TAR Genova, sez. I, sentenza 2016-07-29, n. 201600907

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. I, sentenza 2016-07-29, n. 201600907
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201600907
Data del deposito : 29 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/07/2016

N. 00907/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00814/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 814 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da L L C srl con sede a Genova in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati G G, I G e professor D G, con domicilio eletto presso i primi due a Genova in via Roma 11.1;

contro

Autorità portuale di Genova in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, con domicilio presso l’ufficio;

nei confronti di

Amico &
co srl con sede a Genova in persona del legale rappresentante in carica
Consorzio assistenza nautica del porto di Genova srl con sede a Genova in persona del legale rappresentante in carica
Genoa Service srl con sede a Genova in persona del legale rappresentante in carica
Gatti srl con sede a Genova in persona del legale rappresentante in carica
tutte rappresentate e difese dagli avvocati professor Francesco Munari e Fabio Tirio, con domicilio eletto a Genova in largo san Giuseppe 3/23b;

per l'annullamento

CON IL RICORSO INTRODUTTIVO

dell’atto 1.7.2015, n. 107 dell’autorità portuale di Genova nella parte in cui chiarisce trattarsi di una determinazione interinale ai fini dello sgombero dell’area demaniale

della nota 23.6.2015, n. 0015351 dell’autorità portuale di Genova

del provvedimento 4.8.2015, n. 18374 dell’autorità portuale di Genova

del provvedimento 4.8.2015, n. 18373 dell’autorità portuale di Genova

dei verbali 18.11.2014 e 5.3.2015 della conferenza dei servizi

della deliberazione 30.6.2015, n. 45/2/2015 del comitato portuale

CON IL

RICORSO DEPOSITATO IL

27.1.2016

del decreto 12.1.2016, n. 3 del commissario straordinario dell’autorità portuale di Genova

della deliberazione 23.12.2015, n. 84.5.4.2015 del comitato portuale

CON IL

RICORSO DEPOSITATO IL

25.3.2016

del decreto 18.2.2016, n. 165 del commissario straordinario del porto di Genova

CON IL RICORSO INCIDENTALE

dell’atto 1.7.2015 n. 107 dell’autorità portuale di Genova


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio dell’autorità portuale e delle società controinteressate

visti gli atti notificati contenenti rispettivamente motivi aggiunti e ricorso incidentale

viste le proprie ordinanze 24.9.2015, n. 223 e 12.2.2016, n. 36

viste le ordinanze 8.4.2016, n 1197 e 1236 del consiglio di Stato

visti gli atti e le memorie depositate;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2016 il dott. P P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L L C srl si ritenne lesa dagli atti indicati nell’epigrafe per il cui annullamento notificò il ricorso 9.9.2015, depositato il 17.9.2015, con cui deduceva:

Illegittimità derivata

Violazione degli artt. 36 e 37 cod. nav. e dei principi in materia di rilascio delle concessioni demaniali marittime, difetto del presupposto attuale e dell’istruttoria, travisamento e sviamento di potere.

Violazione sotto diverso aspetto degli artt. 36 e 37 cod. nav., della legge 28.1.1994, n. 84, difetto del presupposto, difetto dell’istruttoria e della motivazione, illogicità, contraddittorietà, travisamento.

Eccesso di potere per sviamento.

Illegittimità propria con riguardo particolare al provvedimento 4.8.2015, n. 18374/P.

Violazione dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990, n. 241 con riferimento agli artt. 8 e 9 della legge 84 del 1994, difetto dell’istruttoria, violazione delle regole del giusto procedimento, sviamento.

Violazione delle regole comunitarie sull’evidenza pubblica e derivanti dal d.lvo 12.4.2006, n. 163, violazione del principio del giusto procedimento, mancata predeterminazione dei criteri di valutazione, perplessità, sviamento di potere.

Violazione sotto diverso profilo degli artt. 36 e seguenti cod. nav., degli artt. 46 comma 2 e 47 cod. nav., travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, ingiustizia grave e manifesta.

Violazione dell’art. 36 cod. nav., dei principi comunitari di non discriminazione, parità di trattamento e libera concorrenza, travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, ingiustizia grave e manifesta.

Violazione dell’art. 36 cod. nav sotto diverso profilo, travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, sviamento di potere.

Violazione dell’art. 36 cod. nav. sotto ulteriore profilo, travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione, sviamento di potere.

Violazione degli artt. 37, 42 e 46 cod. nav., difetto del presupposto dell’istruttoria e della motivazione

Con riguardo alla licenza 1.7.2015, n. 107

Violazione degli artt. 36 e 37 cod. nav. e dei principi in materia di rilascio delle concessioni demaniali marittime, degli artt. 8 e 9 della legge 84 del 1994, difetto dell’istruttoria e sviamento di potere.

Le società controinteressate si sono costituite in causa con memoria depositata il 18.9.2015, ed hanno allegato una difesa il 21.9.2015.

Anche l’autorità portuale di Genova si è costituita in causa con memoria, ed ha allegato difese e documenti.

Con ordinanza 24.9.2015, n. 223 il tribunale ha respinto la domanda cautelare proposta.

Con atto depositato il 23.10.2015 le società controinteressate hanno impugnato in via incidentale la concessione per licenza 1.7.2015, n. 9165 dell’autorità portuale di Genova e la presupposta nota del presidente 23.6.2015, n. 15351/P. I motivi:

eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti e carenza istruttoria, violazione dell’art. 46 cod. nav., violazione dell’art. 37 cod. nav., del principio di proficua utilizzazione del demanio, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà e perplessità, violazione dell’art. 97 cost. dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

Con successivo atto depositato il 11.11.2015 parte ricorrente ha proposto i motivi aggiunti che seguono, deducendo:

violazione sotto diverso profilo degli artt. 36 e seguenti cod. nav., travisamento, difetto del presupposto, dell’istruttoria e della motivazione.

Con ulteriore atto notificato il 21.1.2016, depositato il 27.1.2016, parte ricorrente ha chiesto l’annullamento anche del decreto 12.1.2016, n. 3 del commissario straordinario dell’autorità portuale e della pregressa delibera del comitato portuale, lamentando:

illegittimità derivata.

Illegittimità in via propria. Violazione dell’art. 54 cod. nav., illogicità, travisamento, difetto del presupposto.

Tutte le parti hanno depositato ulteriori difese, e con ordinanza 12.2.2016, n. 36 il tribunale ha accolto la domanda cautelare proposta.

Con un ulteriore ricorso notificato il 16.3.2016, depositato il 25.3.2016, la ricorrente ha chiesto l’annullamento anche del decreto 18.2.2016, n. 165 del commissario straordinario dell’autorità portuale e della delibera comitale presupposta, deducendo:

illegittimità derivata e propria

violazione degli artt. 42 e 43 cod. nav., illogicità, travisamento, difetto di presupposto.

Violazione sotto diverso profilo degli artt. 42 e 43 cod. nav., difetto del presupposto e della motivazione, contraddittorietà.

Le parti hanno depositato nuove difese.

Con ordinanza 12.2.2016, n. 36 il tribunale amministrativo ha sospeso l’esecuzione degli atti impugnati con i motivi aggiunti depositati il 27.1.2016.

Con ordinanze 8.4.2016, n 1197 e 1236 il consiglio di Stato ha dichiarato l’estinzione del giudizi cautelari pendenti tra le parti in grado di appello.

Le parti hanno depositato le memorie conclusionali e di replica oltre a documenti.

Il contendere riguarda gli atti dell’autorità portuale di Genova con cui è stato disposto in merito alla successione nella concessione demaniale marittima che in precedenza era utilizzata dalla Marina Yacht Shipyard Genoa srl (MYSG): tale società fu dichiarata fallita dal tribunale di Genova, e la curatela si attivò per alienare sollecitamente le attività esistenti indicendo una gara debitamente assentita dal comitato dei creditori per individuare i soggetti interessati ad acquistare i beni della massa.

L’esperimento ebbe successo, alla società oggi interessata venne attribuito l’intero compendio subastato, e l’avente diritto chiese ed ottenne di subentrare nella concessione demaniale che costituiva il cespite di maggior valore del compendio già della MYSG;
la prima contestazione è derivata dal titolo assentito dall’autorità portuale, che ha considerato la fattispecie come un’ipotesi di successione in un titolo già esistente, ed ha con ciò limitato al 30.9.2015 la durata del diritto attribuito alla ricorrente.

Si tratta del profilo principale del contendere, posto che il ricorso introduttivo e quello incidentale sono imperniati su tale vicenda, mentre i ricorsi notificati per i motivi aggiunti chiedono l’annullamento di provvedimenti consequenziali a quello gravato in principalità.

Ulteriormente va considerato che la presente lite è connessa con altra causa vertente tra le parti (RG 1369/2014) con cui sempre l’odierna interessata ha impugnato gli atti dell’autorità portuale che avevano dato una valenza restrittiva agli effetti della gara svolatasi avanti al tribunale fallimentare con cui essa si era aggiudicata il complesso aziendale della fallita società: in particolare la ricorrente lamenta in quella sede l’esclusione della possibilità di considerare come avente pieno effetto la sua successione nel rapporto che MYSG aveva in corso con l’amministrazione portuale, posto che quest’ultima aveva introdotto significative limitazioni al titolo assentibile in favore della richiedente.

La delimitazione operata dell’oggetto del giudizio influisce anche sull’apprezzamento dell’istanza preliminare con cui la ricorrente ha chiesto sospendersi la presente decisione in considerazione della pendenza di un procedimento penale aperto a seguito delle denunce che il suo legale rappresentante ha presentato alla procura della Repubblica di Genova. Come si legge nell’ordinanza 12.5.2016 del gip presso il tribunale di Genova (atto ammissibile, benché tardivamente prodotto, trattandosi di un provvedimento giurisdizionale) il signor B nella qualità indicata depositò un primo atto il 3.4.2015, integrandolo con il successivo documento 5.5.2015, e chiese che si svolgessero indagini per accertare e sanzionare le condotte penalmente rilevanti che sosteneva essere state poste in essere dai controinteressati e dai funzionari dell’autorità nella vicenda per cui è oggi giudizio.

In particolare veniva sottolineato che soprattutto l’autorità portuale avrebbe concorso con le società controinteressate nell’indurre la ricorrente all’importante offerta presentata aventi al giudice delegato al fallimento MYSG, quando era stato già deciso di assegnare alle controparti le concessioni cadute tra i beni della massa.

L’accertamento così rimesso al giudice penale dovrebbe influire sul giudizio rimesso a questo giudice amministrativo in forza del principio di pregiudizialità delle pronunce penali rispetto alle altre ammesse dall’ordinamento.

Il collegio rileva innanzitutto che le norme contenute nel cpp non riproducono la situazione delineata dall’art. 3 del cpp del 1930, che prevedeva appunto la centralità della cognizione penale rispetto ad ogni altra sentenza.

Attualmente gli artt. 651 segg cpp dispongono talune modalità in forza delle quali la sentenza penale passata in giudicato (o il decreto penale non opposto) può spiegare efficacia nel giudizio civile o amministrativo, ma in tale corpo legislativo non si rinviene alcuna previsione che imponga la sospensione degli altri giudizi ancora in corso;
come hanno chiarito soprattutto le difese dell’autorità portuale, la corte di cassazione ha condivisibilmente letto nelle norme citate l’avvenuta separazione tra le giurisdizioni e l’insussistenza di ogni profilo di necessitata pregiudizialità della pronuncia penale rispetto a quella richiesta in questa sede. Ne deriva che le vicende a cui operano il riferimento le difese della ricorrente sono ancora allo stato di indagine, sì che non può preconizzarsi alcuna influenza dell’eventuale pronuncia che il giudice penale potrà formulare rispetto alla vicenda sottoposta all’esame del tribunale amministrativo, che risulta sufficientemente istruita e pronta per la decisione.

Oltre a ciò, e nel merito sulla questione, va notato che sulle denunce presentate dal signor B il pubblico ministero dispose delle indagini, le cui risultanze indussero a depositare la domanda per l’archiviazione;
l’odierna interessata presentò una tempestiva opposizione, su cui il gip presso il tribunale di Genova si è pronunciato con l’ordinanza 12.5.2016.

In quella sede il giudice ha esaminato la prospettazione della parte denunciante, ed ha ritratto la convinzione che “… i concorrenti all’asta fallimentare erano a conoscenza della procedura di comparazione in corso… ed hanno partecipato all’asta fallimentare nella consapevolezza della sua esistenza…”: il profilo penale della vicenda per cui è lite è stato ritenuto insussistente almeno per quel che attiene all’oggetto delle due denunce citate, sì che nulla si oppone a che il giudice amministrativo esamini le censure dedotte dalle parti prescindendo dalle determinazioni a cui giungerà l’autorità giudiziaria ordinaria.

Il collegio deve tuttavia farsi carico dell’ulteriore decisione assunta dal gip che potrebbe rilevare sempre ai fini della richiesta sospensione del presente giudizio. Dopo la presentazione delle denunce citate e della richiesta di archiviazione del pubblico ministero la parte ricorrente ha lamentato che l’autorità portuale non avrebbe correttamente valutato i bilanci della imprese che sono risultate aggiudicatarie della concessione, documenti che risulterebbero alterati rispetto ai dati depositati presso la camera di commercio. Ne deriverebbe l’errore dell’ente portuale che potrebbe configurare il delitto di falso ove fosse provata la natura dolosa dell’omissione denunciata.

Il tribunale rileva che il supplemento di indagine che il gip ha rimesso al pubblico ministero non può indurre a soprassedere dalla presente decisione, posto che le eventuali differenze nei bilanci potevano essere esaminate dall’autorità portuale, e che le censure proposte forniscono al tribunale gli strumenti necessari per decidere, essendo stata tra l’altro dedotta l’illegittimità delle determinazioni impugnate per eccesso di potere da scorretta istruttoria.

Ne consegue che anche sotto questo profilo non ricorrono i presupposti per la richiesta sospensione del giudizio, che può pertanto essere conosciuto nel merito.

Poste tali premesse è opportuno esporre alcune osservazioni di ordine generale necessarie per un inquadramento sistematico della vicenda.

Le parti private controvertono in sostanza sulle modalità seguite dall’autorità portuale in vista dell’assegnazione di una concessione demaniale marittima, essendo incontestato in atti che lo scalo genovese si caratterizza per la scarsità di spazi idonei all’attività cantieristica in cui tutte sono impegnate, sì che spetta all’ente gestore l’effettuazione della scelta tra i soggetti richiedenti.

Tale funzione è regolata dall’art. 37 cod. nav. che disciplina appunto il procedimento per la decisione da assumere nel caso in cui l’utilizzo in via esclusiva di un tratto del demanio marittimo sia richiesto da due o più soggetti in concorrenza tra loro: in precedenza tale norma conteneva un ulteriore comma che prevedeva il diritto di insistenza del concessionario sul bene, ma l’art. 1 comma 18 del d.l. 30.12.2009, n. 194 ha abrogato tale disposizione per conformare la procedura prevista dal codice ai principi derivanti dal diritto comunitario (art. 117 comma 1 Cost., sulle modalità di esercizio della potestà legislativa statale e regionale), che postulano lo svolgimento di esperimenti capaci di mettere i privati in competizione tra loro per conseguire il titolo all’utilizzo dei beni pubblici.

La giurisprudenza aveva già dato una lettura restrittiva al cosiddetto diritto di insistenza di cui al citato art. 37 ultimo comma –ora abrogato come già osservato– del codice della navigazione (cons. Stato, 23.7.2008, n. 3642), e tale linea di condotta si è confermata dopo la novella del 2009 (tar Liguria 24.4.2013, n. 721, id, 12.11.2010, n. 10382 e tar Lazio, Latina, 15.7.2013, n. 168), nel senso che l’attribuzione delle concessioni demaniali marittime non deve sottostare alle regole che al tempo dei fatti erano dettate dal d.lvo 12.4.2006, n. 163, ma che comunque il relativo procedimento va conformato secondo i principi concorrenziali e di trasparenza derivanti dal diritto UE.

Gli atti oggetto delle impugnazioni sono influenzati da tali nozioni, ed il tribunale rileva che taluna delle difese spiegate dall’interessata sembra risentire in qualche misura dell’orientamento inteso a fare un’applicazione nei fatti restrittiva del principio concorrenziale affermatosi.

Parte ricorrente osserva al riguardo che l’aggiudicazione conseguita nell’asta fallimentare di cui s’è detto avrebbe dovuto indurre l’autorità portuale ad attribuirle senza ulteriori mediazioni la concessione di cui a suo tempo aveva fruito la fallita MYSG, posto che la rilevante offerta avanzata in sede di asta (un milione di euro, a fronte di una valutazione del compendio subastato inferiore alla metà) era stata utilizzata dalla procedura per adempiere integralmente alle obbligazioni che la società aveva contratto con le maestranze, ma non aveva adempiuto. Il rilievo sociale di quanto avvenuto nella fase concursuale era per ciò tale da imporre alla gestione portuale di trasporre direttamente in sede concessoria l’esito dell’asta fallimentare, sormontando così la mancata utilizzazione che MYSG aveva fatto per mesi degli spazi che le erano stati assegnati, e che era stata la circostanza addotta dal raggruppamento controinteressato per chiedere la revoca o la decadenza del titolo di MYSG, e l’assegnazione a sé delle aree demaniali per cui è giudizio.

In questa prospettazione il collegio individua taluni profili propri delle modalità operative che si erano formate nella vigenza dell’abrogato ultimo comma dell’art. 37 cod. nav., quando l’amministrazione individuava quello che la pagina quattro del ricorso introduttivo di questa causa definisce il “buon concessionario”, e ad esso rinnovava il titolo su presupposti quasi fiduciari, senza indagare se altri soggetti potessero essere divenuti nel frattempo dei “migliori” concessionari.

L L C srl ritiene pertanto di aver titolo ad evitare il concorso concorrenziale previsto dall’art. 37 cod. nav. per il solo fatto di aver investito la rilevante somma indicata, e rappresenta se stessa come il naturale successore del concessionario poi fallito a cui spetta subentrare pretermettendo la necessaria gara.

Il collegio non condivide tali letture della normativa vigente sì che conformerà l’esame della censure proposte alle osservazioni svolte.

Con il ricorso introduttivo l’interessata ha dedotto innanzitutto l’illegittimità derivata degli atti impugnati in questa causa dalle violazioni che erano state denunciate nel ricorso RG 1369/2014, anch’esso chiamato all’odierna udienza: le censure riassunte sono nel senso che l’autorità portuale avrebbe deciso in anticipo di assegnare al raggruppamento controinteressato la concessione già MYSG, ed ha attuato tale illegittimo disegno lasciando i concorrenti dell’asta fallimentare nell’inconsapevolezza circa la pendenza di una diversa istanza di assegnazione del titolo conteso, circostanza tanto più grave in quanto l’attribuzione del titolo alla ricorrente avrebbe reso inconsistente il presupposto della domanda 23.12.2013 presentata dai controinteressati.

Esaminando le singole doglianze nell’ordine in cui sono proposte si nota l’infondatezza della principale circostanza che le fonda, almeno nella parte in cui si allega che la gara avanti al giudice delegato si sarebbe svolta senza che i concorrenti conoscessero la pendenza del procedimento da tempo aperto dalle domande di altri soggetti per l’attribuzione della concessione contesa.

La difesa dell’autorità ha infatti prodotto i documenti 1) e 2) depositati il 21.9.2015 che consistono nella missiva 10.7.2014, n. 15266 con cui un dirigente l’autorità stessa preavvertì il curatore del fallimento MYSG che l’esito della gara indetta dalla procedura per l’assegnazione del compendio di pertinenza della società cessata avrebbe potuto non essere decisivo ai fini dell’assegnazione della concessione. L’autorità si riservava in altre parole di operare un’autonoma valutazione sulle domande, senza trascurare l’esito della procedura concursuale, ma senza farsene condizionare in modo risolutivo. La comunicazione ricordata opera un diretto riferimento ad una riunione tenutasi avanti al giudice delegato, nel corso della quale sarebbe stata chiarita la posizione dell’ente titolare del potere di attribuire i titoli di sfruttamento dei beni demaniali.

Il documento n. 2) riporta la verbalizzazione delle attività svoltesi il 15.7.2014 avanti all’ufficio fallimentare, allorché le parti ammesse concorsero all’acquisto dei beni della MYSG sul presupposto chiaramente espresso dal tribunale della possibile ininfluenza dell’esito dell’incanto sull’attribuzione del titolo demaniale. Le parti tutte, ivi compresa l’odierna ricorrente, si dichiararono edotte di ciò, per cui appare infondata in fatto la ricostruzione operata dall’interessata basata sulla sua inconsapevolezza dell’esistenza di altre domande per la concessione.

Non va condivisa neppure la censura proposta dalla ricorrente nella parte in cui si denuncia l’eccesso di potere per sviamento, che deriverebbe dal venir meno del presupposto che aveva fondato la domanda 23.12.2013 del raggruppamento controinteressato, che aveva chiesto all’autorità portuale l’assegnazione della concessione MYSG in conseguenza del cessato utilizzo della banchina e dello specchio d’acqua da parte della titolare.

Anche in questo caso l’assunto sostenuto è infirmato dal preavviso inviato dall’autorità portuale a tutte le parti, un atto che aveva ricondotto al potere legislativamente titolato (art. 37 cod. nav.) la funzione di decidere sul rilascio della concessione rimasta senza titolare e non sfruttata. Quanto addotto dall’interessata si configura pertanto come una lettura non condivisibile delle norma denunciata, posto che non può essere l’esito di un incanto avanti al giudice delegato a far mutare una situazione che la legge (art. 47 comma 1 lett. b) cod. nav.) considera meritevole di possibile decadenza, con la conseguente riedizione in capo all’autorità del potere di assegnazione delle concessioni ai sensi del citato art. 37 cod. nav.

Il primo articolato motivo è pertanto infondato e va respinto.

La successiva doglianza contesta la violazione dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990, n. 241, in quanto l’autorità portuale inviò alla ricorrente la comunicazione 7.4.2015 di preavviso di rigetto prima che il comitato portuale potesse pronunciarsi sulla domanda di L L C srl di succedere a MYSG nella concessione demaniale. La tesi esposta è nel senso che tale atto disvela la predeterminazione della volontà dell’autorità portuale di assegnare il titolo al raggruppamento controinteressato, posto che la decisione in merito avrebbe dovuto comunque essere assunta solo dopo l’espressione dell’avviso dell’organo consultivo collegiale, cosa avvenuta il successivo 30.6.2015.

Il tribunale amministrativo concorda sul punto con la difesa svolta dall’autorità portuale nella parte in cui evidenzia che l’atto inviato ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990, n. 241 riguardava la notizia circa la valutazione della conferenza dei servizi che aveva posto in comparazione le domande concorrenti delle parti oggi in causa.

A maggiore chiarimento della situazione dedotta può aggiungersi che differenti erano i procedimenti aperti avanti all’autorità portuale per la revoca della concessione di MYSG, per la sua assegnazione a L L C srl, per i subingressi richiesti da quest’ultima, mentre la comunicazione contestata riguardava soltanto una delle questioni aperte, per cui non è possibile ricollegare la portata dell’atto ai sensi dell’art. 10 bis al solo procedimento da cui sono derivate le determinazioni impugnate.

Anche questa doglianza è pertanto infondata e va disattesa.

Ulteriormente l’interessata denuncia la violazione della norme del d.lvo 12.4.2006, n. 163 (vigente al tempo dei fatti) nella parte in cui queste imponevano la predeterminazione dei criteri in base a cui si sarebbe svolta una gara, un’attività che l’autorità avrebbe omesso riservandosi di apprezzare liberamente a posteriori l’esito della selezione.

Anche nel corso della discussione finale i difensori della parte ricorrente hanno posto l’accento sull’illegittimità della funzione esplicata dall’autorità portuale, che non avrebbe predeterminato con la dovuta chiarezza i criteri da seguire nell’assegnare le concessioni per cui è lite;
tale argomentazione si coniuga con quelle spese in altra parte delle allegazioni della parte, laddove si denuncia l’orientamento favorevole maturato all’interno dell’autorità portuale per le istanze delle controinteressate.

Il collegio non può convenire con le asserzioni in questione.

Va premessa l’adesione all’orientamento maturato in giurisprudenza che sottolinea l’ampia discrezionalità che le norme del codice della navigazione – sul punto non incise dalla legislazione successiva se non sull’abbandono del principio di insistenza – attribuiscono all’ente titolare in merito alla destinazione dei beni demaniali marittimi, sia che si tratti di imprimere ad essi un utilizzo balneare od imprenditoriale. La norma che viene in applicazione (cons. Stato, 18.1.2012, n. 169, id, 2.2.2012, m. 585) è l’art. 37 cod. nav., che costituisce il limite della ricordata discrezionalità amministrativa, risultando in capo all’ente portuale l’obbligo di chiarire nel provvedimento decisorio i criteri applicati nella scelta tra più domande di concessione concorrenti (ad esempio tar Toscana, 24.7.2016, n. 319, tar Campania, Napoli, 9.5.2014, n. 2576, cons. Stato 11.12.2009, n. 7765, id, 31.5.2006, n. 3312).

Ne consegue l’asserzione contenuta nella giurisprudenza citata circa la non necessità di predeterminare i criteri decisori, al di là di quanto è stabilito dall’art. 37 cod. nav. citato, sia che si tratti di un’assegnazione a domanda delle parti o ad iniziativa dell’ufficio.

La negazione della possibilità di applicare la normativa sui contratti pubblici è talvolta temperata con il richiamo alle forme di pubblicità circa l’indizione dell’incanto o alle forme dell’invito ad offrire (tar Lazio, Latina, 2.2.2012, n. 66), mentre la richiesta della predeterminazione dei criteri che si seguiranno in sede di assegnazione è disattesa per lo più in base alla considerazione della natura di contratti attivi che le norme sulla contabilità pubblica assegnano alle ipotesi in questione.

Quanto è sempre ritenuto necessario è invece la spiegazione dei criteri effettivamente seguiti per la decisione, un ambito della discrezionalità che è delimitato dalle previsioni dell’art. 37 cod. nav, che nella specie risulta rispettato, dal che l’infondatezza dell’allegazione in questione.

La censura ripropone poi i rilievi di violazione della parità di condizione tra i concorrenti e di sviamento di potere che si evidenzierebbero nella condotta dell’autorità portuale, che nel periodo antecedente l’asta fallimentare, ed anche dopo la sua conclusione, tenne riunioni con i rappresentanti delle società controinteressate, senza invece farsi carico di convocare la ricorrente, anch’essa interessata all’assegnazione del titolo.

Il punto nodale della vicenda consiste allora nella pubblicazione delle istanze delle controinteressate che la ricorrente ritiene tardiva, atteso che l’eventuale puntuale ostensione di tale situazione avrebbe posto l’interessata nella condizione di interloquire autonomamente con l’autorità, rientrando tra l’altro nella discrezionalità dell’ente pubblico la potestà di decidere quali istanze presentino dei profili di problematicità, e vadano pertanto approfonditi.

Questo aspetto è peraltro l’oggetto della causa RG 1369/2014, anch’essa chiamata all’odierna udienza, ed al riguardo deve ribadirsi che la ricorrente ebbe tempestiva notizia prima di formulare l’offerta in sede concursuale dell’avvenuta presentazione di una diversa domanda di assegnazione delle concessioni da essa ambite, sì che le censure denunciate non appaiono fondate e vanno disattese.

Con il terzo motivo contenuto nel ricorso introduttivo si lamenta la violazione degli artt. 36, 46 e 47 cod. nav., nella parte in cui l’autorità portuale ha ritenuto di equiparare le domande delle parti oggi in causa, che invece differiscono tra loro per un tratto fondamentale che va individuato nella natura del titolo acquisito dall’interessata che la abilita a chiederne il rinnovo, mentre le controinteressate sarebbero nella condizione di istanti per una nuova concessione: l’autorità avrebbe infatti potuto dichiarare decadute o revocare le concessioni a suo tempo assentite in favore di MYSG, ma avendo omesso di dar corso ai necessari atti in tal senso si deve ritenere che i titoli assentiti in favore della ricorrente configurino una vera e propria concessione, di cui era possibile chiedere il rinnovo, dal che la sostanziale differenza tra le diverse situazioni giuridiche che l’autorità ha invece indebitamente equiparato.

Il collegio può valorizzare in senso contrario alla censura lo spunto contenuto nelle memorie difensive dall’autorità portuale, laddove richiamano la domanda 28.8.2014 che la ricorrente presentò con l’atto depositato ai sensi dell’art. 18 del regolamento per la navigazione marittima, nella parte in cui chiedeva l’assegnazione ex novo del titolo già di pertinenza della MYSG.

A tale stregua l’avere ottenuto una concessione temporanea in vista della definitiva decisione attribuita all’autorità portuale non consolida alcuna posizione di preminenza della ricorrente, derivando da ciò l’infondatezza del motivo.

Ulteriormente sul punto le difese ricorrenti hanno allegato in sede di discussione una recente sentenza di questo tribunale (8.6.2016, n. 583) in materia di sub-ingresso nella concessione demaniale marittima, nella parte in cui è stata ritenuta l’accessorietà del titolo derivato rispetto a quello originario, dal che l’illegittimità del limite temporale che l’autorità portale ha previsto a limitazione di quanto assentito a favore dell’interessata.

Il collegio non ha difficoltà a ribadire il proprio consenso alle asserzioni contenute nella pronuncia citata, cosa che tuttavia non comporta la dichiarazione di fondatezza della censura.

Va premessa al riguardo un’ulteriore statuizione comune in giurisprudenza, e fatta propria da ultimo dalla decisione 8.2.2006, n. 102 di questo tribunale amministrativo, secondo cui l’eventuale successione nella titolarità della concessione deve essere comunque subordinata all’assenso del soggetto titolare della funzione attributiva;
questo ricevuto principio non rafforza la tesi principale sostenuta dalla ricorrente, secondo cui l’aggiudicazione dell’asta fallimentare avrebbe dovuto comportare di per sé la successione od il subentro nella titolarità della posizione che abilita allo sfruttamento dei beni demaniali. Va infatti ribadito che i beni pubblici ed i diritti al loro sfruttamento non sono trasferibili liberamente tra i privati, essendo invece necessaria l’intermediazione dell’ente titolare della relativa funzione, che nel caso di specie va individuato nell’autorità portuale che può avvalersi del procedimento previsto dall’art. 18 comma 4 della legge 28.2.1994, n. 84 per assegnare le concessioni.

Le cautele con cui gli atti impugnati hanno circondato l’attribuzione a L L C del titolo sui beni in questione ben rappresentano il limite che l’autorità ha inteso prefissare alla concessione, che infatti ha una natura meramente transitoria e funzionale alla definitiva assegnazione che è sempre stato previsto sarebbe avvenuta a seguito di una comparazione sui rispettivi requisiti.

Anche per questa ragione non si può concordare con la tesi esposta nei ricorsi principali, laddove si allega che le posizioni giuridiche della ricorrente e delle controinteressate sono sostanzialmente differenti, posto che l’interessata sarebbe subentrata in un titolo valido ed efficace, mentre le controparti sarebbero dei meri richiedenti un nuovo titolo.

Le precisazioni inviate dall’autorità portuale all’ufficio fallimentare e da questo recepite nel verbale dell’asta tenutasi nel luglio 2014 chiariscono che L L C non può vantare alcuna posizione poziore rispetto alle controparti, posto che l’assegnazione disposta in suo favore delle aree già di pertinenza della MYSG era meramente interlocutoria e subordinata alla comparazione prevista come necessaria dall’ente portuale.

Anche questo profilo è pertanto infondato e va disatteso.

La quarta doglianza sempre del ricorso introduttivo è articolata su diversi profili, e contesta la determinazione dell’autorità portuale che ha ritenuto la proposta di accordo sostitutivo del procedimento presentata dalle controinteressate come più rispondente all’interesse pubblico.

Parte resistente e le controinteressate rilevano innanzitutto l’inammissibilità del motivo, in quanto si dovrebbe dedurre dall’art. 37 cod. nav. la sussistenza di una situazione di ampia discrezionalità in capo all’ente portuale nel conformare l’utilizzo dei tratti di costa assegnati: il tribunale non condivide l’eccezione, perché la legge attribuisce una potestà discrezionale che non si può ritenere possa essere esercitata in modo svincolato dai principi di razionalità e trasparenza.

Oltre a ciò, e sempre in via pregiudiziale, va rilevato che l’interessata si dichiara concessionaria delle aree ex-MYSG, che il titolo in forza del quale essa fruisce delle aree a terra ed in acqua già di pertinenza della società fallita ha efficacia solo in via interinale, sì che non è possibile condividere l’asserzione secondo cui L L C srl sarebbe stata titolare del diritto di utilizzo incondizionato dei beni demaniali in questione.

Posta tale premessa vanno esaminati gli specifici profili su cui si articola la censura in esame.

La prima contestazione mossa riguarda l’ampliamento delle aree che così deriverà al raggruppamento assegnatario, un soggetto che già dispone di spazi portuali ampiamente superiori a quelli di cui fruisce la ricorrente, che pertanto sarebbe destinata a soccombere nel gioco concorrenziale, in quanto i suoi progetti di sviluppo sarebbero vanificati dall’incrementato vantaggio che la nuova assegnazione arreca alle controparti.

Il tribunale non può convenire con la deduzione, in quanto il raffronto operato dalla censura ha riguardo soprattutto alla società Amico in quanto tale, e non anche al raggruppamenti di cui essa è capofila, sì che appare evidente l’impossibilità di giustapporre i mercati di riferimento dei due soggetti;
oltre a ciò la censura risulta in parte contraddittoria laddove opera il confronto tra le situazioni di essa ricorrente e quella di Amico &co, per poi lamentare l’omissione del raffronto anche con le altre società controinteressate.

Ritornando al merito del rilievo, si osserva che Amico &
co è un operatore del settore della riparazione dei grandi yacht, mentre la ricorrente aveva dichiarato nell’istruttoria condotta sulle domande (doc. 36 delle sue produzioni) di non essere attiva in tale settore, benché nelle memorie essa asserisca di aver ottenuto alcune commesse nel comparto di mercato;
risulta pertanto che le due entità non possono essere confrontate adeguatamente, sì che non è desumibile dalla sola estensione delle aree di terra e di acqua sin qui assegnate che un soggetto si avvantaggerà in modo irreversibile rispetto ad un altro che si rivolge ad un diverso settore di clientela.

Da ciò deriva l’infondatezza anche della successiva allegazione della ricorrente che ha fatto discendere la sua differente dimensione aziendale rispetto a quella della controparte proprio dall’ampiezza delle aree portuali ottenute in concessione. Infatti dall’anno di fondazione (1938) la ricorrente ha palesato soltanto uno sporadico interesse all’incremento degli spazi portuali assegnati, a differenza di quanto di è verificato per la controinteressata, che nel tempo ha teso con continuità ad accrescere gli ambiti utilizzati per le lavorazioni.

In tal senso non sembra decisiva l’allegazione fatta dalla ricorrente del parere reso il 6.11.2015 dall’autorità di tutela della concorrenza, da cui risultano delle considerazioni sull’attività svolta dall’ente portuale genovese nell’assegnazione delle concessioni per la diportistica;
si tratta di una determinazione che ha riguardo ad affari diversi da quello per cui è lite, ma quanto si può dedurre ai fini della presente decisione è che il metodo del confronto concorrenziale tra i diversi operatori viene ritenuto dall’autorità garante per la concorrenza come il più idoneo ad evitare l’affermazione di uno o pochi grandi operatori, a discapito di coloro che sarebbero invece interessati ad entrare sul mercato, apportando con ciò i benefici per la collettività che tali eventi arrecano. Nella specie tale modalità operativa è stata rispettata, posto che le censure in considerazione riguardano soltanto i singoli aspetti della valutazione operata, e non anche la modalità seguita per dare adeguata risposta alle concorrenti istanze delle parti.

L’ulteriore spunto su cui si basa la doglianza riguarda l’impossibilità di decidere sull’assegnazione delle aree portuali in una situazione in cui i concorrenti si rivolgono a mercati differenti;
più specificamente non sarebbe razionale attribuire un’aprioristica preferenza agli operatori del settore grandi yacht, penalizzando con ciò coloro che in altri ambiti intendono lavorare ed incrementare la propria attività.

Il collegio richiama in proposito la già rilevata contraddittorietà della deduzione nella parte in cui L L C da un lato asserisce di non voler operare nel settore grandi yacht, e dall’altro dichiara di aver acquisito commesse al riguardo;
nel merito si rileva che la documentazione prodotta dall’autorità portuale (nn. 31 e 32) chiarisce che dei soggetti con riconosciute competenze in materia prefigurarono sin dal 2009 un importante sviluppo del settore grandi yacht in quanto inserito in un mercato globale in notevole incremento. In tal senso la memoria presentata dall’ente portuale in previsione della camera di consiglio avanti al consiglio di Stato adduce anche l’esistenza di documenti ufficiali, come quello proveniente dalla commissione europea, che specificano che il settore delle grandi imbarcazioni da diporto prevede un tipo di confronto concorrenziale non basato soltanto sul prezzo, ma anche sull’innovazione tecnologica e sul pregio estetico.

Ulteriormente gli atti prodotti dalle controinteressate sub 19 e 20 allegano che le proiezioni delineate sulla condotta dei consumatori sono nel senso di un costante aumento della domanda di grandi navi da diporto, mentre meno favorevole è la prognosi per chi opera nel settore di specifica pertinenza dell’interessata.

Il collegio è conscio che gli studi citati potrebbero essere inaccurati o smentiti dall’evolversi degli eventi, sì che l’autorità portuale che ha fondato su di essi la decisione qui impugnata potrebbe aver commesso inesattezze tali da comportare l’illegittimità della determinazione in esame, ma rileva che sarebbe spettato all’interessata allegare degli elementi di prova contrastanti con quanto si desume dai documenti menzionati, cosa che non è avvenuta, sì che può ritenersi conclusivamente sul punto che non è illogico che l’autorità portuale abbia posto a fondamento della propria decisione il contenuto delle previsioni indicate: ne deriva l’infondatezza del motivo nella parte in cui contesta la preferenza assegnata dagli atti in questione di orientare l’offerta del porto di Genova verso le necessità delle grandi imbarcazioni da diporto.

L’articolato motivo si fonda infine sulla deduzione dell’illogicità della destinazione all’industria cantieristica dell’area posta nel settore orientale del porto di Genova, trattandosi di un sito vicino agli insediamenti urbani.

Al riguardo il tribunale amministrativo nota che la censura non merita condivisione in quanto non risulta dedotta alcuna violazione del piano regolatore portuale, dovendosi tenere altresì conto che la domande delle controinteressate erano formulate alla stregua di una proposta di accordo sostitutivo, sì che necessariamente esse avevano tenuto in considerazione anche i profili urbanistici della vicenda.

Nel corso della discussione orale i difensori della ricorrente hanno arricchito l’argomentazione, rilevando che l’assegnazione dei beni demaniali al raggruppamento controinteressato aumenterebbe i rischi di inquinamento in una zona contigua a dei quartieri della città densamente popolati.

L’argomentazione non è convincente, posto che non si rinviene prova alcuna circa la natura perniciosa per l’ambiente dell’attività d’impresa che viene svolta da Amico &
co, tenuto altresì conto che l’interessata si è sempre rappresentata come una concorrente, seppur di dimensioni più piccole, della controinteressata. Anche per tale ragione la doglianza avrebbe dovuto essere corredata da ulteriori elementi istruttori, così da convincere il tribunale amministrativo circa il diverso effetto che l’insediamento dell’una o dell’altra impresa avrebbe sull’acqua o sull’aria della zone di che si tratta

In conclusione il quarto motivo non merita condivisione.

Anche il quinto motivo contesta le modalità seguite dall’autorità portuale per assegnare le concessioni in discussione.

Con un primo profilo viene denunciata l’erronea istruttoria condotta dall’autorità nella parte in cui il computo degli spazi assegnati ai diversi soggetti in competizione non ha tenuto conto dell’incidenza delle società aggruppatesi con Amico &
co srl, così sottostimando l’impatto che le controinteressate potranno avere nell’ambito portuale.

Ulteriormente viene lamentata l’erroneità dei dati raccolti relativamente:

ai dipendenti occupati dai diversi soggetti;

alla comparazione che è stata arbitrariamente effettuata sui dati dell’ultimo decennio, e non del triennio come prevede l’atto 27.10.2011, n. 92/9/2011 dell’autorità portuale;

agli investimenti programmati;

all’esistenza di importanti infrastrutture costruite a suo tempo dalla fallita MYSG;

ai dati di bilancio delle società Consorzio assistenza nautica e Gatti srl, che sarebbero un decimo di quanto allegato;

alla parzialità dei dati sulle commesse ricevute;

all’appartenenza della L L C ad un più grande gruppo industriale operante nel settore cantieristico (GMG, General Montaggi Genovesi).

Sul profilo attinente alla quantificazione degli spazi attribuiti ai diversi soggetti del raggruppamento il tribunale amministrativo richiama ancora una volta la duplicità di allegazioni che si rinviene negli scritti della ricorrente, laddove talvolta si attribuisce rilievo al solo confronto con Amico &co e talaltra si lamenta, come in questo caso, l’omessa valutazione dei soggetti raggruppatisi con la principale controinteressata.

Tale duplicità argomentativa non corrobora la censura, a cui sottraggono tra l’altro incisività le osservazioni sopra svolte circa la congruità delle decisioni dell’autorità. Questa ha inteso orientare il futuro del porto verso il mercato dei grandi yacht, cosa che elide la possibilità di convenire con le censure sulla violazione della concorrenza, posto che non è provato che l’attività della ricorrente nel comparto di riferimento sarà conculcata dal nuovo assetto portuale.

La contestazione relativa all’erroneità del computo dei dipendenti deriva dalla considerazione di differenti documenti – in talune occasioni, ad esempio doc. 33 dell’autorità, venne indicato il numero dei dipendenti riportato nei provvedimenti – ma tali allegate distonie non sono decisive visti i numeri coinvolti, sì che esse non sembrano capaci di spostare la valutazione sulla possibilità di comparare le diverse strutture aziendali ai fini della determinazione sull’assegnazione degli spazi.

Viene poi lamentata la considerazione svolta dagli atti impugnati sugli investimenti effettuati dalle parti negli anni decorsi. La censura si appunta sulla valutazione degli apporti di capitale del decennio decorso, mentre l’atto 27.10.2011, n. 92/9/2011 dell’autorità portuale restringeva la possibilità di valutazione dell’ente pubblico al triennio precedente.

Si nota innanzitutto che la determinazione generale citata riguarda un profilo in parte diverso da quello in esame, posto che le prescrizioni impartite in quella sede dall’ente costiero riguardano la durata dei titoli eventualmente da rinnovare, e non già lo specifico procedimento regolato dall’art. 37 cod. nav.

Nel merito il motivo è comunque di dubbia rilevanza, posto che il suo eventuale accoglimento avrebbe un mero effetto rescindente, mentre ne resterebbe dubbia l’efficacia nella fase di rinnovazione del potere, posto che anche nell’arco triennale non sembra che la ricorrente possa vantare una primazia negli investimenti rispetto alle controinteressate. Quanto meno i documenti prodotti non confortano tale spunto, dal che deriva l’infondatezza del profilo.

L’ulteriore contestazione riguarda gli investimenti programmati, ed essa va conosciuta insieme alla successiva doglianza con cui si denuncia l’erroneità della valutazione operata dall’ente portuale, che non ha considerato l’appartenenza della ricorrente al più ampio gruppo industriale GMG.

Così inquadrata la vicenda, si osserva che proprio il gruppo GMG si è segnalato negli anni decorsi per aver disatteso le previsioni avanzate di cospicui investimenti in altro ambito del porto di Genova, sì che esso può essere risultato poco attendibile a tale riguardo. La vicenda in questione vide il gruppo B aprire il mercato in questione ad un ulteriore soggetto che acquistò le quote di una della serie di società raggruppate, consentendo alla venditrice una presa di beneficio ed il conseguente azzeramento degli investimenti prefigurati.

In tale contesto parte ricorrente avrebbe potuto contrastare i riferimenti negativi che possono trarsi dalla vicenda di cui s’è detto, peraltro riferibile al decennio decorso, indicando ad esempio negli atti ex art. 2427 cod. civ. maggiori ragguagli sulle prospettive future di investimento, confortandoli con elementi controllabili.

Dal che l’impossibilità di ritenere le allegazioni decisive ai fini della richiesta pronuncia di illegittimità.

Ulteriormente, sempre con il quinto motivo, la ricorrente denuncia l’omessa considerazione degli investimenti effettuati a suo tempo dalla fallita MYSG, che non sarebbero stati ancora ammortizzati, sì che ne deriverebbe il diritto alla proroga del titolo acquisito dalla vendita fallimentare.

A parte la reiterazione della non condivisibile prospettazione che intravede nell’asta fallimentare una possibilità di subentro in una concessione demaniale marittima, si osserva che non sono in atti prove sufficienti a confortare l’assunto circa l’esistenza e la persistente utilizzabilità dei beni strumentali all’attività dell’impresa fallita.

In tal senso anche questo profilo non merita accoglimento.

L’ultima censura riguarda l’erronea indicazione contenuta nella relazione della direzione pianificazione e sviluppo dell’autorità portuale relativa al valore della produzione delle società Consorzio di assistenza nautica e Gatti srl, indicazione che sarebbe stata sovrastimata di dieci volte.

Il collegio nota in proposito che non risulta che il dato che sarebbe stato esposto erroneamente abbia avuto un effetto decisivo nella determinazione degli organi consultivi e decisionali dell’autorità portuale. Il documento in cui l’allegata grave imprecisione è contenuta integrava soltanto un momento preparatorio della decisione.

In conclusione il quinto motivo è infondato e va respinto.

La sesta doglianza si fonda sull’allegazione di numerose inesattezze che l’interessata ravvisa nella decisione dell’ente portuale. Esse consistono:

- nell’incongruità della decisione di assegnazione delle aree alle controinteressate in forza del principio del consolidamento delle prospettive e della continuità aziendale, quando anche L L C srl persegue tale obiettivo;

- nell’incongruità della determinazione relativa alla sottrazione di parte delle aree assegnate a Genoa sea service srl e a Gatti srl a favore della viabilità a servizio dei nuovi capannoni;

- nella genericità della determinazione di liberare alcuni spazi oggi assegnati a Genoa sea service srl per consentire delle ricollocazioni che non sono definite come attuali, ma solo potenziali;

- nell’accennata complementarietà tra Amico &
co e Consorzio di assistenza nautica, che sarebbe invece indice del predominio del gruppo controinteressato nell’ambito portuale;

- nell’erronea indicazione del numero degli occupati.

L’elencazione che precede non sembra al collegio capace di sovvertire gli esiti istruttori che hanno indotto all’adozione degli atti impugnati, che si fondano essenzialmente sulla prevalenza attribuita dall’ente portuale alla progettualità di servizio dei grandi yacht, un settore nel quale L L C srl è quasi estranea;
oltre a ciò quanto esposto consiste in una serie di dati disaggregati che come tali non permettono di comprendere quale di essi potrebbe essere decisivo per la determinazione in senso favorevole alla doglianza, né può rinvenirsi nelle ulteriori difese dell’interessata un chiarimento decisivo al riguardo.

Anche il sesto motivo è pertanto infondato e va respinto.

La settima doglianza si incentra sulla denuncia dell’omessa considerazione da parte dell’autorità portuale dei cespiti già di pertinenza della MYSG, che avrebbero un valore rilevante, frutto di investimenti non completamente ammortizzati, cosa che giustificherebbe il rinnovo ed il prolungamento della concessione.

Il collegio ha già rilevato a questo riguardo che l’esistenza di un bene strumentale non completamente ammortizzato è fisiologico nella dinamica aziendale, sì che a tale stregua dovrebbe essere impossibile dichiarare la decadenza di una concessione già in capo ad un imprenditore fallito;
a tale considerazione si giustappone quanto osservato in precedenza circa l’impossibilità di ritenere che un’asta fallimentare possa sovvertire la decisione sull’assegnazione di una concessione demaniale marittima.

Conclusivamente sul punto va ribadito che il titolo in forza del quale L L C ha avuto la disponibilità delle aree per cui lite era limitato nel tempo, e l’eventuale valore dei beni acquistati dalla ricorrente in sede fallimentare non può avere incidenza sul procedimento di assegnazione delle concessioni, restringendosi al più la questione alla fase indennitaria di cui si tratterà in prosieguo.

Va ora esaminata la censura rubricata come B1), con cui si denuncia l’assegnazione della licenza 1.7.2015, n. 107 che fu decisa prima che il comitato portuale potesse pronunciarsi, e quindi prima della determinazione definitiva sulle concessioni.

Il collegio nota al riguardo che l’atto in questione è stato dichiaratamente assunto al solo fine di consentire alla ricorrente di sgomberare le aree portuali dal materiale esistente, sì che la carente istruttoria lamentata dall’interessata non è rilevante.

In conclusione il ricorso introduttivo non merita condivisione e va disatteso.

Il primo ricorso notificato contenente i motivi aggiunti si fonda su un’unica censura con cui vengono lamentati il difetto del presupposto e dell’istruttoria ed il travisamento, in quanto non troverebbero riscontro in atti le asserzioni contenute negli atti originariamente impugnati relativamente alle esigenze della viabilità al servizio dei capannoni di levante che è stata addotta per dar corso alle assegnazioni censurate.

La doglianza appare infondata in fatto, posto che sin dal 2003 l’accordo di programma tra regione Liguria, comune e provincia di Genova, autorità portuale e fiera di Genova aveva previsto la realizzazione di un nuovo progetto viabilistico che avrebbero dovuto collegare il piazzale di levante con gli altri ambiti dello scalo genovese.

L’esistenza e la natura vincolante di tale progetto urbanistico sono peraltro desumibili dai rinnovi delle concessioni assentite in favore delle controinteressate Consorzio assistenza nautica, GSS e Gatti srl, nella parte in cui la limitazione temporale imposta ai titoli è stata giustificata proprio con il fatto che i capannoni in cui operano tali soggetti verranno interessati dal tracciamento della nuova strada in progetto.

Anche questo motivo è pertanto infondato e va disatteso.

La seconda memoria contenente i motivi aggiunti chiede l’annullamento dell’ordinanza 12.1.2016, n. 3 del commissario straordinario dell’autorità portuale che ha ingiunto all’interessata lo sgombero delle aree per cui è lite.

Il primo motivo denuncia l’illegittimità derivata del provvedimento da quelli gravati con il ricorso introduttivo, sì che le conclusioni assunte dal tribunale amministrativo a tale riguardo comportano la reiezione della doglianza.

In via diretta la ricorrente lamenta la mancata esplicazione della generale funzione di sospensione dei propri atti che ogni amministrazione ha (art. 21 quater della legge 7.8.1990, n. 241), un potere che avrebbe dovuto essere esercitato nella pendenza dell’appello avverso un’ordinanza cautelare di questo tribunale amministrativo, considerato altresì che non sussisteva alcun interesse pubblico all’immediata liberazione degli spazi portuali occupati: la censura è ulteriormente arricchita con la segnalazione dell’impossibilità per l’ente portuale di dar corso alle attività in programma rispettando gli scadenziari previsti, dal che un ulteriore profilo di illegittimità dell’immediato ordine di sgombero.

Il collegio non condivide la censura, posto che quanto provveduto dall’autorità aveva carattere doveroso, posto che le impugnazioni già pendenti al riguardo non avevano tolto efficacia ai provvedimenti che venivano posti in esecuzione dell’ente pubblico.

Si sottolinea comunque che con l’ordinanza 12.2.2016, n. 36 il tribunale amministrativo sospese l’efficacia dell’atto gravato con il ricorso in esame.

Il ricorso depositato il 25.3.2016 contiene ulteriori motivi aggiunti.

Sono innanzitutto proposte censure in via derivata con il richiamo alle doglianze contenute nei precedenti ricorsi notificati, cosa che impone la reiezione della deduzione alla luce di quanto deciso in precedenza.

Il motivo sub 2) – primo proposto in via diretta – denuncia l’illegittimità della ritenuta urgenza di sgomberare le aree da riassegnare alle controinteressate, dal momento che l’efficacia della revoca disposta ed impugnata si concretizzerà pochi mesi prima della naturale scadenza del titolo, che non esiste un progetto viabilistico approvato e che anche le concessioni di cui fruiscono alcune delle controinteressate interferiranno con l’attuazione dei progetti dell’ente portuale.

Il tribunale può considerare che la gestione di una struttura portuale abbia la legittima necessità di poter disporre delle aree demaniali con un congruo anticipo rispetto all’avvio di lavori preventivati;
si tratta infatti di sedimi al cui utilizzo i concessionari, oltretutto precari, vantano un diritto affievolito dalla prevalenza dell’interesse pubblico alla destinazione stabilita dal titolare.

Ne consegue che i profili dedotti non sono in grado di comportare l’illegittimità del provvedimento, attesa la congruità delle ragioni che hanno indotto l’a.p. alla determinazione, visto che il progetto viabilistico rimonta al 2003 e l’ente di gestione potrebbe nutrire la comprensibile aspettativa di portarlo ad esecuzione in tempi ragionevoli.

La censura proviene oltretutto da un soggetto che il verbale 23.12.2015 della conferenza dei servizi qualifica come scarso utilizzatore degli altri spazi ottenuti in concessione, sì che essa appare infondata anche sotto tale profilo.

Il motivo è pertanto infondato e va respinto.

La censura sub 3) ripropone in parte le argomentazioni già spese a proposito del valore dell’incompleto ammortamento dei beni strumentali che la fallita MYSG aveva posizionato nel sedime portuale, e che sono divenuti di proprietà dell’interessata per assegnazione dell’ufficio fallimentare.

Al riguardo il collegio deve ribadire quanto esposto (motivo sub 7 del ricorso introduttivo) in ordine all’irrilevanza a fini della richiesta dichiarazione di illegittimità della sussistenza e della valorizzazione di beni non ammortizzati, attesa la prevalenza dell’interesse pubblico all’allocazione delle concessioni ai sensi dell’art. 37 cod. nav.

Viene dedotta anche una questione di indennizzo, che tuttavia non potrebbe comunque comportare l’annullamento degli atti impugnati come ritenuto condivisibilmente dalla recente giurisprudenza (cons. Stato, 31.8.2015 n. 404), dovendo la stessa essere proposta in altra lite.

In conclusione i ricorsi proposti dall’interessata sono infondati e vanno disattesi.

Con il ricorso incidentale le controinteressate lamentano innanzitutto l’errore in cui è incorsa l’autorità portuale, che ha considerato i beni subastati alla stregua di un’azienda.

La tesi esposta è nel senso che quanto caduto nella massa fallimentare non integrava i presupposti di tale nozione, trattandosi di pochi beni strumentali di scarso valore e della possibilità di avvalersi di una banchina e di uno specchio d’acqua nel porto per un periodo così limitato che il tutto non poteva essere qualificato alla stregua di un’azienda;
in conseguenza di ciò la domanda presentata da Leghe leggere Campanella non avrebbe dovuto essere ammessa all’esame comparato previsto dall’art. 37 cod. nav.

Il collegio non può condividere tale tesi per le ragioni che seguono.

Parte controinteressata ammette di aver presentato anch’essa una domanda per acquistare i beni caduti nella massa fallimentare, ma di essere stata esclusa dall’incanto proprio per aver rappresentato all’ufficio giudiziario che la proposta negoziale riguardava dei singoli beni relitti, e non già un’azienda.

Il diniego così pronunciato dal giudice fallimentare avrebbe potuto essere impugnato ai sensi dell’art. 26 l. fall., sì che l’acquiescenza mostrata in tale sede dalla parte controinteressata non può essere sovvertita in questo giudizio con una deduzione diversa ed opposta rispetto a quella palesata avanti al giudice delegato.

Gli esiti del procedimento giurisdizionale svoltosi avanti al giudice delegato possono avere efficacia di giudicato in questa sede: le parti erano infatti quelle che si contendevano la concessione e che sono oggi in causa (art. 2909 cod. civ) – con l’ovvia eccezione dell’autorità portuale – sì che l’inoppugnata decisione del GD e la contraddittoria linea di condotta tenuta dalla controinteressata appaiono bastevoli a far disattendere il motivo.

Va notato per completezza che erano differenti le posizioni della ricorrente e della controinteressata a fronte delle decisioni assunte dall’ufficio fallimentare.

Il giudice delegato estromise quest’ultima dall’incanto ritenendo che essa avesse interpretato in modo erroneo l’impostazione che il giudice stesso aveva dato al decreto che indisse l’incanto: la ricordata disposizione sull’efficacia e sull’estensione del giudicato avrebbe potuto legittimare parte Amico &
co a ricorrere allo strumento previsto in generale dall’art. 26 l. fall., in difetto di che le doglianze svolte in questa sede sono inammissibili.

Le ulteriori doglianze proposte denunciano l’illegittimità degli atti assentiti in favore dell’interessata nella parte in cui questi trascurano la pendenza della domanda delle deducenti volta a conseguire il titolo sui beni demaniali assentiti temporaneamente alla L L C srl.

L’assunto non pare comunque decisivo, posto che la mera pendenza di una domanda comportava per l’autorità portuale il solo obbligo di dar corso al procedimento previsto dall’art. 37 cod. nav., e non anche di asservire ogni ulteriore attività ad un esito che non poteva essere prefigurato.

In conclusione i ricorsi sono infondati e vanno respinti: la reciproca soccombenza e la complessità delle questioni trattate inducono a ritenere sussistenti i giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

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