TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-05-26, n. 202103526

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-05-26, n. 202103526
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202103526
Data del deposito : 26 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2021

N. 03526/2021 REG.PROV.COLL.

N. 04231/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4231 del 2017, proposto da
S.T. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F L, M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F L in Napoli, via Santa Lucia, 20;

contro

Asl B, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A S, M L R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A S in B, via P. Mascellaro 1;

Riassunzione del Giudizio già pendente innanzi alla Corte d'Appello di Napoli R.G. n. 1392/2015, come disposto con la Sentenza n. 2367/2017 - Arricchimento senza giusta causa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Asl B;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza, tenutasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, D.L. n. 137/2020 e del D.L. n. 44 del 2021, del giorno 4 maggio 2021 il dott. Fabio Maffei e trattenuta la causa in decisione sulla base degli atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- A seguito della Sentenza n. 2367/2017 con cui la Corte di Appello di Napoli declinava la propria giurisdizione, l’odierna ricorrente ha riassunto il giudizio originariamente instaurato dinanzi al Tribunale Ordinario di B, onde conseguire la condanna dell’Asl di B al pagamento della somma di euro 2.374.032,30 ai sensi dell’art. 2041 c.c., a titolo di differenza tra il prezzo originariamente stabilito nel contratto di appalto – poi dichiarato inefficace dal giudice amministrativo (sentenza CDS n. 3243/2011) – ed il valore delle prestazioni rese dal 22 luglio 2009 sino al 4 febbraio 2013, nonostante la predetta dichiarazione giurisdizionale di inefficacia dello stipulato contratto.

In punto di fatto ha dedotto le seguenti circostanze:

con le determinazioni dirigenziali nn. 85 e 88 del 14 maggio 2009, l’Asl di B, dichiarata deserta la procedura selettiva precedentemente bandita per l’affidamento del “Servizio trasporto Infermi in Emergenza - 118”, aveva indetto una nuova procedura negoziata ai sensi dell’art. 56, primo comma, lett. a), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 alle stesse condizioni dell’originaria procedura e per l’affidamento del medesimo servizio;

all’esito di tale ulteriore procedura, con delibera dirigenziale n. 142 del 20 luglio, il predetto servizio era stato aggiudicato in via definitiva all’ATI costituita dall’odierna deducente, mandataria e titolare di una quota del servizio pari al 70%, e dalla Modisan Srl, con conseguente sottoscrizione il successivo 27 agosto 2009 del contratto di appalto con cui il corrispettivo del servizio era stato definitivamente determinato nel complessivo importo di € 9.965.000,00;

tuttavia, l’ATI Croce Amica Servizi Stari s.r.l./Croce Amica - affidataria del medesimo servizio per il precedente triennio nonché partecipante alla gara aggiudicata alla ATI di cui la deducente era mandataria, aveva impugnato dinanzi all’intestato TAR la disposta aggiudicazione, dolendosi, in particolare, dell’assoluta insufficienza dell’importo posto a base d’asta rispetto all’entità del costo del servizio, in considerazione delle sue modalità di espletamento e del numero (66 autisti e 66 infermieri) di operatori da destinare allo stesso, evidenziando come, già solo per la copertura degli stipendi, fosse necessaria la somma di oltre 12 milioni di euro;

il TAR Campania, Sezione Prima, con la sentenza n, 27986/2010, successivamente confermata dal Consiglio di Stato, Sezione Terza, con la sentenza n. 3243/2011, in accoglimento del proposto gravame, aveva annullato l’intera procedura negoziata, compresa l’aggiudicazione nonché, ai sensi dell’art. 122 del codice di rito, aveva dichiarato l’inefficacia del contratto di appalto intercorso tra la ASL di B e l’odierna deducente, riconoscendo l’incongruità della somma posta a base di gara (€ 9.975.000,00), atteso che “ in ragione delle prestazioni richieste dalla lex specialis di gara, in considerazione del numero e della qualifica delle unità lavorative da destinare al servizio nonché dai dati risultanti dalla contrattazione collettiva di settore, il solo costo complessivo del lavoro necessario per lo svolgimento del servizio su base triennale è pari ad € 12.433,330,80, quindi di gran lunga superiore all’importo a base d’asta ”;

nonostante il disposto annullamento, l’Asl di B, da un lato, aveva sospeso la gara indetta al fine di ottemperare al giudicato amministrativo e, dall’altro, aveva obbligato, di fatto, l’odierna ricorrente - in attesa dell’indizione di una nuova procedura di gara - a garantire il “Servizio Trasporto Infermi in Emergenza 118”, stante il carattere essenziale del servizio pubblico affidato;

in tal modo la S.T. era stata obbligata a continuare l’esecuzione del servizio al minor prezzo stabilito contrattualmente, sebbene il contratto fosse stato dichiarato nullo dalla pronuncia del TAR, così da essere costretta ad operare sempre maggiori anticipazioni per conto dell'ASL, tanto da incorrere nella condizione di irregolarità contributiva, con il conseguente blocco di ogni possibile pagamento da parte di tutte le committenti pubbliche, oltre all’impossibilità di partecipare a nuove gare sul territorio nazionale, compresa quella indetta dalla stessa ASL di B il successivo 5 aprile 2013;

tale situazione si era protratta fino al 4 aprile 2013, quando la S.T. S.r.l. era stata esautorata dal Servizio, in conseguenza della sopravvenuta individuazione di un nuovo gestore del medesimo (l’ATI Italy Emergenza e Bourelly) al termine della procedura informale di gara per invito diretto, indetta con la delibera dirigenziale n. 31 del 11 febbraio 2013;

la lex specialis di tale procedura aveva previsto per l’affidamento triennale del servizio in oggetto un importo annuo pari ad € 4.500.000,00, per un totale, dunque, di € 13.500.000,00, ovverosia superiore di circa quattro milioni rispetto al prezzo in base al quale il servizio era stato fornito dalla S.T. S.r.l.;

in definitiva, la S.T, in assenza di un valido ed efficace contratto, era stata costretta dall’Asl di B a fornire per oltre tre anni ed otto mesi (dal 22 luglio 2009 al 4 aprile 2012) il servizio oggetto della procedura d'appalto a fronte di un corrispettivo di € 9.965.000,00 nonostante le su richiamate sentenze avessero stabilito che l’espletamento del servizio in parola richiedesse la corresponsione della maggior somma pari a non meno di € 12.433,330,80 per il triennio considerato.

Tutto ciò premesso, l’odierna ricorrente, con il presente giudizio, ha agito onde conseguire il riconoscimento del suo diritto ad essere indennizzata dall’ASL resistente della somma di € 2.374.023,30, a titolo di ingiustificato arricchimento, quale differenza tra l’importo posto a base del contratto d’appalto - poi annullato - ed il reale valore della prestazione resa, al pari di quanto accertato dalle succitate pronunce emesse dal TAR Campania, prima, e dal Consiglio di Stato, successivamente, precisando altresì che l’importo domandato corrispondeva al 70% della suddetta differenza, in considerazione dell’esecuzione del servizio mediante l’Associazione Temporanea d’imprese costituita con la Mo.Disan S.r.l., associazione cui la S.T. partecipava in ragione della percentuale del 70%.

Si è costituita l’azienda resistente, eccependo in via preliminare l’inammissibilità della proposta azione nonché l’intervenuta prescrizione della pretesa azionata. Nel merito, contestava la fondatezza della prospettazione attorea insistendo per l’integrale reiezione della domanda proposta ex art. 2041 c.c..

All'udienza del 4 maggio 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 del D.L.137/2020 e del D.L. n. 44/2021, il ricorso è stato chiamato per la discussione e quindi trattenuto in decisione.

2.- La manifesta infondatezza nel merito della proposta azione consente di prescindere dallo scrutinio delle preliminari eccezioni sollevate dalla resistente azienda, in sintonia con l’oramai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., n. 5 del 2015, cit. nonché Cassazione civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che consente di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sugli eccepiti o rilevabili profili di inammissibilità del ricorso (cfr.;
Consiglio di Stato, sez. VI, 14/06/2019, n.4022).

3.- Il Collegio ritiene preliminarmente necessario richiamare il costante orientamento giurisprudenziale formatosi in ordine alla perimetrazione dei presupposti necessari affinché possa essere accolta, nei confronti della Pubblica Amministrazione, la domanda ex art. 2041 c.c. formulata, al pari dell’odierna fattispecie, a fronte della declaratoria di nullità o di inefficacia del contratto stipulato con la parte pubblica.

3.1.- Fin dalle prime applicazioni dell'art. 2041 cod. civ., che ha introdotto l'azione generale di arricchimento nell’ordinamento privatistico, dottrina e giurisprudenza non ebbero dubbi nel ravvisarne i presupposti:

a) nell'arricchimento senza causa di un soggetto;

b) nell'ingiustificato depauperamento di un altro;

c) nel rapporto di causalità diretta ed immediata tra le due situazioni, di modo che lo spostamento risulti determinato da un unico fatto costitutivo;

d) nella sussidiarietà dell'azione (art. 2042 cod. civ.), nel senso che essa può avere ingresso solo quando nessun'altra azione sussista ovvero se questa, pur esistente in astratto, non possa essere esperita per carenza ab origine di taluno dei suoi requisiti.

Si ritenne, inoltre, del tutto pacifico che l'arricchimento dovesse consistere in un'effettiva attribuzione patrimoniale, configurabile tuttavia con il conseguimento di qualunque utilità economica, e quindi non soltanto quando vi fosse stato un incremento patrimoniale, ma anche se la prestazione eseguita da altri con diminuzione del proprio patrimonio avesse comportato un risparmio di spesa ovvero evitato il verificarsi di una perdita, sussistendo anche in questi casi un'utilità per cui il soggetto beneficiato, ove non avesse potuto disporne, avrebbe dovuto effettuare un esborso o subire una diversa diminuzione patrimoniale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, nella sua massima espressione nomofilattica, il diritto all'indennità per l’arricchimento senza causa riguarda le spese sostenute e le perdite patrimoniali subite (danno emergente), ma non anche i benefici e le aspettative connessi con il corrispettivo non percepito dell'opera, della fornitura o della prestazione professionale (lucro cessante);
l'art. 2041 c.c. deve essere, dunque, interpretato nel senso di escludere dal calcolo dell'indennità, richiesta per la "diminuzione patrimoniale" asseritamente subita dall'esecutore di una prestazione resa nel contesto di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (SS. UU. n. 23385/08).

Nel dettaglio, in motivazione, le SS. UU. dopo aver chiarito che l’autore della prestazione non ha diritto ad una controprestazione, né, tanto meno, a quella stessa prestazione che gli sarebbe spettata se il contratto stipulato fosse stato valido ed efficace, per l'insussistenza di un rapporto sinallagmatico, ha preso in esame l'orientamento giurisprudenziale propenso a ricorrere alla fictio della sussistenza del negozio al limitato fine di determinare le utilità spettanti all'impoverito con sistematico riferimento, sia pure in via indiretta e meramente parametrica, al corrispettivo contrattualmente previsto ovvero a quello stabilito dalle tariffe in uso, nonché ad ogni ulteriore condizione contrattuale più favorevole all'autore della prestazione, pervenendo in tal modo a una liquidazione estremamente favorevole all'impoverito, ed il più delle volte addirittura premiale.

Contrariamente a tale assunto, la Suprema Corte ha rimarcato come sarebbe del tutto illogico utilizzare il rimedio dell'art. 2041 c.c. per ricollocare l'autore della prestazione nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se avesse concluso con successo proprio quel contratto che la legge considera assolutamente invalido o addirittura giuridicamente inesistente, consentendone la sostanziale neutralizzazione in nome di imprecisate esigenze equitative.

Le SS. UU. hanno quindi affermato che la depauperazione di cui all'art. 2041 c.c. deve comprendere tutto quanto il patrimonio ha perduto (in elementi ed in valore) rispetto alla propria precedente consistenza, ma non anche i benefici e le aspettative connessi con la controprestazione pattuita quale corrispettivo dell'opera, della fornitura, o della prestazione professionale, non percepito.

Tale indirizzo è stato costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento all’asserito ingiustificato arricchimento realizzato dalla Pubblica Amministrazione in forza di un contratto dichiarato nullo, precisando ulteriormente che il diritto all'indennizzo non necessita della prova di una utilitas conseguita da parte della Pubblica Amministrazione (cfr. Cass. SSUU n. 10798/2015), in quanto tale requisito non ha alcun fondamento normativo.

Pertanto, i presupposti per l'azione di ingiustificato arricchimento, a prescindere dalla veste privata o pubblica del soggetto che ha conseguito l'arricchimento, sono sempre e soltanto quelli previsti dal citato art. 2041 c.c., e quindi l'indennizzo deve essere liquidato nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto fosse stato negoziale.

Inoltre, superando il precedente orientamento, secondo il nuovo corso giurisprudenziale, una volta provato l'oggettivo arricchimento da parte del depauperato, l'accipiens, P.A. sfugge alla condanna soltanto se dimostra di non averlo voluto o di non esserne stata consapevole (c.d. “arricchimento imposto”).

In tale modo le esigenze pubblicistiche di tutela delle finanze pubbliche sono ritenute adeguatamente coniugabili con la tutela dell'affidamento del depauperato, offrendo all'arricchito la facoltà di provare di avere rifiutato l'arricchimento o di non averlo potuto rifiutare, perché inconsapevole dell'eventum utilitas (cfr.: Cass., 29 maggio 2019, n. 1467;
Cassazione civile, sez. I, 03/11/2020, n.24319).

La riferita evoluzione giurisprudenziale è, quindi, approdata alla tendenziale parificazione degli oneri probatori gravanti sulle parti, superando la distinzione inizialmente sostenuta a seconda che l’ingiustificato arricchimento fosse stato conseguito da un privato ovvero da una Pubblica Amministrando e precisando, altresì, che l’accoglimento della domanda ex art. 2041 c.c. resta comunque subordinato alla prova che all'altrui arricchimento sia corrisposto un depauperamento della parte che l’invoca. In tal caso, l'indennizzo conseguibile deve essere riconosciuto nella minor somma tra l'entità della diminuzione patrimoniale subita e l'arricchimento ricavato dalla controparte (cfr. Cass. 8752/2001).

In definitiva, quanto sopra detto, comporta che, in tema di azione d'indebito arricchimento, l'indennità spettante all'appaltatore di un contratto di appalto " va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale da lui subita, e corrisponde quindi, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la costruzione, non potendovi rientrare l'utile d'impresa né ogni altra posta volta a garantire quanto l'appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall'esecuzione di un valido contratto di appalto " (Cass., Ord. n. 20884 del 22/08/2018).

Ne consegue che, ai fini dell’accoglimento della domanda, è onere della parte attrice allegare e documentare l'ammontare dei costi effettivamente affrontati per eseguire l'appalto, onde dimostrare, ai fini dell'indennizzo ex art. 2041 c.c., di avere subito una diminuzione patrimoniale nonostante la riscossione di somme riconosciutegli onde compensare il servizio svolto o l’opera realizzata.

Il mancato assolvimento da parte dell'attore dell'onere - a suo carico - di allegazione e prova di uno dei presupposti della fattispecie di cui all'art. 2041 c.c. ne comporta inevitabilmente la negativa delibazione.

3.2.- Applicando le riportate coordinate ermeneutiche all’odierna fattispecie, osserva il Collegio come la società convenuta non abbia fornito la prova che la diminuzione patrimoniale subita a causa dell’esecuzione del servizio oggetto del contratto nullo fosse stata di importo superiore alle somme corrisposte dall’azienda resistente, poiché non ha né specificato l’ammontare dei predetti costi, né allegato documentazione atta a dimostrare quali e quanti oneri abbia sostenuto per lo svolgimento del servizio secondo le modalità richieste.

Nel dettaglio, la prospettazione attorea si fonda sostanzialmente su un ragionamento meramente presuntivo, secondo cui l’asserita diminuzione patrimoniale subita a causa del servizio prestato sarebbe automaticamente deducibile dall’entità del corrispettivo ricevuto di gran lunga inferiore a quello ritenuto congruo dalle pronunce giurisdizionali che avevano annullato la gara di appalto e, conseguentemente, dichiarato l’inefficacia sia dell’aggiudicazione che del contratto successivamente stipulato.

Tuttavia, la suddetta diminuzione patrimoniale avrebbe richiesto una dimostrazione concreta, supportata da una specifica rendicontazione dei costi effettivamente sostenuti, come riscontrati dalla corrispondente documentazione contabile, non potendosi la ricorrente limitare a dedurre la sussistenza di tale diminuzione sulla base della sostenuta presunzione, e cioè quella di avere espletato un servizio dal costo sensibilmente maggiore da quello posto a base della gara d’appalto a seguito della quale essa stessa era risultata aggiudicataria mediante la presentazione di un’offerta a ribasso.

Per contro, era onere della ricorrente provare quali fossero stati i costi da essa effettivamente sostenuti e il valore reale della prestazione eseguita, al precipuo scopo di dimostrare che i costi e il valore reale della prestazione non erano stati “coperti” dal corrispettivo comunque ricevuto dall’Asl per il servizio reso.

La sola circostanza che le sopracitate pronunce giurisdizionali avessero ritenuto, in accoglimento di

quanto argomentato dalla società che aveva impugnato il provvedimento amministrativo di aggiudicazione della gara alla S.T. s.r.l., non congrua la base d’asta per la quale, applicato il ribasso offerto, l’appalto era stato aggiudicato all’odierna ricorrente, non dimostra di per sé né che la S.T. s.r.l. avesse sostenuto in concreto costi superiori agli importi già percepiti dall’ASL nel triennio in cui è stato espletato il servizio, né che il valore reale della prestazione resa sia stata maggiore a detti importi.

Inoltre, la gravità e l’univocità della prospettata presunzione appaiono intrinsecamente inficiate dalla stessa condotta processuale tenuta dalla ricorrente nel giudizio amministrativo conclusosi con l’annullamento dell’aggiudicazione disposta in suo favore, avendo in entrambi i gradi, anche mediante la produzione di una perizia contabile, sostenuto la congruità della base d’asta determinata dall’azienda ricorrente e la sostenibilità dell’offerta al ribasso dalla stessa presentata.

Orbene, a fronte della rilevata incongruenza della base d’asta (Consiglio di Stato, sez. III, 30/05/2011, n.3243), in ragione della mancata considerazione di alcuni costi del servizio inerenti gli oneri da sostenersi per la manodopera impiegata e per le spese di affitto dei locali, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver effettivamente subito tali oneri economici aggiuntivi non indicati nell’offerta dalla medesima presentata.

In ogni caso, l’infondatezza della prospettazione attorea si desume dallo stesso tenore della motivazione con cui il giudice di appello aveva respinto il gravame proposto dalla odierna ricorrente, avendo specificato che il disposto annullamento della gara si fondava sulla accertata “ insufficienza dell'importo posto della base d'asta, il quale dev'essere ovviamente determinato in via astratta e con riferimento agli ordinari e globali costi del servizio ” e non sulla “incongruità di una concreta offerta in ordine alla cui entità possano agire specifici fattori individuali di favore”.

Tale passo motivazionale priva di concludenza probatoria l’assunto presuntivo sostenuto dalla ricorrente, escludendo qualsiasi condizionante interrelazione tra l’incongruità della base d’asta determinata dall’amministrazione e l’insostenibilità dell’offerta presentata, non potendosi, dall’inadeguatezza della prima, inferirsi, secondo un giudizio di automatica consequenzialità logica, la formulazione in perdita della seconda.

D’altronde, è ben noto che la valutazione in ordine alla rimuneratività della base d’asta risponde a criteri profondamente diversi da quelli seguiti per la valutazione della sostenibilità e non anomalia delle offerte presentate.

Invero, la valutazione della base d'asta fatta dall'Amministrazione, costituendo espressione di ampia discrezionalità tecnica di esclusiva pertinenza dell'Amministrazione, deve essere il risultato di una adeguata istruttoria e del ragionevole e proporzionale contemperamento dell'interesse pubblico (ad ottenere il massimo risparmio di spesa) con la garanzia della rimuneratività del servizio, così da assicurare la partecipazione alla gara di una pluralità di concorrenti e la scelta dell'offerta più vantaggiosa (cfr.: Cons. Stato sez. III, 20 marzo 2020 n. 2004).

Viceversa, il giudizio in ordine alla congruità dell’offerta non è ispirato all’esigenza di assicurare la paritaria competizione tra le imprese in un contestato tendenzialmente rimunerativo, ma deve tener conto dell'autonoma e libera organizzazione dei fattori produttivi da parte dell'impresa. Pertanto, la riduzione del costo del personale, mediante scostamento dai valori indicativi contenuti nelle tabelle ministeriali ovvero la sterilizzazione di alcuni costi, non esclude la congruità dell'offerta ove l'aggiudicatario, in sede di giustificazioni, ne dimostri in concreto l'affidabilità e la sostenibilità (cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 21/07/2020, n. 4665).

In definitiva, essendosi confutato l’assunto attoreo circa la possibilità di desumere per tabulas dalla acclarata incongruenza della base d’asta la non sostenibilità dell’offerta, e quindi la sua inevitabile e consequenziale formulazione in perdita, in assenza di una specifica prova in ordine all’effettiva sopportazione di oneri economici aggiuntivi rispetto al corrispettivo incassato, la domanda di indebito arricchimento deve essere respinta.

4.- Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, tenuto conto della complessità della vicenda, anche processuale, come in dispositivo.

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