TAR Firenze, sez. III, sentenza 2019-02-22, n. 201900286
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Pubblicato il 22/02/2019
N. 00286/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00324/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 324 del 2018, proposto da
Anamor S.R.O., F D T, R D, rappresentati e difesi dagli avvocati G B e D Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Firenze, via Lamarmora 51;
contro
Comune di Montecarlo, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato R Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Firenze, via Baracca 147;
per l'annullamento
del diniego di permesso di costruire prot. n. 13651 del 27 dicembre 2017, adottato dal Comune di Montecarlo, con cui è stata rigettata l'istanza di permesso di costruire della pratica edilizia n. DPC 16/2017 presentata il 3/7/2017 prot. 6900 avente ad oggetto “Ricostruzione di fabbricato crollato rispettando la sagoma”, nonché per la condanna dell'amministrazione resistente, a titolo di risarcimento in forma specifica, a rilasciare il permesso di costruire a titolo definitivo, e, in via subordinata, al risarcimento del danno per equivalente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Montecarlo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2019 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società estera Anamor, con sede nella Repubblica Slovacca, e i signori R D e F D T sono, rispettivamente, proprietaria la prima e usufruttuari i secondi di un complesso immobiliare ubicato nel Comune di Montecarlo, alla via Traversa Marginone 18, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Nel luglio del 2017, essi hanno chiesto il rilascio del permesso di costruire per riedificare un preesistente corpo di fabbrica costruito in aderenza al fabbricato principale, e crollato nel 1988.
L’istanza è stata respinta dal Comune sul presupposto dell’assenza di prova in ordine all’originaria consistenza dell’immobile, richiesta ai fini dell’assenso alla ricostruzione dall’art. 134 della legge regionale toscana n. 65/2014, e della qualificazione dell’intervento come nuova costruzione non assentibile in zona vincolata.
1.1. Il diniego è impugnato dai predetti Anamor, Donatiello e Di Trolio, i quali ne chiedono l’annullamento sulla scorta di due motivi in diritto, unitamente alla condanna dell’amministrazione procedente al rilascio del titolo o, in subordine, al risarcimento del danno per equivalente.
Resiste al gravame il Comune di Montecarlo.
1.2. Nella camera di consiglio del 17 aprile 2018, il collegio ha ritenuto che le esigenze cautelari manifestate dai ricorrenti potessero venire adeguatamente soddisfatte mediante la celere trattazione del merito.
1.3. La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 16 gennaio 2019, preceduta dallo scambio di memorie difensive e repliche.
2. Con il primo motivo di impugnazione, i ricorrenti rivendicano di aver fornito al Comune di Montecarlo tutti gli elementi occorrenti per ricostruire la consistenza originaria del fabbricato crollato, e comunque lamentano la genericità della motivazione addotta a sostegno del diniego, che non indicherebbe le ragioni della ritenuta inattendibilità dei rigorosi calcoli tecnici e delle misurazioni presenti nella documentazione allegata alla pratica edilizia, con il corredo di riproduzioni fotografiche recenti. In particolare, il Comune non avrebbe tenuto conto delle numerose evidenze documentali disponibili, dalle quali sarebbe possibile risalire all’ingombro planivolumetrico dell’edificio da ricostruire.
Con il secondo motivo, è invocata la determinazione espressa dalla Commissione comunale per il paesaggio, che, investita dell’esame propedeutico alla proposta di provvedimento da comunicare alla competente Soprintendenza ai fini dell’autorizzazione paesaggistica, avrebbe invece dato parere positivo sull’intervento in questione, inquadrandolo correttamente nell’ambito delle ristrutturazioni edilizie ammissibili in area sottoposta a vincolo e smentendo, così, le ragioni del diniego.
2.1. L’amministrazione resistente replica che, ricadendo l’immobile in zona vincolata, l’intervento potrebbe ammettersi alla sola condizione che si tratti di una ricostruzione fedele, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001. La documentazione prodotta dai ricorrenti non consentirebbe di giungere a tale conclusione, e anzi da essa si evincerebbero oggettivi elementi in senso opposto, mancando la prova sia dell’asserita, pregressa destinazione abitativa, sia del precedente ingombro planivolumetrico, atteso che la ricostruzione altimetrica del manufatto sarebbe stata effettuata senza alcun riscontro analitico o geometrico, a partire da un’altezza in colmo attribuita arbitrariamente e facendo riferimento a un’ipotetica pendenza della copertura non desumibile da alcuna traccia o altro elemento. Quanto al positivo vaglio dei profili paesaggistici, ad opera della competente commissione, essa non riguarderebbe l’ammissibilità urbanistico-edilizia dell’intervento, ma esclusivamente la sua compatibilità con il vincolo ambientale.
2.1.1. Il ricorso è infondato.
L’art. 3 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli “ rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ”, e, nel testo modificato dal d.l. n. 69/2013, vi include il ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza e, per gli immobili sottoposti a vincoli, all’ulteriore condizione che sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente.
Correlativamente, la legge regionale toscana qualifica oggi come interventi di “ristrutturazione edilizia ricostruttiva” quelli consistenti nel “ ripristino di edifici, o parti di essi, crollati o demoliti, previo accertamento della originaria consistenza e configurazione ”, dai quali distingue “ il ripristino di edifici, o parti di essi, crollati o demoliti, previo accertamento della originaria consistenza e configurazione, attraverso interventi di ricostruzione comportanti modifiche della sagoma originaria, laddove si tratti di immobili sottoposti ai vincoli di cui al Codice ” (art. 134 co. 1 lett. h) n. 4 e lett. i) l.r. n. 65/2014).
Secondo il tradizionale e consolidato indirizzo della giurisprudenza, la nozione di ristrutturazione edilizia non può prescindere dalla preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali – murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura – idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza ed a farlo giudicare presente nella realtà materiale. Con la conseguenza che la ricostruzione di ruderi, vale a dire residui edilizi inidonei a identificare i connotati essenziali dell’edificio, deve essere ricondotta nell’alveo della nuova costruzione, non rilevando in contrario la possibilità di risalire attraverso complesse indagini tecniche all’originaria consistenza di un manufatto oramai non più esistente come tale (fra le moltissime, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106, e i numerosi precedenti ivi citati;id., sez. V, 21 ottobre 2014, n. 5174 id., sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221).
Tale orientamento non è mutato neppure a seguito della novella apportata all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 dal ricordato d.l. n. 69/2013, giacché, per potersi parlare di ristrutturazione, occorre pur sempre che i resti della costruzione crollata o demolita presentino caratteristiche tali da consentire di determinarne l’effettiva consistenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2016, n. 1025;T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 29 novembre 2017, n. 2287;T.A.R. Toscana, sez. I, 18 aprile 2017, n. 588).
Nondimeno, se pure si volesse ritenere che le modifiche legislative del 2013 abbiano esteso la nozione di ristrutturazione all’attività di ricostruzione dei ruderi, nel caso in esame il manufatto da ricostruire manca del tutto, essendone stata a suo tempo eliminata ogni traccia. Il che impedisce in radice di rinvenire nell’intervento in questione i contenuti della “trasformazione” di un organismo edilizio esistente, che, lo si è visto, rappresenta il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia alla stregua della definizione generale dettata dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001.
L’argomento è dirimente. Per completezza della disamina, deve comunque aggiungersi che l’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire neppure è stata adeguatamente dimostrata dai ricorrenti, la cui pretesa risulta pertanto infondata sotto ogni profilo.
Del fabbricato demolito non vi sono rappresentazioni iconografiche, fatta eccezione per la planimetria allegata alla denuncia di variazione catastale presentata nel 1988, proprio a seguito della demolizione, che ne mostra l’area di sedime.
A partire dall’area di sedime, i ricorrenti ricavano l’altezza massima del fabbricato dai travicelli della copertura ancora visibili nella muratura dell’edificio principale, per poi presumere che la copertura scendesse fino al termine di quest’ultimo con la stessa pendenza della vecchia copertura dell’adiacente porzione est. Il volume del fabbricato è ottenuto moltiplicando la superficie dell’area di sedime per l’altezza media (si veda la relazione tecnica a firma dell’ing. Lenci, in atti).
Come si vede, muovendo da un dato approssimativo, ma in qualche modo verificabile (l’ampiezza dell’area di sedime si può ricavare dalla misura delle pareti dell’edificio principale, in aderenza al quale era costruito quello crollato), il calcolo del volume finisce per essere frutto di un’ipotesi meramente congetturale, non essendovi elementi oggettivi dai quali desumere la reale pendenza della copertura originaria. E, oltretutto, non vi è prova che all’epoca della costruzione del fabbricato, poi demolito, la copertura utilizzata dal tecnico dei ricorrenti come riferimento avesse la medesima pendenza attuale (si tratta di porzione immobiliare ristrutturata nel 2013, stando alla stessa relazione tecnica di parte ricorrente, ma la consistenza delle opere di ristrutturazione non è nota).
Se tanto basta per evidenziare la sostanziale arbitrarietà del calcolo volumetrico eseguito dai ricorrenti, a maggior ragione gli scarsissimi elementi disponibili non permettono di verificare il rispetto dell’identità di sagoma (intesa come perimetro dell’edificio considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il suo contorno, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 353), requisito indefettibilmente richiesto dal citato art. 3 co. 1 lett. d) d.P.R. n. 380/2001 per gli edifici vincolati, ovvero ricadenti in area vincolata (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 5 aprile 2016, n. 582;Cass. pen., sez. III, 9 luglio 2018, n. 39340).
Il diniego del permesso di costruire, in definitiva, appare assunto del tutto legittimamente dal Comune di Montecarlo con riferimento all’impossibilità di risalire alla consistenza dell’edificio da ricostruire e all’irriducibilità dell’intervento nei confini della ristrutturazione edilizia.
In contrario non rileva, evidentemente, il positivo giudizio reso dalla Commissione comunale per il paesaggio, al quale sono estranee valutazioni di tipo urbanistico-edilizio, ma che si limita all’accertamento della compatibilità dell’intervento con il vincolo gravante sull’area. Nessuna contraddittorietà è pertanto ravvisabile nelle scelte del Comune.
3. Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso non può trovare accoglimento.
3.1. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.