TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-08-08, n. 202211090
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Pubblicato il 08/08/2022
N. 11090/2022 REG.PROV.COLL.
N. 08081/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8081 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto di rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana-OMISSIS-
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 8 luglio 2022 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- In data -OMISSIS- il ricorrente, straniero di origine indiana, ha presentato domanda per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera f) della legge n. 91/1992.
Il Ministero dell’Interno, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10- bis Legge n. 241/1990, con decreto del-OMISSIS-ha respinto la domanda dell’interessato ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza. In particolare, a fondamento del diniego ha posto i seguenti pregiudizi penali a carico dell’istante:
“ a) con le generalità -OMISSIS-, nato in -OMISSIS-il -OMISSIS-, C.F. -OMISSIS-
- decreto penale emesso in data -OMISSIS-dal GIP del Tribunale di -OMISSIS-, esecutivo il -OMISSIS- per i seguenti reati:
-art. 6, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 62 bis c.p. (violazione delle norme concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), accertato in -OMISSIS- il -OMISSIS-
-artt. 494, 62 bis c.p. (sostituzione di persona);
b) con le generalità alias -OMISSIS-, nato in -OMISSIS-il -OMISSIS-:
- decreto penale emesso in data -OMISSIS- dal GIP del Tribunale di -OMISSIS-esecutivo il -OMISSIS-, per il reato di cui all'art. 6, comma 3 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (violazione delle norme concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), accertato in -OMISSIS- ”.
Ad ulteriore fondamento del diniego ha altresì rilevato che il richiedente, all’atto della presentazione dell’istanza, ha anche omesso di autodichiarare le predette condanne riportate, “ condotta che potrebbe andare a configurare una nuova ipotesi di reato ”.
Avverso il diniego ha quindi proposto ricorso l’interessato, deducendo un unico articolato motivo di diritto rubricato “ Violazione di legge sostanziale in relazione a quanto sancito dall'art. 6 e ss. della legge n. 91/1992- eccesso di potere per travisamento dei fatti, per illogicità, per carenza di istruttoria, per carenza di motivazione ed illogicità manifesta ”.
A fondamento del gravame il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato poiché, come già eccepito nelle osservazioni al preavviso di diniego ex art. 10- bis, i due decreti penali di condanna sopra indicati non potevano riferirsi alla sua persona, in quanto mai recatosi né a -OMISSIS-né a -OMISSIS-, pertanto ci sarebbe stato “un gravissimo errore di natura giudiziaria” che emergerebbe anche dalla lettura di entrambi i decreti. Evidenzia, pertanto, che l’Amministrazione avrebbe cristallizzato il suo giudizio sulla base di una valutazione frettolosa e completamente errata, ossia limitandosi a richiamare l'asserita esistenza di precedenti penali a carico del ricorrente, senza invece compiere ulteriori approfondimenti alla luce di quanto eccepito dall’istante. Deduce, infine, di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dall’art. 9 della Legge n. 91/1992 per ottenere la concessione della cittadinanza italiana.
Con ordinanza collegiale pubblicata il 2.8.2018 è stata respinta l’istanza cautelare.
Il ricorrente ha depositato documenti e memoria difensiva in vista della discussione e il Ministero intimato si è costituito il 06.07.2022 per resistere al ricorso, depositando anche la documentazione inerente al procedimento.
All’udienza di smaltimento dell’8 luglio 2022 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2.- Il ricorso è infondato.
Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento alla luce della giurisprudenza in materia, nonché dei precedenti dalla Sezione (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018, 3471, 4280 e 5130 del 2022).
Ai sensi dell'articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana " può " essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale" (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato sez. III, 23/07/2018 n. 4447).
Il conferimento dello status civitatis , cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;n. 52 del 10 gennaio 2011;Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).
L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.
In altri termini, il provvedimento di concessione della cittadinanza in esame “ è atto squisitamente discrezionale di ‘alta amministrazione’, condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno ‘ status illesae dignitatis’ (morale e civile) di colui che lo richiede ” (Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104).
Pertanto, l’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;il sindacato del giudice, infatti, non si estende al merito della valutazione compiuta dall'Amministrazione, non potendo dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036;nonché, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022 su prospettive e limiti dell’applicazione del principio di proporzionalità in tale materia).
3.- Tanto premesso, con l’unico motivo di gravame il ricorrente eccepisce l’estraneità della sua persona rispetto ai due prefati decreti penali di condanna posti a fondamento del diniego, di modo che il gravato decreto sarebbe anche affetto da una grave difetto di istruttoria poiché l’Amministrazione procedente avrebbe omesso di approfondire adeguatamente tale circostanza già dedotta dall’istante nelle osservazioni alla comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10- bis .
Ebbene, la doglianza è destituita di fondamento.
Invero, nella motivazione del diniego si dà espressamente conto del fatto che, alla luce di tali deduzione prodotte dall’interessato, è stata disposta “ l’ulteriore integrazione istruttoria effettuata presso la -OMISSIS-che, con nota acquisita in data -OMISSIS-, ha confermato i sopraindicati illeciti penali ed indicato le varie generalità alias riconducibili al richiedente ”.
Rilevato, pertanto, che il Ministero, a fronte delle eccezioni sollevate dall’istante, ha anche disposto un supplemento di istruttoria prima di adottare il gravato decreto, si rende opportuno evidenziare che le argomentazioni difensive del ricorrente, secondo cui i decreti penali di condanna emanati sarebbe affetti da “un gravissimo errore di natura giudiziaria”, non possono evidentemente essere positivamente vagliate in questa sede dovendo, per contro, essere formulate nella loro sede naturale, ovvero dinanzi al giudice penale.
Invero, con riguardo all’istituto del decreto penale di condanna, valga appena ricordare che gli artt. 460 e 461 c.p.p. dispongono che il decreto penale deve essere notificato personalmente al condannato onde consentirgli di proporre opposizione nei termini di legge, atteso che, decorso tale termine, il decreto diventa definitivamente esecutivo. Proprio al fine di garantire l’effettiva conoscenza da parte del suo destinatario, il comma 4 dell’art. 460 c.p.c. prevede che “ se non è possibile eseguire la notificazione per irreperibilità dell'imputato, il giudice revoca il decreto penale di condanna e restituisce gli atti al pubblico ministero ”.
Ne consegue che, alla stregua delle disposizioni procedurali innanzi descritte, la parte istante, al fine di contestare la legittimità dei decreti di condanna sul presupposto dell’asserito errore di persona, aveva l’onere di esperire il menzionato rimedio ordinario dell’opposizione a pena di irrevocabilità.
Peraltro, nella remota ipotesi in cui i decreti siano divenuti esecutivi senza essere stati ritualmente notificati al condannato, l’ordinamento prevede anche la possibilità di esperire il rimedio straordinario della revisione ex art. 630 c.p.c.
Si aggiunga, ancora, che la condanna di una persona in luogo di un’altra “per errore di nome” rappresenta uno dei casi per promuovere l’incidente di esecuzione a norma degli artt. 665 e ss. c.p.p.
In ultima analisi, alla luce dell’ampio novero di rimedi esperibili previsti dall’ordinamento, appare evidente come soltanto il giudice penale sia l’autorità naturalmente competente a delibare sulla fondatezza di tali censure.
Ne deriva, pertanto, che l’Amministrazione procedente, anche all’esito del supplemento di istruttoria, ha legittimamente ritenuto, alla stregua di una valutazione priva di vizi logici o di manifesta irragionevolezza, di porre a fondamento del diniego i due decreti penali di condanna sopra indicati che, sulla base della documentazione acquisita al procedimento, risultano comunque essere stati emessi, allo stato, a carico della persona dell’istante (come comprovato dalla copia del certificato del casellario giudiziale prodotto in atti).
Tale valutazione, del resto, non appare neanche sproporzionata, non difettando neanche la motivazione del carattere ostativo di tali condotte criminose, entrambe integranti reati in materia di immigrazione senza dubbio di non lieve entità, tenuto conto della ratio sottesa a tali fattispecie di reato chiaramente protesa ad una corretta gestione dei flussi migratori, tanto da essere sfavorevolmente considerate dal legislatore quali condotte ostative persino al rilascio del titolo autorizzatorio al permesso di soggiorno (cfr., Cons. Stato., sez. III, n. 8734/2019 sul disvalore della violazione delle disciplina sull’immigrazione).
Né appare priva di rilievo, ad ulteriore supporto della legittimità del diniego adottato, la condanna richiamata per il reato di sostituzione di persona previsto dall’art. 494 c.p., che punisce la condotta di “ chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici ”. Infatti, considerato che il ricorrente sostiene, fin dalle osservazioni prodotte in sede procedimentale, di essere stato vittima di un errore giudiziario essendo stato condannato in luogo di un’altra persona, non appare irragionevole il giudizio cui è pervenuto il Ministero che, nell’ambito dell’istruttoria volta a valutare l’affidabilità e la compiuta integrazione dell’istante nel tessuto sociale, ha senz’altro tenuto in debita considerazione anche tale tipologia di precedente penale.
4.- In ultima analisi, considerato che il provvedimento di concessione della cittadinanza rappresenta un atto eminentemente discrezionale di "alta amministrazione” suscettibile di essere sindacato solo nei ristretti ambiti del controllo di legittimità – escluso ogni sindacato sostitutivo - ritiene il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione sia esente da vizi di illogicità o irragionevolezza.
La tesi dell'istante non tiene conto dell'amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;6 settembre 2018, n. 5262), che - come già osservato - caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevanti conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all'interno dello Stato;tale concessione può però comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l'interesse nazionale in caso di infelice concessione (T.A.R. Lazio sez. I - Roma, 05/05/2021, n. 5261). Proprio per la rilevanza di tale riconoscimento, l'art. 9, l. n. 91 del 1992 demanda al Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno, la concessione della cittadinanza.
Peraltro, considerato che, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva (con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche), non appare sproporzionato il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato di cui entra a far parte, ed altri beni riconosciuti e tutelati dalla Costituzione.
Nel caso di specie, il diniego risulta fondato su un insieme di circostanze esplicitate (i due decreti penali di condanna definitivamente esecutivi a carico dell’istante) che appaiono idonei a sorreggere adeguatamente il giudizio di inaffidabilità e non compiuta integrazione del ricorrente nel tessuto sociale, con conseguente esito negativo sulla concessione della cittadinanza.
Del resto, la valutazione del Ministero dell'Interno è avvenuta sulla base di accertamenti il cui esito, in termini di prognosi di idoneità allo stabile inserimento nella comunità nazionale con il conferimento della cittadinanza, rientra negli apprezzamenti di merito non sindacabili dinanzi al giudice amministrativo, se non per evidente travisamento dei fatti ed illogicità, vizi che non risultano sussistere nel caso di specie.
Né la natura di alta amministrazione del provvedimento gravato consente a questo giudice di sostituire valutazioni di merito, riservate all'Autorità amministrativa preposta, con altre, attesi i vincoli al sindacato giurisdizionale in questa materia.
Difatti, il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.
Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che " nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda " (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).
D’altronde, la particolare cautela con cui l'Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all'esito negativo originario.
In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto deve essere respinto.
5.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.