TAR Latina, sez. I, sentenza 2015-05-12, n. 201500383

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Latina, sez. I, sentenza 2015-05-12, n. 201500383
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Latina
Numero : 201500383
Data del deposito : 12 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01223/2010 REG.RIC.

N. 00383/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01223/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1223 del 2010, proposto dalla
Italcostruzioni S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sig. D G, rappresentata e difesa dagli avv.ti F D S e M M e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L G, in Latina, via E. Filiberto, n. 9

contro

Comune di Sora, non costituito in giudizio

nei confronti di

Solcesi S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. V M, rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Di Sotto e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giacomo Mignano, in Latina, via Vico, n. 45

per l’annullamento

del provvedimento del Comune di Sora prot. n. 31859 del 9 agosto 2010, notificato il 27 ottobre 2010, recante decreto di espropriazione di fondi di proprietà della Italcostruzioni S.r.l., nell’ambito dei lavori di realizzazione della traversa di collegamento dei nuclei industriali di “Schito” e “Colle d’Arte”

nonché per la condanna

del Comune di Sora al risarcimento dei danni sofferti dalla società ricorrente per effetto dell’illecito commesso dal Comune stesso, inquadrabile nella cd. occupazione appropriativa.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Viste l’ordinanza collegiale istruttoria n. 162/2014 del 21 febbraio 2014, nonché la documentazione trasmessa dal Comune di Sora in ottemperanza alla stessa;

Vista l’ulteriore memoria della ricorrente;

Vista l’ordinanza collegiale n. 875/2014 del 22 ottobre 2014, con cui è stata disposta la chiamata in giudizio della Solcesi S.r.l.;

Vista la documentazione prodotta dalla ricorrente a dimostrazione dell’adempimento all’ordinanza n. 875/2014 cit.;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la documentazione della Solcesi S.r.l.;

Vista la memoria difensiva della Solcesi S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 5 marzo 2015 il dott. P D B;

Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

L’Italcostruzioni S.r.l. espone di essere proprietaria degli immobili siti in Sora, loc. Forma Cialone, distinti in catasto al fg. 46, mapp. nn. 63, 216 e 57 (i terreni), 61 sub. 1 e 434 (il fabbricato con corte annessa).

Con deliberazione consiliare n. 40 del 22 dicembre 1995 il Comune di Sora approvava l’accordo di programma con la Provincia di Frosinone per la realizzazione della “traversa di collegamento” tra i nuclei industriali di Schito e di Colle d’Arte, dichiarando la pubblica utilità e l’urgenza dell’opera ed approvando, altresì, il protocollo di intesa con il Consorzio ASI di Frosinone. Quest’ultimo, nel frattempo, aveva avviato le procedure per l’acquisizione delle aree interessate dall’opera, tra cui è ricompresa la part. n. 63 (terreno) di proprietà della società esponente, ma il tentativo di addivenire alla cessione bonaria dell’area non aveva seguito.

Successivamente, il Comune di Sora approvava il progetto definitivo e quello esecutivo dell’opera, sul presupposto dell’equivalenza ope legis dell’approvazione del progetto alla dichiarazione di p.u., ed affidava i lavori di esecuzione dell’opera stessa alla Solcesi S.r.l..

Con determinazioni dirigenziali nn. 31 del 6 febbraio 2002 e 48 del 22 febbraio 2002 il Comune di Sora autorizzava l’occupazione d’urgenza dei terreni per un periodo di cinque anni dall’immissione in possesso.

La Solcesi S.r.l. comunicava alla società esponente, con nota del 23 luglio 2002, di aver proceduto all’immissione in possesso il 9 maggio 2002 e di aver erroneamente notificato la comunicazione di immissione nel possesso al vecchio proprietario del terreno (residente all’estero, cosicché la riferita notificazione avveniva mediante pubblicazione all’Albo pretorio comunale).

Con atto prot. n. 3437 del 25 gennaio 2005 il Comune emetteva il decreto di occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio, per l’occupazione anticipata degli immobili ai fini della costruzione della strada in discorso.

Nelle more, la particella n. 63, interessata dalla realizzazione dell’arteria stradale, veniva più volte frazionata, risultando alla fine le part.lle nn. 698 e 953, occupate dall’opera pubblica e le part.lle nn. 697 e 952, relitte.

Con nota prot. n. 37177/51 del 21 settembre 2010, pervenuta il 27 ottobre 2010, il Comune di Sora notificava alla società esponente il decreto definitivo di esproprio prot. n. 31859 del 9 agosto 2010, in relazione alle part.lle n. 698 e n. 953, rispettivamente per mq. 255,00 e mq. 230,00.

L’Italcostruzioni S.r.l. lamenta che il decreto di esproprio è invalido, perché tardivamente emanato e, pertanto, inutiliter datum. Per tal ragione, l’ha impugnato con il ricorso in epigrafe, chiedendone l’annullamento e chiedendo anche la condanna del Comune di Sora al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illecito commesso dal predetto Comune, da ricondurre alla fattispecie della cd. occupazione appropriativa.

In particolare, il decreto di esproprio sarebbe stato emesso oltre il decorso dei termini utili, rispetto sia al termine di efficacia della dichiarazione di p.u., sia al termine finale di occupazione legittima. Pertanto, lo stesso sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 13 della l. n. 2359/1865 (disposizione applicabile, ratione temporis, al caso di specie).

Quanto al danno subito, la società ricorrente lamenta l’intervenuta trasformazione dei terreni di sua proprietà, a seguito della costruzione, sugli stessi, dell’opera pubblica: pertanto, qualora il Comune intenda disporre l’acquisizione dell’area occupata ed illecitamente trasformata (ai sensi dell’art. 43 ed ora dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001), dovrà risarcire sia il valore dell’area stessa, la quale ad avviso della ricorrente aveva vocazione edificatoria, sia il danno per il periodo di utilizzazione di essa senza titolo, oltre agli interessi moratori;
qualora, invece, intendesse restituire il terreno, l’Ente sarà tenuto a risarcire il danno per il periodo dell’utilizzazione di esso senza titolo. La ricorrente ha, poi, chiesto che nel calcolo dei danni si tenga conto, oltre che della perdita della proprietà dell’area occupata per la realizzazione dell’arteria stradale, dei danni diretti conseguenti all’abbattimento del muro di recinzione dell’area ed alla perdita di valore e fruibilità delle porzioni relitte, sia in quanto rimaste intercluse (con spese di accesso e di uso), sia in quanto, comunque, inutilizzabili per effetto della costruzione dell’opera pubblica.

Ancora, la società ha chiesto, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria, il maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c., in considerazione del fatto che l’area espropriata era, ed è, destinata all’esercizio di impresa.

Il Comune di Sora, pur evocato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza collegiale n. 162/2014 del 21 febbraio 2014 è stato disposto a carico del Comune di Sora incombente istruttorio, a cui il Comune ha ottemperato, depositando una relazione sui fatti di causa (con documentazione allegata), dove ha sostenuto tra l’altro che:

a) alla Solcesi S.r.l. (affidataria dei lavori di realizzazione dell’infrastruttura viaria) sarebbe spettato procedere alla definizione dei frazionamenti e degli indennizzi alle ditte espropriate, nonché, in caso di non accettazione degli stessi, al deposito dei relativi importi presso la Tesoreria Provinciale dello Stato di Frosinone;

b) la Solcesi S.r.l. avrebbe proceduto alla definizione dei frazionamenti soltanto nel corso del 2008, mentre il deposito delle somme sarebbe stato eseguito il 29 agosto 2007;

c) le circostanze ora riportate (carenza di frazionamenti, definiti nel 2008, e deposito di somme non accettate) sarebbero le cause del ritardo nell’emanazione del decreto di esproprio.

Preso atto della ricostruzione dei fatti operata dal Comune di Sora, in base alla quale il ritardo nella definizione della procedura espropriativa sarebbe da addebitare, almeno in parte, alla Solcesi S.r.l., il Collegio ha ritenuto quest’ultima un terzo avente un interesse in causa, potendo tale società essere pregiudicata, in ipotesi, dall’eventuale accoglimento del ricorso. Quindi, con ordinanza collegiale n. 875/2014 del 22 ottobre 2014 ha disposto la chiamata in giudizio della Solcesi S.r.l., onerando della relativa esecuzione l’odierna ricorrente. E quest’ultima ha depositato documentazione comprovante l’intervenuto adempimento dell’ordinanza in questione.

Si è costituita in giudizio la Solcesi S.r.l., depositando documentazione sui fatti di causa, nonché, in vista dell’udienza di discussione del ricorso, una memoria difensiva e concludendo in via principale per l’assenza di qualunque responsabilità ad essa imputabile, con conseguente sua estromissione dal giudizio;
in subordine, per l’inammissibilità ed infondatezza delle pretese attoree.

All’udienza pubblica del 5 marzo 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Formano oggetto di ricorso, da un lato, la domanda di annullamento del decreto di espropriazione di fondi di proprietà della ricorrente, emesso dal Comune di Sora nell’ambito dei lavori di costruzione della traversa di collegamento dei nuclei industriali di Schito e Colle d’Arte;
dall’altro, la domanda di risarcimento dei danni subiti dalla medesima ricorrente per effetto dell’illegittimo esercizio, nella fattispecie, del potere espropriativo ad opera del citato Comune, tale da far ricondurre la fattispecie stessa alla cd. occupazione appropriativa.

Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini che di seguito si espongono.

Più in dettaglio, risulta fondata l’impugnazione del decreto di esproprio dei terreni della ricorrente emanato dal Comune di Sora (prot. n. 31859 del 9 agosto 2010), in quanto tardivamente emesso e, perciò, tamquam non esset.

Ed invero, la deliberazione del Consiglio Comunale di Sora n. 30 del 3 aprile 2000, nell’approvare il progetto esecutivo dell’opera e nel precisare che tale approvazione equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’opera stessa, stabiliva, al punto 3) del dispositivo, che i lavori sarebbero dovuti iniziare entro sei mesi dalla concessione dei relativi finanziamenti e che si sarebbero dovuti concludere entro i trenta mesi successivi, mentre “gli atti di esproprio” sarebbero dovuto iniziare entro tre mesi dalla suddetta concessione e concludersi “entro cinquantasette mesi successivi” (cioè, entro cinque anni dalla concessione stessa).

Dal canto suo, la determinazione del Commissario prefettizio n. 78 del 29 marzo 2001, recante la riapprovazione del progetto esecutivo dell’opera in discorso, contiene al punto 4) del dispositivo la medesima precisazione. Essa stabilisce, infatti, che i lavori sarebbero dovuti iniziare entro sei mesi dalla concessione dei finanziamenti, per concludersi entro i trenta mesi successivi, mentre “gli atti di esproprio” sarebbero dovuti iniziare entro tre mesi dalla concessione stessa e concludersi “entro cinquantasette mesi successivi”.

Orbene, la ricorrente assume che, essendo stati i lavori affidati in appalto il 25 gennaio (rectius, 10 dicembre) 2001 e non essendo possibile procedere legittimamente all’affidamento dei lavori senza la necessaria copertura finanziaria, emergono la tardività e, per conseguenza, l’illegittimità (rectius, inefficacia) del decreto di esproprio, perché emesso il 9 agosto 2010, cioè oltre lo scadere del citato termine di cinquantasette mesi (rectius, cinque anni).

L’assunto è meritevole di condivisione.

Invero, dalla lettura della determinazione del Comune di Sora n. 31 del 6 febbraio 2002, con cui è stata autorizzata l’occupazione d’urgenza delle aree interessate dai lavori di costruzione dell’opera pubblica, si ricava che tali lavori sono stati aggiudicati alla Solcesi S.r.l. con determinazione n. 638 del 25 ottobre 2001 e che il relativo contratto d’appalto, tramite il quale sono stati affidati i lavori, è stato stipulato in data 10 dicembre 2001.

Essendo, dunque, intervenuto in detta data l’affidamento dei lavori, è ragionevole ritenere – pur non essendovi in atti il formale provvedimento di concessione dei finanziamenti per la costruzione della strada – che a tal momento e, pertanto, al più tardi al 10 dicembre 2001, fosse già iniziato il decorso del termine di cinque anni per il compimento degli atti del procedimento espropriativo. In tal senso milita la presunzione di legittimità che assiste tutti gli atti amministrativi, secondo cui questi ultimi si presumono legittimi, fino a quando non ne intervenga l’annullamento giurisdizionale o in sede di autotutela amministrativa (v., da ultimo, Cass. civ., Sez. lav., 2 febbraio 2015, n. 1841;
C.d.S., Sez. VI, 30 dicembre 2014, n. 6422).

Come osserva del tutto condivisibilmente la ricorrente, infatti, non sarebbe stato possibile procedere legittimamente all’affidamento dei lavori in esame, in difetto della necessaria copertura finanziaria. Pertanto, per poter affermare che, alla data dell’affidamento dei lavori (10 dicembre 2001), non era ancora iniziato il decorso del termine per il compimento degli atti del procedimento espropriativo, si dovrebbe sostenere che il suddetto affidamento sia avvenuto, contro ogni logica ed illegittimamente, in assenza della concessione dei relativi finanziamenti: ma ciò urta contro la surriferita presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

Ne discende la fondatezza della censura di tardività del decreto di esproprio impugnato, atteso che, in base alla dichiarazione di p.u. dell’opera, esso sarebbe dovuto intervenire in una data comunque anteriore al 10 dicembre 2006, mentre risulta emesso in data 9 agosto 2010, dunque ben oltre detta scadenza.

Si rammenta, sul punto, che secondo la più recente giurisprudenza (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 16 dicembre 2013, n. 2523;
id., 17 aprile 2013, n. 849), il decreto di esproprio, qualora sia emesso oltre la scadenza del termine finale per il completamento della procedura espropriativa, deve essere dichiarato tardivo e tamquam non esset: ciò, sia in base all’art. 13 della l. n. 2359/1865, sia in base all’art. 13 del d.P.R. n. 327/2001. Infatti, rispetto al diritto reale vantato dal proprietario, nel caso in cui il decreto di esproprio sia mancante, o tardivo in quanto emesso dopo la scadenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, si è in presenza di un potere validamente sorto ma, in relazione alla sua struttura essenzialmente di durata, colpito da nullità sopravvenuta, la quale va a sanzionare ex nunc una disfunzione dell’andamento amministrativo per il suo cattivo esercizio, non essendo stati rispettati i termini e operando, quindi, l’inefficacia sugli effetti futuri, o meglio sulla operatività dei suoi presupposti – vincolo urbanistico e/o dichiarazione di pubblica utilità – (cfr. C.d.S., Sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 6560).

Al riguardo, peraltro, si pone il problema del raccordo tra la scadenza del termine per il compimento del procedimento espropriativo fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità e la (distinta) scadenza del termine dell’occupazione autorizzata. Ciò, poiché nel caso de quo mentre il primo termine, sulla base di quanto sopra visto, è scaduto al più tardi il 10 dicembre 2006, il secondo risulta scaduto il 9 maggio 2007.

Ed infatti, la determinazione del Comune di Sora n. 31 del 6 febbraio 2002, recante autorizzazione all’occupazione d’urgenza delle aree interessate dai lavori, ha indicato quale durata della medesima occupazione il periodo di anni cinque dall’immissione nel possesso delle aree: immissione che, per i terreni dell’odierna ricorrente, risulta avvenuta il 9 maggio 2002 (v. all. 7 alla relazione del Comune di Sora sui fatti di causa dell’8 aprile 2014, trasmessa in ottemperanza all’ordinanza n. 162/2014 del 21 febbraio 2014), con conseguente scadenza dell’occupazione al 9 maggio 2007.

Non si deve pensare che tale questione abbia un’importanza soltanto teorica, visto che, in ogni caso, l’adozione del decreto di esproprio (9 agosto 2010) è tardiva anche rispetto allo spirare del termine previsto dalla determinazione di autorizzazione all’occupazione d’urgenza (9 maggio 2007, come si è ora detto). Si tratta, infatti, di individuare il momento, a partire dal quale l’occupazione delle aree interessate dai lavori è divenuta sine titulo, colorandosi di illecito: momento che – come si dirà oltre – rileva quale dies a quo per il calcolo del danno da occupazione illegittima.

Orbene, la giurisprudenza occupatasi del problema ha ritenuto che, una volta scaduti i termini finali fissati dalla dichiarazione di pubblica utilità per il compimento delle espropriazioni e dei lavori (con conseguente decadenza di detta dichiarazione), anche il provvedimento che autorizza l’occupazione dell’immobile privato ne resta travolto e deve, pertanto, ritenersi affetto da carenza di potere per il periodo eccedente l’indicata scadenza: il decreto di occupazione diventa, quindi, inefficace per tale ultimo periodo, cosicché l’occupazione legittima vien meno contestualmente alla perdita di efficacia della dichiarazione di p.u. per l’inutile spirare dei suoi termini essenziali (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 26 aprile 2007, n. 10024).

Invero, non si può emettere un decreto di occupazione temporanea di un fondo se non esiste (anche giuridicamente) la dichiarazione di pubblica utilità, ovvero se di essa è accertata l’invalidità, o se è inefficace, visto che rispetto a siffatta dichiarazione la procedura di occupazione d’urgenza assume carattere strettamente consequenziale. Per la stessa ragione, si ripercuotono necessariamente su tale procedura tutte le successive vicende del provvedimento recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, cosicché in tutti i casi di decadenza o di inefficacia sopravvenuta di quest’ultimo, a nulla vale il fatto che sussista un decreto di occupazione d’urgenza, venendo lo stesso travolto, per la sua mancanza di autonomia, dal venir meno dell’atto presupposto. Ne deriva che il decreto emanato in queste situazioni risulta affetto da carenza di potere per il periodo eccedente la scadenza dei termini relativi al compimento dei lavori e delle espropriazioni previsti dalla dichiarazione di p.u. (v. Cass. civ., Sez. I, 22 gennaio 2010, n. 1105, con la giurisprudenza ivi elencata).

Ancora, si è osservato che dichiarazione di p.u. ed occupazione temporanea d’urgenza assolvono a due funzioni diverse: la prima consente che la potestà espropriativa attui il fine di rendere possibile la realizzazione di un’opera di riconosciuto interesse pubblico e, quindi, di porre il proprietario del bene da espropriare in condizione di subire un procedimento ablativo legittimo, mentre la seconda costituisce titolo per l’apprensione o il godimento del bene altrui, attraverso cui la P.A. può ottenere l’anticipata presa di possesso dell’immobile, al fine di iniziare i lavori necessari, in vista della futura espropriazione. Ne consegue che i termini fissati per l’occupazione d’urgenza delle aree soggette ad esproprio (e le relative proroghe) non interferiscono sui termini fissati dalla dichiarazione di p.u. per il compimento della procedura ablativa, il cui decorso determina l’inefficacia di detta dichiarazione anche ove il termine per l’occupazione non sia ancora scaduto, con la conseguenza che quest’ultima diviene illegittima, perché non più assistita da un titolo giustificativo (v. Cass. civ., Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9370).

Se, dunque, l’occupazione non può proseguire legittimamente, una volta scaduto il termine stabilito dalla dichiarazione di pubblica utilità per l’emissione del decreto di esproprio, ancorché il termine stabilito dal decreto di occupazione d’urgenza sia più lungo (in quanto tale maggior termine è nullo per avere la precedente scadenza della dichiarazione di p.u. già determinato la sopravvenuta carenza di potere ablatorio dell’autorità amministrativa), ne consegue che il perfezionamento dell’illecito si verifica alla scadenza del termine stabilito dalla predetta dichiarazione di pubblica utilità (Cass. civ., Sez. I, 17 febbraio 2004, n. 3007).

Tornando all’impugnazione del decreto di esproprio prot. n. 31859 del 9 agosto 2010, emanato dal Comune di Sora, deve conclusivamente ritenersi che detta impugnazione sia fondata e da accogliere nei termini sopra esposti, cioè mediante declaratoria di inefficacia del decreto stesso, perché emesso tardivamente e, pertanto, inutiliter datum, o tamquam non esset. Il tutto, previa qualificazione della relativa azione in termini di domanda di accertamento e declaratoria dell’inefficacia di tale decreto, in virtù del potere del giudice di qualificare l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali, ex art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.).

Né si potrebbe dubitare della proponibilità di una siffatta azione dinanzi al giudice amministrativo, tenuto conto che si controverte in una materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a. e che la posizione fatta valere ha consistenza di diritto soggettivo, non intaccato (o “degradato” ad interesse legittimo) dalla tardiva adozione del decreto di esproprio (arg. ex T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 12 gennaio 2015, n. 335).

Venendo ora all’esame delle plurime domande di risarcimento dei danni presentate dalla ricorrente, si osserva anzitutto che è infondata e da respingere la domanda di risarcimento del danno da perdita della proprietà del bene oggetto dell’occupazione protrattasi oltre il termine stabilito senza adozione del decreto di esproprio, nonché oggetto della cd. trasformazione irreversibile (con la realizzazione, sul bene occupato, dell’opera pubblica).

Infatti, è ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale, per il quale l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo della P.A. di restituire al privato il bene appreso in maniera illegittima, dovendosi ritenere superata l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica effetti preclusivi e/o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo;
per conseguenza, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’Amministrazione, una volta ottenuta la declaratoria dell’illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare sia la restituzione del fondo, sia la sua riduzione in pristino, ma non anche il risarcimento del danno, giacché la proprietà del suolo è rimasta sin dall’origine in capo a lui, sicché nessun danno può profilarsi in relazione alla sua perdita (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV 27 gennaio 2014, n. 359;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez, V, 7 luglio 2014, n. 3768;
T.A.R. Sardegna, Sez. II, 11 gennaio 2014, n. 15).

Nella vicenda in esame, perciò, la permanenza del diritto dominicale in capo all’Italcostruzioni S.r.l. impedisce di risarcire il danno da questa lamentato per la perdita della proprietà: danno, invero, non prodottosi (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 4 luglio 2013, n. 1092). Ciò, ovviamente, comporta che è, altresì, infondata la domanda di risarcimento del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c. per la destinazione dell’area occupata all’esercizio dell’impresa della ricorrente.

In contrario, non può obiettarsi che, essendosi la ricorrente limitata a domandare il risarcimento del danno da perdita della proprietà del fondo (per l’irreversibile trasformazione di quest’ultimo), detta domanda equivarrebbe a rinuncia alla proprietà del fondo illegittimamente occupato e cagionerebbe in capo alla società la perdita della proprietà dello stesso.

La giurisprudenza ha infatti precisato che dal principio, ormai consolidato, per cui la realizzazione di un’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato non è in grado di per sé di determinare il trasferimento della proprietà del bene a favore della P.A. (e l’irreversibile trasformazione del fondo integra un mero fatto, incapace di assurgere a titolo di acquisto della proprietà), deriva che anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato e diretta ad ottenere il mero controvalore del fondo, compromesso dall’opera pubblica, pur interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del terreno, non vale a determinare in capo al privato la perdita della proprietà di esso. Ciò, in quanto dopo l’espunzione dall’ordinamento dell’istituto dell’acquisizione sanante ex art. 43 del d.P.R. n. 380/2001 non può più accogliersi il principio per cui la proposizione della domanda di risarcimento per equivalente sarebbe un negozio abdicativo della proprietà dell’immobile occupato dalla P.A., e la rinuncia avrebbe effetto dal momento della proposizione della suddetta domanda di risarcimento, non potendo il trasferimento della proprietà venir rimesso a negozi abdicativi (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 16 settembre 2014, n. 1111).

In definitiva, pertanto, la domanda di risarcimento del danno da perdita della proprietà del terreno – avente ad oggetto il controvalore di quest’ultimo – non può essere accolta, dovendo ritenersi che la società sia tuttora proprietaria del fondo illegittimamente occupato e possa (rectius, abbia l’onere di) chiederne alla P.A. la restituzione, previa riduzione dello stesso in pristino stato.

Per la medesima ragione, non può essere accolta neanche la domanda di risarcimento del danno per l’abbattimento del muro di cinta e quella per la perdita di valore e di fruibilità delle porzioni relitte, a causa dell’inaccessibilità, interclusione od inutilizzabilità delle stesse: la restituzione del terreno, previa sua riduzione in pristino, costituisce, infatti, il rimedio praticabile dalla ricorrente, in quanto tuttora proprietaria di esso.

È, invece, fondata e da accogliere la domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima del terreno, avente ad oggetto il permanere dell’occupazione del fondo da parte della P.A. pur dopo il venir meno dell’occupazione legittima dello stesso ed in difetto dell’adozione di un valido decreto di esproprio.

Ha affermato, infatti, la giurisprudenza (v. T.A.R. Toscana, Sez, I, 14 gennaio 2013, n. 20) che, una volta attivata la procedura espropriativa con occupazione d’urgenza dei fondi e realizzazione delle opere, laddove non sia emanato il decreto di esproprio (ipotesi a cui va parificata l’adozione tardiva di esso), l’Autorità espropriante, alla scadenza del periodo di occupazione legittima, pone in essere un illecito permanente, che impedisce il maturarsi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte del proprietario e – come già visto – senza alcuna traslazione della proprietà in capo alla predetta Autorità.

Invero, se non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale permane in capo al soggetto non legittimamente espropriato, il risarcimento del danno deve operare in riferimento all’illegittima occupazione del bene (illecito permanente), dovendo coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833;
T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, n. 1092/2013, cit.).

Nel caso di specie, è palese l’illiceità, sotto il profilo in esame, della condotta del Comune di Sora: si è già visto, infatti, che la scadenza del termine per il compimento del procedimento espropriativo previsto dalla dichiarazione di p.u. (avvenuta al più tardi il 10 dicembre 2006), senza che a tale data fosse stato emanato alcun decreto di esproprio, ha comportato il travolgimento anche del decreto di occupazione d’urgenza, divenuto nullo o inefficace nella parte in cui fissava un termine più lungo (9 maggio 2007). Pertanto, alla data del 10 dicembre 2006 l’occupazione dell’immobile della società è divenuta illegittima e la sua prosecuzione senza esser più assistita da alcun titolo (prosecuzione che perdura ancora oggi, avendo anzi il Comune realizzato sul fondo l’opera pubblica) ha comportato la realizzazione di un illecito ad opera del Comune stesso, senza che a tal proposito abbia alcun valore la tardiva emanazione del decreto di esproprio.

L’occupazione sine titulo del fondo della ricorrente da parte del Comune di Sora costituisce, perciò, illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., riconducibile all’ambito degli illeciti permanenti ed ascrivibile in via esclusiva alla condotta colpevole del predetto Comune.

Il punto richiede un approfondimento.

Il Comune di Sora, infatti, nella sua relazione sui fatti di causa, ha adombrato una responsabilità – almeno concorrente – dell’affidataria dei lavori Solcesi S.r.l. nella realizzazione del fatto illecito, in quanto la tardiva emanazione del decreto di esproprio discenderebbe dal ritardo della stessa Solcesi S.r.l. nell’adempimento degli obblighi posti a suo carico dagli artt. 52 e 62 del capitolato speciale di appalto.

Più in particolare, la Solcesi S.r.l. avrebbe tardato nella definizione dei frazionamenti, rimettendoli definitivamente al Comune solo il 17 dicembre 2008, in violazione degli obblighi ad essa attribuiti dall’art. 52, commi 1, 2 e 3 del capitolato speciale. Inoltre, vi sarebbe stata una tardiva definizione degli indennizzi ai soggetti espropriati, con deposito delle somme eseguito – a causa della mancata accettazione degli importi proposti – solo il 29 agosto 2007: per questa seconda ragione del ritardo, peraltro, neanche la citata relazione del Comune di Sora individua un preciso titolo di responsabilità della Solcesi S.r.l., non indicando alcuna specifica violazione degli obblighi a questa facenti capo in base al predetto capitolato speciale.

Chiamata conseguentemente in giudizio, la citata società, affidataria dei lavori, ha tuttavia confutato l’assunto del Comune di Sora, dimostrando di aver presentato al Comune, in data 20 marzo 2006, il piano particellare di esproprio aggiornato al mese di febbraio 2006 (cfr. doc. 4 della Solcesi S.r.l.): un documento, sulla base del quale la P.A. avrebbe ben potuto emanare tempestivamente il decreto di esproprio, atteso che, alla data del 20 marzo 2006, non era ancora scaduto il termine fissato dalla dichiarazione di p.u. per il completamento del procedimento espropriativo (termine che, per quanto detto sopra, è scaduto al più tardi il 10 dicembre 2006). Detto piano particellare di esproprio risulta approvato dal Comune di Sora con deliberazione della Giunta Municipale n. 148 del 6 aprile 2006 (v. all. 9 del Comune), dunque ben dentro la scadenza ora ricordata.

Vero è che il Comune ha poi approvato, con determinazione del Settore n. 3 – Territorio e Servizi Tecnologici, n. 208 del 21 settembre 2006 un ulteriore aggiornamento ed “assestamento definitivo” del piano particellare di esproprio, trasmesso dalla Solcesi S.r.l. con lettera pervenuta il 31 maggio 2006 (v. all. 10 del Comune), ma anche a tale data non era ancora decorso il termine stabilito dalla dichiarazione di p.u., cosicché nemmeno per questo verso si riesce ad individuare una responsabilità dell’impresa affidataria dei lavori nella produzione dell’illecito.

In conclusione, perciò, nessuna responsabilità, neppure concorrente, può essere ascritta alla Solcesi S.r.l., non essendo identificabile alcuna condotta di detta società che abbia concorso alla tardiva (e perciò illecita) definizione del procedimento espropriativo: tale illiceità va attribuita, sotto il profilo del nesso causale, nonché dell’elemento soggettivo, al solo Comune di Sora.

Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento del danno da occupazione illegittima, reputa il Collegio di aderire all’orientamento, per il quale tale danno deve essere quantificato prendendo a riferimento gli interessi legali sul valore venale dei terreni occupati, relativamente a ciascun anno di occupazione illegittima, con aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria.

Ed invero, la giurisprudenza afferma che il risarcimento del danno da occupazione illegittima deve consistere negli interessi legali calcolati sul valore che il terreno occupato aveva all’epoca in cui ha avuto inizio l’occupazione illegittima. Detta somma, così determinata, dovrà, poi, essere rivalutata anno per anno e sugli importi così rivalutati dovranno esser corrisposti gli interessi legali, in base ai principi generali in tema di liquidazione dell’obbligazione risarcitoria (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 13 febbraio 2015, n. 456).

Al riguardo, a modifica del precedente orientamento della Sezione (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 11 marzo 2014, n. 192), il Collegio ritiene di dissentire dall’indirizzo secondo cui il risarcimento del danno da occupazione illegittima decorrerebbe dal momento dell’immissione in possesso del bene e consisterebbe negli interessi legali calcolati sul valore venale che il bene aveva sempre al momento dell’immissione in possesso. Infatti, per quanto sopra illustrato, non si può ritenere che ci si trovi in presenza di un illecito della P.A. se non dopo la scadenza del termine stabilito dalla dichiarazione di p.u. per il compimento della procedura espropriativa.

Nella fattispecie all’esame spetta, pertanto, alla ricorrente il risarcimento del danno da occupazione illegittima (per perdita di possesso del bene), per il periodo decorrente dal momento in cui la citata occupazione è divenuta sine titulo e, quindi, come si è sopra ampiamente esposto, prendendo quale dies a quo la data del 10 dicembre 2006;
il termine finale, invece, andrà individuato o nel momento della restituzione del terreno, ricondotto in pristino stato, o nel momento in cui la P.A. acquisterà in modo legittimo la proprietà del terreno stesso.

Sul punto, si aggiunge che la giurisprudenza più recente (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970) ha indicato tre strade, tramite cui la P.A., in casi come quello in esame, può giungere alla legittima apprensione del bene:

a) il contratto, mediante l’acquisizione del consenso della controparte;

b) il provvedimento, da intendere come riedizione del procedimento espropriativo, con le garanzie conseguenti;

c) il procedimento di sanatoria, già disciplinato dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 ed ora, dopo la declaratoria di incostituzionalità del medesimo, nuovamente disciplinato dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 cit., introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito con l. 15 luglio 2011, n. 111).

Si sottolinea, inoltre, che per il periodo di occupazione legittima (dall’immissione nel possesso del terreno, avvenuta il 9 maggio 2002, fino al 10 dicembre 2006) la ricorrente può ottenere l’indennità di occupazione legittima: come ben noto, nondimeno, la relativa domanda giudiziale fuoriesce dalla giurisdizione amministrativa, per rientrare nella cognizione del giudice ordinario (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 dicembre 2014, n. 1127).

Per poter liquidare il danno da occupazione illegittima, occorre preliminarmente fissare i criteri per la quantificazione del valore del terreno di cui trattasi. Come già esposto, infatti, tale danno consiste negli interessi legali calcolati sul valore che il bene occupato aveva all’epoca in cui si è perfezionato l’illecito (dunque, si ribadisce ancora una volta, alla data del 10 dicembre 2006).

Orbene, per la suddetta quantificazione (e quindi, in ultima analisi, per la quantificazione del danno da occupazione illegittima, da liquidare alla ricorrente), il Collegio ritiene di far uso del rimedio di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a., a tenor del quale, nel caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in assenza di opposizione delle parti, stabilire i criteri, sulla cui base il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine;
nell’ipotesi di mancato accordo delle parti, o di inadempimento agli obblighi discendenti dall’accordo concluso, la determinazione della somma dovuta o l’adempimento degli obblighi rimasti ineseguiti potranno essere chiesti con il rimedio del giudizio di ottemperanza.

Andando ad applicare il rimedio de quo alla fattispecie all’esame, il Collegio ritiene che il Comune di Sora debba acquisire dall’Agenzia del Territorio competente il valore del terreno della ricorrente illegittimamente occupato, interpellando la suddetta Agenzia ed ottenendone la relativa stima in un termine che si reputa congruo fissare in novanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notificazione a cura di parte della presente pronuncia, salvo motivata proroga, da ottenersi anche tramite decreto presidenziale.

Sulla stima così ottenuta il Comune dovrà calcolare gli interessi legali per ogni anno, o frazione di anno, di occupazione illegittima (che perdura – si ripete – anche attualmente), e sommare i relativi importi, al fine di stabilire quanto complessivamente dovuto dal Comune a titolo di risarcimento del danno. La somma dovrà, poi, essere rivalutata anno per anno e sugli importi così rivalutati dovranno essere corrisposti gli interessi legali, in base ai principi generali sulla liquidazione dell’obbligazione risarcitoria, quale obbligazione di valore, secondo quanto indicato dalla giurisprudenza che si è più sopra richiamata (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, n. 456/2015, cit.).

L’importo complessivo così stabilito, comprensivo della rivalutazione monetaria e degli interessi, costituirà la somma che, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., il Comune di Sora dovrà offrire alla società ricorrente entro un termine che si ritiene congruo fissare in trenta giorni dal completamento della fase sub-procedimentale da espletare tra il Comune di Sora e l’Agenzia del Territorio, quindi al massimo entro centoventi giorni dalla comunicazione in via amministrativa ovvero, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione, salvo motivata proroga, da ottenersi anche a mezzo di decreto presidenziale. Ciò, peraltro, con l’avviso che, poiché dal deposito della sentenza il debito di valore si converte in debito di valuta, a decorrere dal deposito della presente decisione sulla somma complessivamente liquidata si dovranno computare nuovamente gli interessi legali fino all’effettivo soddisfo, cioè fino all’offerta della somma stessa.

Si ribadisce che, in caso di mancata offerta, di mancato accordo sulla somma offerta, o di mancato adempimento dell’accordo, il rimedio esperibile, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., sarà quello del giudizio di ottemperanza.

In definitiva, pertanto, il Collegio:

a) dichiara l’inefficacia del decreto di esproprio, così riqualificando la relativa impugnazione, sulla base dell’art. 32, comma 2, c.p.a.;

b) respinge la domanda di risarcimento del danno da perdita della proprietà, del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c., nonché dei danni per l’abbattimento del muro di recinzione e per la diminuzione di valore e di fruibilità delle porzioni relitte;

c) accoglie nei termini suesposti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, comma 4, c.p.a., la domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima, previa declaratoria dell’esclusiva responsabilità del Comune di Sora nella sua produzione e con esclusione di qualunque responsabilità della Solcesi S.r.l.;

d) condanna il Comune di Sora, secondo il criterio della soccombenza, al pagamento delle spese in favore della Solcesi S.r.l. nella misura liquidata nel dispositivo, compensando, invece, le spese tra la ricorrente e la stessa Solcesi S.r.l.;

e) non fa luogo a pronuncia sulle spese tra la ricorrente ed il Comune di Sora, in virtù della parziale soccombenza reciproca delle parti, che impedisce di addebitare al predetto Comune (comunque non costituito in giudizio) le spese sopportate dalla ricorrente.

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