TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-05-19, n. 202103326

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-05-19, n. 202103326
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202103326
Data del deposito : 19 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/05/2021

N. 03326/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00907/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 907 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato S G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno – Prefettura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento,

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

del provvedimento prot. n. 0344833 del 28.11.2019 adottato dalla Prefettura di Napoli – Area I quater (all.1), notificato al ricorrente in data 16.12.2019 con il quale veniva respinta l'istanza presentata, in data 08.04.2019, dal Presidente Nazionale dell'Ente Nazionale Protezione Animale volta ad ottenere il rinnovo del decreto di approvazione della nomina a guardia giurata volontaria zoofila con contestuale istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola in favore del ricorrente, nella parte in cui rigetta la richiesta di rinnovo del porto d’armi;

per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 25\5\2020:

per l'impugnativa del medesimo atto impugnato con il ricorso introduttivo, nonché, per quanto di interesse, del decreto di approvazione delle guardie particolari giurate n. 9618 limitatamente alla prescrizione trascritta a pagina 9 dello stesso e meglio indicata in narrativa (cfr. conclusioni del ricorso per motivi aggiunti);

per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 22\10\2020:

per l’ANNULLAMENTO del Decreto n. 0219907 del 05.08.2020 emesso dalla Prefettura di Napoli – Area I quater, notificato a mezzo posta certificata con prot. n. 0220185 del 05.08.2020 con il quale parte resistente ha confermato il diniego al rinnovo della licenza di porto di pistola in favore del ricorrente.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Prefettura di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 16 febbraio 2021 tenuta da remoto con modalità Teams ai sensi dell’art. 4 del D.L. 28/2020 e dell’art. 25 del D.L. 137/2020, la dott.ssa D C e trattenuta la causa in decisione sulla base degli atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 10 febbraio 2020 e depositato il successivo 7 marzo, il ricorrente in epigrafe indicato, premettendo di essere guardia zoofila volontaria in seno all’ENPA, ha impugnato il provvedimento prot. n. 0344833 del 28.11.2019 adottato dalla Prefettura di Napoli – Area I quater notificato al ricorrente in data 16.12.2019, con il quale veniva respinta l'istanza presentata, in data 08.04.2019, dal Presidente Nazionale dell'Ente Nazionale Protezione Animale volta ad ottenere il rinnovo del decreto di approvazione della nomina a guardia giurata volontaria zoofila con contestuale istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola in favore del ricorrente, nella parte in cui rigetta la richiesta di rinnovo della licenza di porto d’armi ex art. 42 T.U.L.P.S..

2. A sostegno dell’impugnativa, deducendo di avere avuto in passato accoglimento del ricorso n. r.g. 3279/2002, proposto in relazione ad analogo diniego, con sentenza di questa Sezione n. 10345/04, ha articolato in quattro motivi di ricorso le seguenti censure:

1)

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART.

5 D.P.R. 31.03.1979;
ART.6 L.189/2004;
ART.37 CO.3 L.157/1992;
ART.55, 57 CO.3 C.P.P., ART.3 L. 241/90, CONTRADDITTORIETA’ ED INSUFFICIENZA DELLA MOTIVAZIONE;

2) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 11, 42 R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.). OMESSA ISTRUTTORIA, ECCESSO DI POTERE;

3)

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.

381

COMMI

1,4 C.P.P., 52, 53, 544 quinquies C.P.;

4) ECCESSO DI POTERE. ERRONEA PONDERAZIONE DEGLI INTERESSI.

3. Si è costituito il Ministero resistente, con il deposito di documenti, fra cui un’articolata relazione difensiva, instando per il rigetto del ricorso.

4. La Sezione, all’esito dell’udienza camerale del 21 aprile 2020, ha adottato l’ordinanza istruttoria n. 01404/2020, sulla base dei seguenti rilievi: “ Rilevato che a norma dell’art. 189 comma 2 L. 189/2004 “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”;

Ritenuta pertanto la necessità di acquisire a cura della resistente amministrazione il decreto prefettizio di nomina del ricorrente a guardia particolare giurata e di dover rinviare per il prosieguo della fase cautelare alla camera di consiglio del 9 giugno 2020, nella cui sede, sussistendone i presupposti, potrà decidersi anche ai sensi dell’art. 60 c.p.a .”.

5. Il Ministero resistente ha adempiuto al predetto ordine istruttorio e in data 7 maggio 2020 ha depositato il predetto decreto prefettizio di rinnovo della nomina a guardia particolare giurata del ricorrente, con l’indicazione espressa dei seguenti compiti: “ limitatamente all’espletamento della vigilanza sul rispetto delle norme relative alla protezione degli animali ai sensi dell’art. 6, comma 2, della l. 189/2004

6. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 25 maggio 2020 e depositato in pari data il ricorrente ha altresì impugnato, a seguito di detto deposito, per quanto di interesse, l’indicato decreto prefettizio di rinnovo della nomina a guardia particolare giurata nonché ha replicato alle difese spiegate all’Amministrazione resistente, deducendo, in particolare, che il precedente rilascio/rinnovo del porto d’armi era avvenuto in epoca successiva all’approvazione – in data 14 ottobre 2016, da parte del Questore, del “Regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari giurate/aderenti all’E.N.P.A” posto a base dell’odierno diniego, il quale all’art. 4 precisa che “ per i servizi di vigilanza zoofila sarà utilizzato unicamente personale disarmato, in possesso del decreto prefettizio di nomina a “Guardia Giurata Zoofila Volontaria ” ed assumendo che il decreto prefettizio di rinnovo della nomina a guardia particolare giurata avrebbe circoscritto i compiti istituzionali del ricorrente all’espletamento, a far data del 6 giugno 2019, del “servizio di vigilanza per la prevenzione e sanzione delle infrazioni previste dalla normativa generale e locale sulla protezione degli animali d’affezione”, cassando, di fatto, il ruolo più ampio e generale relativo alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico, così come invece risultante dalla lettera dell’invocato art. 5 del D.P.R. 31 marzo 1979.

Peraltro, nonostante ciò, a dire del ricorrente, l’Amministrazione sarebbe incorsa in errore nel denegare il rinnovo del porto d’armi in quanto l’entrata in vigore della legge 189/2004 non avrebbe affatto limitato i poteri che già altre fonti avevano riconosciuto alle guardie giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute, ma anzi ne avrebbe aumentato i poteri, attribuendo loro – per il solo limitato ambito della protezione degli animali di affezione – quelli della polizia giudiziaria.

Pertanto, secondo il ricorrente, sarebbe illegittimo il decreto del Prefetto nella parte in cui, nell’approvare la sua nomina a guardia particolare giurata, non aveva incluso l’autorizzazione allo svolgimento delle mansioni individuate nel citato art. 5 del D.P.R. 31 marzo 1979, ovvero ne aveva disposto le attribuzioni limitatamente all’art. 6, co.2, l. n.189/04, sottraendogli le funzioni già attribuite relative ai compiti di cui all’art. 5 del D.P.R. 31 marzo 1979.

Ha inoltre impugnato, per quanto di interesse, il decreto di approvazione delle guardie particolari giurate, limitatamente alla prescrizione richiamata a pag. 9 del ricorso introduttivo.

7. All’esito della camera di consiglio del giorno 9 giugno 2020 la Sezione ha adottato ordinanza collegiale n. 02268/2020 con la quale ha così statuito: “ Rilevato che parte ricorrente ha notificato e depositato ricorso per motivi aggiunti in data 25 maggio 2020 e che non sono decorsi ancora i 20 giorni liberi dalla notifica alla parte resistente, ex art. 55 comma 5 c.p.a., per cui la trattazione della relativa istanza cautelare deve essere rinviata all’udienza camerale del 23 giugno 2020;

Ritenuto peraltro di dover evidenziare sin da ora, ex art. 73 comma 3 c.p.a., la sussistenza di possibili profili di irricevibilità/inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, laddove rivolto (cfr. le conclusioni del medesimo ricorso) avverso l’impugnativa in parte qua, di cui al rinnovo del 16 giugno 2019, del decreto di approvazione delle guardie particolari giurate n. 9618, atto presupposto rispetto al provvedimento oggetto di impugnativa con il ricorso principale e non, come dedotto da parte ricorrente, atto consequenziale.....”, rinviando per la trattazione dell’istanza cautelare all’udienza del 23 giugno 2020.

8. All’esito di tale udienza la sezione ha adottato l’ordinanza cautelare n. 01203/2020, con cui ha accolto, ai fini del riesame, l’istanza cautelare, sulla base dei seguenti rilievi: “-Ritenuto di dover ulteriormente rimarcare i profili di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, evidenziati con l’ordinanza n. 02268/2020, cui parte ricorrente non ha fatto seguire il deposito di alcuna nota difensiva;

- Ritenuto che al danno grave e irreparabile rappresentato nel ricorso introduttivo possa porsi rimedio ordinando all’Amministrazione di riprovvedere, avuto riguardo ai motivi di ricorso e alla costante giurisprudenza della Sezione in materia (ex multis sentenze n. 01174/2019, n.01673 del 27.03.2017 e n. 5120 del 03.11.2017);

- Ritenuto in particolare che l’Amministrazione debba riprovvedere avuto riguardo a quanto disposto nel decreto prefettizio di nomina, acquisito tramite istruttoria disposta con ordinanza n. 01404/2020, sulla base del rilievo che ai sensi dell’art. 6 comma 2 della l. 189/2004 “La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute”;
ciò avuto riguardo alla circostanza che sebbene il decreto prefettizio di rinnovo della nomina del ricorrente a guardia volontaria zoofila prodotto in giudizio sembri limitare i compiti del ricorrente ratione materiae a quanto previsto nell’indicato art. 6 comma 2 l. 189/2004, lo stesso non pone alcun limite agli interventi da effettuarsi ai sensi dei richiamati artt. 55 e 57 c.p.a. (si pensi ad esempio alla problematica dei combattimenti clandestini fra animali con una certa frequenza praticati dalla criminalità, reato per il quale è possibile l’arresto facoltativo in flagranza)
”.

9. L’amministrazione resistente ha provveduto ad esitare l’istanza di riesame con articolato provvedimento così motivato: “DATO ATTO che, in relazione a quanto richiesto dal T.A.R. Campania-Sez. V quest'Ufficio ha ritenuto opportuno interessare sulla vicenda la locale Questura, tenuto conto che il cennato provvedimento prefettizio del 28 novembre 2019 è in linea con il rispetto della disposizione di cui all'art. 4 del "Regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari giurate zoofile aderenti all'"E.N.P.A.", approvato dal Questore di Napoli in data 14 ottobre 2016 e che le motivazioni addotte nell'ordinanza del TAR Campania afferiscono, in particolar modo, alle attività che le guardie giurate volontarie in questione espletano in occasione dei combattimenti clandestini fra animali;

VISTA la nota n. 112612 del decorso 14 luglio con la quale la Questura di Napoli ha, tra l'altro, inquadrato l'intera vicenda alla luce delle modifiche normative, succedutesi nel tempo, relative all'associazione "E.N.P.A.-Ente Nazionale Protezione Animali", e che di seguito si ritiene di dover richiamare;

VISTA, dunque, la legge n. 612 dell’11 aprile 1938, con la quale l'"E.N.P.A.-Ente nazionale protezione animali" è stato eretto in Ente morale;

VISTA, altresì, la legge 19 maggio 1954, n 303, con la quale l'Ente in argomento è stato dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e che, per l'effetto, alle guardie zoofile appartenenti al medesimo Organismo è stato attribuito lo status giuridico di agenti di pubblica sicurezza;

CONSIDERATO che, successivamente, con il DPR 31 marzo 1979, l'"E.N.P.A.-Ente nazionale protezione animali" ha perso la personalità giuridica di diritto pubblico, assumendo quella di diritto privato, continuando a sussistere, quindi, come Ente morale;

DATO ATTO che, l'art. 5 del suddetto DPR ha stabilito che " F rimanendo la qualifica di guardie giurate, le guardie zoofile aventi la qualifica di agenti di pubblica sicurezza perdono tale ultima qualifica e potranno essere utilizzate a titolo volontario e gratuito dai Comuni singoli o associati e Comunità montane per la prevenzione e repressione dei regolamenti generali e locali, relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico";

DATO ATTO che, con la legge 20 luglio 2004, nr. 189 - "Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate", sono state introdotte specifiche e limitate competenze per le associazioni zoofile;

LETTO, in particolare, l'art. 6, comma 2, della suddetta legge, nella parte in cui si legge che " La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute";

CONSIDERATO, per l'effetto, che dal quadro normativo suesposto, risulta evidente come le guardie giurate volontarie zoofile, ivi comprese quelle dell'ENPA, non rivestano più la qualifica di Agenti di Pubblica Sicurezza, bensì, espletino funzioni di polizia giudiziaria, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina e limitatamente alla tutela degli animali d'affezione;

VISTA la nota del 25 novembre 2014 e successiva circolare n.557/PAS/017256/10089.DGG (21) del 14 novembre 2016, con le quali il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni in merito alle richieste di approvazione del regolamento di servizio, ai sensi dell'art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935, n.1952, convertito in legge 19 marzo 1936 n.508;

RILEVATO che, sulla scorta di tali indicazioni, l'Associazione "ENPA" ha presentato il Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile;
regolamento che, in data 14.10.2016, è stato approvato dal Questore della Provincia di Napoli e notificato, il 21.10.2016, al Capo Nucleo Provinciale Sig. -OMISSIS-, nato a Napoli il 28.07.1957;

DATO ATTO che, l'art. 4 di detto Regolamento, prevede per i servizi di vigilanza zoofila unicamente personale disarmato e fonda la propria ratio sul complessivo impianto normativo del Regolamento, con particolare riguardo alle modalità di espletamento dei servizi;

RICHIAMATO, in proposito, l'art. 2 del Regolamento de quo, nella parte in cui è stata prevista - quale requisito per l'ammissione in servizio - la frequenza di un corso di 48 ore finalizzato alla conoscenza delle prescrizioni, delle cautele e delle tecniche operative per l'esecuzione dei singoli servizi di vigilanza zoofila e che l'articolazione del corso, in lezioni teoriche e pratiche, non ha previsto, in alcun modo, una formazione specifica sull'uso legittimo delle armi, né tantomeno, una formazione tecnico-operativa sull'utilizzo delle stesse, in contesti ad elevato rischio per l'incolumità degli operatori e di terzi;

CONSIDERATO che, il nesso logico della norma, appare evidente al successivo art. 4 lettera c) del cennato Regolamento, nella parte in cui è previsto che le guardie giurate zoofile volontarie, nello svolgimento del servizio, devono "richiedere tempestivamente ausilio di agenti delle Forze di Polizia qualora, nel corso dell 'espletamento del servizio, si determini una situazione di emergenza che possa determinare un pericolo per la sicurezza pubblica e l 'incolumità delle stesse guardie giurate zoofile volontarie";

DATO ATTO, in proposito, che il Consiglio di Stato — Sezione Terza — con sentenza n. 02121/2016 Reg.Ric., datata 23.06.2016, nel confermare l'impugnata Sentenza del TAR Toscana — Sez. II nr.7/2016, ha evidenziato come "Il Ministero dell'Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, può ben effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d'armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che - in rapporto all'ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e specifiche situazioni. Gli organi del Ministero dell'interno, ad es. possono decidere di restringere la diffusione e l'uso delle armi, sia quando occorra affrontare le situazioni locali ove sono radicate organizzazioni criminali, sia quando non vi siano particolari ragioni di timore per la salvaguardia dell'ordine pubblico. In tal caso l'amministrazione può predisporre criteri rigorosi in base ai quali le istanze degli interessati vadano esaminate tenendo conto delle esigenze di evitare la diffusione delle armi (....) Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche ed accertate ragioni oggettive, l'appartenenza ad una <categoria>
non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d'armi ( ) Qualora l'organo periferico del Ministero dell' Interno si orienti nel senso che l'appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo".

CONSIDERATO che, segnatamente alla specifica situazione del ricorrente, con sentenza nr.10345/04 del 23.6.2004, il TAR Campania - Sez. IV -, ha accolto il ricorso n.3279/2002 presentato da nove iscritti all'ENPA", tra cui il -OMISSIS-, avverso il provvedimento n.2845/1 sett. C/16B dell'1.02.2002, con il quale era stato subordinato il rilascio della licenza di porto d'armi "all'accertamento della sussistenza della necessità di andare armato", nonché avverso il successivo decreto prefettizio n.3383/6g 1° Sett C, datato 08.01.2003, con cui era stata rigettata l'istanza di rinnovo del porto d'armi al sig. -OMISSIS-;

DATO ATTO che, con tale sentenza è stato annullato anche il provvedimento n. 4/03-6G/Area I Ter del 16.10.2003, con il quale il Prefetto di Napoli aveva confermato il decreto prefettizio n.3383/6G 1 Sett.0 dell'8.1.2003 con il quale era stata rigettata la soprarichiamata istanza di rinnovo della licenza di porto d'armi del sig. -OMISSIS-;

CONSIDERATO che, nella cennata sentenza di accoglimento nr.10345/04, il Giudice Amministrativo ha richiamato l'analoga vicenda su cui si era pronunciato il Consiglio di Stato, Sez. IV, n.6580 del 12.12.2000, evidenziando in particolare che "deve ritenersi illegittimo, per insufficiente motivazione, il provvedimento col quale si nega il rinnovo di porto d'armi a soggetto in precedenza autorizzato sulla sola considerazione che lo stesso non versa, allo stato, nelle condizioni che giustifichino la necessità di girare armato, senza assolutamente indicare le ragioni della nuova valutazione contrastanti con le precedenti, che viceversa, avevano dato luogo al rilascio dell'autorizzazione al porto di pistola per difesa personale o per altra diversa e specifica funzione";

DATO ATTO che, con la più volte richiamata, recente sentenza del Consiglio di Stato- Sez. III, nr.02121/2016, datata 23 giugno 2016, il cennato Consesso ha formulato ben altro orientamento, confermando l'impugnata sentenza del TAR per la Toscana, Sez. n.7/2016, che aveva respinto analogo ricorso, proposto da guardie particolari giurate zoofile appartenenti proprio alla predetta associazione in argomento "ENPA", avverso il decreto del Prefetto di Firenze di respingimento delle istanze di rinnovo di porto d'armi;

CONSIDERATO che, in tale caso, il Giudice Amministrativo d'Appello ha ritenuto che [ ...... ]

TENUTO conto della significatività dei segnati passaggi della citata sentenza, da ritenersi particolarmente dirimenti sul punto, nella parte in cui, si afferma espressamente che: <
La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze si può basare dunque sull'assenza di specifiche circostanze, tali da indurre a disporne raccoglimento e l'interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze o una inspiegabile disparità di trattamento. Neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione di non disporre il rinnovo delle licenze, più volte in precedenza rilasciate. ....>;

DATO ATTO, dunque, che appare evidente la difformità di orientamento tra la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n.6580 del 12.12.2000 e la più recente sentenza del Consiglio di Stato —Sez. III, nr.02121/2016;

CONSIDERATO, per l'effetto, che, il TAR Campania Sez. V, con la richiamata ordinanza nr.1203/20, depositata il 24 giugno 2020, ha ritenuto che [...].

RILEVATO che, il comma 2 dell'art. 6 della L.189/2004, riportato nell'Ordinanza de quo, testualmente recita " La vigilanza...... è affidata anche, con riguardo agli animali d'affezione, ...... alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute" e che, al comma 1 del citato articolo il legislatore testualmente recita " Al fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, sentiti il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell'attività della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato e dei Corpi di polizia municipale e provinciale".

RITENUTO, pertanto, che sul punto possa affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il Legislatore abbia inteso affidare, la prevenzione ed il contrasto dei reati previsti dalla legge, alle Forze di Polizia territoriali, ed in via residuale, limitatamente alla tutela degli animali d'affezione, alle associazioni zoofile riconosciute e che con riguardo ai richiamati art. 55 c.p.p. (Funzioni della polizia giudiziaria) e art. 57 c.p.p (Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria), non sembra vi sia un automatismo tra il possesso della qualifica di agente di p.g. e l'assiomatica esigenza di svolgere le proprie funzioni portando un'arma;

DATO ATTO, altresì, che talune guardie particolari giurate volontarie zoofile - iscritte all'ENPA, in virtù della natura giuridica di Ente pubblico dell'associazione di appartenenza, e della conseguente qualifica di Agenti di Pubblica Sicurezza - hanno ottenuto, in passato, il rilascio della licenza di porto d'armi e che la mutata natura giuridica dell'Ente, con la conseguente perdita della qualifica di Agenti di P.S., nonché l'introduzione delle limitate competenze previste dal comma 2 dell'art. 6 della L.189/2004, hanno determinato una diversa valutazione da parte dell'Autorità di P.S. sull'esigenza di svolgere il servizio con l'arma;

TENUTO conto di quanto stabilito di recente dal Consiglio di Stato con la citata Sentenza -Sez. III-, nr.02121/2016, ovvero che " se gli organi del Ministero dell'Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo all'appartenenza ad una "categoria"), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità”;

DATO ATTO che, il Questore della Provincia di Napoli, nel diramare le indicazioni cui le Associazioni zoofile dovevano attenersi nel redigere, ai fini dell'approvazione, il Regolamento di servizio, ha tenuto conto, nell'esercizio delle proprie attribuzioni, di una molteplicità di fattori, che hanno indotto a ritenere inopportuno lo svolgimento della vigilanza, da parte delle gg.pp.gg. volontarie zoofile, con l'arma;

CONSIDERATO che detta valutazione ha tenuto conto della densità criminale nell'ambito provinciale, con le già frequenti rapine dell'arma alle gg.pp.gg. dipendenti degli istituti di vigilanza, nonché della natura "volontaria" del servizio svolto, che non obbliga, diversamente dalle Forze di Polizia, al dovere di esporsi al rischio al fine di prevenire e reprimere i reati;

TENUTO conto, altresì, che detta natura "volontaria" del servizio non esige una formazione di lunga durata, come quella effettuata dagli appartenenti alle Forze di Polizia, bensì un mero corso teorico-pratico di 48 ore, senza alcuna formazione sulle tecniche di intervento operativo con arma al seguito;

DATO ATTO che, proprio detta natura "volontaria" del servizio di vigilanza - per il quale servizio non può essere prevista alcuna retribuzione - impone all'Autorità di P.S. di salvaguardare l'incolumità delle gg.pp.gg. zoofile volontarie, e che proprio per tale motivo è stato redatto il citato art. 4, lettera c) del Regolamento di servizio, che impone di "richiedere tempestivamente ausilio di agenti delle Forze di Polizia qualora, nel corso dell'espletamento del servizio, si determini una situazione di emergenza che possa determinare un pericolo per la sicurezza pubblica e l 'incolumità delle stesse guardie giurate zoofile volontarie";

RITENUTO, per l'effetto, di confermare, per le ampie motivazioni soprarichiamate, il provvedimento n.344833 del 28.11.2019, con il quale è stata respinta l'istanza formalizzata in data 8 maggio 2019 dal sig. ....finalizzata a ottenere il rinnovo della licenza di porto d'armi ”.

10. Il ricorrente con atto notificato in data 5 ottobre 2020 e depositato il successivo 22 ottobre ha impugnato il provvedimento prefettizio adottato all’esito del disposto riesame, articolando avverso il medesimo, in due motivi di ricorso le seguenti censure:

1. Illegittimità derivata;

2. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente:

Illogicità ed irrazionalità, ingiustizia manifesta, violazione di legge, violazione e falsa applicazione del principio del legittimo affidamento, difetto di motivazione, sviamento, violazione e falsa applicazione della legge 20 luglio 2004, n.189, violazione dei principi di derivazione europea. Violazione e falsa applicazione dell’ordinanza cautelare.

Secondo il ricorrente il provvedimento di conferma gravato con i presenti motivi aggiunti, in quanto strettamente consequenziale a quello gravato con il ricorso introduttivo, sarebbe affetto da illegittimità derivata, in relazione ai medesimi vizi indicati nel ricorso introduttivo.

In particolare il ricorrente, nel rimarcare nuovamente come il porto d’armi gli sia stato rinnovato in epoca successiva all’approvazione – in data 14 ottobre 2016 da parte del Questore, del “Regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari giurate/aderenti all’E.N.P.A”, ha dedotto come l’Amministrazione resistente con l’atto di diniego gravato avesse operato in una direzione opposta a quella seguita in occasione dell’ultimo rinnovo, laddove a suo dire in assenza di mutamenti significativi degli elementi soggettivi ed oggettivi riconducibili alla sfera giuridica del richiedente il titolo, non possono giustificarsi i successivi dinieghi, anche a tutela del principio di affidamento rilevante nel diritto amministrativo, quale espressione delle clausole generali di correttezza e buona fede ed a tutela della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti giuridici.

Il ricorrente peraltro assume che illegittimo dovrebbe ritenersi il provvedimento di diniego gravato quanto alla ritenuta insussistenza del dimostrato bisogno, in considerazione del rilievo che ai sensi dell’art. 37, comma 3, legge 157/92 le guardie zoofile volontarie che prestano servizio presso l’ENPA “esercitano la vigilanza sull’applicazione della presente legge e delle leggi regionali in materia di caccia ex art.27, comma 1, lett. b)” e che, se è pur vero che la normativa in materia attribuisce ampio potere discrezionale al rilascio del porto d’armi solo nei “casi di dimostrato bisogno”, non altrettanto ragionevole appare l’indirizzo negativo nei confronti delle guardie giurate volontarie E.N.P.A. con funzione di vigilanza zoofila che, per l’assolvimento dei compiti istituzionali ottenuti dai relativi decreti prefettizi, possono trovarsi ad affrontare situazioni di potenziale conflitto per il ripristino della legalità .

Pertanto il ricorrente richiama, a sostegno dell’impugnativa, quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale le guardie zoofile E.N.P.A. sono titolari di un interesse qualificato al possesso del titolo abilitativo per la detenzione di un’arma, pur non assegnata in dotazione come gli agenti di p.s., assumendo che la qualifica di agenti di P.G., ex artt. 55 e 57 c.p.p., riconosciuta alle guardie giurate volontarie E.N.P.A., secondo giurisprudenza consolidata, abiliterebbe le medesime nell’adempimento delle loro funzioni, anche ad effettuare operazioni di rilevante importanza come i sequestri.

Secondo il ricorrente l’Amministrazione sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art.6, comma 2, della legge 189/2004, interpretando detta norma nel senso che il legislatore avrebbe voluto limitare l’operato delle guardie particolari giurate alla protezione dei soli animali di affezione, laddove, a suo dire, il fine della novella è quello di far assumere alle guardie particolari giurate i poteri tipici della polizia giudiziaria (ai sensi degli artt. 55 e 57 c.p.p.) per ciò che concerne la difesa degli animali di affezione, fermo restando che per tutti gli altri ambiti rimangono comunque intatte le competenze già riconosciute alle guardie giurate appartenenti alle associazioni protezionistiche e zoofile.

Il ricorrente pertanto assume come non sarebbero comprensibili i motivi posti dal Questore a base del giudizio di “ ritenere inopportuno lo svolgimento della vigilanza delle guardie particolari giurate volontarie zoofile con l’arma ”, stante la pacifica qualifica di P.G. riconosciuta ex art. 6, comma 2, della legge n.189 del 2004.

11. Con ordinanza n. 05136/2020 adottata all’esito dell’udienza camerale del 10 novembre 2020, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare presentata con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la Sezione ha così deciso: “ Ritenuto che, in considerazione del carattere pretensivo dell’interesse azionato con il ricorso per motivi aggiunti e della circostanza che l’Amministrazione resistente si è già pronunciata all’esito del riesame disposto con l’ordinanza cautelare 1023 del 2020, non vi siano ulteriori spazi per la tutela cautelare, e che pertanto si renda necessaria le celere celebrazione dell’udienza di merito, ex art. 55 comma 10 c.p.a., secondo quanto indicato in dispositivo;

Ritenuto, avuto riguardo alla necessità del rispetto dei termini liberi per la celebrazione dell’udienza di merito, da determinarsi in 120 giorni dalla notifica del ricorso per motivi aggiunti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 43 comma 1 seconda parte, 46 comma 1 e 71 comma 5 c.p.a., che debba disporsi la cancellazione della causa dal ruolo dell’udienza già fissata per la seconda udienza pubblica del mese di gennaio 2021 con l’ordinanza cautelare n. 1023 del 2020 e fissarsi nuova udienza di discussione nel rispetto dei termini di legge ”, rinviando per la successiva trattazione del merito del ricorso all’udienza del 16 febbraio 2021.

12. Nessuna delle parti ha depositato memorie in vista dell’udienza di discussione del ricorso ex art. 73 comma 1 c.p.a..

13. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza del 16 febbraio 2021, sulla base dei soli scritti difensivi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 d.l. 28/2020 e 25 d.l. n. 137/2020, vigente ratione temporis , non avendo alcuna delle parti richiesto la discussione da remoto.

14. In limine litis deve evidenziarsi come il ricorso introduttivo debba considerarsi improcedibile, avendo l’Amministrazione riesercitato il potere all’esito del disposto riesame, con un atto di conferma in senso proprio, sulla base di una rinnovata istruttoria e di una distinta motivazione, che ha tenuto conto anche di quanto dedotto nei motivi di ricorso, nonché dei punti in relazione ai quali la Sezione aveva ritenuto la necessità di riesame senza peraltro formulare alcun apprezzamento in ordine alla sussistenza del fumus boni iuris dell’istanza cautelare, fondando la richiesta di riesame sulla sussistenza del periculum in mora e ponendo pertanto all’Amministrazione unicamente un vincolo procedimentale.

14.1. Pertanto, ferma restando l’improcedibilità del ricorso introduttivo, l’interesse a ricorrere deve intendersi traslato avverso il provvedimento di riesame, gravato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.

14.2. Infatti all’atto adottato a seguito del riesame, essendone derivato a carico dell’Amministrazione un vincolo solo procedimentale, ben può ascriversi natura provvedimentale, essendo vincolato solo nell’an, ma non nel quomodo, dal disposto giudiziale e suscettibile, come avvenuto nella specie, di essere impugnato con motivi aggiunti (in senso analogo la sentenza di questo T.A.R. Sezione VII n. 5829 del 15/12/2011).

E’ infatti noto che al giudice in sede cautelare sono consentiti i più ampi poteri, ivi compresa l’adozione di misure atipiche di “remand”, con la sollecitazione all’esercizio in via autonoma del potere di spettanza dell’Amministrazione, eventualmente anche nell’ottica di un’integrazione e di una correzione del procedimento amministrativo.

Occorre infatti tenere presente che a seguito dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale il processo amministrativo non presenta più i connotati di giudizio sull’atto, essendo divenuto sempre più giudizio sul rapporto e giudizio sulla spettanza del bene della vita, come evincibile dal disposto dell’art. 21 octies l. 241/90, introdotto dalla legge n. 15/2005, dall’istituto dei motivi aggiunti quale configurato dalla legge n. 205/2000 e dal codice del processo amministrativo, dalla tipologia delle pronunce previste dal codice del processo amministrativo, che introduce un sistema "aperto" di tutele, in cui sono ammesse pronunce dichiarative (art. 31), costitutive (art. 29), condannatorie (art. 30), dalla configurazione del processo amministrativo data dalla stessa giurisprudenza amministrativa.

Tutto ciò porta ad individuare una circolarità fra procedimento amministrativo e processo amministrativo, ravvisabile non solo all’esito dell’emissione della sentenza e dell’effetto conformativo che dalla medesima deriva nella riedizione del potere, ma anche all’esito dell’ordinanza cautelare, volta a sollecitare il riesercizio del potere.

In questo senso si è espresso, già a suo tempo, il T.A.R. Lombardia - Milano, con la sentenza della sez. III 8 giugno 2011 n. 1428, con la quale si è sottolineato come “il comune obiettivo delle successive tendenze legislative e giurisprudenziali sia stato quello di far convergere nel giudizio di cognizione, per quanto possibile, tutte le questioni dalla cui definizione possa derivare una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita. Prima dell’entrata in vigore del codice del processo, vanno citati almeno i seguenti sviluppi: - la combinazione di ordinanze propulsive e motivi aggiunti avverso l’atto di riesercizio del potere hanno consentito di focalizzare l’accertamento, per successive approssimazioni, sull’intera vicenda di potere;
- è divenuta pacifica la possibilità per il giudice di spingersi "oltre" la rappresentazione dei fatti forniti dal procedimento, nella convinzione che quella degli apprezzamenti tecnici non sia un’area istituzionalmente "riservata" alla pubblica amministrazione, giacché ciò che è precluso al giudice amministrativo è soltanto il giudizio di valore e di scelta che "specializza" la funzione amministrativa, mentre l’interpretazione e l’accertamento dei presupposti della fattispecie di cui il potere è effetto spetta al giudice;
- le nuove tecniche di sindacato, punto di emersione della "amministrazione di risultato" e della acquisita centralità che il bene della vita assume nella struttura dell’interesse legittimo, hanno indotto il giudice ad un vaglio di ragionevolezza più penetrante rispetto al mero riscontro di illogicità formale, in cui la qualificazione di invalidità dipende, più che dalla difformità rispetto ad un parametro normativo, dalla devianza rispetto all’obiettivo il cui solo perseguimento legittima il potere della Autorità;
- nella stessa prospettiva si colloca la regola per cui il provvedimento è valido (o, comunque secondo altra prospettazione, non è annullabile) quando la difformità dal diritto obiettivo non abbia inciso sulla adeguata sistemazione degli interessi da esso operata (art. 21 octies, II comma, L. 241/90, che attribuisce alla p.a. la possibilità di introdurre nel processo anche fatti non dedotti nell’atto o versati nel procedimento per dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso);
- l’art. 10 bis della legge sul procedimento, nel caso di procedimenti ad istanza di parte, imponendo alla p.a. di preavvisare il privato di tutti i possibili motivi di reiezione dell’istanza, ha consentito al processo di giovarsi della estensione del contraddittorio procedimentale a tutti i profili della disciplina del rapporto;
- l’iscrizione tra i valori giuridici ordinanti del principio di concentrazione e di ragionevole durata (art. 111 cost.) osta a che una controversia sulla medesima pretesa sostanziale possa essere frazionata in più giudizi di merito in spregio al diritto di difesa ed alle esigenze di efficiente impiego delle risorse della giustizia;
- la codificata possibilità per il giudice amministrativo di accertare la fondatezza dell’istanza del privato nell’ambito del giudizio sul silenzio è stata salutata come una conferma delle ricerche più avanzate su oggetto e ruolo del processo (l’art. 2 comma 5 della l. 241/1990, ribadito dall’art. 31 c.p.a.)”.

Inoltre “spetta al codice del processo amministrativo il merito di avere abbandonato definitivamente ogni residuo della concezione oggettiva del giudizio amministrativo di annullamento come strumento di controllo dell’azione amministrativa, e di aver consolidato lo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, al rapporto regolato dal medesimo, al fine di scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata, sempre che non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione (così l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 23 marzo 2011 n. 3;
ma alle medesime conclusioni era pervenuta anche una consistente parte della dottrina amministrativistica).

E’, in primo luogo, significativo che, alla formula per la quale la cognizione non poteva esaurire tutti i profili del potere amministrativo (stante la salvezza degli ulteriori atti dell’autorità amministrativa: artt. 45 R.D. 1054/1924 e 26 L. 1043/1971), il codice abbia sostituito il ben diverso divieto di pronunciare su poteri amministrativi non ancora esercitati (art. 34, comma 2), volto soltanto ad impedire la tutela anticipata dell’interesse legittimo ”.

Con la cennata pronuncia peraltro il T.A.R. Lombardia, nell’ottica di circolarità e di interazione fra procedimento amministrativo e processo amministrativo, ravvisabile nell’ambito dello stesso giudizio di cognizione, estende l’orientamento giurisprudenziale secondo cui va imposto all’Amministrazione “dopo un giudicato da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo di esaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati (cfr. Cons. Stato, V, 134/99;
Cons. Stato, VI, 7858/04)”;
tanto anche all’ipotesi in cui l’amministrazione, come nel caso di specie, venga reinvestita della questione a seguito di "remand" (tecnica cautelare che si caratterizza proprio per rimettere in gioco l’assetto di interessi definiti con l’atto gravato, restituendo quindi all’amministrazione l’intero potere decisionale iniziale), con la conseguenza che il giudice ben può adottare, ove l’Amministrazione con il secondo atto illegittimo abbia esaurito la propria potestà discrezionale, una pronuncia di adempimento all’adozione di un determinato atto satisfattivo degli interessi di parte ricorrente, non potendo più ripronunciarsi sulla medesima questione per la terza volta.

Consegue, in tale ottica, che, assegnando valore provvedimentale all’atto adottato in seguito a “remand” (al pari dell’atto adottato a seguito di annullamento giurisprudenziale, che non perde valenza provvedimentale solo perché adottato all’esito di un dictum giurisprudenziale e tenuto al rispetto del vincolo conformativo dal medesimo derivante), non può non ritenersi che lo stesso abbia effetto sostitutivo rispetto a quello adottato “ab origine”.

Né a tale ricostruzione può ostare la valenza meramente strumentale della misura cautelare laddove la stessa consista - come nella specie – in un mero remand, volto a sollecitare il riesercizio del potere.

Ciò tanto più ove, come nell’ipotesi di specie, l’atto adottato a seguito del riesame non si presenti satisfattivo dell’interesse del ricorrente ma come “confermativo” (ma non “meramente confermativo”, come palesato dall’affermazione di aver compiuto il riesame della pratica) dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo, con la conseguenza che non risulta comunque aggirato - nell’ottica della visione strumentale della misura cautelare - il giudizio sulla fondatezza del ricorso introduttivo.

Ed invero, laddove l’atto adottato a seguito del remand sia confermativo dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo, lo stesso non può che assumere il valore di provvedimento sopravvenuto, sostitutivo del precedente, in grado di “spostare in avanti” l’interesse a ricorrere, con il conseguente onere per il ricorrente di impugnare l’atto medesimo.

Infatti mentre l'atto meramente confermativo si limita a richiamare il precedente provvedimento e non ha perciò alcuna valenza costitutiva, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse del ricorso proposto avverso di esso e non avverso il provvedimento originario, l'atto di conferma è autonomamente impugnabile, in quanto da un lato presuppone un completo riesame della fattispecie e dall'altro si sostituisce, pur avendo identico dispositivo, all'atto confermato (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009 , n. 7732;
T.A.R. Campania - Napoli, sez. IV, 23 dicembre 2010 , n. 28009).

Il cd. "remand" costituisce dunque una tecnica di tutela cautelare che si caratterizza per rimettere in gioco l'assetto di interessi definiti con l'atto gravato, restituendo quindi all'amministrazione l'intero potere decisionale iniziale, senza tuttavia pregiudicarne il risultato finale;
il nuovo atto, infatti, costituendo (nuova) espressione di una funzione amministrativa (e non di mera attività esecutiva della pronuncia giurisdizionale), porta ad una pronuncia di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, ove abbia contenuto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente, oppure di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l'interesse del ricorrente dall'annullamento dell'atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, a quest'ultimo;
infatti, il provvedimento adottato all'esito del "remand", lungi dal costituire una mera integrazione della motivazione del precedente, si configura come espressione di nuove, autonome, scelte discrezionali dell'Amministrazione, in presenza delle quali non può non farsi applicazione del tradizionale e consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la sostituzione dell'atto impugnato a mezzo di un nuovo provvedimento (che non sia meramente confermativo del precedente) rende improcedibile il ricorso (T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 17/05/2013, n.1326).

Peraltro anche la sentenza T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II quater, 27/07/2015, n. 10245, nel dichiarare improcedibile il ricorso introduttivo, si è espressa nel senso che “anche se è vero che il C.p.a. non fa alcuna espressa menzione dell'istituto del c.d. "accoglimento della domanda cautelare ai fini del riesame", vale a dire della prassi processuale con cui il Giudice amministrativo accompagna la sospensione, nelle more, dell'atto impugnato con l'ordine all'Amministrazione di riesaminare la situazione alla luce dei motivi di ricorso;
è anche vero che nello stesso codice non si ravvisano neppure espliciti divieti in tal senso, e che talvolta possono anche sussistere ragioni di opportunità a tale riguardo. In ogni caso, l'ordinanza che dispone «il riesame» determina solo l'effetto di obbligare la Pubblica amministrazione a rideterminarsi formalmente, ma lascia intatta la sfera di autonomia sostanziale e la responsabilità della stessa, per cui non dà luogo ad alcuna inibitoria, consentendo l'adozione di una nuova decisione confermativa ovvero di una determinazione comunque non satisfattiva del privato” (in senso analogo, Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 14/05/2014, n. 2475 e T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, Sent., 11/09/2017, n. 762).

15. Sempre in limine litis va evidenziata l’inammissibilità/irricevibilità del primo ricorso per motivi aggiunti, già evidenziata in sede cautelare con ordinanza n. 02268/2020, riferiti per un verso ad atto non a contenuto provvedimentale, ovvero alla relazione difensiva adottata dall’Amministrazione resistente – che poteva essere idoneamente contrastata con memoria difensiva -, per altro verso all’atto di rinnovo della qualifica di guardia particolare giurata, da non considerarsi quale atto consequenziale rispetto agli atti di diniego del porto d’armi gravati con il ricorso introduttivo e con il secondo ricorso per motivi aggiunti, ma quale atto presupposto che la parte avrebbe avuto l’onere di gravare appena avutane conoscenza, laddove la stessa non ha in alcun modo dedotto di averne avuto conoscenza solo all’esito dell’istruttoria disposta da questa Sezione, con conseguente irricevibilità della relativa impugnativa;
ciò senza mancare di rilevare che il ricorrente non ha precisato in che modo la limitazione ratione materiae del rinnovo della licenza di porto d’armi abbia potuto determinare il diniego del rilascio del porto d’armi e pertanto far sorgere il suo interesse a gravarlo (solo) nella presente sede ed in connessione con i provvedimenti di diniego del rinnovo del porto d’armi.

Parimenti irricevibile, secondo quanto indicato nella citata ordinanza cautelare, deve intendersi l’impugnativa formulata nelle conclusioni del primo ricorso per motivi aggiunti al “decreto di approvazione delle guardie particolari giurate” n. 9168, per i motivi indicati a pag, 9 del ricorso introduttivo, laddove rivolta avverso il Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, trattandosi di atto presupposto rispetto al diniego del rinnovo del porto d’armi che la parte ricorrente avrebbe dovuto gravare tempestivamente con il ricorso introduttivo.

16. Le censure articolate con il secondo ricorso per motivi aggiunti, integrate con quelle formulate nel ricorso introduttivo, da intendersi richiamate, essendo fondate sulla violazione della normativa in materia, sull’eccesso di potere sotto svariati profili e sulla violazione del dictum cautelare, in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente.

16.1 Le stesse sono infondate, alla stregua di quanto di seguito evidenziato.

16.2. Giova premettere che il T.U.L.P.S., nel disciplinare il rilascio della "licenza di porto d'armi", mira a salvaguardare la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.

Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha ribadito quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi "costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975": "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi".

Regola generale è, infatti, quella del divieto di detenzione delle armi e l’autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuoverlo in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

Ciò comporta che - oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39, 42 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 - rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.

Pertanto, l'autorizzazione al possesso e al porto delle armi non integra un diritto all’arma, ma costituisce di norma il frutto di una valutazione discrezionale, nella quale confluiscono sia la mancanza di requisiti negativi, sia la sussistenza di specifiche ragioni positive.

16.3. Tanto premesso, si evidenzia, dunque, che quanto rappresentato dal ricorrente in ordine ad un asserito diritto al porto d’armi in ipotesi di richiesta di rinnovo si appalesa errato, né può ritenersi che i precedenti rilasci abbiano determinato un legittimo affidamento in ordine ai successivi rinnovi.

Ed invero, in generale, ai fini del rilascio del porto d’armi, occorre in primo luogo che non ricorra il pericolo di abuso delle armi, ai sensi del combinato disposto dell’art. 11 e 43 del T.U.L.P.S..

Peraltro, laddove sia richiesta licenza per porto di pistola per uso di difesa personale, come nella specie, oltre ai requisiti di affidabilità e di buona condotta, stante la sopra indicata eccezionalità dell’autorizzazione all’uso delle armi, in deroga al generale divieto, occorre che l'autorità competente ritenga sussistente il dimostrato bisogno dell'arma ex art. 42 del T.U.L.P.S. (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 07/08/2018, n. 4862).

Infatti, in materia di autorizzazione di polizia al porto d'armi, mentre per le armi lunghe da fuoco la relativa licenza è rilasciata a discrezione del Questore a chi non abbia determinati precedenti penali o abbia buona condotta, la licenza per le armi corte (rivoltelle o pistole) è di competenza del Prefetto, il quale deve verificare, come ulteriore requisito, che il richiedente ne abbia un dimostrato bisogno, secondo quanto previsto dall'art. 42 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS) (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 21/03/2017, n. 503;
in senso analogo, Cons. Stato, Sez. III, 10/01/2014, n. 60, secondo cui “Il rilascio (o il rinnovo) della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, co. 1, della legge n. 110 del 1975. Inoltre, l'art. 42 RD 773/1931 (TULPS) stabilisce un regime differenziato a seconda che l'autorizzazione venga richiesta per portare armi lunghe da sparo, ovvero armi corte (pistole o rivoltelle): intuitivamente il legislatore considera più pericolose le seconde che le prime. Per le armi lunghe, la licenza è di competenza del Questore, per quelle corte del Prefetto, e solo per le seconde occorre una specifica valutazione del "dimostrato bisogno").

Pertanto, “Il potere di concedere l'autorizzazione al porto di pistola a privati cittadini da parte del Prefetto, di cui all'art. 42 del R.D. n. 773/1931, è esercitabile in ipotesi eccezionali, solo in caso di dimostrato bisogno, la cui sussistenza va provata dal richiedente e deve essere tale da giustificare la deroga al principio generale dell'ordinamento, di cui all'art. 1 del R.D. n. 773/1931, secondo cui la tutela dell'incolumità dei cittadini è affidata alle forze di polizia, onde i cittadini devono essere, di norma, disarmati (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 09/03/2020, n. 196).

Ciò posto, la Sezione condivide il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale “Non esiste nell'ordinamento un diritto soggettivo ad avere la licenza di porto armi, ma solo la possibilità per la Pubblica amministrazione di concederla e il precedente rilascio del titolo non legittima una pretesa o aspettativa riguardo al rinnovo rispetto al quale l'Amministrazione fruisce di ampia discrezionalità. L'arma per difesa personale deve essere una necessità reale e non un'opzione personale per situazioni meramente ipotetiche;
quando l'art. 42 comma 3, t.u.l.p.s. concede all'autorità la facoltà di autorizzare il porto d'armi, il presupposto cogente è il "dimostrato bisogno" per poter beneficiare di un'eccezione” (ex multis, T.A.R. Toscana, sez. II, 03/06/2016, n. 935).

Inoltre secondo la giurisprudenza, ai sensi dell'art. 42 del R.D. n. 773/1931, il presupposto, ai fini del rilascio della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, dell'esistenza del "dimostrato bisogno" dell'arma, lungi dal poter essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, deve riposare su specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che il Prefetto ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola ed, inoltre, non può essere provato neppure sulla base della mera appartenenza ad una determinata categoria professionale o dello svolgimento di una determinata attività economica, così come non può ricavarsi dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. Stato, Sez. III, 11/09/2019, n. 6139;
Cons. Stato, Sez. III, 10/04/2019, n. 2359;
T.A.R. Campania – Salerno, Sez. I, 16/11/2018, n. 1663).

Pertanto, “nel valutare le istanze finalizzate al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d'arma, è riconosciuta all'autorità di P.S. ampia discrezionalità poiché l'espansione della sfera di libertà del privato recede innanzi al bene della sicurezza collettiva, sicché il provvedimento con il quale il Prefetto ritiene insufficienti le condizioni per il rilascio è sindacabile in sede giurisdizionale solo sotto i profili della manifesta illogicità e del palese travisamento dei fatti, anche considerato che il dimostrato bisogno del porto d'armi deve integrare una eccezionale necessità di autodifesa, non altrimenti surrogabile con altri rimedi, in quanto costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, comma 1, della Legge n. 110 del 1975 (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 30/06/2016, n. 222).

16.3.1. Il rilascio del titolo di porto d'armi, come deroga al divieto di portare armi, non genera, dunque, diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all'atto del periodico rinnovo e che abilita l’Amministrazione a valutare non solo l'uso (o non abuso) del titolo o il permanere attuale di tutti i requisiti e le condizioni che avevano condotto all'autorizzazione, ma anche ad operare una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche alla luce di mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica. In altri termini, l'Autorità di pubblica sicurezza può legittimamente denegare il rinnovo del porto d'arma non solo per la sopravvenuta carenza dei presupposti e dei requisiti di legge, ma anche per un legittimo ripensamento e per una nuova discrezionale valutazione della convenienza e opportunità della scelta originariamente compiuta, anche alla luce di mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2522;
Cons. Stato, Sez. III, 30/01/2019, n. 757, secondo cui “Ogni volta che si riesamina una istanza di rinnovo di permesso di pistola, il Ministero dell'Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell'ordine pubblico. In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto il rilascio possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi e se gli organi del Ministero dell'Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla mera appartenenza ad una 'categoria'), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, fermo restando che l'interessato può dolersi delle eventuali disparità di trattamento che si commettano in concreto”).

17. Ciò posto, poiché, come sopra detto, in materia, l'ordinamento è caratterizzato da un rigoroso sistema di controlli volti, in sostanza, a ridurre al minimo il possesso e la circolazione delle armi ed i rischi connessi, legittimo deve ritenersi il diniego di rinnovo del porto d’armi per difesa personale, laddove lo stesso richiami, come nell’ipotesi di specie, i criteri generali che presiedono al rilascio del porto d’armi per uso difesa personale, ai fini del perseguimento dell’uniformità di applicazione dei mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore;
vieppiù ove detti indirizzi siano esplicitamente riferiti, come nella specie, allo svolgimento dell’attività di guardia particolare giurata dell’ENPA in conformità al Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, adottato dall’ENPA sulla base della nota del 25 novembre 2014 e successiva circolare n.557/PAS/017256/10089.DGG(21) del 14 novembre 2016, con le quali il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni in merito alle richieste di approvazione del regolamento di servizio, ai sensi dell'art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935, n.1952, convertito in legge 19 marzo 1936 n. 508, ed approvato in data 14.10.2016 dal Questore della Provincia di Napoli, il cui art. 4 prevede, per i servizi di vigilanza zoofila, unicamente personale disarmato, fondando la propria ratio sul complessivo impianto normativo del Regolamento, con particolare riguardo alle modalità di espletamento dei servizi, come congruamente ritenuto dalla Prefettura con il provvedimento di riesame.

17.1. Infatti, al riguardo, l'art. 2 del Regolamento de quo, come correttamente osservato nel provvedimento di riesame, prevede quale requisito per l'ammissione in servizio la frequenza di un corso di 48 ore, finalizzato alla conoscenza delle prescrizioni, delle cautele e delle tecniche operative per l'esecuzione dei singoli servizi di vigilanza zoofila e l'articolazione del corso in lezioni teoriche e pratiche, senza prevedere, in alcun modo, una formazione specifica sull'uso legittimo delle armi, né, tantomeno, una formazione tecnico-operativa sull'utilizzo delle stesse, in contesti ad elevato rischio per l'incolumità degli operatori e di terzi. Il nesso logico della norma appare evidente al successivo art. 4 lettera c) del cennato Regolamento, nella parte in cui è previsto che le guardie giurate zoofile volontarie, nello svolgimento del servizio, devono " richiedere tempestivamente ausilio di agenti delle Forze di Polizia qualora, nel corso dell’espletamento del servizio, si determini una situazione di emergenza che possa determinare un pericolo per la sicurezza pubblica e l’'incolumità delle stesse guardie giurate zoofile volontarie ".

17.2. Questa previsione appare coerente peraltro con la prescrizione dell’art. 6 della L. 189 del 2004. Ed invero, sebbene il comma 2 dell'art. 6 della L.189/2004, testualmente recita "La vigilanza...... è affidata anche, con riguardo agli animali d'affezione, ...... alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute", riservando alle guardie giurate la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in riferimento alla sola vigilanza sugli animali d’affezione – come riconosciuto peraltro dallo stesso ricorrente - al comma 1 prevede che "Al fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, sentiti il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell'attività della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato e dei Corpi di polizia municipale e provinciale", con ciò confermando che anche in relazione alla materia de qua i compiti di maggior rilievo sono attribuiti alle Forze di Polizia cui è istituzionalmente attribuita la tutela della sicurezza pubblica.

17.2.1. Le scelte compiute dalla Prefettura, pertanto, sono del tutto ragionevoli ed immuni dalle articolate censure, in quanto del tutto conformi al dettato dell’art. 4 dell’indicato Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, adottato dall’ENPA sulla base della nota del 25 novembre 2014 e successiva circolare n.557/PAS/017256/10089.DGG(21) del 14 novembre 2016, con le quali il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni in merito alle richieste di approvazione dei cennati regolamenti di servizio.

Ed invero al riguardo non può mancarsi di rilevare come il ricorrente non abbia impugnato né detto Regolamento, né il relativo atto presupposto, ovvero la circolare n.557/PAS/017256/10089.DGG(21) del 14 novembre 2016, laddove per contro le censure da lui articolate - in quanto fondate sullo status di guardia particolare venatoria giurata e non sui concreti pericoli da lui occorsi nell’esercizio della relativa attività, in grado eventualmente di giustificare il rilascio del porto d’armi a titolo personale e non già semplicemente quale guardia zoofila volontaria – dovevano essere formulate con l’impugnativa di detti atti presupposti.

17.2.2. In proposito non sfugge al collegio come detti atti non siano stati impugnati né con il secondo ricorso per motivi aggiunti, riferito al provvedimento adottato all’esito del disposto riesame, in cui la Prefettura ha operato ampi richiami al suddetto Regolamento, né in sede di ricorso introduttivo, nonostante anche il primo diniego richiamasse l’art. 4 dell’indicato Regolamento;
né può valere il riferimento contenuto nel ricorso introduttivo e nel secondo ricorso per motivi aggiunti a tutti gli atti presupposti, che in alcun modo potrebbe legittimare il loro annullamento in assenza di una puntuale indicazione (ex multis, T.A.R. Marche, 10/02/2020, n.113 secondo cui “ Al fine di individuare lo specifico oggetto dell'impugnativa non può assumere rilevanza l'espressione che estende l'impugnazione anche a "tutti gli atti ad essi presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali e comunque connessi", trattandosi di mera formula di stile priva di qualsiasi valore processuale” ).

Intempestiva per contro in ogni caso deve intendersi, secondo quanto evidenziato, l’eventuale impugnazione formulata con il primo ricorso per motivi aggiunti.

18. Va pertanto rimarcato come in relazione alla presente fattispecie non possono applicarsi i principi elaborati da questa Sezione con le sentenze n. 01174/2019, n.01673 del 27.03.2017 e n. 5120 del 03.11.2017, richiamati dal ricorrente con il secondo ricorso per motivi aggiunti, posto che nelle fattispecie prese in considerazioni in tali sentenze non veniva in rilievo un diniego motivato in riferimento alle prescrizioni generali contenute in detto Regolamento, laddove per nella fattispecie de qua, avendo il ricorrente semplicemente addotto di avere una posizione qualificata per il rilascio del porto d’armi in quanto guardia zoofila volontaria, avrebbe dovuto impugnare l’indicata prescrizione regolamentare che prevede che nell’ENPA l’indicato servizio venga svolto da guardie non armate.

18.1. Né in relazione al medesimo atto presupposto potrebbe venire in rilievo un potere di disapplicazione da parte dell’adito T.A.R., posto che il Regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari giurate/aderenti all’E.N.P.A., adottato sulla base delle indicazioni adottate dalla Questura e dalla richiamata circolare assurge a mero atto di regolamentazione interna, costituente autovincolo per la P.A., ma non può intendersi quale regolamento in senso proprio, ovvero quale fonte del diritto, dotata dei caratteri di generalità ed astrattezza e di innovatività dell’ordinamento, in relazione ai quali soltanto può ritenersi operante il potere di disapplicazione del G.A., quale riconosciuto da consolidata giurisprudenza, fondato sulla necessità del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 09/01/2020, n.202, secondo cui “La disapplicazione, da parte del giudice amministrativo, della norma secondaria di regolamento ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo impugnato è uno strumento per la risoluzione delle antinomie tra fonti del diritto che trova fondamento nel principio della graduazione della forza delle diverse fonti normative tutte astrattamente applicabili e, pertanto, presuppone che il precetto contenuto nella norma regolamentare si ponga in contrasto diretto con quello contenuto in altra fonte di grado superiore”), laddove in relazione agli atti amministrativi generali permane per contro l’onere di impugnazione in capo ai privati.

Ciò senza mancare di rilevare, ad abuntantiam, l’assoluta ragionevolezza della prescrizione dell’art. 4 dell’indicato Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, la cui ratio è stata motivatamente ricostruita nel provvedimento di riesame e che peraltro appare conforme alla giurisprudenza più restrittiva in materia di cui alla richiamata sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, n. 03329/2016 (R.G. 2121 del 2016) secondo cui “ Gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica.

Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categoria’ non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi.

Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).

Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, o anche di ‘volontari’, in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi.

Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti nel senso che l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo.

La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze si può basare dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze o una inspiegabile disparità di trattamento.

Neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo delle licenze, più volte in precedenza rilasciate.

Infatti, ogni volta che esamina istanze di rinnovo, il Prefetto formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico.

In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi.

E se gli organi del Ministero dell’Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla appartenenza ad una ‘categoria’), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità ”.

19. Né si può ritenere che il ricorrente vantasse un legittimo affidamento al rinnovo del porto d’armi in considerazione del rilievo che il precedente rinnovo gli era stato rilasciato allorquando era già stato approvato l’anzidetto Regolamento, non potendo costituire tertium comparationis in relazione alla censura di eccesso di potere per contraddittorietà fra atti – come anche a quella di disparità di trattamento (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 30/12/2019, n. 8893, secondo cui “ Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotto quando viene rivendicata l'applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell'operato dell'amministrazione non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione” ) – un previo atto illegittimo.

20. In considerazione di quanto in precedenza rilevato in ordine ai limiti dell’ordinanza cautelare di remand che non può che porre un semplice vincolo procedimentale all’Amministrazione, anche allorquando la stessa, come nell’ipotesi di specie, indichi i punti su cui l’Amministrazione deve soffermarsi nel riesercitare il potere, non può ritenersi fondata la censura di violazione del dictum cautelare, avendo per contro l’Amministrazione riesercitato il potere con articolata motivazione, anche in relazione ai punti evidenziati in sede cautelare.

21. In conclusione il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile, il primo ricorso per motivi aggiunti inammissibile ed irricevibile ed il secondo ricorso per motivi aggiunti va rigettato.

21.1. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ. sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ, sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

22. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alle particolarità della fattispecie e alla parziale decisione in rito per compensare nella misura della metà le spese di lite che per il resto seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, mentre il contributo unificato va posto per intero a carico di parte ricorrente.

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