TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2020-01-13, n. 202000280
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Pubblicato il 13/01/2020
N. 00280/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00214/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 214 del 2011, proposto da
Soc Istituto Lusofarmaco D'Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Martini in Roma, piazza B. Cairoli, 6;
contro
Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per il risarcimento danni subiti a causa del ritardo nel rilasciare l'autorizzazione all'immissione in commercio richiesta ai sensi dell'art. 9 d.lgs. 178/91 per la specialita' medicinale "fluorexen"
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Salute;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 9 dicembre 2019 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società ricorrente opera nel campo della produzione e distribuzione di medicinali.
In data 10 settembre 1997 inoltrava al Ministero della salute domanda di autorizzazione per la immissione in commercio (AIC) del medicinale “FLUOXEREN”. La domanda veniva presentata ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 178 del 1991, il quale prevedeva il termine di 210 giorni per la definizione del procedimento autorizzatorio in questione.
Data l’inerzia al riguardo serbata dal Ministero stesso, la società presentava ricorso dinanzi al TAR Lazio il quale, con ordinanza n. 1788 del 22 giugno 1998, disponeva l’obbligo per l’amministrazione stessa di concludere il procedimento entro 90 giorni.
Stante la persistente inerzia del Ministero veniva inoltrata a questo stesso TAR istanza di esecuzione della predetta ordinanza la quale, a sua volta, veniva accolta con ulteriore provvedimento n. 3029 del 9 novembre 1998, con fissazione di un nuovo termine di 90 giorni per provvedere e contestuale nomina di commissario ad acta.
In data 21 maggio 1999 il Ministero chiedeva una integrazione documentale depositata in data 3 giugno 1999.
Con decreto ministeriale n. 392 del 16 luglio1999 veniva infine rilasciata l’anelata autorizzazione al commercio.
Con atto notificato in data 2 agosto 2002, la società chiedeva al Ministero della salute il ristoro dei danni subiti per effetto dell’ingiustificato ritardo (nel rilascio della suddetta autorizzazione.
Stante la mancata risposta in tal senso della predetta amministrazione veniva dunque proposta la odierna domanda giudiziale di risarcimento per l’illegittimità della inerzia ingiustificatamente serbata dall’amministrazione statale tra la scadenza del termine di conclusione del procedimento (giorni 210 a partire dal 10 settembre 1997) e la adozione del provvedimento favorevole di autorizzazione da parte del Ministero stesso (16 luglio 1999). Si produceva al riguardo analitico studio dal quale emergeva un danno pari ad oltre 567.229,00.
Resisteva avverso tale domanda l’intimata amministrazione statale la quale, nel chiedere il rigetto del gravame, sollevava peraltro eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria e, in ogni caso, decadenza della medesima per violazione del termine di 120 giorni prescritto dall’art. 30 del decreto legislativo n. 104 del 2010.
Alla pubblica udienza del 9 dicembre 2019 la causa veniva infine trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso rileva preliminarmente il collegio che:
- L’eccezione di prescrizione è infondata dal momento che per tabulas risulta l’invio di due diffide, rispettivamente in data 2 agosto 2002 e in data 8 febbraio 2007, che senz’altro si rivelano idonee ad interrompere il relativo termine prescrizionale;
- anche la seconda eccezione deve essere rigettata dal momento che il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’art. 30, comma 3, c.p.a., per giurisprudenza pacifica non risulta applicabile a fatti illeciti anteriori alla entrata in vigore del codice stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., 6 luglio 2015, n. 6).
Nel merito osserva preliminarmente il collegio che:
a) per giurisprudenza costante, il risarcimento del danno imputato alla Pubblica amministrazione non può mai essere conseguenza automatica dell’annullamento di un atto amministrativo ma necessita dell’ulteriore positiva verifica circa la ricorrenza dei vari presupposti richiesti dalla legge. Tra questi, quello della colpevole condotta antigiuridica della stessa amministrazione;in particolare, affinché sussista il requisito della colpa è necessario verificare se l’emanazione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenuti in violazione delle regole della imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi (T.A.R. Lecce, sez. II, 10 agosto 2017, n. 1404);
b) Più in particolare, per «danno ingiusto» risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto;ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico (Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3392);
c) Deve inoltre sussistere il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo ed il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica (Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4195);
d) In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo il privato danneggiato può infine limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, mentre resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali, di incertezza del quadro normativo di riferimento o di particolare complessità della situazione di fatto, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento (T.A.R. Basilicata, sez. I, 19 giugno 2017, n. 451;T.A.R. Napoli, sez. V, 16 gennaio 2017, n. 387;Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1347;Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4195).
Quanto poi al danno da ritardo la giurisprudenza ha avuto modo di specificare che:
e) Il g.a. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell'Amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza al bene della vita, ovvero nelle sole ipotesi in cui non venga emanato o venga emanato in ritardo un provvedimento vantaggioso per l'interessato;ne consegue che il risarcimento del danno subito non è assolutamente configurabile quando il provvedimento adottato in ritardo dalla p.a. risulti di carattere negativo e non sia stato impugnato. Non è in altre parole risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. «mero», dovendosi verificare se il bene della vita finale sotteso all'interesse legittimo azionato sia o meno dovuto (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7);
f) “L'entrata in vigore dell'art. 2 bis della l. n. 241 del 1990 non ha elevato a bene della vita - suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato;inoltre, il riconoscimento della responsabilità della P.A., per il tardivo esercizio della funzione amministrativa, richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l'accertamento che l'inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell'Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell'Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato” (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, sez. I, 27 settembre 2019, n. 4634);
g) “La pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 240).
Pertanto, anche ai fini della valutazione del danno da ritardo occorre in estrema sintesi la contestuale presenza dei seguenti elementi:
- Una condotta antigiuridica della PA dalla quale scaturisca un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.;
- La necessità, dunque, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita;
- Il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo ed il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica;
- La colpa della PA. Colpa che il ricorrente potrà provare in via presuntiva (mediante ossia semplice allegazione della emanazione in ritardo di un vantaggioso provvedimento per il privato) e dalla quale la PA potrà se del caso esimersi mediante dimostrazione dell’errore scusabile (contrasti giurisprudenziali, lacune normative, particolare complessità dei fatti).
Tanto doverosamente premesso osserva il collegio che, nel caso di specie:
1. Sussiste la condotta antigiuridica dal momento che, in seguito alla domanda di AIC del 10 settembre 1997 del medicinale “FLUOXEREN” l’amministrazione statale ha provveduto soltanto con grave ritardo, ossia rispettivamente in data 16 luglio 1999, alla concessione finale del bene anelato (AIC). Invero il rilascio dell’autorizzazione, anche tenuto conto della richiesta di integrazione documentale 21 maggio 1999, è avvenuta ben oltre il termine procedimentale applicabile nel caso di specie previsto dall’art. 1 comma 1 lett c) d.lgs. n. 44/1997 pari a 210 giorni.
La tesi sostenuta dall’amministrazione del decorso del termine solo all’esito della integrazione della domanda, oltre che contraria all’art. 7 della Direttiva 93/39/CEE, appare illogica giacché in questo modo non si verificherebbero mai le condizioni per il decorso del termine massimo di conclusione del procedimento.
2. L’illegittimità dell’inerte comportamento serbato dalla intimata amministrazione è tanto più evidente ove soltanto si consideri che, ad un più approfondito esame della richiamate autorizzazioni, nessuna difficoltà di carattere tecnico ed istruttorio risulta essere emerso nel procedimento valutativo preordinato al rilascio di siffatta autorizzazione. Di qui la conclamata assenza di complessità nel caso di specie. Con ciò si vuole dire che il lasso di tempo intercorso tra la scadenza del 210mo giorno dalla domanda AIC e il momento del rilascio effettivo della anelata AIC ha costituito il frangente in cui l’amministrazione statale, la quale si è in conclusione sostanzialmente attestata sulla documentazione e sulle analisi al riguardo fornite della richiedente società in sede di domanda AIC, è rimasta colpevolmente inerte dinanzi alle legittime aspettative della società che oggi agisce per il risarcimento.
3. Sussiste pacificamente la spettanza del bene della vita poi effettivamente concesso con provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio.
4. Sussiste chiaramente il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo ed il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica, e ciò dal momento che l’ingiustificato ritardo nel rilascio dell’autorizzazione ha comportato per la società ricorrente, secondo i canoni dell’id quod plerumque accidit, il ritardo della commercializzazione dei prodotti e di conseguenza nella mancata acquisizione degli utili.
5. Quanto all’elemento soggettivo: il privato danneggiato si è sufficientemente attenuto ad invocare gli estremi della illiceità della condotta tenuta dall’Amministrazione, quale indice presuntivo della colpa (ingiustificata inerzia dinanzi non solo alla articolata domanda AIC ma addirittura in presenza di una prima statuizione giurisdizionale con cui si ordinava espressamente di concludere il procedimento già da tempo avviato). La P.A., dal canto suo, non ha invece sufficientemente assolto l’onere di dimostrare che si sia trattato di errore scusabile. Ciò risulta tanto più evidente ove soltanto si consideri che l’amministrazione statale ha solo genericamente ed occasionalmente invocato una certa complessità istruttoria del procedimento autorizzatorio (limitandosi a riportare acriticamente il testo di intere disposizioni normative nonché a richiamare tralatiziamente note massime di matrice giurisprudenziale sul tema dell’errore scusabile) senza tuttavia indicare, in modo più analitico e circostanziato, elementi e fatti che in concreto avrebbero impedito alle competenti strutture ministeriali di adottare con maggiore tempestività l’autorizzazione in parola. Tanto più che nel termine di 210 dalla presentazione dell’istanza l’amministrazione non ha adottato alcun atto da cui evincere una possibile complessità del procedimento ma la prima e unica richiesta di integrazione documentale è del 21 maggio 1999 cui viene dato tempestivo riscontro il 3 giugno e il provvedimento adottato il successivo 16 luglio.
Né al riguardo potrebbe invocarsi il tema della inevitabile “paralisi temporanea” dell’attività in questione, dato che il periodo a tal fine considerato onde giustificare simili ritardi (cfr. TAR Lazio, sez. III-quater, 31 marzo 2008, n. 2704. Si veda in particolare pag. 10 della decisione) è da circoscrivere unicamente agli anni 1993 – 1996, laddove le domande in questione sono state incontrovertibilmente presentate in data 10 settembre 1997. Da quanto complessivamente detto discende la conclamata assenza di una sia pur ipotetica complessità del fatto controverso.
Secondo quanto appena riportato sussistono dunque tutti i presupposti per il riconoscimento dell’an risarcitorio.
Sul quantum risarcitorio, da limitare secondo la domanda di parte ricorrente al lucro cessante, ritiene poi il collegio di poter adottare quale modello di utile riferimento giuridico e normativo il settore degli appalti. Settore in cui la giurisprudenza amministrativa ha a suo tempo individuato in via equitativa, ex art. 1226 c.c., un riferimento positivo prima nell’art. 345 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, e poi nell’art. 122 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, nonchè nell’art. 37 septies, comma 1, lett. c), della legge 11 febbraio 1994 n. 109;tutte disposizioni che quantificano nel 10% “dell’importo delle opere non eseguite” la somma da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’Amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr., ex multis, TAR Catania, sez. I, 21 luglio 2016, n. 1948;Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012;Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 2008 n. 3806). Di qui la applicazione analogica di siffatte coordinate ermeneutiche al caso di specie ed il conseguente riconoscimento, in favore della odierna società ricorrente, del 10% del budget mediamente assegnato dal Servizio Sanitario Nazionale per il finanziamento (budget) della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera per gli anni 1998 e 1999. In alternativa, qualora ossia in quegli anni il farmaco non fosse soggetto a forme di finanziamento da parte del servizio sanitario, la suddetta aliquota del 10% andrà applicata sul fatturato prodotto nel corso di un anno a decorrere dal rilascio dell’AIC. Tale somma andrà poi specificamente calcolata in ordine al periodo ricompreso tra la scadenza del 210mo giorno a partire dalla data di presentazione della domanda e la data di adozione della AIC ministeriale, al netto delle sospensioni sopra richiamate: arco temporale, questo, in cui il comportamento illegittimo della amministrazione regionale si è definitivamente radicato sulla base dei rilevati vizi.
Ai fini dell’integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere alla società danneggiata, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri, sia la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel 210mo giorno dalla presentazione della domanda in via amministrativa dell’AIC e sino alla data di pubblicazione della sentenza. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza — trattandosi di debito di valuta — e sino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448;T.A.R. Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2017, n. 4611).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.