TAR Roma, sez. I, sentenza 2017-04-20, n. 201704757
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Pubblicato il 20/04/2017
N. 04757/2017 REG.PROV.COLL.
N. 05942/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5942 del 2016, proposto da:
Raiffeisenverband Sudtirol Genossenschaft (Federazione Cooperative Reiffeisen), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati F C, G L P, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Centro Tutela Consumatori Utenti non costituito in giudizio;
Cassa Rurale Renon soc. coop. non costituita in giudizio;
Banca Popolare dell'Alto Adige soc. coop. non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento sanzionatorio n. 25882 adottato nell’Adunanza del 24 febbraio 2016;
di ogni altro atto connesso e/o consequenziale, ivi compreso, per quanto occorra, il d.P.R. n. 217/98, recante “Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2017 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto la sussistenza di un’intesa tra alcune Casse Raiffeisen della provincia di Bolzano e la ricorrente Federazione Raiffeisen, alla quale ha irrogato una sanzione pari a € 3.195.794.
L’intesa avrebbe avuto ad oggetto il coordinamento delle rispettive politiche commerciali, realizzato attraverso uno scambio di informazioni sensibili nel mercato degli impieghi (ossia i finanziamenti) alle famiglie consumatrici nella provincia di Bolzano.
Lo scambio di informazioni, nella ricostruzione dell’Autorità, avrebbe avuto luogo in alcune riunioni tra i rappresentanti delle singole Casse, riconducibili a tre diverse tipologie: i workshop Roi, incontri organizzati dalla Federazione Raiffeisen per fornire alle Casse aderenti servizi di consulenza, il gruppo dei direttori commerciali e il gruppo dei consulenti immobiliari.
Il provvedimento ritiene la sussistenza anche di un’altra intesa, posta in essere nella provincia di Trento, alla quale la ricorrente è, tuttavia, estranea.
Con il primo motivo di doglianza la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 12 della legge n. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del T.U.B. e delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia;violazione dell’art. 16 del Regolamento n. 1/2003 e/o del principio di uniforme applicazione del diritto comunitario;difetto di competenza;violazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea;eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione ed irragionevolezza.
La ricorrente rappresenta l’inesistenza di un presupposto indefettibile per l’applicazione del divieto di cui all’art. 2 della l. n. 287/1990, rilevando come tra le banche cooperative considerate parti dell’intesa non sia configurabile, alla luce della disciplina contenuta nel Testo unico bancario e delle istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia, un rapporto concorrenziale.
La ricorrente rappresenta in proposito come le Casse Raiffeisen debbano operare secondo i principi del mutualismo e del localismo, in forza dei quali la possibilità che le stesse, localizzate in comuni diversi della provincia, operino in concorrenza tra loro è estremamente ristretta e sostanzialmente limitata alle aree di sovrapposizione delle rispettive sfere di operatività, le quali interessano, di volta in volta, un numero molto basso di banche.
Né, continua la ricorrente, può rilevare, ai fini antitrust, una concorrenza meramente potenziale tra soggetti economici, legata alla possibilità delle Casse di aprire sedi secondarie, essendo a tal fine necessario che l’ingresso futuro di un operatore in un dato mercato o in un’area dello stesso appaia verosimile nell’immediato futuro.
Con il secondo motivo di doglianza la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 in ordine alla fattispecie di “intesa unica e complessa”;violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990;violazione del principio di tipicità dell’illecito amministrativo;illogicità manifesta;contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione.
In via subordinata, la ricorrente rileva come, ove volesse riconoscersi una forma di concorrenza tra le Casse sottoposte al procedimento, la stessa sarebbe ravvisabile solo per piccoli gruppi di operatori, di volta in volta diversi, e con riferimento alle sole aree di effettiva sovrapposizione delle sfere di operatività, cosicché, ferma restando la necessità di provare la ricorrenza in concreto della fattispecie anticoncorrenziale, nel caso in esame, già a livello astratto, non dovrebbe parlarsi di intesa “unica e complessa”, ma di singole intese tra gli operatori le cui aree di attività si sovrappongono e limitatamente ai comuni in cui si soprappongono.
Con il terzo motivo di doglianza la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 in ordine alla “consistenza” dell’intesa;violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990.
La Federazione rappresenta come l’ipotizzata intesa è priva pure del cosiddetto requisito della “consistenza”, ossia dell’idoneità dell’accordo a produrre l’effetto di impedire, restringere o falsare “in maniera consistente” il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una parte rilevante di esso.
Ad impedire la produzione di effetti apprezzabili e dunque “consistenti” concorrerebbe, oltre alla già rappresentata necessità che le Casse operino secondo il principio del localismo, anche il fatto che le banche considerate parti dell’intesa rappresentano, nel loro insieme, il 25 – 30 % del mercato complessivamente considerato, percentuale che non consente di influenzare in maniera effettiva l’andamento dei prezzi dei finanziamenti nel mercato provinciale.
Ne deriverebbe l’inidoneità del presunto accordo a ledere sia la posizione delle altre imprese che quella dei consumatori.
Con il quarto motivo di doglianza la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 in ordine alla (presunta) partecipazione della Federazione ricorrente ad una “ intesa unica e complessa ”;violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 4, della legge n. 287/1990;violazione del principio di tipicità dell’illecito amministrativo;violazione dei principi connotati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;illogicità e ingiustizia manifesta;contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione. Con particolare riferimento al quadro probatorio utilizzato per la sua specifica posizione, la ricorrente evidenzia la insufficienza degli elementi utilizzati dall’Autorità per ritenere la sua partecipazione ad un’intesa unica e complessa.
L’Autorità non ha adeguatamente valutato il fatto che la Federazione non svolge attività bancaria ma una necessaria funzione di controllo del sistema, anche in virtù dei compiti ad essa assegnati ai sensi della l.r. 5/2008 e dallo Statuto, attraverso l’offerta di servizi centralizzati che consentono alle Casse di conseguire significativi risparmi nello svolgimento della loro attività.
Più in generale, la ricorrente osserva come agli atti del procedimento non siano state acquisite prove in grado di supportare in maniera sufficiente l’assunto collusivo.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente censura il provvedimento gravato per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e di irragionevolezza;disparità di trattamento.
La ricorrente rappresenta l’irragionevolezza del provvedimento nella parte in cui non chiarisce per quale ragione, su un totale di 42 Casse Raiffeisen partecipanti ai vari gruppi di lavoro, la presenza ai quali è stata considerata, per le imprese sanzionate, prova dell’intento collusivo, solo 13 Casse locali (oltre la Federazione e la Cassa centrale) siano state considerate parte dell’intesa.
Con il sesto motivo di doglianza, formulato in via subordinata, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990 in ordine alla natura “ sensibile ” e, perciò, “ restrittiva ” dello scambio di informazioni;violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, della legge n. 287/1990;eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, illogicità manifesta.
Rileva la ricorrente come l’Autorità non abbia dimostrato che i dati scambiati nei gruppi di lavoro avessero un oggetto illecito, atteso che non si trattava di informazioni sensibili, ma di notizie a mezzo delle quali le singole Casse miravano a migliorare la loro efficienza. Inoltre, mancherebbe del tutto la prova che vi fosse un effettivo coordinamento tramite il quale le informazioni potevano produrre un effetto anticoncorrenziale, atteso che i dati scambiati non attenevano ai comportamenti futuri delle imprese ma a dati storici, peraltro accessibili dai singoli operatori pur senza prendere parte ai detti gruppi di lavoro.
Con il settimo motivo di doglianza la ricorrente censura il provvedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della legge n. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 689/1981;violazione e falsa applicazione delle Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie adottate dall’AGCM con delibera del 22 ottobre 2014;eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza, illogicità, ingiustizia manifesta e carenza di motivazione;violazione del principio di proporzionalità. In via ulteriormente subordinata, la ricorrente contesta le modalità di calcolo della sanzione, rappresentando come l’AGCM abbia illegittimamente individuato il fatturato per la determinazione dell’importo base, nel quale sarebbero state erroneamente ricomprese attività economiche della Federazione non correlate all’infrazione riscontrata.
Con l’ottavo motivo di doglianza la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e degli artt. 24 e 111 della Costituzione;violazione del principio del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti e del giusto processo;violazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie;violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 287/1990;violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 689/1981. A giudizio della ricorrente il procedimento, all’esito del quale è stato adottato il provvedimento impugnato, sarebbe stato caratterizzato dalla violazione dei diritti del contraddittorio, dei diritti di difesa e del giusto processo.
Si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza dell’8 marzo 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Come esposto nella narrativa in fatto, il provvedimento impugnato ha ritenuto, per quanto qui rileva, la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza tra tredici Casse Raiffeisen della provincia di Bolzano, che avrebbero posto in essere comportamenti “ consistenti nel coordinamento delle politiche commerciali, anche attraverso lo scambio di informazioni sensibili con l’obiettivo di limitare il confronto competitivo tra le Parti nel mercato degli impieghi alle famiglie consumatrici nella provincia di Bolzano ”.
Il provvedimento ha avuto origine da una denuncia del Centro Tutela Consumatori Utenti Alto Adige, che segnalava all’Autorità il fatto che alcune banche operanti nella provincia di Bolzano offrivano mutui a tasso variabile tutti caratterizzati dalla presenza di un tasso floor (ovvero il valore minimo del tasso contrattualmente previsto, al di sotto del quale l’interesse applicato al finanziamento non può scendere) pari al 3%.
La pratica collusiva avrebbe avuto luogo dal 2007 al 2014.
Il censurato coordinamento delle politiche commerciali tra gli operatori parte dell’intesa si sarebbe svolto in tre diversi ambiti (Workshop Roi, gruppo dei direttori commerciali e gruppo dei consulenti immobiliari), al cui interno sarebbero stati condivisi dati sensibili, nonché a mezzo di contatti bilaterali tra imprese aventi ad oggetto il confronto tra i rispettivi prezzi di finanziamento destinati alla clientela.
In particolare, all’interno dei Workshop Roi, avrebbe avuto luogo una attività di raccolta di dati relativi alle singole Casse, che confluivano in un documento di sintesi e che venivano poi comunicati alle partecipanti in forma di “ rapporto dettagliato e personalizzato ”, nel quale i dati di ciascuna banca venivano messi a confronto con quelli delle banche similari (a tal fine, le varie Casse Raiffeisen erano state divise in diversi gruppi, composti da istituti aventi caratteristiche simili).
Il provvedimento rileva come, per quanto dichiarato dalla Federazione Raiffeisen, nei Workshop Roi avvenisse l’“ elaborazione, da parte della Federazione, di dati di mercato provenienti da fonti esterne e di dati acquisiti dalle singole banche (sia dati di bilancio, sia dati provenienti dai sistemi informativi della singola Cassa Raiffeisen) con finalità di benchmark e controllo di gestione ”.
Tale attività di raccolta e confronto dei dati relativi alle varie Casse riguardava anche il tasso medio dei finanziamenti praticati dalla singola Cassa alla clientela ed era riferita, oltre che a dati storici, a strategie di comportamenti commerciali futuri.
Il quadro istruttorio acquisito, a giudizio dell’Autorità, avrebbe evidenziato come le scelte di pricing delle singole Casse sarebbero state guidate, più che dall’analisi interna della profittabilità, dall’analisi comparativa delle politiche dei prezzi delle altre Casse del sistema.
Analoghi scambi di dati sensibili avrebbero avuto luogo anche all’interno del Gruppo dei direttori commerciali e del Gruppo dei consulenti immobiliari.
La circostanza che si fosse in presenza di un’intesa “per oggetto”, rileva poi l’AGCM, la esonerava dalla necessità di accertare gli effetti della pratica commerciale sul mercato.
Il provvedimento evidenzia, inoltre, come dovesse essere esclusa la riconducibilità dell’insieme delle Casse Raiffeisen ad un gruppo, attesa l’assenza di un soggetto dotato di funzioni di coordinamento in senso proprio, così che la politica di coordinamento posta in essere tra le imprese acquisiva una indiscutibile valenza anticoncorrenziale, non potendosi condividere l’argomentazione, svolta dalle parti in corso di procedimento, secondo cui la concorrenza tra le Casse sarebbe stata ravvisabile solo negli stretti limiti della sovrapposizione delle aree di operatività delle varie casse.
Quanto all’incidenza della pratica anticoncorrenziale, poi, l’Autorità rileva come le Casse Raiffeisen, nel loro insieme, detengano una quota di mercato negli impieghi alle famiglie pari a circa il 40-50% del totale e che la quota di mercato detenuta dalle sole Casse Raiffeisen destinatarie del provvedimento sanzionatorio sia pari al 25 -30%.
Da ultimo, il provvedimento procede alla determinazione dell’importo della sanzione per ciascuna delle Casse partecipanti all’intesa, secondo il principi e i criteri interpretativi enucleati nelle “ Linee guida sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’art. 15, comma 1, della legge n. 287/90 ”.
Prima di procedere all’esame delle singole doglianze, è utile ricordare come l’art. 2 della legge n. 287/1990, alla luce del quale è stato adottato il provvedimento impugnato, stabilisce che sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
La funzione della disposizione è quella di tutelare la concorrenza nel mercato, al fine di garantire il benessere dei consumatori e un’allocazione efficiente delle risorse.
Ne deriva che, sulla base dei principi comunitari e nazionali in materia di concorrenza, ciascun operatore economico debba determinare in maniera autonoma il suo comportamento economico nel mercato di riferimento (Case C-49/92 Commission v Anic Partecipazioni s.p.a. [1999] ECR I-4125).
Nel fare ciò l’operatore terrà lecitamente conto delle scelte imprenditoriali note o presunte dei concorrenti, non essendogli, per contro, consentito instaurare con gli stessi contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto il creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (Anic, cit.;Case C- 40/73 - Suiker Unie [1975];Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252, I722 – Logistica Int. - ITK Zardini).
Tali contatti vietati possono rivestire la forma dell’accordo ovvero quella delle pratiche concordate.
Mentre la fattispecie dell'accordo ricorre quando le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo (Case 41, 44 e 45/69 ACF Chemiefarma NV v Commission [1970] ECR 661;Polypropylene [1986] OJ L230/1, par. 81), la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123;Cases 48-57 ICI v. Commission [Dyestuffs 1972] ECR 619, par. 64;Cases 40-48, 50, 54-56, 111, 113 e 114/73 Cooperatieve Verenigning ‘Suiker Unie’ UA v Commission [1975] ECR 1663).
L’esistenza di una pratica concordata, considerata l’inesistenza o la estremamente difficile acquisibilità della prova di un accordo espresso tra i concorrenti, viene quindi ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte ad un comune scopo di restrizione della concorrenza.
In materia è dunque ammesso il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti.
Alla luce della richiamata finalità perseguita dal legislatore comunitario e nazionale nel sancire il divieto di intese - evitare interferenze al dispiegarsi di un corretto meccanismo concorrenziale tra le imprese presenti in un certo mercato - deve rilevarsi come, prima di procedere all’analisi dell’apparato probatorio utilizzato dall’Autorità, occorra verificare, alla luce di una ricostruzione economica del mercato oggetto di indagine, la concreta idoneità del supposto accordo a produrre l’effetto di alterare in maniera apprezzabile la possibilità di autodeterminazione delle imprese estranee all’intesa in ordine al prezzo di un prodotto e, più in generale, alle condizioni contrattuali attinenti ad una determinata tipologia contrattuale, nonché di restringere significativamente la possibilità del consumatore di accedere ad un’offerta commerciale diversa e migliore di quella proposta dalle imprese coinvolte nell’accordo anticoncorrenziale.
La precisazione è di particolare rilievo nel caso in esame, atteso che il ricorso è caratterizzato dalla presenza di un gruppo di censure con le quali la ricorrente ha, in via prioritaria, contestato proprio la ricostruzione logica posta a base del provvedimento gravato, affermando in sostanza che l’Autorità ha errato nell’individuare la precisa portata della norma antitrust della quale ha fatto applicazione, nonché nel ricondurre ad essa fatti oggettivamente non ascrivibili alla fattispecie sanzionatoria ritenuta sussistente.
In particolare la ricorrente ha contestato: a) la ipotizzabilità di un illecito antitrust tra le Casse Raiffeisen, in considerazione del fatto che non esiste, dal punto di vista fattuale ed alla luce della normativa applicabile, un mercato concorrenziale sul quale operano le banche considerate parti dell’intesa (primo e secondo motivo di doglianza);b) la “consistenza dell’intesa”, ossia la sua idoneità ad alterare in maniera consistente il gioco della concorrenza nel mercato dei finanziamenti alle famiglie nella provincia di Bolzano (terzo motivo di doglianza);c) la tenuta logica della ricostruzione economica dell’illecito antitrust, laddove l’Autorità ha ritenuto, a parità di condizioni soggettive tra operatori e di comportamenti economici degli stessi, che solo per alcuni di questi sussistesse una spiegazione economica alternativa alla base della condotta tenuta, tale da escludere, solo nei confronti di questi, la partecipazione all’accordo (quinto motivo di doglianza).
Tale analisi è sicuramente consentita al giudice amministrativo, chiamato ad operare un sindacato estrinseco sulla correttezza logica dell’operato dell’Autorità, al fine di verificare l’iter ricostruttivo da questa seguito nell’analisi della norma e della sua applicabilità ai fatti concreti (Cass., SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013;ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 334 del 2015), accertando, in sostanza, se la “possibilità” di pregiudizio alla concorrenza su un dato mercato, a scongiurare la quale la legislazione in materia è volta, si sia tradotta o meno, nell’attuazione pratica posta in essere dagli operatori economici, in una situazione di apprezzabile “probabilità” di lesione, valutando il potenziale impatto negativo delle relative condotte sulla concorrenza, con riguardo al contesto giuridico ed economico (Case C-8/08 T-Mobile Netherlands BV v Raad van bestuur van de Nederlandse Mededingingsautoriteit [2009] ECR I-4529), nel quale rientra anche la” struttura” del mercato (Case C-67/13P Groupement des cartes bancaires v Commission [2014];Polygram Holding Inc v Federal Trade Commission 416 F.3d 29 [2005]).
Le censure sono fondate.
A tal fine è utile una breve ricostruzione della disciplina applicabile agli istituiti di credito destinatari del provvedimento in esame.
Le Casse Raiffeisen (ad eccezione della Cassa Centrale) sono banche di credito cooperativo (BCC), le quali devono operare nel rispetto dei principi della mutualità (art. 35, comma 1, del Testo unico bancario – T.U.B.) e del “localismo” (art. 35, comma 2, del medesimo T.U.B.).
In forza del primo principio, le BCC devono esercitare il credito prevalentemente nei confronti dei soci, prescrizione che, ai sensi di quanto statuito nelle istruzioni di vigilanza dettate dalla Banca d’Italia, è rispettata quando più del 50% delle attività di rischio è destinato a soci o ad attività a ponderazione zero.
Il principio del localismo, invece, impone alle BCC di esercitare la loro attività all’interno di una ben determinata “zona di competenza territoriale”, individuata negli statuti delle banche sulla base delle indicazioni della Banca d’Italia.
Come stabilito dalle istruzioni di vigilanza di quest’ultima, poi, la zona di competenza territoriale è costituita dai “comuni ove la banca ha le proprie succursali nonché i comuni ad essi limitrofi. Fra tutti i comuni deve esistere contiguità territoriale”.
Occorre, inoltre, sempre in forza delle citate istruzioni di vigilanza, che le attività di rischio non destinate ai soci siano comunque assunte dalle Casse nei confronti di soggetti residenti o operanti all’interno della zona di competenza territoriale, ad eccezione di una quota (pari al 5% delle attività di rischio) che può essere assunta al di fuori della zona di competenza territoriale.
I finanziamenti alle famiglie rientrano nelle attività di rischio e pertanto la singola Cassa può erogare tale tipo di servizio a favore di soggetti non residenti nel limite massimo del 5% del suo volume di attività, percentuale nella quale, tuttavia, confluiscono anche le ulteriori e diverse attività di rischio che la medesima banca abbia posto in essere nel corso dell’anno di riferimento.
Alle Casse Raiffeisen, inoltre, si applicano tutte le ulteriori disposizioni in materia di BCC concernenti il numero di soci (almeno 200 e residenti o operanti nel territorio di competenza della banca) e le modalità di distribuzione degli utili, disposizioni tutte tese a garantire la diffusione capillare di tale tipo di banche e la tutela delle posizioni di consumatori residenti in zone mal collegate e scarsamente remunerative;circostanze, queste ultime, alla base del fatto che le Casse hanno ordinariamente ridotte dimensioni organizzative.
La ricorrente rappresenta come, per realizzare economie di scala che consentano di ottimizzare i limiti dimensionali citati, le Casse Raiffeisen siano organizzate secondo un modello a rete, nel cui ambito le singole Casse svolgono l’attività bancaria a livello locale, mentre la Cassa centrale svolge attività bancaria in via “sussidiaria” - ossia quando le singole Casse non sono in grado di svolgere autonomamente determinati servizi, in ragione dei loro limiti dimensionali e territoriali - e la Federazione svolge sia attività di rappresentanza delle Casse che di sorveglianza sul loro operato.
Dal punto di vista organizzativo, la Federazione rappresenta una società i cui soci sono le singole Casse.
Considerato che ciascuna Cassa opera in un dato comune, corrispondente a quello indicato nella denominazione, e, in determinati casi, in comuni al primo limitrofi, ne deriva, secondo la ricostruzione di parte ricorrente, una limitata possibilità di sovrapposizione tra le sfere di operatività delle singole banche, sovrapposizione che in concreto vede coinvolte (come risulta dallo stesso grafico inserito nel provvedimento impugnato) un numero assolutamente circoscritto di Casse, con effetti su specifiche (e a loro volta limitate) aree del territorio provinciale, e la conseguente inconfigurabilità di un unico mercato concorrenziale e di un accordo antitrust tra le imprese parti del procedimento.
La prospettazione merita di essere condivisa.
In termini generali, rammentato che la letteratura economica definisce il “mercato” come il luogo (reale o nominale) dove gli operatori economici – (potenziali) acquirenti e venditori – interagiscono generando opportunità di scambio, per “mercato rilevante” deve intendersi quella zona geograficamente circoscritta - e distinguibile dalle aree contigue dove le condizioni concorrenziali sono sensibilmente differenti – nella quale, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili – in ragione delle caratteristiche del prodotto, del prezzo o dell’uso che ne è previsto - le condizioni di concorrenza sono omogenee e le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza (Commission Notice on the Definition of the Relevant Market for the Purposes of Community Competition Law, Official Journal, C372, 9/12/1997. In giurisprudenza, Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2000, n. 1348;12 febbraio 2001, n. 652;9 aprile 2009, n. 2201;T.A.R. Lazio, Sez. I, 6 settembre 2016, n. 9554;id., 29 marzo 2012, n. 3041;2 dicembre 2009, n. 12331). Nel caso di un'intesa restrittiva della concorrenza, l'individuazione del mercato rilevante è successiva all'individuazione dell'intesa, “in quanto sono l'ampiezza e l’oggetto dell'intesa a circoscrivere il mercato su cui l'abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell'ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall'illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito” (Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2014, n. 3032, 1731- Gare campane;3 giugno 2014, n. 2837 e 2838, 1722 - Logistica Internazionale;27 giugno 2014, n. 3252;23 giugno 2014, n. 3167, n. 3168 e n. 3170).
Nel caso all’esame, il mercato rilevante è stato da AGCM individuato nell’ambito merceologico, di dimensione provinciale, costituito dagli impieghi alle famiglie.
Tuttavia, a parere del Collegio, il mercato dei servizi assunto dall’Autorità quale schema euristico della propria indagine antitrust - e che AGCM ha rilevato ex post , sulla base di condotte asseritamente caratterizzate da un fumus anticoncorrenziale, funzionalizzandolo all’indagine e alla verifica dei fatti da cui il procedimento istruttorio in esame si ingenerava - non solo prescinde dalla concreta operatività delle Casse Raiffeisen, ma è anche nozione non riconciliabile con le richiamate scelte di regolamentazione del settore delle BCC, da cui necessariamente discende la presenza, nell’ambito provinciale, e nel medesimo settore merceologico, non già di un mercato unico, bensì di distinti e plurimi segmenti di mercato.
La correttezza della nozione di mercato fornita da AGCM risulta, quindi, smentita dalla circostanza che, nell’ambito della provincia di Bolzano, la sovrapposizione tra le sfere operative delle varie Casse non sia né generale né completa ma riguardi solo determinate parti di territorio e gruppi di due, tre o, al massimo, quattro banche;ciò che, a giudizio del Collegio, è sufficiente a far escludere la configurabilità, a un tempo, di un unico mercato concorrenziale nel quale le Casse, presunte parti dell’intesa, operino congiuntamente, e, per l’effetto, di un accordo antitrust tra le Casse medesime.
Risponde infatti ad una logica economica difficilmente contestabile, il dato per cui, se non c’è concorrenza, non vi può essere accordo anticoncorrenziale.
Anche nel panorama comunitario, la Commissione europea ha affermato l'applicabilità delle regole di concorrenza laddove le disposizioni regolamentari lascino sussistere alle imprese la possibilità di tenere autonomamente condotte anticompetitive (Decisione della Commissione del 21 maggio 2003, COMP/37.451, 37.578, 37.579, Deutsche Telekom;id., 4 luglio 2007, caso COMP/38.784, Telefonica, parr. 665 ss.;id., 22 giugno 2011, caso COMP/39.525, Telekomunikacja Polska parr. 119 ss);impostazione, questa, pienamente confermata dalla Corte di Giustizia (Case C-280/08 Deutsche Telekom, 14.10.2010, pt. 77 ss.;Case C-52/09, Telia Sonera, 17.2.2011 pt.47 ss.) e dalla giurisprudenza nazionale (Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2006, n. 1271, Telecom;T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 maggio 2014, n. 4801, Telecom).
L’assenza di una reale, apprezzabile e generale concorrenza tra le Casse nell’intera area provinciale, rende, poi, irrilevante la riconducibilità o meno del sistema Raiffeisen nel suo complesso ad un gruppo societario.
Né la conclusione prospettata viene scalfita dalla possibilità, per i singoli istituti, di proporre prodotti inerenti l’attività di rischio a soggetti non residenti o operanti nel territorio di riferimento, atteso che tale possibilità sottostà allo stringente limite del 5% delle attività di rischio, che di per sé produce l’effetto, non riconducibile dunque all’accordo collusivo, di “limitare la mobilità della clientela e cristallizzare gli equilibri”.
Ne deriva che la pretesa sostituibilità delle Casse dal lato della domanda (indicata nel paragrafo 182 del provvedimento gravato come prova della concorrenzialità) ha una rilevanza meramente virtuale, che non si traduce per i potenziali clienti, e proprio a causa di una strutturale rigidità dell’offerta, in una intercambiabilità effettiva e quantitativamente rilevante degli operatori commerciali.
In ragione del citato limite del 5%, in sostanza, la asserita fungibilità dal lato della domanda concerne una quantità oggettivamente bassissima di finanziamenti, atteso l’obbligo di ciascuna Cassa di rifiutare domande di finanziamento ad essa proposte oltre il limite indicato, obbligo il rispetto del quale non è controverso.
Neppure può rilevare, come sostenuto nel paragrafo 183 del provvedimento, il fatto che, potendo le banche aprire succursali nei comuni limitrofi, le stesse avrebbero potuto, senza particolari vincoli, ampliare le aree di sovrapposizione.
Ed infatti, come rilevato dalla ricorrente, che puntualmente richiama il contenuto delle “Linee direttrici sull’applicabilità dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea agli accordi di cooperazione orizzontale”, la valutazione di potenziale concorrenza tra due imprese deve basarsi su motivi realistici, non essendo sufficiente la mera possibilità teorica di entrare in un dato mercato.
Occorre in sostanza che l’accesso dell’operatore sul nuovo mercato sia previsto in tempi brevi e che lo stesso possa avvenire senza sostenere costi significativi o rischi aggiuntivi, profili della cui ricorrenza il provvedimento non dà atto ed ai quali l’Autorità non ha esteso il suo campo di indagine.
Né può condurre a diverse conclusioni la circostanza, enfatizzata dall’Autorità, che la Cassa di Renon abbia posto in essere una politica espansiva, sembrando, invero, più rilevante il dato per cui l’unicità del fenomeno confermi la difficoltà pratica di realizzare un incremento di sedi quantitativamente significativo e prossimo nel tempo.
Sulla base delle medesime argomentazioni va accolto pure il secondo motivo di doglianza, formulato in via subordinata, con il quale la ricorrente ha sostenuto l’illegittimità del provvedimento gravato nella parte in cui configura un’intesa unica e complessa tra tutte le imprese parti del procedimento.
Ed infatti l’insussistenza in fatto di un’area di operatività comune a tutte le imprese parti del procedimento, significativamente rilevante da un punto di vista dell’estensione e del volume di affari, comporta l’impossibilità di ipotizzare una politica comune a tutte le Casse che fosse oggettivamente in grado di condizionare l’intero mercato provinciale dei finanziamenti alle famiglie.
Difetta pure il requisito della “consistenza” dell’intesa.
Come già sopra ricordato, l’art. 2 della legge n. 287/1990 richiede, affinché ricorra un’ipotesi di intesa anticoncorrenziale, che la condotta collusiva posta in essere dalle imprese abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare in maniera “consistente” il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
Sul punto, il provvedimento gravato rileva come la circostanza che l’intesa sanzionata rientri nel novero di quelle per “oggetto” esonera l’Autorità procedente dall’indagare sugli “effetti” della pratica commerciale.
In tal modo, tuttavia, l’Autorità opera un salto logico, atteso che il consolidato orientamento giurisprudenziale a cui essa si richiama (peraltro evocando decisioni riferite ad intese in sede di gara o comunque tali da coinvolgere una percentuale assolutamente maggioritaria degli operatori presenti nel mercato di riferimento), intanto può essere applicato in quanto, in via prioritaria, si sia accertata l’idoneità del supposto accordo ad alterare in maniera quantitativamente “consistente”, ossia apprezzabile e rilevante, il mercato medesimo.
Non si tratta dunque di indagare gli effetti concreti dell’intesa, ma di valutare, ex ante , l’idoneità dell’accordo a condizionare oggettivamente il mercato, idoneità macroscopicamente assente nel caso di specie, atteso che è pacifico il dato fattuale per cui le casse Raiffeisen considerate parte dell’intesa rappresentano solo il 25-30% del mercato dei finanziamenti nella provincia di Bolzano.
Ne deriva che il preteso comportamento collusivo non era, già in astratto, suscettibile di produrre un effetto anticoncorrenziale apprezzabile, in quanto i consumatori avevano a disposizione, per ottenere una proposta contrattuale formulata da un operatore economico “concorrente” e non colluso, una quota pari al 70 - 75% del mercato (sulla rilevanza della quota di mercato detenuta dagli altri operatori, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 marzo 2017, n. 1066).
Esisteva, infatti, alla luce della stessa ricostruzione dell’Autorità, una più che significativa platea di banche, ciascuna delle quali, con una flessione, anche minima, del costo dei finanziamenti proposti alle famiglie, poteva vanificare quell’effetto di fissazione del tasso di finanziamento, alla cristallizzazione del quale era, in ipotesi, destinato, il cartello.
Come già rilevato dalla giurisprudenza in fattispecie similari, “l’astratta idoneità dell’accordo a conseguire un risultato di alterazione della concorrenza è comunque necessaria, dal punto di vista economico, al fine di configurare un’intesa, anche solo per oggetto” (Tar Lazio, Roma, sez. I, 18 dicembre 2015, n. 14282).
Nella medesima ottica di valutazione dell’astratto potere condizionante dell’accordo, non va dimenticato, infatti, il dato fattuale dell’essere il tasso floor praticato dalle Casse oggettivamente alto, con l’effetto che la proposta di un tasso inferiore da parte delle banche concorrenti non avrebbe comportato in danno di queste una significativa compressione dei profitti.
Laddove, poi, tale elemento si coniughi con il già più volte richiamato limite del 5%, ne deriva che l’ipotizzata condotta anticoncorrenziale sarebbe stata in grado di condizionare una quota pari solo all’1-2% del mercato assunto come rilevante.
Nella medesima ottica, va analizzata ed accolta pure la censura articolata con il quinto motivo di doglianza, con il quale la parte ricorrente ha ribadito la tesi, già espressa in sede procedimentale, della irragionevolezza della ricostruzione secondo cui, su un totale di 47 Casse Raiffeisen, di cui 42 partecipanti ai Workshop Roi, solo 13, oltre la Cassa Centrale e la Federazione, sono state ritenute parti dell’intesa unica e complessa.
Con tale censura, infatti, la ricorrente, diversamente da quanto sostenuto dall’Autorità sia nel provvedimento gravato che negli scritti difensivi, non ha inteso dolersi del mancato assoggettamento a sanzione delle altre imprese, ma ha voluto evidenziare l’irragionevolezza intrinseca di una ricostruzione in cui, a fronte di una sostanziale assimilabilità di situazioni di fatto, nel provvedimento non vengano indicate le ragioni per le quali, pur in assenza di accordo, le Casse non considerate parti dell’intesa avrebbero comunque tenuto una condotta simile a quella delle Casse considerate coinvolte nella pratica concordata.
In sostanza se, in assenza di accordo, alcuni operatori adottano il medesimo comportamento economico degli operatori asseritamente parti dell’intesa, vuol dire che un determinato comportamento economico è ragionevole in sé in quel mercato e risulta riconducibile, in sostanza, ad una valida spiegazione economica alternativa (nel senso della intrinseca illogicità di un provvedimento dell’AGCM che non riesce a spiegare in maniera plausibile in che modo l’intesa sia stata conclusa e attuata senza il coinvolgimento di altre compagnie operanti nel medesimo mercato e tali da rappresentare una percentuale significativa dello stesso, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 marzo 2017, n. 1066).
In conclusione, il ricorso va accolto con assorbimento di ogni altra censura e l’impugnato provvedimento sanzionatorio deve essere annullato per quanto di ragione.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità della questione.