TAR Palermo, sez. III, sentenza 2021-07-05, n. 202102139

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2021-07-05, n. 202102139
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202102139
Data del deposito : 5 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/07/2021

N. 02139/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00814/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 814 del 2019, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Il Ministero dell'Interno, la Questura di Palermo - Commissariato di P.S. di Corleone, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Palermo, via V. Villareale n. 6, sono per legge domiciliati;

per l'annullamento

- del decreto della Questura di Palermo – Commissariato di Pubblica Sicurezza, Corleone, -OMISSIS-, notificato al ricorrente il 14-01-2019, con cui è stata revocata la licenza ed il libretto porto di fucile per uso caccia a suo tempo rilasciata;

- di tutti gli altri atti presupposti, connessi e consequenziali, noti e non noti al ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Palermo, Commissariato di P.S. di Corleone, e vista la documentazione depositata;

Viste le memorie prodotte da entrambe le parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176;

Relatore il consigliere dottoressa M C all’udienza del giorno 22 giugno 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, tramite applicativo come indicato a verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

A. – Con il ricorso in esame l’odierno istante ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe del 27 dicembre 2018, con il quale il Questore della provincia di Palermo ha revocato al predetto la licenza di porto di fucile per uso caccia.

Espone al riguardo:

- di essere stato destinatario di un’ordinanza di misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per i reati di cui agli articoli 55 quinquies del d. lgs. n. 165/2001 e 640 co. 2, n.1, cod. pen.;

- di avere ricevuto la relativa comunicazione di avvio del procedimento, con conseguente presentazione di controdeduzioni con le quali ha evidenziato di non rientrare in nessuna delle categorie previste dagli articoli 11 e 39 del T.U.L.P.S., risultando piuttosto indagato per il reato di truffa.

L’intimata Questura ha comunque adottato il provvedimento di revoca, di cui il ricorrente si duole deducendo le censure di:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 che approva il Testo unico delle leggi di P.S.;
Difetto di motivazione;
Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, ultimo comma, e 43 T.U.L.P.S.
;

2) Violazione sotto altro profilo dell’art. 39 T.U.L.P.S.;
Violazione degli artt. 3 e 6, lett. a) L. 241/1990 – Difetto di motivazione;
Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, ultimo comma, e 43 T.U.L.P.S.;
Violazione dei principi sulla discrezionalità amministrativa
;

3) Violazione dell’art. 10, lett. b), L. 241/1990 .

Ha quindi chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, con il favore delle spese.

B. – Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e la Questura di Palermo, Commissariato di P.S. di Corleone, depositando documentazione.

C. – In vista della trattazione del merito entrambe le parti hanno argomentato: l’Avvocatura Distrettuale, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato;
il ricorrente, insistendo per l’accoglimento.

Quindi, all’udienza del giorno 22 giugno 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

A. – Viene in decisione il ricorso promosso dall’odierno istante avverso il provvedimento del 27 dicembre 2018, con il quale il Questore della provincia di Palermo ha revocato al predetto la licenza di porto di fucile per uso caccia.

B. – Il ricorso non è fondato.

B.1. – Con il primo motivo il ricorrente sostiene che non vi sarebbe alcuna relazione tra il reato ascritto e la possibilità che il privato possa abusare delle armi che detiene legittimamente;
e che l’Amministrazione non avrebbe dato sufficiente prova dell’assenza di buona condotta ai sensi dell’art. 43 del T.U.L.P.S..

Con il secondo motivo si duole della carenza di motivazione.

I due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, non possono essere accolti.

Deve premettersi che l’Autorità di P.S. ha revocato il porto d’armi in quanto il ricorrente – destinatario di avviso di conclusione delle indagini e informativa di garanzia – avrebbe, con artifizi e raggiri, causato un grave danno al Comune di Cefalà Diana mediante false attestazioni al proprio datore di lavoro (v. nota del 14 novembre 2018 della Legione Carabinieri Sicilia).

L'art. 11 del R.D. n. 773/1931, in materia di autorizzazioni di polizia, prescrive testualmente: “ Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione ”.

A sua volta, l'art. 43 del medesimo decreto dispone che: “ Oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi ”.

In particolare, in base al combinato disposto di cui all’art. 11 co. 3, ultima parte ed all’art. 43 co. 2, l'Autorità di Pubblica Sicurezza ha il potere di revocare le autorizzazioni già concesse, allorquando il soggetto non possa provare la sua buona condotta.

Deve quindi essere richiamato il granitico orientamento della giurisprudenza, secondo cui, “… il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi (tra le tante, Cons. St. sent. sez. III, n.4055/2018), sicchè la valutazione in ordine alla fattispecie concreta costituisce, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità il travisamento dei fatti …” (C.G.A., 6 aprile 2021, n. 292;
TAR Liguria, I, 08.04.2021 n. 305).

È stato anche rilevato, proprio in tema di prova della buona condotta, che il requisito della buona condotta “… presenta una latitudine applicativa maggiormente estesa di quello relativo al cd. pericolo di abuso, potendo essere compromesso anche da fatti che, senza determinare il secondo, siano suscettibili di minare seriamente il rapporto di fiducia, incentrato sull’assenza di rilievi in ordine all’atteggiamento di perfetta adesione dell’interessato ai precetti dell’honeste vivere, che deve sussistere con l’Amministrazione autorizzante …” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 15 luglio 2019, n. 4963;
nello stesso senso, Sez. III, 16 agosto 2018, n. 4955).

Applicando i su esposti principi al caso di specie, osserva il Collegio che le contestazioni formulate in sede penale nei confronti del ricorrente sono state valutate per la loro obiettiva gravità, come si evince anche dalla proposta di revoca della Legione Carabinieri Sicilia. Per cui, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il profilo della buona condotta è stato attentamente vagliato.

Costituisce, del resto, sicuro indice della gravità delle condotte ascritte – e della loro incidenza sul requisito della “buona condotta” – la circostanza che il reato di cui all’art. 640, co. 2, n. 1, c.p. è contemplato dall’art. 67, co. 8, del d. lgs. n. 159/2011, con conseguente applicazione, in caso di condanna con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, delle disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 4 dello stesso art. 67 ( id est : divieto di ottenere licenze di polizia, per detenzione e porto d’armi;
decadenza di diritto dalle licenze autorizzazioni).

Non giova al ricorrente l’obiezione sull’inapplicabilità ratione temporis della disposizione, in quanto la norma è stata modificata dall’art. 24, co. 1, lett. d), del decreto legge 4 ottobre 2018, n.113, antecedente alla data del provvedimento impugnato;
e, in ogni caso, costituisce un significativo parametro della valutazione di gravità effettuata a monte dal legislatore.

B.3. – Anche il terzo motivo non può essere accolto.

Sostiene il ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe valutato compiutamente le osservazioni presentate dal predetto, e non ne avrebbe congruamente dato conto nel provvedimento finale.

Al fine di respingere tale doglianza è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza in materia, secondo cui la presentazione di memorie ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990 non impone la puntuale e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata, essendo sufficiente la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso (cfr. T.A.R. Campania, Sez. V, 17 maggio 2021, n. 3252).

Applicando i suddetti principi al caso in esame, osserva peraltro il Collegio che, come si evince dalle premesse del provvedimento impugnato, la resistente Questura ha esaminato la memoria presentata dal ricorrente, ritenendone insufficienti i contenuti.

Per tutto quanto esposto e rilevato, è da ritenere non irragionevole la determinazione discrezionale dell’amministrazione, esplicitata nel provvedimento impugnato, la quale – all’esito di una regolare istruttoria – ha ritenuto che il ricorrente non mantenga i requisiti richiesti dalla legge (buona condotta) per la titolarità di un titolo di polizia in materia di armi.

C. – Conclusivamente, il ricorso in quanto infondato deve essere rigettato, con salvezza del provvedimento impugnato.

D. – Le spese di lite, ai sensi degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c., seguono la soccombenza e si liquidano, ai sensi del d.m. n. 55/2014, nella misura quantificata in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia, della media complessità delle questioni giuridiche affrontate, avendo riguardo ai minimi tariffari in ragione della concreta attività difensiva svolta.

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