TAR Firenze, sez. I, sentenza 2015-06-11, n. 201500885

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2015-06-11, n. 201500885
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201500885
Data del deposito : 11 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01688/2011 REG.RIC.

N. 00885/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01688/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1688 del 2011, proposto da:
G D R, rappresentato e difeso dagli avv. L B, L C L, con domicilio eletto presso L C L in Firenze, Via Masaccio N. 235;

contro

Regione Toscana, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv. N G, L B, presso cui ha eletto domicilio, in Firenze, piazza dell'Unita' Italiana n. 1;
Difensore civico della Regione Toscana;

per la condanna:

al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi in conseguenza dell’illegittimo provvedimento del CO.RE.CO., prot. n. 263del 15.02.1995, poi annullato con sentenza del TAR Toscana n. 1740, resa inter partes in data 08.07.2008, e divenuta definitiva in data 08.07.2009, con il quale è stato disposto l’annullamento della deliberazione della Giunta Municipale di Firenze del 29.12.1992 prot. n. 4553, avente ad oggetto l’estensione dell’incarico professionale per la progettazione esecutiva della bonifica e valorizzazione del terreno di proprietà comunale di circa 27 ettari in sinistra d’Arno, area Argingrosso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Toscana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2015 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con deliberazione del 3 maggio 1994 il Comune di Firenze assegnava all’ingegner D R (unitamente al collega Enrico Bougleux) l’incarico di redazione del progetto di massima relativo al risanamento, bonifica e valorizzazione di un terreno di proprietà comunale sito nell’area di Arcingrosso, sulla riva sinistra dell’Arno. Successivamente, approvato tale progetto, la Giunta comunale, con deliberazione n. 4553 del 22 dicembre 1994, affidava agli stessi professionisti la progettazione esecutiva dell’opera pubblica in questione, approvando il disciplinare di incarico e gli onorari professionali spettanti.

In data 30 gennaio 1995 alcuni consiglieri comunali richiedevano formalmente l’invio della predetta deliberazione al Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali, ai sensi di quanto disposto dall’allora vigente art. 45, co. 2°, della legge n. 142/1990, al fine di verificarne la legittimità con riferimento alla competenza dell’organo deliberante, alla proprietà dell’area e all’ammissibilità delle modalità con le quali l’incarico era stato conferito.

Con decisione n. 263 del 15 febbraio 1995 il Co.Re.Co. annullava la delibera sottoposta a controllo rilevando l’assenza del parere del Segretario generale del Comune (ex art. 1, co. 3, del Regolamento comunale per gli incarichi professionali), nonché l’insufficiente chiarezza in ordine alla sussistenza di uno schema generale di affidamento degli incarichi approvato dal Consiglio comunale.

Il Comune di Firenze prendeva atto dell’annullamento e non adottava alcun altro provvedimento in merito.

L’odierno ricorrente impugnava la decisione del Co.Re.Co. dinanzi a questo T.A.R. che, con sentenza n. 1740 dell’8 luglio 2008, annullava la decisione rilevando, tra l’altro, che poiché “ i consiglieri che facciano richiesta di sottoporre a controllo del CO.RE.CO. le deliberazione della giunta comunale devono indicare le norme violate…l’esercizio del controllo deve mantenersi entro i limiti dei vizi denunciati ”, mentre, nella circostanza, ciò non era avvenuto conseguendone che il controllo si era spinto oltre i limiti ammessi dalla legge.

La sentenza passava in giudicato.

L’ing. D R proponeva, quindi, il ricorso all’esame, chiamando in giudizio la Regione Toscana e il Difensore civico della stessa Regione e domandando il risarcimento del danno ingiusto asseritamente subito, ritenendo sussistente il nesso causale con l’evento e la sua imputabilità a colpa dell’Amministrazione. Il danno veniva quantificato inizialmente in € 68.034,96 (in relazione all’intero mancato onorario) maggiorato di interessi e rivalutazione, nonché nel danno all’immagine, al prestigio curricolare e all’incidenza negativa sulla formazione professionale.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2015 il ricorso era trattenuto per la decisione.

Costituendosi in giudizio la Regione ha preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione passiva del Difensore civico, non rinvenendosi nella l. reg. n. 2 del 2002 alcuna norma che affermi una sorta di successione organica tra il Co.Re.Co. (soppresso a seguito dell’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione in forza dell'art. 9 comma 2, l. cost. n. 3 del 2001) e il Difensore civico, né tantomeno riconosca in capo a quest’ultimo organo poteri assimilabili a quelli del suddetto organo di controllo.

La tesi merita condivisione giacché la legge regionale citata non attribuisce al Difensore civico alcuno dei poteri in precedenza esercitati dal Comitato (si veda l’art. 2 della l. reg. n. 19/2009) e, tenuto peraltro conto, che, quale che sia la natura giuridica del Difensore civico (organo di governo dell'Ente ovvero organo amministrativo), in ogni caso, mancando una sua autonoma soggettività, gli effetti della sua attività sono imputabili alla Regione, conseguendone l’ultroneità della sua evocazione in giudizio.

L’Amministrazione intimata eccepisce, altresì, l’inammissibilità del ricorso per effetto del decorso del termine fissato dall’art. 30, co. 5, cod. proc. amm. per la proposizione di un’azione autonoma di condanna.

In effetti, risultano trascorsi più di centoventi giorni tra il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del provvedimento (8 luglio 2009) e la notificazione del ricorso.

La questione, controversa in giurisprudenza, è stata rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato dall’ordinanza n. 1351 del 16 marzo 2015 della IV Sezione al fine di chiarire quale sia il regime delle azioni di condanna al risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, proposte in epoca successiva all'entrata in vigore del c.p.a. ma relative a fatti asseritamente illeciti verificatisi in epoca anteriore e cioè se queste azioni restano soggette unicamente al termine di prescrizione del diritto al risarcimento secondo i comuni principi o se alle stesse si applica il termine di decadenza di cui all'art. 30 comma 3, c.p.a., ancorché con decorrenza dalla stessa data di entrata in vigore del Codice.

La difesa della Regione eccepisce, infine, l’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere dal ricorrente, attesa la risalenza al 1995 dei fatti che hanno originato la controversia.

Entrambe le questioni possono essere assorbite giacché il ricorso è infondato nel merito.

In primo luogo si osserva che, pacificamente, la mera illegittimità dell'atto amministrativo impugnato non è sufficiente per dichiarare la sussistenza di una responsabilità aquiliana per danni, dovendosi provare, oltre al nesso causale e alla sussistenza di un danno, anche la colpa dell'Amministrazione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2014 n. 6421;
T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I 27 aprile 2015 n. 418).

Più in particolare, con riferimento alla vicenda che ne occupa, si è ritenuto che, ai fini del risarcimento del danno conseguente all'annullamento di un provvedimento dichiarato illegittimo per vizio procedimentale, va distinta l'illegittimità di carattere cd. "sostanziale" dall'illegittimità di natura "formale": solo nel primo caso, infatti, il vizio del provvedimento costituisce titolo per il risarcimento del danno subito dall''interessato, purché risulti comprovata, in modo certo, la "spettanza" del bene della vita da lui fatta valere e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo;
per contro, la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento: il che avviene in particolare quando, in seguito all'annullamento dell'atto impugnato, l'amministrazione conserva intatto il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato (Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 252;
id., 22 gennaio 2014, n. 38).

Come già riferito, la sentenza di questo T.A.R. n. 1740/2008 ha dichiarato l’illegittimità della decisione del Co.Re.Co. in quanto, mentre la disciplina della materia prevedeva che il controllo generale e preventivo di legittimità fosse riservato agli atti fondamentali nell’attività svolta dagli enti locali, nella fattispecie il Comitato aveva esorbitato dai limiti ammessi dalla legge dal momento che, per contro, ove l’atto fosse stato sottoposto a controllo su impulso di parte dei consiglieri, l’esercizio del controllo stesso doveva mantenersi entro i limiti dei vizi denunciati.

Trattasi, quindi di un vizio meramente formale, non avendo il Comitato espresso ulteriori valutazioni in merito alla legittimità dell’atto.

Di qui l’infondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente (pag. 7 del ricorso) secondo cui sarebbe “ logico dedurre che l’atto della Giunta comunale con il quale era stato affidato al ricorrente l’incarico…doveva considerarsi pienamente valido ”.

Né del resto risulta che, dopo l’annullamento del Co.Re.Co., il Comune di Firenze abbia ulteriormente provveduto emendando l’atto dei vizi di legittimità riscontrati;
questione di particolare rilevanza nella fattispecie, tenuto conto dell’intima connessione esistente tra l’atto assoggetto a controllo e riscontro dell’Autorità di vigilanza che costituisce, come è noto, condizione di efficacia del primo.

Ciò conduce il Collegio a richiamare, condividendolo, il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui qualora l'annullamento di un provvedimento amministrativo non escluda ma consenta il riesercizio del potere amministrativo, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata che all'esito della nuova manifestazione di detto potere, non potendo essere accolta ove persistano in capo all'Amministrazione significativi spazi di discrezionalità, e la parte istante non si sia limitata a rappresentare il mero danno subito per effetto di un'illegittimità procedimentale, ma abbia chiesto di essere risarcita dell'intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita al quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa spettante e illegittimamente compresso (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 5 febbraio 2015 n. 884).

D’altro canto, l’argomentazione di parte, secondo cui (memoria di replica pag. 13) la deliberazione di Giunta n. 4553 annullata dal Co.Re.Co. non rientrava tra i provvedimenti sottoponibili a controllo preventivo di legittimità, farebbe emergere anche profili di responsabilità del Comune di Firenze che, tuttavia, non è stato evocato in giudizio.

Ma la pretesa dedotta in giudizio, a ben vedere, si rivela infondata anche sotto il profilo della stessa esistenza del danno.

Invero, come rappresentato dalla difesa di controparte,con delibera di Giunta dell’11 aprile il Comune di Firenze assegnava al D R l’incarico per la progettazione esecutiva del 3° stralcio funzionale lavori, nell’ambito dell’emissario in sinistra dell’Arno, per un corrispettivo di £ 350.000.000, ossia un importo superiore a quello dell’incarico poi non eseguito.

Orbene, costituisce principio consolidato quello per cui, nella determinazione del risarcimento del danno spettante al ricorrente, il Giudice deve tener conto del cd. aliunde perceptum , ossia delle utilità comunque percepite dall’interessato nel periodo in cui non ha impiegato i mezzi e le energie lavorative disponibili nello svolgimento dell’incarico non eseguito (Cass. civ. Sez. lavoro, 29 novembre 2013, n. 26828;
Cons. Stato, VI 13 gennaio 2012 n. 115;
id., IV, 11 novembre 2014, n. 5531).

E ciò anche in applicazione del principio emergente dall'art. 1227 c.c., in forza del quale il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella sua concreta portata applicativa dall'art. 30 c.p.a., ove si stabilisce che il giudice nella determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III 3 dicembre 2013 n. 2681;
Cons. Stato, VI 13 gennaio 2012 n. 115).

Nel caso di specie, considerata la quasi contemporaneità dei due incarichi professionali è evidente che il danno da lucro cessante (o perdita di chance ) lamentato dal ricorrente deve ritenersi completamente eliso dalla seconda delle commesse ricevute dal medesimo Comune.

Quanto alle altre voci di danno invocate dal ricorrente va premesso che, pacificamente, il danno alla reputazione ed all'immagine è un danno - conseguenza che richiede la specifica prova da parte di chi ne invoca il risarcimento sia pure attraverso il ricorso a presunzioni (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014 n. 20558;
id. sez. I, 8 marzo 2013 n. 5848).

Né può essere invocata nella circostanza la limitazione dell'onere probatorio che governa il processo amministrativo, fondata sulla naturale ineguaglianza delle parti, privato e pubblica amministrazione, e quindi sul generale possesso dei documenti da parte dei pubblici uffici che resistono in giudizio, giacché nell’azione risarcitoria si tratta in tutta evidenza di documentazione in possesso del ricorrente;
né può sopperirsi alle carenze probatorie di parte attraverso la liquidazione equitativa che concerne solo la mera quantificazione, mentre spetta al ricorrente che agisce provare gli elementi costitutivi della sua pretesa e delle relative voci che non possono riportarsi ad una generica perdita di immagine (T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 6 settembre 2013 n. 1819 ).

Per la quantificazione del danno all'immagine o di quello curricolare può dunque ricorrersi anche a criteri equitativi ma, comunque, non ci si può sottrarre al principio dell'onere della prova a carico di parte attrice, anche mediante presunzioni facendo riferimento, ad esempio al cd. clamor fori , cioè la diffusione della notizia nei mass-media, e comunque la più o meno grande risonanza dell'evento, che genera nei cittadini o nella comunità professionale (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 26 settembre 2013 n. 2274).

Nel caso di specie, non offrendo il ricorrente alcuna prova in proposito, è palese che non sussiste alcun danno d’immagine, oltretutto inverosimile, dal momento che la decisione del Co.Re.Co. non recava alcun tipo di rilievo in ordine alle capacità professionali del medesimo, ma, come già esposto, solo contestazioni di ordine formale in ordine alle modalità di conferimento dell’incarico, mentre la stessa sentenza di annullamento veniva motivata unicamente in riferimento all’anomalo potere esercitato nell’occasione dall’organo di controllo.

Infine il ricorrente chiede anche il ristoro dell’asserito danno emergente costituito dalle spese sostenute per conseguire l’accertamento dell’illegittimità dell’atto a suo tempo impugnato, ovvero le spese legali sostenute in quel giudizio.

Si osserva in proposito che le spese legali costituiscono autonomo oggetto delle statuizioni del giudice che ha avuto cognizione della controversia che ne liquida l’importo nel dispositivo. Ove la somma liquidata sia ritenuta non satisfattiva da parte dell’interessato questi ha l’onere di proporre impugnazione di tale capo della sentenza, ma non può farne oggetto di autonomo contenzioso dinanzi ad un'altra autorità giudiziaria.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va pertanto rigettato, seguendo le spese di giudizio la soccombenza come in dispositivo liquidate.

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