamento di movimenti terroristici) ad associazioni o persone che propugnano idee o ideologie oltranziste ovvero contrarie ai valori occidentali.

Sulla base di detta informativa, proveniente da organi di sicurezza, il Ministero dell’Interno ha ritenuto preminente l’esigenza di salvaguardia della sicurezza nazionale rispetto all’interesse del richiedente all’acquisto della cittadinanza italiana.

Tanto premesso è possibile giungere ad escludere la fondatezza dei motivi di doglianza dedotti nell’atto introduttivo del giudizio.

In particolare la parte si duole per l’omesso invio della comunicazione ex art. 10- bis della legge n. 241/1990. Il Collegio ritiene che il motivo non sia degno di accoglimento.

L’omessa comunicazione del preavviso di diniego può essere giustificata alla luce del fatto che l’emanando provvedimento era destinato ad essere supportato da elementi di carattere “riservato”, ai quali non avrebbe potuto comunque essere consentito l’accesso.

In questi casi, attese le esigenze di tutela di informazioni riservate, la giurisprudenza di questo Tribunale ha ritenuto infondata la censura riferita alla violazione dell’art. 10- bis della legge 241/1990 “ in ragione del carattere secretato delle informazioni a carico dell’interessato, che non avrebbe comunque consentito l’ostensione, come prevede l’art. 2, comma 1, lett. d) del decreto del Ministero dell’Interno n. n. 415/1998” (T.A.R. Lazio, Sezione I ter, n. 11801/2019) e ha altresì spiegato che “che, qualora il diniego sia destinato ad esser supportato da dati di carattere “riservato” (che potrebbero, se conosciuti, pregiudicare la sicurezza nazionale: e che, in quanto tali, sono addirittura sottratti all’accesso), non è – del pari – ipotizzabile la violazione della norma posta dall’art. 10 bis della legge n. 241/90: la cui “ratio” presuppone che l’interessato sia messo in condizione di conoscere in modo dettagliato gli elementi che giustificano l’adozione del futuro provvedimento negativo ” (T.A.R. Lazio, Sezione II quater, n. 4271/2013), come ribadito anche di recente da questa Sezione (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 16084/2022, nonché, con specifico riferimento al diniego di accesso agli atti TAR Lazio, sez. V bis, n. 14320/2022), allineandosi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato (vedi, da ultimo, Cons. St., sez. 11387/2022).

Inoltre, il Collegio rileva, in ogni caso, l’inconsistenza in linea generale di simili censure alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza formatosi prima dell’entrata in vigore delle modifiche alla legge n. 241/1990, introdotte dal cd. decreto semplificazioni (decreto-legge 16.7.2020, n. 76, conv. legge 11.9.2020, n. 120) che ne ha modificato l’art. 10- bis e l’art. 21- octies , che era costante nel ritenere che il mancato preavviso di rigetto non inficia la legittimità del provvedimento, allorquando, in applicazione estensiva dell'art. 21- octies , comma 2, della medesima legge n. 241/1990, emerga nel corso del giudizio che il contenuto dispositivo del provvedimento oggetto di gravame non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;
tale era la normativa applicabile ratione temporis al caso in esame, non trovando applicazione retroattiva la successiva disciplina dell’istituto di cui all’art. 21- octies legge 241/1990. A quest’ultimo riguardo, il Collegio non ignora l’esistenza di un contrario orientamento, che ritiene immediatamente applicabili le nuove previsioni normative in considerazione del presunto carattere processuale della relativa norma, tuttavia, ritiene preferibile attenersi all’orientamento tradizionale, considerato, da un lato, che la natura e la sostanza di tale norma sono oggetto di vivace dibattito dottrinale, e, considerate altresì, dall’altro lato, le conseguenze pratiche dell’adesione a tale opzione, che rimetterebbe in discussione la legittimità di atti che, al momento della loro adozione, risultavano conformi alle regole sul procedimento secondo il “diritto vivente”.

Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente formula le censure di violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, di violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 1, e 8 l. 5 maggio 1992 n. 91, di difetto di motivazione ed eccesso di potere, assumendo che il provvedimento non indica la ragione ostativa all’accoglimento della domanda né contiene elementi di prova effettivi che evidenziano fatti o comportamenti del ricorrente rilevanti sul piano della pericolosità, così come stabilito dagli artt. 6 e 7 della l. 91/92

Il Collegio ne rileva parimenti l’infondatezza.

Questo Tribunale ha già affermato anche il principio di diritto, per cui, nei casi in cui il diniego di cittadinanza è fondato su ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il provvedimento di diniego è sufficientemente motivato, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, quando consente di comprendere l'iter logico seguito dall'amministrazione nell'adozione dell'atto, non essendo necessario che vengano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo (Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 17081/2022;
16084/2022;
15986/2022;
sez. II quater, n. 2453/2014;
cfr. CdS 6704/2018).

Quanto poi all’attendibilità delle valutazioni operate dall’Amministrazione, si deve evidenziare che si tratta di notizie pervenute dagli organismi preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, quindi, di fonte ufficiale, raccolte e vagliate da detti organismi pubblici nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali, sulla cui attendibilità non è dato ragionevolmente dubitare.

Nelle contrapposte versioni, tra quella del ricorrente, che contesta gli addebiti in argomento, e l’affermazione dei servizi di sicurezza che, dopo le dovute indagini, hanno concluso nel senso sopraindicato, non vi è ragione per privilegiare la prima ricostruzione, tenuto conto dei principi di ragionevolezza e tutela avanzata che improntano i procedimenti di naturalizzazione.

In proposito, del resto, con riferimento ad una fattispecie del tutto analoga, la giurisprudenza amministrativa ha sancito che “ a fronte degli importanti interessi della comunità nazionale coinvolti nel procedimento, l’interesse del cittadino di altro Stato a conseguire la cittadinanza italiana è inevitabilmente recessivo e sottoposto a severa verifica istruttoria, affidata non solo alle autorità locali di pubblica sicurezza (il Prefetto e il Questore, i quali nella fattispecie, come prospettato dall’appellante, non hanno evidenziato criticità), ma anche agli organismi specificamente preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, che invece nella presente fattispecie hanno evidenziato - con modalità compatibili con la riservatezza (pure consentita perché dovuta a esigenze di sicurezza nazionale: si pensi alla tutela delle fonti di informazione) e dunque non soggette ai pieni canoni di trasparenza che debbono caratterizzare l’attività amministrativa ordinaria - possibili criticità. Sicché lo stesso obbligo di motivazione del diniego si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi coinvolti ” (Cons. Stato, Sez. III, n. 8084/20022, n. 3886 e n. 3896 del 19 e 20 maggio 2021;
17 dicembre 2020 n. 8133;
in termini: Cons. St., Sez. II, 31 agosto 2020, n. 5326;
Cons. St., Sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102).

Peraltro, l’esigenza di garantire la sicurezza della Repubblica, che costituisce interesse di rango certamente superiore rispetto a quello dello straniero ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, presuppone infatti che “ nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui la Repubblica Italiana si fonda ” (così Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657;
in senso conforme Cons. Stato, sez. III n. 8133 del 17 dicembre 2020 e n. 5679 del 2 agosto 2021: “ Riconoscimento, quello della cittadinanza, per sua natura irrevocabile e che dunque presuppone che nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda ”).

La delicatezza delle questioni in gioco, fra cui anche la possibilità di ripercussioni nei rapporti internazionali a causa di atti commessi da un cittadino italiano nei confronti di Paesi terzi, giustifica pienamente l’utilizzo di parametri rigorosi nell’accertamento dell’assenza di pericolosità del richiedente la cittadinanza, malgrado la predicata estraneità all’associazione attestata su posizioni oltranzistiche.

Non può dunque essere ravvisato alcun vizio nell’operato del Ministero dell'Interno, che si è basato sulle indagini condotte dagli organismi preposti ai servizi di sicurezza dello Stato ed ha prestato fede alla loro provenienza istituzionale (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 novembre 2011 n. 6289 e 8 ottobre 2021, n. 6720) né sarebbe stata opportuna l’esternazione di maggiori dettagli.

In proposito, la giurisprudenza ha precisato che, alla luce di tali considerazioni, “ si può sostenere che per giustificare il diniego…sia sufficiente una situazione di dubbio ” (Cons. Stato, sez. III, n. 1084 del 4 marzo 2015).

Su questi temi la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (cfr., tra le tante, sez. VI, 19 luglio 2005, n. 3841;
id. 3 ottobre 2007, n. 5103;
Sez. IV, 1° ottobre 1991, n. 761) ha altresì chiarito che il provvedimento di diniego non deve necessariamente riportare le notizie che potrebbero in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti (T.A.R Lombardia Sez. Brescia 3/6/96 n. 654), essendo sufficiente l’indicazione delle ragioni del diniego senza dover indicare tutte le valutazioni interne che hanno condotto al giudizio sfavorevole dell’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. III, n. 3886 e n. 3896 del 2021;
n. 5326 e n. 8133 del 2020;
n. 2102 del 2019).

Il Giudice amministrativo ha ritenuto che, in presenza della classifica di riservatezza sugli atti istruttori, correttamente l’Amministrazione omette di indicarne il contenuto e ha precisato che il richiamo ob relationem a detto contenuto può soddisfare le condizioni di adeguatezza della motivazione, mentre l’esercizio dei diritti di difesa resta soddisfatto dall’eventuale ostensione in giudizio, su espressa disposizione dell’Autorità giudicante, con le cautele previste per la tutela dei documenti classificati (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 6720/2021;
sez. VI, n. 1173/09, n. 7637/09;
T.A.R. Lazio, II Quater, n. 9293/14, n. 604/13, n. 3158/12, n. 14015/11).

Quanto infine alla censura relativa alla violazione dell’art. 8 della legge n. 91/1992, dedotta in maniera generica con il secondo motivo di ricorso, attraverso una mera enunciazione senza articolazione di argomenti a sostegno, il Collegio, prescindendo per quanto rappresentato dalla disamina di profili di inammissibilità che potrebbero emergere, ne esclude comunque la fondatezza nel merito, richiamando sul punto un precedente della Sezione, sentenza 27 ottobre 2022 n. 13911/2022, in cui in relazione a fattispecie analoga è stata diffusamente trattata la censura: « Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione del comma dell’art. 8 della legge n. 91/1992, che prevede che: “Con decreto motivato, il Ministero dell'Interno respinge l'istanza di cui all'art. 7 ove sussistano le cause ostative previste nell'art.

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