TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2018-08-28, n. 201805276
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Pubblicato il 28/08/2018
N. 05276/2018 REG.PROV.COLL.
N. 04691/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4691 del 2017, proposto da
G M, rappresentata e difesa dall'avv. F B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P Kivel Mazuy in Napoli, viale Gramsci, n. 10 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Santa Maria a Vico, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. L D P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Psco in Napoli, via Toledo, n. 156 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Vincenzo Crispo, Maria Nuzzo, Nicola Basilicata, Luigi Basilicata, Angelo Basilicata - non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
“1) della determinazione n. 584 Registro Generale e n. 62 Registro del Settore di annullamento in autotutela, ai sensi dell'art. 21 nonies della Legge n.241/90 e ss. mm. e ii., dei permessi a costruire n.1/2007 e n.5/2007 rilasciati alla sig.ra M Giulia, emessa il 25.7.2017 e notificata il 1°.9.2017, con la quale il Responsabile del Settore Urbanistica - Edilizia - Cimiteri - Patrimonio del Comune di Santa Maria a Vico (CE), nella persona dell'Arch. De Lucia Luigi, ha annullato: a)il permesso a costruire n. 1/07 rilasciato dal Comune di Santa Maria a Vico (CE) alla sig.ra M Giulia il 2.1.2007 per eseguire i lavori di manutenzione straordinaria (sostituzione solaio di copertura al locale di sgombero al piano piano terra) sul fabbricato di Via Tredici Monaci;b)il permesso a costruire n. 5/07 rilasciato dal Comune di Santa Maria a Vico alla sig.ra M Giulia il 18.1.2007 per eseguire i lavori di recupero abitativo del sottotetto esistente sul fabbricato di Via Tredici Monaci ai sensi della Legge Regionale n.15/2000;
2) della comunicazione dell'avvio del procedimento volto all'annullamento dei permessi a costruire n.1/2007 e n.5/2007 rilasciati alla sig.ra M Giulia, notificato il 9.3.2017, firmato dal Responsabile del Settore Urbanistica - Edilizia - Cimiteri - Patrimonio del Comune di Santa Maria a Vico (CE), nella persona dell'Arch. De Lucia Luigi;
3) della relazione protocollo n. 7822 del 7.6.2011 del V° Settore Lavori Pubblici-Terremoto del Comune di Santa Maria a Vico, riportata integralmente nella determinazione indicata al precedente punto 1, avente ad oggetto: “Lavori di riparazione del fabbricato danneggiato da eventi sismici del nov. 80 e successivi. RELAZIONE. PRATICA N.51 del protocollo speciale L. 219/81” a firma del responsabile del procedimento Geom. De Lucia Clemente e di ogni altro atto connesso, presupposto, preparatorio e conseguenziale;
NONCHE’
per la condanna al risarcimento dei danni, con vittoria di spese e compensi.”
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Maria a Vico;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2018 la dott.ssa R G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
G M espone in fatto di aver acquistato da C V, in data 1° dicembre 2004, in regime di comunione legale con il marito, un fabbricato sito in Santa Maria a Vico, alla Via Tredici Monaci, composto da sei vani e mezzo catastali tra piano terra, primo piano e piano seminterrato, censito nel C.U. del Comune di Santa Maria a Vico al foglio 14, mappale 5116.
Riferisce che, in riferimento al predetto fabbricato, il citato Comune, rispettivamente in data 2 gennaio 2007 e in data 18 gennaio 2007, le aveva rilasciato i permessi di costruire n. 1/07 per eseguire lavori di manutenzione straordinaria e n. 5/07 per lavori di recupero abitativo del sottotetto esistente.
Con ordinanza n. 113 del 22 dicembre 2011 l’ente locale resistente aveva disposto nei suoi confronti la demolizione del suddetto immobile. Tale ordinanza era stata annullata da questa Sezione con la sentenza n. 2095 dell’8 maggio 2012, in accoglimento del ricorso proposto dalla ricorrente, in quanto il Comune, prima di adottare l’ingiunzione demolitoria, avrebbe dovuto procedere al ritiro in autotutela dei citati permessi a costruire.
Parte ricorrente espone, infine, che il Comune di Santa Maria a Vico, dopo avere comunicato l’avvio del procedimento volto all’annullamento dei permessi di costruire n. 1/07 e n. 5/07, in riscontro al quale ella aveva prodotto le relative osservazioni, con determinazione Registro Generale n. 584 e Registro del Settore n. 62, emessa il 25 luglio 2017 e notificata il 1° settembre 2017, aveva disposto l’annullamento in autotutela di detti permessi a costruire, ai sensi dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/90.
G M ha, quindi, proposto il presente ricorso, ritualmente notificato in data 31 ottobre 2017 e depositato il 24 novembre 2017, con il quale ha chiesto l’annullamento della suddetta determinazione Registro Generale n. 584 e Registro del Settore n. 62, emessa il 25 luglio 2017 nei suoi confronti dal Comune di Santa Maria a Vico, nonché degli altri atti specificati in epigrafe.
A sostegno del gravame ha dedotto le seguenti censure:
1 Violazione dell’art.7 della legge n. 241/1990 in quanto il provvedimento impugnato si fonderebbe anche sulla asserita nullità del titolo di proprietà, circostanza non contenuta nella comunicazione di avvio del procedimento.
2 Difetto di motivazione e violazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della legge n.241/1990.
Parte ricorrente assume che il Comune resistente avrebbe omesso di valutare le osservazioni contenute nella memoria partecipativa da ella presentata e di fornire puntale ed adeguata ragione in ordine al mancato accoglimento delle stesse.
3 Violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto ed incompletezza dell’istruttoria e della motivazione per mancata ponderazione degli interessi.
Premesso che, al fine della pronuncia di annullamento di un provvedimento, non sarebbe sufficiente la illegittimità del provvedimento stesso occorrendo il concorso di una serie di diversi ed ulteriori requisiti [e specificatamente: a) la sussistenza di concrete ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto pretesamene illegittimo;b) il fatto che l’azione di secondo grado si svolga “entro un termine ragionevole”;c) la ponderazione dell’interesse pubblico all’annullamento con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati], parte ricorrente sostiene che nel caso di specie difetterebbero tutti i suddetti presupposti.
4 Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 non risultando soddisfatto l’obbligo di motivazione in difetto di una precisa, chiara e dettagliata indicazione degli articoli di legge in base ai quali il fabbricato doveva essere demolito e in riferimento alla nullità del suo atto di acquisto, con conseguente lesione del suo diritto di difesa.
5 Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per mancanza di adeguata motivazione, incompletezza dell’istruttoria ed eccesso di potere per assoluta insussistenza delle condizioni di obbligatorietà della demolizione del fabbricato in questione.
Parte ricorrente lamenta che il Comune non avrebbe precisato se l’immobile all’attualità si trovasse in una situazione di inagibilità e non recuperabilità tali da rendere obbligatoria la demolizione a tutela della pubblica incolumità. Peraltro sostiene di aver provveduto a rinforzare e ristrutturare il fabbricato di sua proprietà.
6 Violazione di legge ed eccesso di potere per inesistenza e/o inefficacia ed inopponibilità dell’asserito obbligo di demolizione nei confronti dell’odierna ricorrente, rivestendo ella ricorrente la qualifica di terzo acquirente di buona fede, né sussisterebbe la dedotta nullità dell’atto di acquisto dell’immobile per cui è causa.
7 Violazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 ed eccesso di potere in quanto in sede di rilascio dei titoli edilizi l’Amministrazione comunale sarebbe tenuta soltanto a verificare se in capo al richiedente sussista un titolo sostanzialmente idoneo a costituire la posizione legittimante, senza compiere alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta la relativa istanza.
8 In via del tutto subordinata, nella ipotesi il provvedimento impugnato sia ritenuto legittimo, parte ricorrente chiede l’integrale risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, nonché morali, subiti e subendi, alla reputazione personale, nonché alla salute, compresi quello biologico e quello esistenziale, a seguito ed a causa del comportamento del Comune di Santa Maria a Vico.
Con ordinanza n. 1926 del 7 dicembre 2017 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare ed ha fissato l'udienza pubblica del 30 maggio 2018 per la discussione del ricorso nel merito “ CONSIDERATO che, ad un primo esame sommario proprio della fase cautelare, emergono profili che inducono a ritenere fondato il ricorso tenuto conto:
- che l'annullamento d'ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un'espressa motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, ai sensi dell'art. 21 nonies della L. n. 241/1990, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che non si rinviene nel caso di specie;
- allo stato difettano elementi convincenti circa l’asserita nullità del contratto traslativo della proprietà in capo alla ricorrente; ”.
Parte ricorrente ha prodotto documentazione e una memoria per l’udienza di discussione.
Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Santa Maria a Vico deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone, pertanto, il rigetto.
La M ha prodotto note di replica nelle quali ha eccepito la tardività e la conseguente inutilizzabilità della costituzione in giudizio e della produzione documentale dell’Amministrazione resistente, in quanto depositate il 27 aprile 2018 e, quindi, oltre il termine perentorio previsto dall’art. 73 c.p.a., di quaranta giorni liberi anteriori all’udienza di discussione fissata per il 30 maggio 2018.
All’udienza pubblica del 30 maggio 2018 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Il Collegio deve innanzitutto pronunciarsi, in rito, in relazione alla costituzione in giudizio del Comune di Santa Maria a Vico.
Al riguardo va evidenziato che, nel processo amministrativo, il termine di costituzione delle parti intimate, stabilito dall'art. 46 c.p.a., non ha carattere perentorio, essendo ammissibile la costituzione della parte sino all'udienza di discussione del ricorso. Tuttavia, nel caso di costituzione avvenuta in prossimità dell’udienza, la parte incorre nelle preclusioni e nelle decadenze dalle facoltà processuali di deposito di memorie, documenti e repliche ove siano decorsi i termini di cui al precedente art. 73 comma 1, c.p.a., con la conseguenza che, in tale ipotesi, la costituzione è ammessa nei limiti delle difese orali, dovendo il giudice ritenere non utilizzabili ai fini del decidere le memorie ed i documenti depositati tardivamente ( ex multis : Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 25 febbraio 2013, n.5;Consiglio di Stato, sez. III, 13 novembre 2015 n. 5199;Cons. Stato, Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1335;T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 13 gennaio 2016 n. 130;Consiglio di Stato sez. III 15 marzo 2016 n. 1038, T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. III, 20 aprile 2016, n. 245).
Dunque, se, per un verso, il termine per la costituzione in giudizio previsto dall’art. 46 c.p.a. ha carattere ordinatorio, di contro, i termini fissati dall'art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio e sono sottratti alla disponibilità delle parti (TAR Campania, Napoli, Sezione VIII, 23 gennaio 2017, n. 450, 28 agosto 2017, n. 4125).
A questo riguardo, non può che ricordarsi come la giurisprudenza sia consolidata nel ritenere che i termini fissati dall'art. 73 c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti abbiano carattere perentorio, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1335, TAR Campania, Napoli, Sezione VI, 11 ottobre 2016, n. 4661).
La giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, ha puntualizzato che, sebbene in generale i termini previsti dall'art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito in giudizio di documenti e memorie siano perentori e, in quanto tali, non possono essere superati neanche ove sussistesse accordo delle parti, tuttavia il loro deposito tardivo deve ritenersi ammesso in via del tutto eccezionale nei casi di dimostrazione dell'estrema difficoltà di produrre l'atto nei termini di legge, così come previsto dall'art. 54, comma 1, dello stesso codice del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez IV, n. 916 del 2013, TAR Campania, Napoli, Sezione VIII, 23 gennaio 2017, n. 450, 28 agosto 2017, n. 4125 cit.).
Applicando le coordinate giurisprudenziali sopra tracciate, in applicazione dell’art. 73, comma 1, c.p.a., occorre rilevare che nel caso di specie la produzione documentale dell’Amministrazione resistente, in quanto depositata il 27 aprile 2018 e, quindi, oltre il termine perentorio di quaranta giorni liberi anteriori all’udienza di discussione fissata per il 30 maggio 2018, deve ritenersi tardiva. Tuttavia, avendo il Comune di Santa Maria a Vico depositato soltanto il provvedimento impugnato, documento già presente nel fascicolo giudiziale, la eccepita tardività non assume rilevanza non producendo alcun effetto pratico.
Deve invece ritenersi rispettato il termine di 30 giorni per la memoria difensiva del Comune di Santa Maria a Vico del 27 aprile 2018, in quanto prodotta entro il giorno di scadenza di sabato 28 aprile 2018.
Passando ad esaminare il merito del ricorso, esso è fondato e, pertanto, va accolto.
Colgono nel segno le censure di cui al terzo motivo di ricorso, con le quali parte ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, il vizio di eccesso di potere per difetto ed incompletezza dell’istruttoria e della motivazione per mancata ponderazione degli interessi.
Premesso che, al fine dell’annullamento in autotutela di un provvedimento, non sarebbe sufficiente la illegittimità del provvedimento stesso occorrendo, a suo avviso, il concorso di una serie di diversi ed ulteriori requisiti [e specificatamente: a) la sussistenza di concrete ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto pretesamene illegittimo;b) il fatto che l’azione di secondo grado si svolga “entro un termine ragionevole”;c) la ponderazione dell’interesse pubblico all’annullamento con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati], parte ricorrente sostiene che nel caso di specie difetterebbero tutti i suddetti presupposti.
In punto di diritto l’art. 21-nonies, che disciplina l’annullamento d’ufficio, dispone:
“ 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 ”.
In particolare, con riguardo ai titoli edilizi, i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d'ufficio devono rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'articolo 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità, da compararsi con i contrapposti interessi dei privati, entro un termine ragionevole - termine che l’art. 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124 ha da ultimo fissato in via di principio in diciotto mesi -.
La norma di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 prevede dunque che al fine di procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo la P.A. necessita di un triplice ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo, che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino l'annullamento e che il tutto avvenga entro un termine ragionevole (TAR Campania, Napoli, Sezione VIII, 14 novembre 2017, n. 5366). L'esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati presupposti.
Nel caso di specie, come condivisibilmente sostenuto da parte ricorrente, difettano i presupposti necessari al fine della pronuncia di annullamento di un provvedimento, e specificatamente: a) la sussistenza di concrete ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto pretesamene illegittimo;b) il fatto che l’azione di secondo grado si svolga “entro un termine ragionevole”;c) la ponderazione dell’interesse pubblico all’annullamento con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Né può ritenersi che il provvedimento impugnato sia stato adottato in esecuzione della sentenza del TAR Napoli, Sezione VIII, 8 maggio 2012, n. 2095, richiamata nel provvedimento impugnato, in quanto tale sentenza ha chiaramente statuito che “… secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, condiviso da questa Sezione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 4 novembre 2009 n. 6868), prima di adottare l’ingiunzione demolitoria, il Comune avrebbe dovuto procedere al ritiro in autotutela dei citati permessi di costruire in conformità ai quali la esponente ha proceduto alla realizzazione dei lavori edilizi che, in quanto mai annullati, godono di presunzione di legittimità; ”. Pertanto il Tribunale ha solo rappresentato in astratto la necessità di adottare il provvedimento di autotutela prima di quello di demolizione – quale condizione per l’adozione del secondo –, ma non ha accertato in concreto che nel caso di specie concorressero i requisiti di legge per l’esercizio del potere di autotutela.
Di conseguenza deve ritenersi che nel momento dell’adozione dell’atto stesso, in sede di riesercizio del potere a seguito della suddetta sentenza di annullamento, il Comune avrebbe dovuto verificare in concreto l’esistenza di tutti presupposti richiesti dal citato art. 21 nonies.
Il Collegio, condividendo l’orientamento giurisprudenziale anche di questa Sezione, ritiene che l'annullamento d'ufficio del permesso di costruire richieda necessariamente un'espressa motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante , ai sensi dell'art. 21 nonies della L. n. 241/1990, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della P.A., entro un termine ragionevole, non essendo, pure nella materia edilizia, sufficiente l'intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 24 aprile 2017, n. 2227, 3 gennaio 2017, n. 60, 4 gennaio 2017, n. 65, T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 1602;T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 24 febbraio 2016, n. 446, Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2468, Cons. Stato sez. III 4 maggio 2012 n. 2567).
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa, sulla base della premessa che l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo dev’essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, ha chiarito che l’apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto oggetto del procedimento di autotutela.
A ben vedere, infatti, l’identificazione dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto viziato nelle medesime esigenze di tutela implicate dalla norma violata con lo stesso, si risolve in ogni caso nella (inammissibile) coincidenza del presupposto vincolante, consistente nell’invalidità del provvedimento originario, con l’ulteriore e diversa condizione (secondo l’assetto regolativo di riferimento) della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione d’ufficio.
Sennonché, tale esegesi dev’essere rifiutata nella misura in cui si risolve nella pratica disapplicazione della parte del precetto che esige la ricorrenza dell’ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) condizione della sussistenza dell’interesse pubblico attuale alla eliminazione del provvedimento viziato e, quindi, all’elisione dei suoi effetti giuridici.
Perché la norma abbia un senso è necessario, in altri termini, non solo che l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato non coincida con la mera esigenza della restituzione all’azione amministrativa della legalità violata, ma anche che l’invocato interesse pubblico non si risolva nella semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative sottese all’ordine giuridico infranto: una motivazione siffatta finirebbe logicamente proprio per esaurire l’apprezzamento del presupposto discrezionale in un esame del mero riscontro della condizione vincolante (l’illegittimità dell’atto da annullare d’ufficio), con un palese (e inammissibile) tradimento della chiara volontà del legislatore.
Una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa consacrata nel testo dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 deve, quindi, spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 gennaio 2017 n. 341, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 14 novembre 2017, n. 5366).
Nel caso in esame, al contrario, il Comune resistente non ha fornito alcuna ragione, per quanto succinta, di interesse pubblico in base alla quale giustificare l’esercizio del potere di autotutela, né ha valutato il grado di incisione del suddetto potere sugli interessi della ricorrente, in bilanciamento con quelli pubblici. In effetti, dopo aver rappresentato i motivi posti alla base dell’illegittimità dei titoli edilizi oggetto di annullamento, l’Amministrazione si è limitata a rappresentare di “ … poter procedere all'emanazione del provvedimento definitivo di annullamento di cui all'oggetto, ricorrendone i presupposti, esaurientemente riportati nell'avvio del procedimento e nel presente provvedimento; ”.
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, ne consegue che la suddetta motivazione si rivela del tutto insufficiente a legittimare la misura di autotutela, non avendo il Comune di Santa Maria a Vico fornito alcuna argomentazione concreta circa le ragioni dell’attualità dell’esigenza della reintegrazione di quei valori (in relazione alla situazione di fatto prodottasi per effetto dell’attuazione dei titoli edilizi originari) né nella comunicazione di avvio del procedimento e neppure nel provvedimento conclusivo, né ha valutato il grado di incisione del suddetto potere sugli interessi dei ricorrenti, in bilanciamento con quelli pubblici. Nella specie manca il requisito rappresentato dalla valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del provvedimento.
Ed invero, come prospettato dalla M, l’ente locale resistente avrebbe dovuto tenere conto della circostanza che ella ricorrente fosse terza acquirente in buona fede.
Al riguardo, in particolare, parte ricorrente ha prodotto in giudizio il contratto, stipulato in data 1° dicembre 2004, dal quale risulta che ella aveva acquistato l’immobile per cui è causa, in regime di comunione legale con il marito, da C V, che a sua volta lo aveva acquistato dai precedenti proprietari dell’immobile, N M e figli (in qualità di eredi di Basilicata G). Questi ultimi erano stati autorizzati alla ricostruzione fuori sito del fabbricato, danneggiato dagli eventi sismici del 1980, su un terreno di loro proprietà in via Macello, ed erano stati perciò destinatari del relativo contributo pubblico, come risulta dalla relazione prot. n. 7822/2011, allegata al provvedimento impugnato.
Nel predetto atto di compravendita, e specificatamente nella parte relativa alle Dichiarazioni sulla disciplina urbanistica, C V ha dichiarato “ …che l’opera relativa al fabbricato in oggetto è stata iniziata in data anteriore al primo semestre 1967. Dichiara altresì: che, successivamente l’immobile di cui al presente atto non è stato oggetto di interventi edilizi o mutamenti di destinazione che avrebbero richiesto il rilascio di licenza, concessione, autorizzazione o permesso di costruire… ”.
Avendo, pertanto, l’alienante reso formale dichiarazione circa la regolarità edilizia dell’immobile – così come prescritto dalla legge –, e difettando agli atti del giudizio elementi di segno contrario, deve presumersi che la ricorrente ignorasse le vicende pregresse dell’immobile stesso, quale che ne fosse la sorte giuridica. Di conseguenza, contrariamente a quanto prospettato dal Comune resistente, non può sostenersi che la M abbia reso una infedele o inesatta rappresentazione della realtà di fatto, dovendosi di contro ritenere che ella sia una acquirente in buona fede e che per questo abbia dichiarato di essere proprietaria dell’immobile per cui è causa confidando legittimamente nella dichiarazione di conformità edilizia resa dal venditore nell’atto di compravendita notarile. A ciò aggiungasi che, di contro, le vicende legate all’immobile erano comunque note all’Amministrazione, che aveva gestito tutte le relative pratiche, sia quelle relative al contributo concesso agli originari proprietari, sia quelle relative ai diversi titoli edilizi concernenti l’immobile stesso.
In ogni caso deve ritenersi che il provvedimento di autotutela sia stato adottato oltre il termine ragionevole di 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990.
Ed invero, anche a voler seguire l’orientamento del Consiglio di Stato, alla luce del quale rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi decorre a far data dall’entrata in vigore della l. n. 124 del 2015 - 28 agosto 2015 - (in tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462, Sez. V, 19 gennaio 2017, n. 250), la determinazione Registro Generale n. 584 e Registro del Settore n. 62, emessa il 25 luglio 2017, risulta certamente tardiva.
Né può ritenersi che il termine di 18 mesi non si applichi nel caso di specie, come pure adombrato dal Comune di Santa Maria a Vico, ai sensi del comma 2-bis del medesimo articolo 21-nonies, che prevede, in presenza di specifici presupposti, la possibilità di procedere ugualmente all’annullamento ex officio . Ciò per il risolutivo rilievo che non sussistono le circostanze di cui alla suddetta disposizione normativa ed in particolare la falsa rappresentazione di fatti, alla luce di quanto sopra esposto in merito alla ritenuta buona fede della M e all’autonoma conoscenza, in capo all’Amministrazione comunale, della condizione giuridica dell’immobile in questione.
Alla luce della tardività del provvedimento oggetto di impugnazione, e della conseguente consumazione del potere di intervenire in autotutela, il Collegio è esonerato dall’approfondire la questione dell’asserita nullità del contratto traslativo della proprietà in capo alla ricorrente, questione che avrebbe richiesto un’apposita istruttoria in merito.
Conclusivamente deve ritenersi che la disciplina di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 sia stata illegittimamente applicata dal Comune di Santa Maria a Vico, sicché i profili di illegittimità dedotti con le sopra illustrate censure hanno una indubbia valenza assorbente rispetto agli altri motivi di gravame, con conseguente accoglimento del ricorso relativamente alla domanda di annullamento della determinazione Registro Generale n. 584 e Registro del Settore n. 62, emessa il 25 luglio 2017.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, vanno disposte a carico di parte resistente, nell’importo liquidato in dispositivo.