TAR Ancona, sez. I, sentenza 2019-05-15, n. 201900312
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Pubblicato il 15/05/2019
N. 00312/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00745/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 745 del 2014, proposto da
Radiodiffusion s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato S S, domiciliato presso la Segreteria T.A.R. Marche in Ancona, via della Loggia, 24;
contro
Comunità Montana Alto e Medio Metauro, non costituita in giudizio;
nei confronti
Comune di Urbino, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Ancona, corso Mazzini, 156;
per l'annullamento
- del provvedimento di diniego n. 027 del 3 marzo 2014 del titolo unico “ installazione di traliccio metallico per radiodiffusione - Comune di Urbino Località Cà Mignone Foglio 117 mappale 86 -1263 ” disposto dal responsabile dello Sportello Unico per le Attività Produttive della Comunità Montana Alto e Medio Metauro - Pratica SUAP n.483/2012 prot. n. 9096/9.6 del 18 dicembre 2012, comunicato a mezzo PEC in data 3 marzo 2014;
- di ogni altro atto endoprocedimentale, presupposto, conseguenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Urbino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2019 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il presente ricorso, proposto a seguito della trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato in sede giurisdizionale ex art. 10 del DPR n. 1199 del 1971, la società ricorrente impugna il provvedimento indicato in epigrafe, con cui il responsabile dello Sportello Unico per le Attività Produttive della Comunità Montana Alto e Medio Metauro, sulla base di pareri contrari espressi dal responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Urbino circa la conformità dell’intervento (note prot. 2013/172 del 31 maggio 2013 e prot. 2014/3887 del 20 febbraio 2014), ha negato il rilascio del titolo unico per l’installazione di un traliccio metallico per radiodiffusione in Località Cà Mignone del predetto Comune.
A sostegno del gravame vengono dedotti diversi motivi di illegittimità del provvedimento impugnato, del cui contenuto si dirà in seguito, in sede di disamina degli stessi.
Si è costituito in giudizio il Comune di Urbino, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame per l’omessa impugnativa dei pareri comunali, aventi effetti vincolanti, i quali non risultano gravati neanche come atti presupposti del provvedimento di diniego conclusivo, sebbene il primo parere negativo del Comune sia stato conosciuto dalla parte interessata non in sede di adozione di tale diniego, ma nell’ambito del procedimento, tanto che la ricorrente ha ritenuto di presentare, in risposta a detto parere, un nuovo progetto;nel merito, il Comune deduce l’infondatezza del gravame e ne chiede il rigetto.
Nessuno si è costituito in giudizio per la Comunità Montana Alto e Medio Metauro.
Alla pubblica udienza del 6 febbraio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il Collegio reputa di poter prescindere dai profili di inammissibilità sollevati dalla difesa del Comune di Urbino in ragione dell’infondatezza del ricorso, per le ragioni che si vanno ad esporre.
3. Con il primo motivo la società Radiodiffusion deduce violazione e falsa applicazione della legge regionale delle Marche n. 25 del 2001, come modificata dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 307 del 2003 con riferimento all’art. 7, comma 3, e violazione dell’art. 2 della legge regionale delle marche n. 23 del 2011. Assume, in sostanza, la ricorrente che l’avvenuta abrogazione dell’art. 7, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 25 del 2001 ad opera della Corte Costituzionale - norma che prevedeva il divieto di installazione di sistemi radianti relativi agli impianti di radiodiffusione in zone classificate dagli strumenti urbanistici come zone di interesse paesaggistico-ambientale, storico-architettonico, monumentale ed archeologico - avrebbe fatto venir meno ogni preclusione normativa alla realizzabilità dell’intervento in questione. Inoltre, sostiene la ricorrente che, avendo la medesima pronuncia della Corte Costituzionale dichiarato l’illegittimità del comma 3 dell’art. 7 innanzi richiamato - che consentiva alla Giunta Regionale di determinare le distanze minime dal perimetro esterno delle aree e degli edifici di interesse paesistico, ambientale, storico, architettonico, monumentale e archeologico - il diniego impugnato sarebbe privo di fondamento normativo in quanto motivato “in ragione della mera distanza” da tali aree.
Il motivo in esame non merita condivisione.
Giova, al riguardo, richiamare la pressoché costante giurisprudenza amministrativa, secondo cui - sebbene la normativa in materia esprima un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico e nonostante l’inserimento delle infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria le renda in genere compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale – il Comune ha comunque il potere di introdurre regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico-artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, etc .).
In particolare, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, “ non sono legittimi gli atti che limitino la localizzazione delle infrastrutture di carattere generale e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1955/2014).
Il Comune non può infatti prevedere limiti di carattere generale, volti a tutelare la popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1955/2014).
Pertanto, il regolamento comunale previsto dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali etc.), ma non può imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 723/2014).
Deve, invece, ritenersi consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'articolo 8, prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti, purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 306/2015);di conseguenza, possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono, in generale, la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 3085/2015).
La pianificazione comunale di settore può interdire agli impianti anche ampie aree, purché ciò sia riconducibile ad uno degli interessi previsti dalla norma e purché ciò, consentendo la localizzazione in aree alternative, non determini difficoltà di funzionamento al servizio, circostanze che devono essere verificate in concreto attraverso il confronto con gli operatori (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2073), sulla base di condizioni tecnicamente ed economicamente sostenibili.
Ciò posto, rileva la Sezione, sulla base della citata normativa e dei richiamati precedenti giurisprudenziali, che, ai sensi del richiamato art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, il Comune può prevedere regole generali in materia di impianti di radiocomunicazione e della loro localizzazione, esercitando il potere urbanistico di governo del territorio, per il mantenimento di un armonioso e corretto assetto del territorio.
Ciò che risulta necessario è che la possibile interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico e che comunque i criteri localizzativi adottati non si trasformino in limitazioni alla copertura di rete: è necessario che il limite o il divieto posto dall'ente locale non impedisca la capillare distribuzione del servizio sull'intero territorio.
Deve, pertanto, esservi un equo contemperamento tra l'interesse urbanistico perseguito dal Comune e l'interesse alla piena ed efficiente copertura di rete (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1955/2014) ” (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891;nello stesso senso, sez. VI, 31 luglio 2017, n. 3824;sez. III, 5 maggio 2017, n. 2073;23 gennaio 2015, n. 306).
Ciò posto, va rilevato come, nel caso in esame, il diniego impugnato non sia stato adottato in applicazione di una disciplina comunale che imponga limiti di carattere generale alla localizzazione delle infrastrutture e neppure può dirsi che tale diniego sia privo di una valida ragione giustificativa.
Il Regolamento comunale per l’installazione, il monitoraggio, il controllo e la razionalizzazione degli impianti di emittenza radiotelevisiva e stazioni radio base per la telefonia mobile, approvato con delibera consiliare n. 142 del 21 dicembre 2000, non stabilisce, invero, divieti generalizzati di installazione. Per quel che qui interessa, detto regolamento prevede, all’art. 2, comma 3, che il rilascio della concessione per la loro installazione è subordinato “ al rispetto delle norme vigenti in materia urbanistica, di salvaguardia e tutela paesaggistico-ambientale, storico-architettonica, monumentale-archeologica ”.
Con il predetto diniego, quindi, l’Amministrazione ha inteso tutelare una particolare zona del territorio comunale di assoluto pregio paesaggistico, ambientale, storico e artistico, nel rispetto di quanto previsto dalla disciplina pianificatoria locale e in linea con gli interessi da questa perseguiti.
L’art. 16, comma 2, delle NTA del PRG del Comune di Urbino, infatti, inserisce l’Area orientale del Parco delle Cesane (interessata dall’intervento in parola), come individuata nelle tavole 201.IIC, nonché “ i crinali paesisticamente importanti, che definiscono i principali scenari e fondali del paesaggio urbinate, e che risultano ancora sostanzialmente integri ”, tra i siti soggetti a tutela integrale, dove “ sono vietate le attività incompatibili, elencate dal Piano Paesistico Ambientale della Regione Marche, con le seguenti specificazioni ed esenzioni: ” … le opere “necessarie per installare e realizzare ripetitori, antenne, etc. che possono essere autorizzate previa verifica di compatibilità ambientale eseguita secondo quanto previsto dall’art. 63 bis e ter del Piano Paesistico Ambientale ” (art. 16, comma 4, delle NTA del PRG).
Conformemente a tali previsioni, pertanto, il Comune di Urbino, nell’esprimere i pareri su cui si fonda il diniego gravato, non ha fatto riferimento all’esistenza di un generale divieto di localizzazione dell’impianto in parola nel sito prescelto, ma, al contrario, dopo aver sottolineato il valore dell’area, posta a tutela di un comprensorio di particolare interesse paesaggistico nonché ricadente all’interno della buffer zone del sito UNESCO rappresentato dal centro storico della città di Urbino, ha altresì evidenziato l’incompatibilità della struttura così come concepita - per le sue caratteristiche costruttive e dimensionali - con il contesto circostante;nel contempo, il Comune ha suggerito al richiedente di prendere in esame soluzioni alternative, anche mediante l’utilizzo di strutture esistenti e previa verifica della potenzialità degli impianti già presenti in zona (cfr. primo parere comunale datato 31 maggio 2013), in tal modo attuando quell’equo contemperamento tra l'interesse urbanistico perseguito e l'interesse alla piena efficienza del servizio, sempre possibile per l’Amministrazione anche in fase autorizzativa.
Nel secondo parere (datato 28 febbraio 2014), poi, il Comune ha ribadito i rilievi formulati con il precedente parere, ritenendo permanenti le criticità in quella sede evidenziate pur a fronte delle modifiche progettuali apportate dalla società istante;queste ultime, invero, sono consistite in una minima e non significativa riduzione dell’altezza del traliccio (da 30 a 25 metri), che risulta ancora visibile da tutta la zona sud del centro storico e in diretta connessione con esso, nonché nella previsione di alberature ritenute non compatibili con il paesaggio circostante (prevalentemente per il tempo di crescita e per il loro posizionamento).
La ritenuta incompatibilità dell’intervento con il paesaggio circostante è inoltre avvalorata anche dai contenuti del Piano di Gestione del sito UNESCO della città di Urbino, dove il paesaggio che circonda il centro storico viene definito quale bene culturale in sé, che sostiene l’immagine della città e che viene tutelato “ attraverso vincoli di tutela integrale imposti dal Piano Regolatore Generale vigente sull’intero scenario di colli visibili dal circuito delle mura, che coincide con la zona tampone ” (paragrafo 1.2, pagina 20). Al paragrafo 2.5 del medesimo Piano di Gestione UNESCO viene definito ancor più in dettaglio il ruolo che il paesaggio circostante ha per la valorizzazione del sito, tale da aver indotto alla definizione “ di un sistema dei punti panoramici che consentono la percezione degli elementi identitari del paesaggio locale, delle aree di tutela di tali punti e dei coni ottici che delimitano gli scenari percepibili ”, tra cui è stata ricompresa anche la zona interessata dall’intervento per cui si discute.
In proposito la ricorrente ha dedotto (precisamente con il secondo motivo) che detto ultimo Piano è stato approvato successivamente all’adozione dei pareri comunali di cui si discute, sicché i criteri di gestione del sito in esso indicati non avrebbero potuto essere presi in considerazione ai fini dell’adozione del provvedimento di diniego impugnato (che su detti pareri si fonda). Sul punto il Collegio osserva, innanzitutto, che gli obiettivi di tutela derivanti dall’inserimento della città di Urbino tra i siti UNESCO (come individuati dal Piano di Gestione) costituiscono un elemento atto a rafforzare le ragioni del diniego, già sufficientemente individuate con il riferimento alla disciplina urbanistica vigente e alla previsione, in essa contenuta, di una tutela integrale sull’area in questione. Peraltro, se l’approvazione del Piano di Gestione UNESCO è avvenuta con delibera di Giunta comunale n. 149 del 3 dicembre 2013, essa è comunque precedente all’adozione sia del secondo parere comunale del 28 febbraio 2014 (che ribadisce, all’esito di una rinnovata valutazione, i motivi di diniego già esposti nel precedente parere del 31 maggio 2013), sia dell’atto conclusivo adottato dal SUAP della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro.
Per tutto quanto appena esposto, detti pareri, nonché il diniego definitivo che su essi si fonda, non possono dirsi inficiati dai vizi contestati con il motivo in esame.