TAR Napoli, sez. V, sentenza 2012-07-26, n. 201203634

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2012-07-26, n. 201203634
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201203634
Data del deposito : 26 luglio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10731/2000 REG.RIC.

N. 03634/2012 REG.PROV.COLL.

N. 10731/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 10731 del 2000 proposto dalla Coop. Lavoro e Giustizia in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. R A e con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Via F. Blundo n.54;

contro

Ministero dell’Interno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato ope legis presso gli Uffici in Napoli, Via A. Diaz n.11;

per l'annullamento

previa sospensione, del provvedimento del 22/6/2000.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la costituzione dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato con successivo deposito di relazione datata 24/10/2000;

Vista l’ordinanza di questo Tribunale n.4833 del 2000 di rigetto della domanda di sospensione per mancanza di danno grave e irreparabile;

Visti gli atti della causa;

Designato Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12/7/2012 il Consigliere G N e uditi gli Avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Espone in fatto l’odierna parte ricorrente che con il provvedimento impugnato è stata rigettata l’istanza presentata il 25/3/1999 per l’autorizzazione all’estensione dell’esercizio dell’attività di vigilanza anche alla Provincia di Benevento, atteso che l’attività di guardiania viene già svolta nella Provincia di Caserta dal 1967.

L’Avvocatura Distrettuale si è costituita per resistere al ricorso depositando relazione dell’Amministrazione.

Alla pubblica udienza del 12 luglio 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

1.Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce l’erroneo riferimento ad una nuova autorizzazione anziché all’estensione di quella preesistente, la violazione dell’art.136 del RD n.773/1931, nonché il difetto di motivazione.

2. Il Collegio ritiene preliminarmente di ribadire che, nella materia delle licenze di pubblica sicurezza, perché siano rispettati i principi costituzionali di eguaglianza e le libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione, i requisiti attitudinali o di affidabilità dei richiedenti di tali licenze devono pur sempre essere desunti da condotte del soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e accertate in sede penale, ma devono essere significative in rapporto al tipo di funzione o di attività da svolgere, non essendo ammissibile che da episodi estranei al soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge e non suscettibili, secondo una valutazione ragionevole, di rilevare un’effettiva mancanza di requisiti o di qualità richieste per l’esercizio delle funzioni o delle attività di cui si tratta, traducendosi così in una sorta di indebita sanzione extralegale (T.A.R. Veneto, III, 14.4.2006, n.1017).

2.1 L’Amministrazione può d’altra parte esercitare il suo potere nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della coerenza logica e della ragionevolezza, dandosi conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare le circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto richiedente sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi (Cons. Stato, IV, 5.7.2000, n. 3709). Se, poi, gli elementi che vengono a tal fine in rilievo attengono a denunce penali, l'Autorità di polizia non può limitarsi a richiamarle acriticamente o a trarre dalle stesse un automatico giudizio negativo (TAR Calabria, Catanzaro, I, 1.3.2001, n.352), ma deve operare un'autonoma valutazione dei fatti che ne sono alla base (TAR Lombardia, Milano, I, 21.8.2002, n. 3286), vagliare l'esito dei relativi procedimenti penali specialmente se si tratta di denunce assai risalenti nel tempo (TAR Campania, Napoli, IV, 10.1.1996, n.30), verificarne con maggior rigore la rilevanza se intervenute in tempi remoti (TAR Campania, Napoli, III, 4.4.2002, n.1859;
TAR Lombardia, Milano, I, 25.6.2001, n.4473) e in ogni caso adeguatamente esternare le ragioni per le quali se ne possono far scaturire indici significativi della inaffidabilità del soggetto.

3. Quanto poi alla specifica materia di cui alla presente controversia, la Sezione (17.2.2012, n.842;
11.6.2010, n.13978;
7.5.2010, n.3005;
28.2.2007, n.1292) ha già avuto modo di evidenziare che lo svolgimento dell’attività propria degli istituti di vigilanza, pur concretando un esercizio di attività imprenditoriale privata, si colloca nella materia della polizia di sicurezza per gli evidenti riflessi che esercita sulla sicurezza e l’ordine pubblico, sia in quanto la predetta attività si pone come indiretto ausilio nel perseguimento delle finalità di interesse generale della sicurezza e della prevenzione dei reati, sia in quanto incide sulle generali condizioni di controllabilità del territorio da parte delle Forze dell’Ordine, siccome costituita da corpi organizzati autorizzati al porto delle armi, facenti capo ad apposite organizzazioni aziendali, anche complesse.

3.1 Il necessario contemperamento nel quadro dell’art. 41 Cost. tra l’iniziativa economica privata, che è libera, e l’utilità sociale, viene operato dall’Autorità di pubblica sicurezza competente lungo le linee guida del TULPS, mediante atti connotati da significativi margini di discrezionalità che sono riconosciuti dalla legge al fine precipuo di consentire il raggiungimento del giusto punto di equilibrio tra le opposte esigenze di garantire la libera iniziativa economica privata e di assicurare nel contempo che essa non vada a detrimento di altri interessi di pari o superiore rilievo e protezione costituzionale. In quest’opera di bilanciamento va comunque riconosciuta una naturale preminenza all’interesse generale alla prevenzione e alla garanzia di efficacia della tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, spettando al giudice amministrativo un sindacato sulla verità dei presupposti di fatto presi a base della decisione e sulla razionalità complessiva, sulla coerenza logica e sulla proporzionalità e ragionevolezza della misura adottata, ma non sul merito della convenienza ed opportunità della scelta.

4. Occorre peraltro dare atto che, nella materia de qua, si sono registrati numerosi interventi dell’Autorità Antitrust e della giurisprudenza amministrativa, rivolti ad un maggiore apertura al mercato di questo delicato settore;
in particolare i giudici amministrativi (ex multis, Cons. Stato, VI, 23.4.2007, n.1823;
20.4.2006, n.2197;
V, 10.1.2005, n.32;
IV, 4.10.2005, n.5282;
20.10.2005, n.5900;
15.2.2005, n. 478;
6.3.2004, n.1386;
7.9.2004, n.5782;
6.7.2004, n.5012;
26.11.2001, n.5938;
28.10.1999, n.1643;
23.10.1991, n. 849;
T.A.R. Sardegna, 19.7.2006, n.1511;
6.8.2003, n.1005;
22.5.2002, n.597;
18.3.2002, n.284;
Cons. Giust. Ammin., 23.12.1988, n.24;
T.A.R. Puglia, Bari, I, 8.2.2005, n.394;
TAR Lazio, I-ter, 13.10.2004, n.10905;
9.6.2003, n.5197;
16.3.2001, n. 2036;
T.A.R. Campania, Napoli, IV, 1.12.2004, n.17813;
28.2.2005, n.1317;
TAR Lombardia, Brescia, 13.4.2002, n. 694;
TAR Toscana, I, 16.12.2002, n.3359;
24.11.1998, n.662;
T.A.R. Calabria, Catanzaro, 22.3.2001, n. 489;
T.A.R. Umbria, 5.8.1998, n. 829;
TAR Valle d’Aosta, 16.12.1994, n. 205;
T.A.R. Friuli, 18.5.1991, n.189;
T.A.R. Puglia, Lecce, 11.12.1990, n.1079) hanno rimarcato che i provvedimenti di diniego dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vigilanza privata di cui all'art.134 TULPS non possono essere motivati solo in base al numero degli Istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, ma devono dare ragione di come l'interesse pubblico sarebbe danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà costituzionalmente garantita, in termini dunque di giudizio di eccessività e di negatività di una nuova autorizzazione sotto il profilo del turbamento che potrebbe derivare all'ordine pubblico da un eccesso di concorrenza. Tale giudizio deve perciò fondarsi su concreti ed oggettivi elementi di valutazione, riscontrati con riferimento alla situazione esistente nell’ambito territoriale interessato, atti a dimostrare come l’ingresso di un nuovo soggetto nel settore eroderebbe quote di mercato essenziali a garantire il giusto profitto alle imprese operanti, così da costringere queste ultime a ridurre la qualità del servizio offerto con negativi riflessi sull’interesse all’ordine pubblico tutelato.

4.1 Apparirebbe del resto matura un’interpretazione adeguatrice della disciplina dettata in materia di autorizzazioni di polizia dal TULPS ai principi costituzionali espressi nell’art. 41 Cost., anche in considerazione della qualificazione degli istituti di vigilanza privata come “imprese commerciali esercitanti un servizio (la vigilanza, appunto) nell'interesse dei privati che lo richiedono verso un determinato corrispettivo (la "tariffa"), e cioè imprenditorialmente ed a fine di lucro” (Cass. Civ., I, 17.12.1994, n. 10863;
nn. 1174 del 1972, 1959 del 1971 e 1740 del 1970). Peraltro “la disciplina pubblicistica di siffatta attività - imposta dalla sua contiguità con quella, istituzionalmente e normalmente riservata allo Stato, relativa alla salvaguardia degli equilibri dell'ordine e della sicurezza pubblica e della tutela, sul piano preventivo e repressivo, delle persone e dei beni - ha un rilievo meramente esterno ed è volta soltanto al controllo dell'esercizio dell'attività medesima nella misura e nei limiti in cui esso può incidere su interessi pubblici anche costituzionalmente garantiti. Ed è esclusivamente in tale dimensione che operano sia il provvedimento autorizzatorio cui l'esercizio dell'attività stessa è subordinata (art. 134 comma 1 R.D. n. 773 del 1931), sia i provvedimenti mediante i quali si realizzano i controlli, di legittimità e di funzionalità, demandati dalla legge alle autorità di pubblica sicurezza” (Cass. Civ., I, 17.12.1994, n. 10863).

Con tali premesse il provvedimento prefettizio di autorizzazione allo svolgimento delle imprese di servizi di vigilanza e di investigazione, in quanto espressione del predetto potere-dovere di controllo su tale attività, non può dunque, senza una valida ragione giustificatrice, incidere su principio del libero svolgimento delle attività economiche riconosciuto dall’art. 41 della nostra Costituzione e dai principi di concorrenza e di apertura del mercato di origine comunitaria. L’interpretazione degli artt. 134 e 136 del TULPS, in quanto disposizioni volte alla regolazione delle attività in parola in un sistema pre-costituzionale ispirato a valori e principi diversi rispetto a quelli consacrati nella Costituzione e caratterizzato dal dirigismo statale delle attività economiche e dalla conseguente “funzionalizzazione” dell’autonomia privata, nonché da forme di intervento pubblico di regolazione del mercato mediante la pianificazione delle attività private e la correlata fissazione di contingenti, deve essere condotta in modo da salvaguardare la compatibilità di tali regole con i sopravvenuti principi costituzionali e comunitari;
la concorrenza deve, cioè, essere tutelata come bene in sé in quanto assicurante in modo automatico il miglior equilibrio del mercato e la massima soddisfazione dell’interesse dei consumatori, mentre le limitazioni allo svolgimento dei servizi in questione possono essere giustificate, secondo lo spirito ed i principi ricavabili dalla disciplina comunitaria e nazionale in materia, solo in quanto trattasi “di attività che ... partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri” ovvero che “siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica” di cui agli artt. 45 e 46 del Trattato CEE (T.A.R. Lazio, Roma, I-ter, 10.3.2006, n.1890).

4.2 Il provvedimento prefettizio che interviene in materia, pertanto, non può essere finalizzato a disciplinare o restringere la concorrenza fra imprese esercenti attività di vigilanza privata e tanto meno ad introdurre contingenti volti a creare un’ingiustificata barriera all’entrata di nuove società o ad assicurare alle imprese operanti nel settore un’ingiustificata posizione di oligopolio, considerato il favor dell’attuale “costituzione economica” per il regime di concorrenza in quanto, per definizione, meglio rispondente alle esigenze della generalità. Inoltre tale atto, se negativo, deve evidenziare, mediante circostanziate motivazioni fondate su un’approfondita istruttoria, le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza che rendono inopportuno l’accesso al mercato dei servizi in parola ad un nuovo operatore del settore, alla stregua di una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in esame con i principi e le norme risultati dalla Carta Costituzionale, come modificata a seguito della riforma del Titolo V, ed in particolare con l’art. 118, ultimo comma, secondo il quale “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”.

4.3 Pur con tali considerazioni il Collegio reputa non irrilevante il profilo della tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, quale oggetto dell’apprezzamento, condotto dal Prefetto, circa il limite di saturazione dell’area territoriale di riferimento in cui chiede di andare ad agire il nuovo operatore che fa istanza per la licenza;
il mantenimento di un giusto e accorto equilibrio di questo mercato è infatti garanzia di concorrenza fisiologica e non esasperata e di razionale controllabilità di questi corpi armati da parte dell’Autorità amministrativa.

Sul punto la Sezione (7.5.2007, n.4760) ha, ad esempio, ritenuto che siano integrati gli estremi dell’abuso della licenza ex art. 134 TULPS allorché venga svolta un’attività di prevenzione dei crimini contro le persone, ossia un servizio di ronda anticrimine a tutela non di beni immobili, ma delle persone, con possibilità di intervenire direttamente nel caso di “eventuali situazioni critiche”: tale attività, in quanto strettamente inerente alle funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, è infatti prerogativa esclusiva delle Forze di Polizia e non può ricomprendersi nell’ambito della licenza di investigatore privato ex art. 134 TULPS che resta circoscritta “alle investigazioni e alla raccolta di informazioni per conto di privati, nonché alla ricerca ed alla individuazione di elementi di prova ai fini della difesa penale”.

5. Nella fattispecie il Collegio ritiene che il provvedimento prefettizio impugnato sia viziato, con assorbimento degli ulteriori profili di doglianza, nella misura in cui in maniera del tutto illegittima ha rigettato l’istanza che aveva attivato il relativo procedimento sul mero presupposto che gli istituti già autorizzati ad esercitare l’attività di vigilanza privata soddisfano, in concorso con le forze di polizia, le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, così opponendosi di fatto un ingiustificato ostacolo all’entrata nel settore di un nuovo soggetto, in palese violazione del sopracitato favor dell’attuale “costituzione economica” per il regime di concorrenza in quanto meglio rispondente alle esigenze della generalità.

Ai fini dell’accoglimento del gravame merita condivisione l’orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, VI, 4.10.2011, n.5432;
17.1.2011, n.229) per cui il diniego di cui all'art. 136, secondo comma, T.U.L.P.S. (secondo cui la licenza di P.S. di cui al precedente art. 134 "(può) essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti") non può essere fondato sul mero dato numerico delle licenze già in essere, ma va integrato attraverso considerazioni di contesto, basate sul complesso di circostanze rilevanti nel caso di specie (es. caratteristiche sociali, economiche e demografiche dell'area interessata, andamento dei fenomeni di criminalità, ecc.). I dinieghi dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vigilanza privata di cui all'art. 134 del T.U.L.P.S. non possono invero essere motivati solo in base alla mera quantità degli istituti di vigilanza esistenti ed operanti nel territorio: si deve infatti valutare se l'interesse pubblico sia in concreto danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, atteso che la concorrenza può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio e una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse (Cons. Stato, VI, 20.4.2006, n. 2197;
5.12.2005, n. 6948).

5.1 Ancora il Collegio osserva che, in via di principio, l'eventuale diniego al rilascio di una nuova licenza di pubblica sicurezza va fondato su elementi che, prendendo le mosse dal richiamato dato numerico, indichino puntualmente per quali ragioni il rilascio di un'ulteriore licenza risulterebbe idonea a determinare un nocumento per l'ordine e la sicurezza pubblica;
le istanze del tipo per cui è causa vanno, infatti, esaminate con particolare attenzione, atteso il necessario bilanciamento che l'art.136 del T.U.L.P.S. postula fra alcuni interessi di carattere squisitamente particolare (in specie: correlati al libero esercizio delle attività economiche) e concomitanti interessi di carattere pubblicistico.

Ciò ricordato, l'esame dei documenti di causa dimostra che il diniego impugnato in prime cure risulta nei fatti fondato su considerazioni avulse rispetto a quelle prese in considerazione dalla legge, ove si consideri che l'atto prefettizio impugnato ha riguardo a considerazioni esulanti dalla corretta e legittima ponderazione degli interessi pubblici coinvolti e che risultano, piuttosto, rivolte a salvaguardare interessi particolari (la tutela della posizione di mercato dell'operatore preesistente rispetto ai nuovi ingressi), ovvero alla tutela di ulteriori interessi pubblici (come quelli di carattere lavoristico e previdenziale) certamente estranei alla ratio del più volte richiamato art. 136 del T.U.L.P.S..

5.2 Il Collegio ritiene di precisare che qui non si tratta di revocare in dubbio il consolidato orientamento per cui, a fronte di un atto negativo fondato su più ragioni ostative fra loro autonome, è sufficiente che una sola di quelle resista alle censure perché sia escluso l'annullamento dell'atto negativo nel suo complesso;
nel caso in esame, pur avendo la Prefettura indicato numerose ragioni a sostegno del diniego, la maggior parte di esse non poteva autonomamente fondare l'opposto diniego, non richiamando alcun effettivo interesse pubblico in tal senso, ma limitandosi a rimarcare la sufficienza delle licenze già in essere. La questione qui è che si tratta piuttosto di considerare che il diniego prefettizio si basava su una ragione autonoma ma determinante nel senso negativo assunto dall'atto e che derivava da considerazioni fondate su circostanze in realtà non rilevanti, come la salvaguardia degli interessi concorrenziali dei soggetti già operanti.

Inoltre l'Amministrazione avrebbe dovuto effettuare un'adeguata comparazione fra le esigenze rilevanti in materia, vale a dire quelle generali di ordine pubblico connesse all'attività di protezione di persone e di beni, nonché l'individuale diritto di iniziativa economica dell'interessato;
fermo restando che il diniego deve comunque indicare le ragioni giustificatrici, avendo particolare riguardo alle ragioni per cui interessi pubblici di rilievo costituzionale potrebbero subire un nocumento in conseguenza del rilascio della nuova licenza (Cons. Stato, VI, 5.9.2011, n. 4990), grava in ogni caso sull'Amministrazione l'onere di apprezzare e indicare, con riguardo a ogni singola autorizzazione, il concreto vulnus all'interesse pubblico che potrebbe derivare da un ulteriore aumento di concorrenza.

5.3 Ai limitati fini che qui rilevano merita tuttavia di essere segnalato che l'evoluzione normativa successiva all'atto qui al vaglio e all'instaurazione del presente giudizio ha condotto all'abrogazione della disposizione su cui si basava il diniego oggetto di impugnazione: si ha, in particolare, riguardo all'art. 4 del D.L. 8.4.2008, n. 59 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 6.6.2008, n 101) che ha abrogato il secondo comma dell' art. 136 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (ossia, la disposizione secondo cui la licenza di p.s. "può, altresì, essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti"), ciò a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee in 13 dicembre 2007 - causa C465/05 (Commissione vs. Italia) che ha sancito - fra l'altro- l'illegittimità de iure communitario del secondo comma dell'art. 136 per violazione, a proposito delle imprese italiane di vigilanza privata, dei principi degli articoli 43 e 49 del Trattato CE in tema - rispettivamente - di diritto di stabilimento e libera circolazione dei servizi.

6. Alla luce di quanto sopra deve ritenersi che il ricorso in esame vada accolto con conseguente annullamento della nota oggetto di impugnazione.

Sussistono gravi ed eccezionali motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate - per disporre la compensazione delle spese di giudizio, mentre resta fermo l’onere di cui all’art.13 del DPR n.115/2002, come successivamente modificato, a carico della parte soccombente.

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