TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2016-05-04, n. 201605128
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 05128/2016 REG.PROV.COLL.
N. 13176/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13176 del 2014, proposto da:
A C, rappresentato e difeso dall'avv. Gioia Maria Scipio, con domicilio eletto presso Studio Legale Cuggiani Necci &Associati in Roma, via del Plebiscito, n. 107;
contro
Comune di Capodimonte, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell' ingiunzione di demolizione n. 71 prot. 5425 del 17.7.2014 emessa dal Comune di Capodimonte e notificata al ricorrente in data 11.8.2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2016 il dott. S M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone l’odierno ricorrente di essere proprietario di un terreno sito in Capodimonte (VT), loc. Madonna, sottoposto a vincolo paesaggistico sul quale ha realizzato, nel corso degli anni 1995/2003, un fabbricato di due piani da destinare a civile abitazione.
Il 16 luglio 2004 ha quindi presentato domanda di condono.
Con ordinanza n. 53 del 9 agosto 2004, non avversata, è stata ordinata al ricorrente la demolizione del detto fabbricato poiché realizzato in assenza di titolo abilitativo. Sulla domanda di condono alcun provvedimento è stato assunto dal Comune di Capodimonte. Espone ulteriormente il ricorrente che per completare l’immobile, nel maggio 2006, ha presentato una D.I.A. bloccata dall’amministrazione comunale con nota del 6 giugno 2006, anch’essa non avversata. Rappresenta, quindi, che a distanza di otto anni, ha comunque provveduto a sistemare parzialmente il fabbricato nella sua parte interna, al fine di renderlo fruibile.
A seguito di sopralluogo effettuato il 14 luglio 2014, il Comune ha adottato l’ordinanza n. 71 del 17 luglio 2014 con cui è ingiunta al ricorrente la demolizione delle opere interne consistenti nella “ pavimentazione dell’intero piano terra con piastrelle di ceramica e/o gres e realizzazione di tramezzi divisori che hanno dato origine a n. 4 ambienti, un disimpegno ed un servizio igienico. Realizzazione della scala di accesso al piano primo con rivestimento di gradi e sottogradi in pietra. Risultano essere stati predisposti sotto traccia gli impianti tecnologici mentre alle aperture esterne sono stati installati infissi in PVC ed un portone. Le pareti sono rifinite con intonaco civile pronto per la tinteggiatura. Realizzazione al primo piano di massetto e tramezzi divisori che hanno originato n. 3 ambienti ed un disimpegno. Le pareti sono intonacate e debbono essere rifinite per la successiva tinteggiatura ”, in quanto trattasi di “ lavori di completamento interni ad immobile completamente abusivo già oggetto di ordinanza di demolizione …”, che “ ricade in zona sottoposta a…vincolo paesaggistico…vincolo cimiteriale ”.
Ed è avverso detto ultima ordinanza relativa ai ricordati lavori interni che è proposto il ricorso ora in esame, a sostegno del quale si deduce violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo al disposto dell’art. 32 d.l. n. 269/2003 in combinato con la l.r. n. 12/2004 nonché eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà.
In sostanza, la tesi del ricorrente è che le opere interne di cui è questione accedono ad immobile sul quale si sarebbe perfezionato il richiesto condono, nella forma della sanatoria tacita allo scadere dei trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata degli oneri accessori in base al combinato disposto di cui agli artt. 32, comma 37, d.l. n. 26972003 e 6, comma 3 l.r. n. 12/2004. Invero il ricorrente ritiene così formato anche condono ambientale sull’immobile, al riguardo richiamando quanto statuito, sul versante penale della vicenda relativa all’originario abuso, dalla sezione di Montefiascone del Tribunale di Viterbo e quindi dalla III sezione penale della Corte di Appello di Roma. Questo quanto alla circostanza per cui le opere interne di che trattasi accedono ad immobile (per il ricorrente non) abusivo. Quanto alle opere interne in sé considerate si sostiene in ricorso che le stesse accedono al regime semplificato della D.I.A./S.C.I.A., per cui la norma sanzionatoria applicabile avrebbe dovuto essere quella dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Non si è costituito in giudizio il Comune di Capodimonte.
Alla pubblica udienza del 26 aprile 2016 il ricorso viene ritenuto per la decisione.
Il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.
Occorre innanzitutto chiarire, in fatto, che alcun provvedimento risulta essere stato adottato dalla competente amministrazione comunale in ordine alla domanda di condono presentata dal ricorrente con riferimento all’immobile colpito dall’ordinanza di demolizione del 2004, almeno questo è quanto in atti del giudizio. Del resto, la tesi prospettata da parte ricorrente è quella della intervenuta formazione in via tacita della sanatoria proprio in assenza di provvedimento espresso. Come è parimenti accertato, sempre in via di fatto e per quanto in atti del presente giudizio, alcuna autorizzazione, nulla osta ambientale risulta essere stato adottato e/o rilasciato. A verbale della odierna pubblica udienza il difensore del ricorrente ha confermato la non esistenza di espresso provvedimento di compatibilità ambientale del manufatto oggetto dell’ordinanza di demolizione del 2004, dovendosi ricordare come l’area sul quale lo stesso insiste è assoggettata a vincolo paesaggistico istituito con d.m. del 1960. Vero è che la Corte di Appello di Roma, nel dichiarare non doversi procedere nei confronti del ricorrente per intervenuta oblazione, rileva in parte motiva che “ nel corso del giudizio di appello l’imputato ha dimostrato che l’autorizzazione paesaggistica sia pure di carattere postumo date circostanze, è stata ottenuta …”, ma dice anche nel passaggio appena precedente che è vera la circostanza per cui il ricorrente non ha richiesto la preventiva autorizzazione paesaggistica (ragion per cui il primo grado lo aveva condannato), “ ma superabile per il fatto che l’immobile realizzato sarebbe paesaggisticamente sanabile, essendo la pratica di sanatoria in corso ”. Orbene, senza entrare nel merito di altra giurisdizione chiamata a valutare altri profili della medesima vicenda consistente nella realizzazione dell’immobile di che trattasi, è agevole rilevare dall’insieme dei dati esposti e peraltro tutti in atti del presente giudizio che l’autorizzazione paesaggistica è stata solo richiesta e non formalmente ed espressamente ottenuta.
Se ciò è vero, è evidente che in difetto del nulla osta ambientale non è neppure prospettabile l’istituto della concessione tacita in sanatoria.
Per restare proprio all’invocata legge regionale n. 12 del 2004, giova ricordare la condizione di non condonabilità prevista dall’articolo 3 della stessa e che esclude la sanatoria delle opere “ realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali ”.
Quindi, deve escludersi che nella fattispecie possa ritenersi formato il silenzio assenso con riferimento alla domanda di condono del 2004 e relativo al fabbricato colpito dalla prima ordinanza di demolizione;la sanatoria degli abusi edilizi nelle aree soggette a vincolo è infatti subordinata al n.o. favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, sicchè il termine per la formazione del silenzio assenso non può decorrere sinchè il n.o. non sia in concreto intervenuto (si veda l’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nel testo introdotto dall’articolo 32, comma 43, del d.l. n. 269/2003 citato). Nella fattispecie il n.o. non è intervenuto, risulta essere stato solo richiesto al competente dipartimento della Regione Lazio per il tramite del Comune di Capodimonte.
Nessun dubbio, quindi, che ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale n. 12 del 2004 che esplicitamente nega il condono per opere realizzate in ambito vincolato e non conformi alla normativa urbanistico-edilizia (cfr. T.A.R. Latina n. 765 del 2015), l’immobile cui accedono le opere interne oggetto dell’ordinanza di demolizione ora impugnata deve qualificarsi come abusivo.
La formazione del silenzio assenso è esclusa quando si tratti di aree sottoposte a vincolo paesaggistico se manchi il parere favorevole dell’autorità competente, per cui in tale caso la formazione del silenzio assenso postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo - in questo caso necessariamente esplicito - sulla compatibilità ambientale della costruzione realizzata senza titolo (ex multis Cons.St., VI, 26.1.2001, n.249).
Chiarito questo punto fondamentale, che le opere interne di che trattasi possano essere in astratto
realizzabili in base a D.I.A. ove relative a immobile non abusivo non leva che le stesse non sono tuttavia realizzabili su immobile, come nella specie, abusivo e già oggetto di ordinanza di demolizione.
A ben considerare, i lavori ripetono il carattere abusivo della struttura per la quale pende domanda di condono e – indipendentemente dalla loro natura – sono assoggettati alla sanzione della demolizione.
Ciò in quanto l’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 detta una speciale procedura per poter essere autorizzato ad intervenire sull’immobile, di cui l’interessato deve obbligatoriamente avvalersi (cfr. T.A.R Napoli 14 maggio 2013 n. 2505: “Deve rilevarsi come in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento alla medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, l. n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (da ultimo T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 760)”;cfr., altresì, TAR Lazio – Latina, 20 marzo 2015 n. 260: “l’articolo 35 ammette il completamento delle opere (ma ciò vale per qualsiasi loro ulteriore trasformazione che possa rendersi necessaria) solo a condizione che venga seguito il particolare procedimento ivi previsto (che presuppone che dell’intendimento di completare le opere venga reso edotto il comune con la presentazione – prima dell’inizio dei lavori - di una documentazione che faccia esattamente constare natura e consistenza del manufatto sul quale si va ad intervenire)”.
Quanto, infine, alla lamentata violazione delle norme della legge n. 241/1990 in tema di partecipazione al procedimento, è sufficiente ricordare che per costante giurisprudenza “gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata (essendo dovuti in assenza di titolo per l’avvenuta trasformazione del territorio), con la conseguenza che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario e quindi non devono essere necessariamente preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 15.1.2015, n. 233 e T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 30.12.2014, n. 13335). Del resto, “l’ordine di demolizione in quanto atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, presupponente un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime, non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento e la partecipazione procedimentale degli interessati” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9.12.2014, n. 6425) ovvero, altrimenti detto, l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa.
In definitiva, l’ordinanza avversata è riferita a opere interne realizzate su immobile abusivo che non risulta condonato in maniera espressa e invero neppure tacita in difetto della necessaria espressa autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela ambientale e paesaggistica;immobile che, peraltro, ricade in zona di rispetto cimiteriale, per come peraltro nell’ordinanza avversata pure espressamente indicato.
Il ricorso in esame va pertanto respinto siccome infondato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in ragione della mancata costituzione in giudizio dell’intimata amministrazione comunale.