TAR Genova, sez. II, sentenza 2021-11-11, n. 202100954
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Pubblicato il 11/11/2021
N. 00954/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00284/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 284 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, viale Sauli, n. 5/28;
contro
Ministero dell'Interno-Questura di Genova, in persona del Ministro in carica, per legge con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Genova, viale Brigate Partigiane, n. 2;
per l'annullamento
del decreto del 31.03.2020 (prot. -OMISSIS-./2020) con il quale il Questore della Provincia di Genova ha rigettato l'istanza del ricorrente di rinnovo del permesso di soggiorno per minore età con conversione in permesso per attesa occupazione;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell'Interno-Questura di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2021 il dott. Alessandro Enrico Basilico e viste le conclusioni delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorrente ha impugnato il diniego di conversione del permesso di soggiorno già rilasciatogli per “minore età”, in un titolo per “attesa occupazione”, chiedendo altresì la concessione di misure cautelari.
2. Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’interno, resistendo all’impugnativa.
3. Il ricorrente ha altresì riproposto in sede giurisdizionale l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato già dichiarata inammissibile in sede amministrativa.
4. Con ordinanza n. 116 del 2021, è stata sospesa l’efficacia del provvedimento impugnato.
5. All’udienza pubblica del 29.09.2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. In via pregiudiziale, è doveroso verificare la tempestività dell’impugnativa, dunque la ricevibilità del ricorso, dato che lo stesso ricorrente dà atto del fatto che l’Amministrazione abbia quantomeno tentato di notificare il provvedimento (emesso il 31.03.2020), ma sostiene di non averlo mai ricevuto e di averne avuto piena conoscenza solo a seguito dell’accesso agli atti, avvenuto l’08.04.2021.
7. A tal proposito, dall’avviso di ricevimento (allegato dalla Questura al provvedimento trasmesso via e-mail l’08.04.2021 e prodotto dal ricorrente quale doc. 2), e in particolare dalla nota apposta dall’operatore postale, risulta che la notificazione sia avvenuta ai sensi dell’art. 108, co. 1-bis, del d.l. n. 18 del 2020 (conv. in l. n. 28 del 2020).
La norma, nel testo vigente al momento in cui sarebbe avvenuta la notificazione, ha previsto delle “misure urgenti per lo svolgimento del servizio postale” (così la rubrica) nel periodo di maggior diffusione della pandemia da Covid-19, disponendo, con specifico riferimento ai servizi di notificazione a mezzo posta, che gli operatori postali avessero la facoltà di procedere alla consegna « con il deposito in cassetta postale dell'avviso di arrivo della raccomandata o altro atto che necessita di firma per la consegna », aggiungendo che, in questo caso, « il ritiro avviene secondo le indicazioni previste nell'avviso di ricevimento ».
Al fine di evitare un contatto diretto tra l’operatore postale e il destinatario della spedizione, il legislatore ha previsto una procedura del tutto assimilabile a quella prevista dall’art. 8 della legge n. 890 del 1982.
Se si legge l’art. 108, co. 1, bis, del d.l. n. 18 del 2020 in coerenza con la legge n. 890 del 1982 – e con la giurisprudenza formatasi su di essa – si deve concludere che, nella specie, il tentativo di notificazione non sia stato idoneo a portare l’atto a conoscenza del destinatario – o comunque a produrre quell’effetto di “conoscenza legale” che è proprio della notificazione regolarmente eseguita – per le seguenti ragioni: in primo luogo, l’avviso non è « compilato in ogni sua parte », come richiesto dall’art. 4 della legge n. 890 del 1982 (non essendo indicato l’ufficio postale di spedizione);inoltre manca il timbro postale, il quale fa fede ai fini della regolarità della notificazione (in questi termini si v. Cass. civ., sez. VI, sent. n. 24666 del 2018 e precedenti ivi citati);infine, non sono specificate le indicazioni per il ritiro, come richiesto dalla normativa emergenziale.
Non essendovi dunque prova della notificazione o comunque della piena conoscenza del provvedimento in data anteriore all’08.04.2021, giorno in cui il ricorrente ha avuto accesso agli atti del procedimento, l’impugnativa deve ritenersi tempestiva e ricevibile.
8. Ai fini dell’esame del merito, è opportuno premettere che l’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che, al compimento della maggiore età, lo straniero che soggiorni in Italia in forza di un titolo rilasciato per “minore età” ai sensi del precedente art. 31, possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi, tra l’altro, di accesso al lavoro, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri istituito e regolato dal successivo art. 33 (le cui funzioni sono state poi devolute alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
9. Nella specie, il provvedimento censurato, sebbene faccia un generico riferimento alla commissione di diversi reati contro il patrimonio da parte dello straniero, si fonda proprio sulla mancanza del parere positivo del Comitato per i minori stranieri previsto dall’art. 33 del d.lgs. n. 286 del 1998, che la Questura afferma essere « requisito ineludibile » per la conversione del permesso di soggiorno per “minore età” in un titolo per accesso al lavoro.
10. Con unico motivo di ricorso, articolato in vari profili di censura, il ricorrente deduce: violazione e/o falsa applicazione dell’art. del d.lgs. n. 286 del 1998;difetto d’istruttoria ed erroneità dei fatti posti a base del provvedimento impugnato;difetto di motivazione;eccesso di potere.
In sostanza, si contesta all’Amministrazione di non aver svolto un’istruttoria adeguata sul percorso d’integrazione compiuto dal ricorrente e di non aver richiesto d’ufficio il parere del Comitato, della cui acquisizione non potrebbe essere onerato il privato.
11. Il motivo è fondato, perché, come afferma una giurisprudenza ormai consolidatasi, il parere del Comitato per i minori stranieri (oggi della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali) costituisce un atto endoprocedimentale, pertanto è onere dell’Amministrazione procedente acquisirlo, con la conseguenza che la sua mancanza non può di per sé sola comportare il rigetto dell’istanza, come se ottenerlo e produrlo fosse un adempimento a carico del richiedente (tra le tante, si v.: TAR Umbria, sent. n. 492 del 2020;TAR Lombardia, Milano, sent. n. 1166 del 2018).
12. La novità e particolare complessità della questione di ricevibilità del ricorso giustifica la compensazione delle spese di lite.
13. Il Collegio è infine chiamato a pronunciarsi sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, già dichiarata inammissibile dalla competente commissione.
14. L’istanza è fondata.
Oltre alla non manifesta infondatezza (anzi, alla fondatezza) del ricorso, sussiste inoltre il requisito reddituale previsto dall’art. 76 del DPR n. 115 del 2002, avendo il ricorrente presentato un’autocertificazione in cui ha dichiarato di non aver prodotto redditi negli anni 2018-2020 e di non essere titolare di alcun bene mobile o immobile, tanto in Italia, quanto nel Paese d’origine (Albania).
Lo stesso diniego della commissione si è fondato prima sulla mancanza della certificazione dell'autorità consolare che attestasse la veridicità dell’autocertificazione dell’interessato richiesta dall’art. 79, co. 2, del DPR n. 115 del 2002 (decreto del 23.04.2021), poi sull’inidoneità della nota rilasciata dal Consolato della Repubblica d’Albania di Milano, in quanto questo si era limitato ad affermare di non disporre di alcuna informazione relativamente alla situazione patrimoniale, al possesso di redditi, di beni immobili o beni mobili del ricorrente, senza pertanto assumere alcuna responsabilità in merito al contenuto della sua dichiarazione (decreto del 07.05.2021).
In seguito, tuttavia, è stata pronunciata la sentenza n. 157 del 2021 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 79, co. 2, del DPR n. 115 del 2002 « nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, in caso di impossibilità a presentare la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione ».
Il Giudice delle leggi ha altresì precisato, anche con richiami alla giurisprudenza della Corte di cassazione, che l’« impossibilità » di produrre la documentazione – in presenza della quale si “riespande” la facoltà del privato di avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione – deve essere intesa « in senso relativo » ed è « desumibile in via presuntiva dalla circostanza che “il richiedente si sia utilmente e tempestivamente attivato per ottenere le previste certificazioni” (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 26 maggio 2009, n. 21999) ».
Questo è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui il ricorrente ha appunto presentato la richiesta di certificazione al Consolato, ricevendone tuttavia una risposta interlocutoria.
Ne deriva quindi che il ricorrente deve essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.