TAR Salerno, sez. I, sentenza 2015-02-21, n. 201500418

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. I, sentenza 2015-02-21, n. 201500418
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201500418
Data del deposito : 21 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01481/2012 REG.RIC.

N. 00418/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01481/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1481 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
P M, rappresentato e difeso dall'avv. L L, con domicilio eletto in Salerno, al corso Garibaldi, n. 103;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Salerno, al corso Vittorio Emanuele, n. 58;
Comune di San Giovanni a Piro, in persona del Sindaco in carica pro tempore , non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) del provvedimento prot. n. 18773 del 22/06/2012, con il quale la Soprintendenza per le Province di Salerno e Avellino ha espresso parere contrario, ai sensi dell'art. 167 D.lgs. 42/2004, sulla richiesta di compatibilità paesaggistica postuma di alcune opere di sistemazione esterna realizzate dal ricorrente su un fabbricato di sua proprietà, sito nel Comune di San Giovanni a Piro;
b) provvedimento del 30/07/2013, con il quale la Soprintendenza ha annullato, ora per allora, il decreto sindacale n. 876 del 03/06/1991.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2014 il dott. Giovanni Grasso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso notificato in data 11/10/2012, P M, come in atti rappresentato e difeso, ha invocato l'annullamento del provvedimento prot. n. 18773 del 22/06/2012, meglio distinto in epigrafe, con il quale la Soprintendenza per le Province di Salerno e Avellino si era negativamente espressa, ai sensi dell'art. 167 D.lgs. 42/2004, sulla richiesta di compatibilità paesaggistica postuma di alcune opere di sistemazione esterna realizzate dal ricorrente su un fabbricato di sua proprietà, sito nel Comune di San Giovanni a Piro.

Con distinti motivi aggiunti, notificati in data 14/11/2013, il ricorrente ha altresì impugnato il provvedimento del 30/07/2013, con il quale la Soprintendenza ha annullato, ora per allora, il decreto sindacale n. 876 del 03/06/1991, recante autorizzazione paesistica in sanatoria di alcuni interventi di ampliamento dell'abitazione preesistente.

L'edificio in questione, ubicato in area sottoposta a tutela paesisitica per effetto del D.M. 14 luglio 1969 (G.U. n. 204 dell' 11/08/1969), che ne ha dichiarato il notevole interesse pubblico ai sensi della L. 1497/1939, era stato realizzato, in difetto di titolo paesistico, in forza di concessione edilizia prot. 3164 del 04/06/1984.

A seguito della realizzazione di alcuni interventi di ampliamento (in specie, costruzione di un piano seminterrato e di nuovi locali al piano rialzato), il ricorrente proponeva istanza di sanatoria con atto prot. 8656 del 17/09/1990, in riscontro della quale l’Amministrazione comunale, con decreto n. 876 del 03/06/1991, rilasciava autorizzazione paesistica postuma, limitatamente ai predetti interventi di ampliamento.

Peraltro, in violazione dell'art. 82, comma 9, del D.P.R. 616/1977, il Comune ometteva la trasmissione del decreto sindacale alla competente Soprintendenza, impedendo così l'esercizio del potere di controllo dell'Amministrazione statale.

In data 08/09/2011, con istanza acquista al protocollo comunale n.8473, il ricorrente chiedeva l'accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica di alcune opere di sistemazione esterna realizzate in assenza di titolo;
su tale istanza la Soprintendenza esprimeva parere contrario, sull’ostativo rilievo che l'immobile non risultava essere assentito sul piano paesistico e che, in particolare, il ridetto decreto sindacale n. 876 del 03/06/1991, di sanatoria paesaggistica, non era stato, per l’appunto, mai sottoposto al rituale controllo di legittimità.

All’esito della impugnazione formalizzata dal M nei confronti del parere negativo, questo Tribunale, con ordinanza n. 502/2012 resa a definizione della fase cautelare, ingiungeva, in prospettiva propulsiva, al Comune di provvedere, ora per allora, alla integrale ed esaustiva trasmissione alla Soprintendenza della documentazione tecnica ed amministrativa necessaria per l'esercizio delle proprie competenze, e all'Amministrazione statale di determinarsi, sempre ora per allora, nel termine di legge, decorrente dal momento della ricezione della documentazione.

In ottemperanza all’ordinanza in questione, la Soprintendenza procedeva all'esame della documentazione trasmessa e, con decreto del 30 luglio 2013, sanciva, ora per allora, l’annullamento del decreto sindacale n. 876 del 03/06/1991, sul complessivo assunto: a ) che l'autorizzazione postuma riferita ai soli interventi ampliativi fosse illegittima, in assenza del presupposto costituito dal titolo paesistico abilitativo alla costruzione del corpo originario del fabbricato; b ) che all'epoca del rilascio del decreto fosse vigente il regime di inedificabilità assoluta di cui al D.M. del 28/03/1985 (poi prorogato e confermato dall'art. 1 quinquies del D.L. 312/85), sicché gli ampliamenti abusivamente eseguiti non potevano essere assentiti sotto il profilo paesistico;
c) che le determinazioni comunali fossero da ritenersi viziate, in quanto riferite a documentazione gravemente carente ed insufficiente;
d) che il decreto annullato fosse affetto da evidente vizio di motivazione, dal momento che si limitava a richiamare il parere della Commissione Edilizia Integrata, anch'esso, peraltro, carente sotto il profilo motivazionale.

Avverso tale conclusiva determinazione, il ricorrente è insorto mercè l’articolazione di motivi per aggiunzione, con i quali ne ha lamentato la complessiva illegittimità e ne ha auspicato l’annullamento.

2.- Nella resistenza dell’Amministrazione intimata, alla pubblica udienza del 20 novembre 2014, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorso non è fondato e merita di essere, conseguentemente, respinto.

Giova, in proposito, esaminare in via prioritaria le doglianze articolate avverso l’ultimo provvedimento della Soprintendenza, che ha disposto l’annullamento, ora per allora, del decreto sindacale recante sanatoria paesaggistica degli interventi in contestazione.

In proposito, il ricorrente lamenta la tardività dell'esercizio del relativo potere, per essere intervenuto il provvedimento successivamente alla scadenza del termine perentorio di cui all'art. 82, comma 9, del D.P.R. 616/1977.

1.1.- La doglianza non può essere condivisa.

Risulta, invero, dalla documentazione in atti, che la documentazione veniva trasmessa dall'Amministrazione comunale alla Soprintendenza in data 10/05/2013 e ricevuta da quest’ultima in data 13/05/2013. Tuttavia, con nota prot. 14616 del 23/05/2013, l’Amministrazione statale rappresentava al Comune la necessità di provvedere a comunicare all’interessato l'avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990 (non riscontrato nel corpo della documentazione inviata), all’uopo avvertendo l'avvertimento che il termine di esame della pratica avrebbe dovuto ritenersi interrotto, ad ogni effetto di legge, fino alla ricezione della documentazione integrativa comprovante l'avvenuta comunicazione, con modalità idonee ad attestare la ricezione dell'avviso da parte del privato.

Per effetto di tale richiesta di integrazione documentale, il termine ex art. 82 comma 9, del D.P.R. 616/1977 iniziava a decorrere solo in data 04/06/2013, al momento della ricezione della documentazione comprovante l'avvenuta comunicazione di avvio del procedimento, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno: essendo, sul punto, pacifico che la decorrenza del termine legislativamente previsto per l'esercizio del potere ministeriale di annullamento presuppone, per l’appunto, la previa ricezione della documentazione necessaria ad esperire una esaustiva valutazione, di tal che il termine di sessanta giorni deve ritenersi suscettibile di subire interruzioni per effetto di richieste integrative della Soprintendenza, e riprende nuovamente a decorrere “una volta acquisiti gli, elementi integrativi di giudizio necessari per il corretto esercizio del potere, sulla base di una compiuta istruttoria” (cfr. da ultimo, peraltro a conferma di un orientamento consolidato, Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2014, n. 1314).

Merita, sul punto, di essere puntualizzato che non possono sussistere perplessità in ordine alla circostanza che la mancata documentazione, da parte del Comune, delle attività procedimentali, di sua competenza, preordinate alla preliminare attivazione del contraddittorio procedimentale nei confronti del privato interessato, costituisse ragione di obiettiva incompletezza della pratica, idonea, come tale, a giustificare e legittimare la richiesta integrativa della Soprintendenza (altrimenti esposta alla potenziale illegittimità delle determinazioni da assumere per violazione della regola partecipativa codificata all’art. 7 della l. n. 241/1990): dovendosi, in definitiva, affermare il pedissequo principio per il quale l'esercizio del potere di annullamento decorre dal momento in cui la Soprintendenza è posta nelle condizioni di adottare una determinazione legittima .

Non può, per l’effetto, essere disconosciuto effetto interruttivo alla richiesta indirizzata all'Ente comunale di provvedere alla comunicazione di avvio del procedimento e di fornirne puntuale riscontro documentale, richiesta che, oltre ad essere funzionale al rispetto delle garanzie partecipative del privato, è diretta a provocare l'adozione di un atto prodromico alla corretta instaurazione del procedimento.

Non va dimenticato, invero, che consolidata giurisprudenza amministrativa, con (necessario) riguardo alla normativa applicabile ratione temporis nel caso di specie, ha chiarito che l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 della legge 241/1990 sussiste anche in relazione ai procedimenti ministeriali di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalle Regioni (ovvero dagli enti dalle medesime delegati), ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497/1939" (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2005, n. 1361). Né varrebbe in contrario, come esattamente argomentato dalla difesa erariale, rilevare l'inapplicabilità ratione temporis dell'art. 4 del D.M. n. 495/1994, posto che la disposizione in questione si limita a ribadire un principio fondamentale previsto per la generalità dei procedimenti amministrativi, già cogente in forza dell'art. 7 della L. 241/1990. A riguardo, del resto, è concorde l'indirizzo giurisprudenziale in base al quale la fase di verifica da parte della Soprintendenza della legittimità del nulla osta paesaggistico rilasciato dall'Autorità delegata deve essere preceduta, ai sensi dell'art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241, dalla comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento a ciò preordinato: conclusione che trova ulteriore referente regolamentare nell'art. 4 del d. m. 13.06.1994, n. 495, nel testo vigente alla data di adozione dell'atto di annullamento per cui è causa, che ribadisce espressamente (e quindi non introduce) l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento da parte del responsabile (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2006, n. 6020).

Alla specie non è invece applicabile, ratione temporis acti , la modifica disposta con l'art. 2 del D.M. 19.6.2002 n. 165, il quale, nell'aggiungere il comma 1 bis all'art. 4 del D.M. n. 495/1994, aveva previsto l'esclusione dei procedimenti di cui trattasi dall'ambito di applicazione dell'obbligo della comunicazione I art. 7 L.241/1990: previsione, peraltro, superata, quanto alla ribadita obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento, con il d. lgs 42/2004, così definitivamente optandosi per l'operatività anche in subiecta materia di un principio che, fissato dalla legge fondamentale sul procedimento amministrativo e non più derogato in materia di controllo ministeriale dei titoli paesistici, non avrebbero potuto essere disatteso, nella vicenda in esame, dall’Amministrazione, pur nel contesto dell'esercizio del potere "ora per allora" ed indipendentemente dalla considerazione dell'eventuale incidenza sul distinto piano dell'annullabilità del provvedimento.

In definitiva, deve condividersi l’assunto, ampiamente argomentato dalla difesa erariale, per cui deve ritenersi corretto l'operato dell'Amministrazione statale, la quale, nei chiariti sensi, ha legittimamente preteso l'invio (doveroso ed ineludibile) della comunicazione di avvio del procedimento da parte del Comune e proceduto all'esame della pratica solo successivamente alla ricezione della relativa documentazione, onde evitare che l'esigenza di garantire l'effettività della partecipazione procedimentale del privato, sottesa all'obbligatorietà dell'avviso, fosse frustrata dallo stato di avanzamento dell'istruttoria.

In diverso senso, non varrebbe revocare in dubbio che il procedimento di controllo ministeriale, avviato nella specie in ottemperanza ad un'ordinanza cautelare ad attitudine propulsiva, avrebbe dovuto differenziarsi, sotto il profilo della argomentata obbligatorietà della comunicazione di avvio, da un procedimento istaurato a seguito di regolare (e spontanea) trasmissione degli atti da parte del Comune.

Per un verso, infatti, sotto un profilo formale, la stessa ordinanza resa dal Tribunale vincolava l'Amministrazione a porre in essere il procedimento di controllo in applicazione del complesso della normativa rilevante ratione temporis , ivi compreso, dunque, l'art. 7 della L. 241/1990 e senza esclusioni di sorta;
per altro verso, sotto il profilo sostanziale, la comunicazione de qua era comunque funzionale a dare atto al privato dell'effettivo inizio del procedimento (in ipotesi suscettibile di essere avviato in ritardo o di non essere avviato affatto, nonostante l'ordinanza cautelare), oltre che della possibilità di prendervi parte.

A ciò aggiungasi, in piana adesione alla puntuale e conclusiva argomentazione della difesa erariale, che, considerata a ribadita applicabilità ratione temporis dell'art. 7 della L. 241/1990, la mancata comunicazione di avvio del procedimento avrebbe verosimilmente esposto l'Amministrazione statale alla relativa censura in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo: donde la necessarietà della comunicazione e delle correlate attestazioni documentali, a scopo defensionale.

Il richiamo, nell'ordinanza cautelare, alla " integrale ed esaustiva trasmissione della documentazione tecnica ed amministrativa necessaria per l'esercizio delle relative competenze ", quale presupposto per l'esercizio del potere di controllo “ ora per allora, nel termine di legge, decorrente dal momento di ricezione della documentazione ”, non poteva, in conclusione, che essere inteso, come è stato inteso, quale richiamo al complesso degli elementi necessari a consentire alla Soprintendenza di assumere le proprie determinazioni legittimamente e nel rispetto delle garanzie procedimentali previste dalla legge, ivi compresa la (obbligatoria) comunicazione di avvio del procedimento e la correlata documentazione.

Ciò posto, la nota soprintendizia prot. 14616 del 23/05/2013 ha concretamente spiegato effetto interrutivo del termine previsto dall'art. 82, comma 9, del D.P.R. 616/1977: termine che è cominciato nuovamente a decorrere solo in data 04/06/2013, a seguito della ricezione della documentazione attestante l'intervenuta comunicazione di avvio del procedimento da parte del Comune, con conseguente tempestività della determinazione caducatoria assunta a definizione del relativo procedimento.

2.- Nel merito, le ragioni poste a fondamento dell’annullamento ministeriale (nella parte in cui rileva l'irritualità della sanatoria comunale, limitata ai soli interventi di ampliamento del fabbricato originario, mai assentito sul piano paesistico) resistono alle formalizzate ragioni di doglianza.

In proposito, è anzitutto infondato il rilievo critico per cui l'edificio per cui è causa sarebbe stato assentito nella sua interezza per effetto del decreto sindacale n. 876 del 03/06/1991.

In effetti, il provvedimento comunale in questione, annullato con l'atto impugnato, non aveva ad oggetto la sanatoria dell'intero fabbricato, ma solo la sanatoria degli interventi di ampliamento (costruzione di un piano seminterrato e di nuovi locali al piano rialzato) realizzati successivamente alla costruzione del corpo originario dell'edificio, autorizzato sul piano edilizio giusta concessione prot. 3164 del 04/06/1984, mai assentita sotto il profilo paesistico.

In proposito, giova rilevare che, già nelle premesse del provvedimento sindacale annullato si dà atto della circostanza che il progetto assentito - previamente trasmesso alla Commissione Edilizia Integrata - riguardasse "l'ampliamento di una casetta per civile abitazione";
di poi,

l'intestazione del parere della Commissione (n.3 del 23/05/1990), espressamente richiamato nel provvedimento sindacale, registra che il progetto istruito riguarda "la sanatoria per

l'ampliamento di una casetta per civile abitazione";
ancora, nelle premesse del parere in

questione, la Commissione precisa "che, atteso quanto rappresentato nei grafici di progetto e dalla documentazione ad esso allegata, si rileva che l'intervento concerne la sanatoria per

l'ampliamento di una casetta per civile abitazione in località Palazzone". La stessa somma

pagata a titolo di oblazione è stata determinata prendendo in considerazione esclusivamente gli interventi di ampliamento realizzati senza titolo, e non l'abusività dell'intero edificio. Ed

anche il tenore dell'istanza e del progetto di sanatoria (cfr. istanza prot. 9656 del 17/09/1990 e progetto in sanatoria, a firma del ricorrente, allegato parere della Commissione edilizia) consentono di escludere - anche in considerazione del contenuto oggettivo del provvedimento e della sua mancata impugnazione - che l'istante avesse inteso proporre domanda di sanatoria dell'intero edificio.

Ed anche la lettera del provvedimento annullato dà atto per tabulas che l'istruttoria e la valutazione compiute dall'Autorità comunale erano relative esclusivamente agli interventi di ampliamento realizzati successivamente al corpo originario del fabbricato. Solo rispetto a tali interventi è stata determinata la somma dovuta a titolo di oblazione, solo di tali interventi il Comune ha valutato (e ritenuto) la compatibilità paesaggistica.

Fermo ciò, deve ribadirsi il principio (già affermato da questo Tribunale) che l'autorizzazione paesaggistica può validamente costituire titolo abilitativo dei soli interventi di ampliamento (da eseguirsi o già eseguiti, se si tratti di titolo postumo) solo a condizione che il corpo originario del fabbricato sia già assentito sotto il profilo paesaggistico;
diversamente, ove difetti il titolo abilitativo del fabbricato originario, l'assenso dei successivi interventi di ampliamento non può prescindere dalla valutazione dell'intero edificio.

In situazioni fisiologiche, quando cioè il privato abbia ottenuto il titolo necessario alla costruzione originaria, l'analisi dell'Autorità competente può essere pacificamente circoscritta ai soli interventi di ampliamento, in quanto è già acquisita la compatibilità paesistica del fabbricato cui gli interventi accedono;
sicché, premessa tale compatibilità, l'Autorità può procedere a verificare l'eventuale lesività per il paesaggio dei soli interventi successivi.

Ove invece il fabbricato originario non sia assentito sotto il profilo paesistico, l'indagine dell'Amministrazione deve necessariamente estendersi alla verifica della compatibilità paesaggistica dell'edificio nel suo complesso, e non può restare limitata ai soli interventi di ampliamento, risultando, in caso contrario, la relativa valutazione ad essere per ciò solo viziata da illogicità, incongruenza ed incompletezza, palesandosi per definizione insuscettibile di apprezzare la complessiva compatibilità con i valori paesaggistici in gioco.

In definitiva, il titolo abilitativo solo "parziale" avallerebbe, da un punto di vista sostanziale, l'abuso preesistente, al di fuori di una esplicita sanatoria e senza verificarne in concreto la compatibilità paesaggistica, omettendo peraltro la relativa istruttoria e l'attivazione del necessario potere sanzionatorio.

Non si tratta, beninteso, di applicare nel caso di specie il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma, introdotto solo, e senza attitudine retroattiva, con l'art. 146, comma 4, del d. lgs 42/2004: proprio in base alla normativa applicabile ratione temporis , piuttosto, la verifica della compatibilità paesistica della costruzione già esistente avrebbe potuto essere effettuata anche successivamente alla sua realizzazione ed anche nel contesto del procedimento avviato per il rilascio del titolo relativo agli interventi di ampliamento, laddove, ovviamente, l’interessato avesse formalizzato un'esplicita istanza in tal senso. In tal caso, sarebbe spettato, tuttavia, all’Amministrazione comunale procedere alla relativa istruttoria, alla valutazione motivata della compatibilità paesaggistica dell'intero edificio e, conseguentemente, all'attivazione del relativo potere sanzionatorio. Ciò che, come giova ribadire, non è avvenuto nel caso di specie (avendo il Comune effettuato la sua valutazione, peraltro neppure idonea, come si dirà, in esclusiva considerazione degli interventi di ampliamento): il che costituisce ragione sufficiente, sotto il profilo in esame, del disposto annullamento in sede tutoria.

Le conclusioni che precedono non possono essere scalfite dall’assunto, adombrato dal ricorrente nel primo motivo del ricorso originario, per cui l'adozione del decreto sindacale n. 876/1991 avrebbe determinato la formazione di un titolo edilizio di sanatoria per silentium dell'intero edificio.

Varrà, in senso contrario, puntualizzare:

a ) che, in punto di fatto, la formazione di un silenzio significativo avrebbe, in ogni caso, postulato un'istanza del privato diretta, appunto, ad ottenere la sanatoria dell'intero fabbricato (e non, come nella specie, del solo ampliamento);

b ) che, in punto di diritto, il silenzio-assenso, avuto riguardo della normativa applicabile ratione temporis , non avrebbe potuto pregiudizialmente configurarsi in materia paesaggistica, non essendo l'autorizzazione ricompresa nella Tabella C allegata al D.P.R. 26-4-1992 n. 300, recante "Regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241" (e, del resto, l'art. 20 della L. 241/1990, nel testo oggi vigente, esclude espressamente la materia del paesaggio dal proprio ambito di applicazione).

3.-Deve, sotto distinto profilo, ritenersi infondata la doglianza con cui il ricorrente si duole della mancata evidenziazione, nel corpo del provvedimento impugnato, delle specifiche ragioni di interesse pubblico poste a fondamento dell'annullamento, in tesi imposta dall'applicazione analogica della disciplina dei procedimenti di secondo grado (dovendosi, segnatamente, valorizzare, nella ventilata prospettiva dell’apprezzamento comparativo dei valori in gioco, il tempo trascorso dall'adozione dell'atto e il conseguente affidamento del privato sulla legittimità del titolo paesistico).

Deve, in proposito, preliminarmente escludersi, anche in prospettiva analogica, l’equiparazione o l’assimilazione tra il potere ministeriale di annullamento ex art. 82 D.P.R. 616/1977, espressione della funzione statale di controllo e di gestione del vincolo, con i cd. poteri di riesame, che hanno fondamento nell'autotutela (decisoria) e dunque nell'immanente potere di rivalutazione, ad opera della stessa Autorità che ha adottato il provvedimento, delle situazioni di fatto e di diritto poste a suo fondamento.

È solo rispetto ai poteri di riesame, non già rispetto al potere di controllo, che la giurisprudenza prima e il legislatore poi hanno individuato i limiti al potere di ritiro, segnatamente correlati alla ricorrenza di un apprezzabile interesse pubblico concreto ed attuale ed al correlativo obbligo di motivazione rafforzata, tanto più intensamente pretesa quanto maggiore sia il lasso temporale trascorso dall'adozione dell'atto, in considerazione dell'affidamento ingenerato nel privato. Tali limiti sono espressione dell'esigenza che l'Amministrazione, in sede di revisione delle proprie decisioni, tenga conto degli interessi privati concorrenti.

È del tutto evidente, per contro, come anche sul punto esattamente argomentato, nelle sue memorie difensive, dall’Avvocatura dello Stato, che i predetti limiti non possano venire in rilievo, nemmeno in via analogica, rispetto all'annullamento ministeriale ex art. 7 L. 1497/1939, non trattandosi, per l’appunto, di un procedimento di revisione delle decisioni assunte dalla stessa Amministrazione procedente (tenuta per legge, in tale eventualità, a considerare l'affidamento ingenerato dal trascorrere del tempo e dal mancato esercizio del potere di annullamento) ma, al contrario, di una autonoma fase procedimentale, rimessa, in funzione di controllo, ad Amministrazione che per la prima volta procede all'esame di un atto emanato da altro ente, soggettivamente distinto da essa.

In questo quadro, deve convenirsi sul rilievo che il considerevole lasso di tempo trascorso dall'emanazione dell'atto al suo annullamento e l'eventuale affidamento ingenerato nel privato costituiscono circostanze di mero fatto, certamente non imputabili all'Amministrazione statale, che non mutano i presupposti e la natura del potere che essa è chiamata ad esercitare e, comunque, non possono costituire preclusione al suo legittimo dispiegarsi. La Soprintendenza, in considerazione della normativa applicabile ratione temporis , è infatti tenuta ad effettuare un controllo di legittimità del titolo paesistico;
ove tale controllo si traduca nel riscontro di vizi di legittimità, il principio di legalità non consente all'Amministrazione di evitare la comminatoria dell'annullamento, né in considerazione del tempo trascorso dall'adozione dell'atto, né in considerazione dell'affidamento dedotto dal privato.

Le considerazioni che precedono sono assorbenti: ma non è inutile soggiungere che, trattandosi di sanatoria di un abuso, i principi generali indurrebbero comechessia a dire in re ipsa l’interesse pubblico alla salvaguardia del valore costituzionale del paesaggio, essendo l’abuso correlato ad una situazione di illecito permanente che il decorso tempo non può di per sè legittimare.

4.- Il ricorrente contesta, con distinta ragione di doglianza, il rilievo soprintendizio della illegittimità del provvedimento comunale per violazione dell'art. 1 quinquies del D. L. n. 312/85, sull’argomentato assunto che, segnatamente, la norma in questione, prefigurativa di un regime di inedificabilità assoluta preordinato alla formazione dei piani paesaggistici, sarebbe allo stato superata per effetto dell'approvazione del Piano Territoriale Paesisitico del Cilento Costiero, che ha classificato l'area del ricorrente in zona C.I.R.A. (Conservazione Integrale e Riqualificazione Ambientale).

La doglianza non può essere condivisa.

Per giurisprudenza costante, la legittimità del provvedimento amministrativo va apprezzata con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio tempus regit actum , con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2011, n. 2469). Ciò vale anche per il mutamento sopravvenuto del regime vincolistico in senso più favorevole per il privato, posto che “il principio tempus regit actum impone di avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, rispetto alla quale eventuali sopravvenienze potrebbero assumere rilievo nella sola ipotesi - ben diversa, e in un certo senso opposta a quella che qui ricorre - del vincolo di inedificabilità assoluta posto in un momento successivo all'edificazione (con le conseguenze esaminate, ad es., da Cons. Stato, sez. VI, n. 2409 del 2013, ora citata, in relazione appunto alla necessità di acquisire il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1208).

5.- Infondato è, da ultimo, il motivo inteso a lamentare l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui valorizza il difetto di motivazione del decreto sindacale caducato.

Costituisce, invero, jus receptum quello per cui "l'autorità delegata preposta alla tutela del vincolo deve esercitare il proprio potere motivando adeguatamente sulla compatibilità con il vincolo paesaggistico dell'opera specificamente assentita, in relazione a tutte le circostanze rilevanti nel caso di specie, sussistendo, in caso contrario, illegittimità per carenza di motivazione o di istruttoria” (tra le tante e da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 24 febbraio 2014, n. 856).

In particolare, va riconosciuto il vizio motivazionale del provvedimento sindacale che abbia autorizzato un intervento in area vincolata "senza dare alcun conto dell'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto e al suo inserimento nel contesto protetto, tale da giustificare la scelta del Comune di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato, in via primaria, attraverso l'imposizione del vincolo stesso" (cfr., ancora di recente, T.A.R. Campania Salerno sez. I, 9 dicembre 2013, n. 2456). Con il che l'insufficienza della motivazione costituisce un vizio autonomo di legittimità del nulla osta, tale da giustificare ex se l'intervento caducatorio.

Nel caso di specie, in effetti, deve convenirsi con il rilievo per cui il provvedimento comunale non contiene alcuna motivazione in ordine alla ritenuta compatibilità paesaggistica delle opere autorizzate. Né risulta sufficiente il contenuto del parere della Commissione Edilizia, richiamato nel provvedimento sindacale, anch'esso, in effetti, privo di concreta e reale motivazione di carattere paesaggistico.

6.- Il complesso delle esposte ragioni, che dà adeguato conto della resistenza del provvedimento impugnato alle valorizzate ragioni di critica, giustifica, di là da ogni altro rilievo, la complessiva reiezione del gravame.

L’obiettiva particolarità della fattispecie suggerisce di regolare il regime delle spese processuali nei sensi della loro integrale compensazione tra le parti costituite.

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