TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-04-23, n. 201500647

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-04-23, n. 201500647
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201500647
Data del deposito : 23 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00226/2011 REG.RIC.

N. 00647/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00226/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 226 del 2011, proposto da:
M A D, rappresentata e difesa dagli avv. A I, N C, con domicilio eletto presso N C in Bari, Via Dante, n. 193;

V D, A D, rappresentati e difesi dagli avv. N C, A I, con domicilio eletto presso N C in Bari, Via Dante, n. 193;

contro

Comune di Vieste;

per la condanna

del Comune di Vieste alla restitutio in integrum dei terreni oggetto di procedura espropriativa, successivamente annullata per effetto della Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 39/2010 e per il risarcimento dei danni causati dalla indisponibilità dei beni o, in subordine, al risarcimento del danno per equivalente, oltre rivalutazione ed interessi, a cui aggiungere l’indennizzo per pregiudizio non patrimoniale e risarcimento del danno per illegittima occupazione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti il difensore dei ricorrenti A I;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Espongono i ricorrenti di essere comproprietari ciascuno dei 3/15 di un terreno sito nel Comune di Vieste, che ha formato oggetto di una procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione dell’Auditorium.

Essi agiscono per la restituzione dell’area o per il pagamento di somme per equivalente pari al valore venale del bene e di quelle dovute per l’occupazione dell’area.

La richiesta si fonda sulla sentenza n. 39/2010 del Consiglio di Stato che, in riforma di quella di primo grado pronunciata da questo T.A.R. n. 5243/2004, ha annullato gli atti relativi alla menzionata procedura espropriativa.

Chiariscono che il ricorso in primo grado è stato proposto dal sig. Dirodi Antonio, unitamente ad altri due dei comproprietari, i sigg.rri Dirodi Francesco e Dirodi Donata, ma che il giudizio in appello innanzi al Consiglio di Stato è stato promosso solo da questi ultimi.

Sostengono gli odierni ricorrenti che il giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 39/2010, investendo un unico bene appartenente a più proprietari, ancorché formatosi a seguito di giudizio azionato solo da alcuni dei comproprietari, produrrebbe effetti nei confronti di tutti gli altri, sebbene costoro non abbiano partecipato al giudizio.

Ai fini della determinazione del valore venale del bene, i sigg.ri Dirodi sostengono che l’area di loro proprietà vada considerata come edificabile, essendo tipizzata come zona F2 del P.R.G. ed inserita nel Piano di recupero Urbano, presentato dall’associazione temporanea di imprese Consocoop –L’Arcangelo, perfezionato con deliberazione del C.C. n. 50/1997 e 60/1998 e convenzionato in data 27.01.2000 con atto rep. n. 93864. Tale piano è stato convenzionato prima della procedura espropriativa e l’area avrebbe costituito lo standards del P.R.U., in quanto utilizzata per realizzare opere costituenti volume.

Indicano, sulla base di tale prospettazione, il valore di mercato al 2001 pari ad € 82,00 al mq, per un totale di € 303.892,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, per la complessiva somma di € 435.098,10, di cui rivendicano la parte pari ai 3/15 della proprietà, pari ad € 87.019,62 per ciascuno.

In subordine, chiedono una consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare il valore venale dell’area.

Quantificano, inoltre, le somme dovute per l’occupazione in € 2.943,00 per ciascuno dei ricorrenti, oltre ad interessi e rivalutazione.

Con memoria depositata in data 23.02.2015, i ricorrenti puntualizzano l’oggetto della domanda, facendo riferimento al D.L. 98 del 06.07.2011, che successivamente alla proposizione del ricorso, notificato il 12.01.2011, ha aggiunto l’art. 42 bis al D.P.R. 327/2001.

Riferiscono di aver diffidato in data 24.05.2012 il Comune di Viste a provvedere alla restituzione del bene o all’emanazione del provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis , ma di non aver ottenuto alcun riscontro.

Rideterminano gli importi dovuti distinguendo la richiesta in via principale di restituzione del bene, da quella in cui, ai sensi dell’art. 42 bis, il Comune decida di acquisire i beni.

Per quest’ultima ipotesi quantificano la somma dovuta a ciascuno nella misura di € 98.876,32 pari al valore venale dei 3/15 di proprietà del bene, a titolo di indennizzo per il pregiudizio patrimoniale, con aggiunta di € 9.887,63 (10% del valore venale del bene) a titolo di indennizzo per pregiudizio non patrimoniale, oltre ad € 41.541,60 a titolo di risarcimento del danno per occupazione senza titolo (pari all’interesse del 5% annuo del valore venale del bene).

Nel caso di restituzione del bene chiedono, comunque, la corresponsione di € 41.541,60, a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima, pari al 5% del valore venale del bene espropriato, per il periodo di occupazione dal 2011 al 2006 (data in cui è venuta meno l’occupazione legittima).

Il Comune, regolarmente intimato, non si è costituito in giudizio.

All’udienza pubblica del 26.03.2015, sentita la difesa dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Deve, preliminarmente essere vagliata la questione connessa agli effetti della sentenza del Consiglio di Stato n. 39/2010, nei confronti degli odierni ricorrenti che non sono stati parti nel relativo giudizio.

Il Collegio osserva, in linea generale, che il principio dell'efficacia inter partes del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi, più specificamente, di quelli che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidi per un vizio che ne inficia il contenuto, in modo da non poter distinguere tra vari soggetti ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 2002;
Cassazione civile, sez. I, 13 marzo 1998 n. 2734).

Nel caso delle procedure di espropriazione, tale affermazione è stata intesa dalla giurisprudenza in due modi diversi.

Da un lato, è stato affermato che gli atti dell’espropriazione, riguardati complessivamente, possono essere inquadrati nella categoria degli atti plurimi, ossia di quelli che, pur avendo carattere formalmente unitario, sono suscettibili di essere scissi in tanti atti particolari riguardanti ciascuno un singolo soggetto (in questo senso, Cassazione civile, sez. I, 21 giugno 1979 n. 3458) e quindi, data la diversità delle singole proprietà, il provvedimento non è unitario o inscindibile, tanto da non giustificare l’estensione della portata soggettiva dell’annullamento conseguito da terzi. In questo caso, si è affermato che non possono avvalersi del giudicato di annullamento degli atti relativi alla procedura espropriativa, quali ad esempio la dichiarazione di pubblica utilità o il decreto di occupazione d'urgenza, intercorso tra altre persone, “ quei proprietari, che, pur non avendo partecipato al giudizio amministrativo, agiscono per ottenere il ripristino e il ristoro del loro diritto di proprietà, dato che una tale conseguenza non dipende da quel giudicato, ma potrebbe derivare soltanto da una illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità che fosse riconosciuta anche nei loro confronti dal giudice competente sì da far coincidere efficacia oggettiva ed efficacia soggettiva del giudicato in relazione alla posizione giuridica dei ricorrenti ed all'oggetto dell'impugnativa investente l'atto.

Quando invece, ed è questo il caso in esame, si assiste alla scissione dell’atto plurimo che, diventato atto individuale in relazione al singolo lotto, viene ad incidere su un diritto appartenente a più soggetti, si riespande la regola valevole per gli atti indivisibili, attesa la loro incidenza su una pluralità di destinatari (i comproprietari), un contenuto inscindibile (l’ablazione del diritto) e l’invalidità per un vizio unico (derivante dall’invalidità della procedura). Tali ragioni militano in favore dell’attribuzione, anche verso i comproprietari non impugnanti, degli effetti del giudicato amministrativo di annullamento favorevole (si veda, Cassazione civile, sez. I, 4 giugno 1987 n. 4884 sull’estensione dell’efficacia soggettiva della decisione di annullamento del provvedimento di occupazione d'urgenza di un fondo nei confronti del titolare del fondo come pure degli affittuari) ”. (Così, Cons. Stato, Sez. IV, sent. 1222 del 13.03.2014).

Ne discende che, come rilevato anche dalla difesa dei ricorrenti, si estendono anche a costoro, in quanto proprietari ciascuno dei 3/15 del terreno oggetto della procedura espropriativa, gli effetti derivanti dalla sentenza spora indicata del Consiglio di Stato, nonostante siano stati parte del relativo giudizio solo alcuni dei comproprietari.

Con riferimento alla domanda, formulata in via principale, di restituzione della quota parte dell’area di proprietà dei ricorrenti, essa deve essere accolta.

Per effetto della richiamata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. Quarta, n. 39 del 13.01.2010, la procedura di esproprio, avviata dal Comune di Vieste per la realizzazione di un auditorium a completamento dei lavori relativi alla costruzione della scuola media “Don Antonio Spalato” è stata ritenuta affetta dai vizi invalidanti nelle sue fasi qualificanti ed essenziali del procedimento, quali quelle attinenti in particolare l’occupazione d’urgenza degli immobili oggetto di ablazione e i provvedimenti ad essi presupposti e connessi.

Conseguentemente, in accoglimento delle censure fondatamente dedotte col proposto gravame, il Comune di Vieste va condannato alla restituzione dei terreni oggetto della procedura espropriativa, previa restituzione in pristino stato degli stessi, fatta salva l’attivazione a cura dell’Amministrazione competente del procedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis del DPR n.327/2001.

Come da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 735 del 19.01.2015) “ l'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo (…) all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione ”.

Infatti, la Sezione in precedente pronuncia (sent. 405/2015) ha ribadito che “ l'ordinamento giuridico, infatti, non consente all’amministrazione di acquistare a titolo originario la proprietà di un'area altrui sulla quale sia stata realizzata un'opera pubblica o d’interesse pubblico, mediante un atto non validamente adottato o in assenza di un atto ablatorio”.

L'occupazione illegittimamente proseguita dall'Amministrazione, per quanto accompagnata dall’irreversibile trasformazione dei beni occupati, funzionale alla realizzazione dell'opera pubblica, non comporta la perdita della proprietà in capo ai privati e la sua acquisizione alla mano pubblica (Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. III n. 2131/08;
T.A.R. Puglia, Bari sez. I n. 3402/2010, confermata da C.d.S. sez. IV n. 4590/2011).

La realizzazione di un'opera pubblica su un fondo oggetto di procedura espropriativa caducata e non conclusa (tramite lo strumento consensuale del negozio di cessione volontaria o attraverso gli idonei strumenti autoritativi adottati nei termini di legge), costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, ed è, come tale, inidonea, da sé sola, a determinare il trasferimento della proprietà in favore della pubblica amministrazione ”.

Ne consegue che il Comune ha il dovere di porre comunque termine alla situazione di illegittimità permanente determinata dall’occupazione senza titolo, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto. L’amministrazione, più specificamente, o dispone la restituzione del terreno ai legittimi titolari, demolendo quanto realizzato provvedendo alla riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell'area (v. Cons. Stato n. 2559/2013 cit.), tra cui quello che deriva dal potere dell'Amministrazione di attivare la procedura prevista dal citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.

Diversa sorte merita, invece, la domanda di risarcimento per la mancata disponibilità dei suoli per il periodo intercorrente dal momento in cui è venuta meno l’occupazione legittima sino all’effettiva restituzione.

Questa Sezione ha già avuto modo di affermare che il risarcimento è dovuto solo laddove possa ritenersi provato, anche solo presuntivamente, un danno (in primo luogo) patrimoniale (v. T.A.R. Bari, sez. III, sentenza n. 1328/2014).

I ricorrenti commisurano l’entità del’indennizzo per il mancato godimento del bene, ad una percentuale del 5% annuo del valore venale del bene, quantificato in € 41.541,60.

Il criterio utilizzato per la determinazione dell’indennizzo è quello ricavato dall’applicazione di quanto previsto dall’art. 42 bis , comma 3, T.U. dell’Edilizia, ai sensi del quale “ per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.

Sul punto, il Collegio ribadisce che “ non sussista alcun automatismo tra l’indisponibilità fisica di un bene (derivante dall’occupazione – benché senza titolo - da parte della mano pubblica) ed un detrimento patrimoniale derivante da tale evento ” ( ex multis , da ultimo, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, sent. 350 del 24.02.2015 e n. 405 del 12.03.2015).

Nel caso in esame non risulta in alcun modo dimostrato (e neppure allegato) il detrimento patrimoniale patito dai ricorrenti, riferito al tipo di uso che avrebbero potuto fare dei suoli in questione.

Né fornisce idonei elementi probatori, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la perizia di parte del 31.12.2010, che in alcun modo tiene conto degli elementi evidenziati.

Quanto alla liquidazione delle indennità e del risarcimento dovuti ai ricorrenti nell’ipotesi in cui il Comune decida di acquisire i suoli ai sensi dell’art. 42 bis , occorre osservare che la corrispondente pronuncia postula poteri non ancora esercitati, sui quali l’art. 34 comma 2 c.p.a. vieta al giudice di pronunciarsi.

Peraltro ad oggi, potendo l’amministrazione comunale decidere, all’opposto, per la restituzione dei suoli, come richiesto in via principale, non sussiste un interesse attuale dei ricorrenti alla liquidazione.

In proposito si rileva da ultimo che, nel caso in cui il Comune opti per l’acquisizione dei suoli, i criteri cui dovrebbe attenersi per la liquidazione dell’indennizzo e del risarcimento dovuti sono tassativamente enunciati dal medesimo art. 42 bis .

Le spese seguono le regole della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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