TAR Napoli, sez. II, sentenza 2021-10-22, n. 202106660

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2021-10-22, n. 202106660
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202106660
Data del deposito : 22 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/10/2021

N. 06660/2021 REG.PROV.COLL.

N. 03793/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3793 del 2016, proposto da
F D, P V, rappresentate e difese dall'avvocato P F, con domicilio eletto presso lo studio Rosa Magnetta in Napoli, via delle Repubbl. Marinare ,495;

contro

Comune di Striano, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) comunicazione di avvio del procedimento del 13.01.2016 per l’emanazione della ordinanza di demolizione, notificato in pari data, dell’Ufficio Tecnico - Settore Urbanistica, prot. n. 302, a firma del responsabile, riguardante la realizzazione di opere alla via Foce;

b) ordinanza di demolizione n.7/16 del 31.05.2016 emanata dal Comune di Striano. prot. gen. n. 4943. notificata in data 01.06.2016.

g) ogni altro atto connesso e/o consequenziale a quelli impugnati;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 19 ottobre 2021 la dott.ssa Antonella Lariccia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data 28.07.2016 le ricorrenti invocano l’annullamento degli atti in epigrafe lamentando:

-Omessa motivazione del provvedimento impugnato con riferimento ad una specifica violazione contestata, Precarietà dell'opera contestata;

-Violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 3 legge 241/90 e successive modificazioni. Difetto di istruttoria e motivazione. Eccesso di potere. Omessa comparazione interesse pubblico e privato. Travisamento dei fatti;

-Violazione e falsa applicazione del DPR n. 380/01. Violazione della legge 24 marzo 1989 n. 122 e successive modificazioni ed integrazioni. Eccesso di potere sotto molteplici aspetti;

- Violazione dell'art. 31 del DPR 380/01. Violazione degli artt.42,24, 113 della Costituzione. Eccesso di potere per straripamento. Travisamento. Mancata ponderazione della situazione contemplata. Difetto del presupposto essenziale. Genericità. Difetto assoluto di istruttoria. Vizio del procedimento. Carenza di motivazione. Perplessità.

-Eccesso di potere per manifesta illogicità del provvedimento.

Espongono le ricorrenti di essere proprietarie di un terreno su cui insiste un manufatto sito nel Comune di Striano alla via Foce, distinto in Catasto al foglio 5 particella n. 1312 sub. 1, assentito a mezzo di concessione edilizia in sanatoria n. 0l/08 del 07.06.2008, prot. 6520, realizzato secondo quanto disposto dal medesimo titolo abitativo e dotato di agibilità, in adiacenza al quale è stata eretta, in difetto di titolo edilizio, una struttura in lamiere, delle dimensioni di 11,50 mt. (lunghezza) x 3,60 mt. (larghezza), per una volumetria totale di 149,00 mc.

Il Comune intimato, con il provvedimento impugnato, ha ingiunto la demolizione del manufatto in parola.

Non si è costituito in giudizio il Comune di Striano e all’udienza di smaltimento del 19.10.2021, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Ed invero, osserva il Collegio che risultano innanzi tutto infondate le doglianze espresse da parte ricorrente inerenti l’asserita violazione dell’art. 3 della Legge n° 241/1990, in quanto l’ordinanza impugnata non conterrebbe un’adeguata istruttoria e motivazione in ordine al carattere abusivo dell’intervento edilizio realizzato sull’immobile per cui è controversia.

A tale ultimo riguardo, il Tribunale si limita a richiamare la prevalente e condivisibile giurisprudenza amministrativa che afferma che «il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ordine di demolizione e ogni altro provvedimento sanzionatorio) costituisce atto dovuto della p.a., riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge;
ciò comporta che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera descrizione e rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, che è in re ipsa, con l’interesse del privato proprietario del manufatto;
e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 20 luglio 2011, n. 4254;
Consiglio di Stato, sez. V, sent. 7 settembre 2009, n. 5229;
Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 14 maggio 2007, n. 2441;
Consiglio di Stato, sez. V, sent. 29 maggio 2006, n. 3270).

Peraltro, la stessa Adunanza plenaria ha di recente espressamente sancito che: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata che impongano la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (sentenza 17 ottobre 2017 n. 9).

Orbene, considerato che, nella fattispecie che occupa, il provvedimento impugnato contiene l’indicazione delle opere da abbattere, e ritenute abusive perché realizzate in assenza del necessario titolo edilizio, anche le doglianze spiegate da parte ricorrente nel ricorso appaiono infondate, alla luce del carattere doveroso del provvedimento repressivo per cui è controversia.

Del resto, è stato condivisibilmente osservato che “nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del D.P.R. 380/2001, non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo (ovvero in difformità totale da esso) costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
4 luglio 2001, n. 3071;
Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529)” (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez II, n. 1170/2009 cit.) .

Analogamente, a giudizio del Tribunale, risulta infondato il ricorso anche nella parte in cui parte ricorrente si duole che l’Amministrazione Comunale resistente non abbia verificato, prima di ingiungere l’impugnata demolizione, la eventuale sanabilità delle opere per cui è controversia, né la concreta identità del responsabile dell’abuso, né il carattere precario delle opere per cui è controversia.

Al riguardo, il Collegio si limita a ribadire che le opere abusive sanzionate, nel loro complesso e per le modalità costruttive, sono tali da alterare in modo permanente lo stato dei luoghi, di modo che sicuramente necessitano di permesso di costruire e che, come osservato dalla condivisibile giurisprudenza, “una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce, dunque, onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540), anche in ragione del fatto che un’istanza di accertamento di conformità (ex art. 36 del d.p.r. 380/2001) non risulta presentata” (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez II, n. 1170/2009 cit.), come appunto accaduto nella fattispecie che occupa;
quanto poi al contestato carattere precario del manufatto di cui è stata ingiunta la demolizione, è noto come che l’art. 6 comma 2 lett. e bis) del D.P.R. 380/01 espressamente preveda che possano essere realizzate senza alcun titolo edilizio esclusivamente “le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale”.

La norma testè richiamata, pertanto, qualifica come attività libere esclusivamente le opere dirette a soddisfare esigenze “obiettive” e “contingenti e temporanee”, purchè le stesse vengano effettivamente rimosse entro novanta giorni dalla loro realizzazione.

Al riguardo, la condivisibile giurisprudenza ha al riguardo osservato che “per principio consolidato, per individuare la natura precaria di un'opera, si deve seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale», per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate (il che nel nostro caso non è) con materiali facilmente amovibili (fra le decisioni più recenti cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016). Non possono essere quindi considerati manufatti precari, destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee, quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4116 del 4 settembre 2015). Questa Sezione ha poi anche affermato che la “precarietà” dell'opera postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità che non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016 cit.)” ( Cons. di Stato, sez. VI, n. 795/2017).

Inoltre, “tali opere debbono però essere “immediatamente” rimosse al cessare della necessità.

La normativa in questione ha, peraltro, meglio precisato che tali opere debbono “comunque” essere rimosse entro un termine non superiore a novanta giorni. Nel senso, cioè, che ove le esigenze temporanee permangano oltre tale termine, gli interessati debbono munirsi di un idoneo titolo edilizio, che potrà essere, a sua volta, anch’esso temporaneo. In sintesi, le opere dirette a soddisfare esigenze “obiettive” e “contingibili e temporanee” sono oggi legislativamente considerate come attività libere, ma debbono essere sempre rimosse entro novanta giorni dalla loro realizzazione, a meno che gli interessati non chiedano, al fine di mantenerle per un tempo maggiore, un idoneo titolo edilizio;
né, come si è detto, può ritenersi che il riferimento al termine di novanta giorni sia riconducibile al momento in cui le opere debbono essere rimosse una volta cessata la particolare necessità che ne aveva determinato la realizzazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez.VI, 23/05/2017 n. 2438).

Ciò posto, appare evidente come nella fattispecie che occupa l’impugnato provvedimento si palesi legittimo, posto che le opere colpite dall’ingiunta demolizione non possono assolutamente qualificarsi alla stregua di manufatti precari, considerato che le stesse non sono destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee,;
appare, pertanto, evidente come i manufatti di cui all’ingiunta demolizione sicuramente non possono considerarsi alla stregua di opere precarie destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee, e pertanto inidonei a determinare una mutazione durevole dell'assetto territoriale comunale.

Per quanto sin qui osservato, pertanto, non può fondatamente sostenersi, come fanno le ricorrenti nel ricorso, che le opere in questione dovrebbero comunque considerarsi come manufatti precari, atteso il loro carattere di strutture facilmente amovibili, ed in quanto tali sottratte al preventivo rilascio del permesso di costruire.

Al riguardo, il Tribunale si limita a richiamare la condivisibile giurisprudenza che ha chiaramente affermato che “rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono il rilascio di concessione edilizia non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l’irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell’attitudine ad una utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente” (cfr. Cass. pen. sez. III, 7 giugno 2006).

Del pari infondato risulta, a parere del Collegio, anche l’ultimo motivo di ricorso, con cui le ricorrenti lamentano che il provvedimento impugnato risulti completamente privo della specificazione dell'area di sedime da acquisire al patrimonio comunale.

Orbene, osserva il Tribunale che nel caso di specie, in realtà, l’ordinanza di demolizione da ultimo citata reca un’analitica individuazione e descrizione del bene abusivo, che nella specie rende superflua la specifica indicazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale, attesa la peculiare natura oggettiva del bene stesso.

Ed invero, come è stato di recente autorevolmente ribadito, in una fattispecie per certi profili analoga a quella oggetto della presente controversia, dalla giurisprudenza amministrativa “il provvedimento impugnato si rivela conforme, in quanto contiene il riferimento all’ordine di demolizione ed al verbale con cui è stata accertata l’inottemperanza allo stesso ed è, quindi, corredato di tutti i presupposti necessari.

Vale qui ricordare l’orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili abusivi e della relativa area di sedime costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza all’ordinanza di ingiunzione della demolizione, sicché il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza, costituente titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, può essere adottato anche senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, potendosi a tale individuazione procedere anche con successivo, separato atto (T.a.r. Emilia Romagna, I, 1 aprile 2009, e precedenti ivi richiamati)” (cfr. C.G.A.R.S. in sede giurisdizionale, 24 marzo 2017 n. 125).

Conclusivamente lo spiegato ricorso è infondato e va respinto.

Sussistono i presupposti di legge, in considerazione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Striano, per dichiarare nulla essere dovuto per le spese di lite.

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