TAR Firenze, sez. III, sentenza 2021-08-11, n. 202101143

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2021-08-11, n. 202101143
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202101143
Data del deposito : 11 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/08/2021

N. 01143/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01099/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1099 del 2020, proposto da
G B, rappresentata e difesa dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, via Torre Belfredo 125;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena Grosseto e Arezzo, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio ex lege in Firenze, via degli Arazzieri 4;
Comune di Monterchi, non costituito in giudizio;

nei confronti

G G, rappresentato e difeso dagli avvocati Niccolò Pecchioli e Paolo Pecchioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

dell'ordinanza del Comune di Monterchi – Ufficio Tecnico, Urbanistica e Ambiente, n. 42 dell'11.09.2020 di demolizione e ripristino dei luoghi e, per quanto occorra:

- della comunicazione del Comune di Monterchi di avvio del procedimento “D.P.R. 06.06.2001 n. 380 – L.R. 03.01.2005 n. 1 – Muro insistente nel terreno F.11 part 485 (ex 184)” prot. n. 4442 del 27.07.2019;

- dell'integrazione all'avvio del procedimento prot. n. 4442 del 27 luglio 2019 “D.P.R. 06.06.2001 n. 380 – L.R. 03.01.2005 n. 1 – Muro insistente nel terreno F.11 part 485 (ex 184)” prot. n. 761 del 07.02.2020;

- di ogni atto presupposto, connesso o conseguente, anche non noto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena Grosseto e Arezzo, e del signor G G;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. P G nell'udienza del giorno 15 giugno 2021, tenutasi da remoto in video conferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137/2020, convertito con modificazioni in legge n. 176/2020, e s.m.i.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La signora G B è proprietaria nel Comune di Monterchi, località Padonchia, di un fabbricato a uso abitativo con annessa corte pertinenziale, sul quale sono stati eseguiti – in virtù di concessione edilizia n. 1519/2003 – interventi di ristrutturazione, adeguamento igienico-funzionale e miglioramento sismico.

Ella impugna l’ordinanza comunale n. 42 dell’11 settembre 2020, mediante la quale le è stato ingiunto di demolire e riportare allo stato autorizzato il muro di contenimento avente andamento curvilineo identificato con la lettera “A” nelle planimetrie allegate alla predetta concessione edilizia. Ad avviso dell’amministrazione procedente il muro sarebbe stato realizzato in difformità dal titolo, presentando un’altezza superiore a quella prevista.

1.1. Il gravame è affidato a quattro motivi in diritto.

1.2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, unitamente alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena Grosseto e Arezzo, e il signor G G, coinvolto nel procedimento in veste di denunciante l’illegittimità dell’opera ed evocato in giudizio quale controinteressato.

1.3. Nella camera di consiglio del 10 dicembre 2020, il collegio ha accolto la domanda cautelare formulata con il ricorso al dichiarato scopo di mantenere integra la res controversa .

1.4. La causa è stata trattenuta per la decisione di merito nell’udienza del 15 giugno 2021, tenutasi da remoto in video conferenza nel rispetto delle disposizioni di contrasto dell’epidemia da Covid-19, dettate per la giustizia amministrativa dall’art. 25 del d.l. n. 137/2020, convertito con modificazioni in legge n. 176/2020, e s.m.i..

2. Con il primo motivo di ricorso, la signora B lamenta che il provvedimento impugnato non sarebbe sostenuto da alcuna ragione di interesse pubblico attuale alla demolizione del muro di contenimento, tanto più che la sanzione demolitoria sarebbe intervenuta a distanza di diciassette anni dalla realizzazione dell’intervento e, pertanto, avrebbe richiesto una specifica e idonea motivazione sul punto.

Con il secondo motivo, la ricorrente ribadisce le doglianze inerenti l’assenza di interesse pubblico alla demolizione e invoca, quanto alla rilevanza del tempo trascorso, i principi ricavabili dall’art. 21- nonies della legge n. 241/1990, aggiungendo che il Comune neppure avrebbe preso in esame le conseguenze nefaste (effetti franosi) della demolizione del muro e, comunque, avrebbe errato nell’ordinarne l’integrale demolizione anziché la riduzione dell’altezza.

2.1. Le censure, da esaminarsi congiuntamente, sono infondate.

Per giurisprudenza oramai univoca, l’esercizio del potere sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia è doveroso e non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, ovvero una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né alcuna motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’irrogazione della sanzione, e il lungo tempo eventualmente trascorso non è idoneo a ingenerare in capo all’interessato un affidamento meritevole di tutela alla conservazione degli abusi (da ultimo, in linea con l’indirizzo indicato da Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 2021, n. 1552;
id., sez. II, 12 novembre 2020, n. 6950;
id., sez. II, 2 novembre 2020, n. 6709).

A sua volta è inconferente il richiamo alla disciplina dettata dall’art. 21- nonies della legge n. 241/1990, posto che non si discute dell’annullamento d’ufficio del titolo legittimante la costruzione del muro, bensì della sanzione irrogata dal Comune nei confronti degli abusi commessi dalla ricorrente in difformità da quel titolo, vale a dire dell’esercizio di poteri che rispondono a logiche differenti e principi autonomi da quelli che governano l’autotutela decisoria.

Quanto alla portata della sanzione, il dispositivo dell’ordinanza n. 42/2020 è chiaro nell’ingiungere la “ demolizione e riduzione in pristino, allo stato autorizzato CE1519/03 ”, risultandone smentita l’affermazione della ricorrente, secondo cui il Comune di Monterchi avrebbe inteso disporre l’indiscriminato e integrale abbattimento del muro. Resta fermo, d’altro lato, che a fronte dell’abuso nessun onere motivazionale grava sull’amministrazione procedente relativamente alle modalità mediante le quali eseguire il ripristino, giacché attiene alla fase esecutiva del provvedimento ogni valutazione circa l’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione senza pregiudizio delle opere realizzate legittimamente (sul punto si tornerà infra ).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente contesta l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 196 della legge regionale toscana n. 65/2014, entrata in vigore in epoca successiva alla realizzazione delle opere contestate e, in ogni caso, nega che possa parlarsi di intervento in totale difformità dalla concessione edilizia del 2003. Il Comune avrebbe comunque dovuto fare applicazione delle tolleranze di legge in materia di incrementi volumetrici e di altezza, e avrebbe altresì errato nel prospettare – per il caso di inottemperanza all’ordine di ripristino – l’acquisizione coattiva delle opere, nella peggiore delle ipotesi suscettibili della sola sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

Ancora, il provvedimento sarebbe irrazionale e illogico, non vedendosi l’utilità per il Comune intimato di demolire e/o acquisire al proprio patrimonio un muretto e la relativa area di sedime, inutilizzabile per qualsivoglia finalità pubblicistica, e invece indispensabile quale opera di contenimento e delimitazione della proprietà B.

3.1. Le censure non colgono nel segno.

È noto che l’abuso edilizio, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, soggiace al regime sanzionatorio vigente al momento in cui l'amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa, e non a quello vigente al momento della sua commissione ( tempus regit actum ). La sanzione demolitoria, dal canto suo, ha natura ripristinatoria dell’ordinato sviluppo del territorio e non afflittiva, di modo che non incorre nel divieto di irretroattività sancito dall’art. 1 della legge n. 689/1981 (fra le moltissime, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304;
id., sez. II, 27 settembre 2019, n. 6464).

Ne discende che correttamente, nella specie, il Comune di Monterchi ha fatto applicazione della disciplina sanzionatoria contenuta nella legge regionale n. 65/2014, il cui art. 196 – espressamente richiamato dall’ordinanza impugnata – punisce con la demolizione le opere realizzate in totale difformità, o con variazioni essenziali, dal titolo edilizio.

L’art. 206 della stessa legge n. 65/2014 punisce peraltro con la demolizione anche gli interventi realizzati in parziale difformità dal titolo, il che rende superfluo approfondire se la maggiore altezza del muro, contestata alla signora B, integri o meno una difformità totale dalla concessione edilizia nel 2003. Si è visto, infatti, come il Comune abbia ingiunto il ripristino del muro allo stato autorizzato dalla concessione, e non la sua demolizione integrale, facendo così applicazione in via di fatto del trattamento sanzionatorio previsto per la difformità parziale.

Con il contenuto della sanzione irrogata è incoerente, a ben vedere, l’individuazione da parte dell’ordinanza n. 42/2020 dell’area di sedime finalizzata alla successiva acquisizione d’ufficio (la quale, per inciso, sarebbe impedita nel caso in esame anche dall’art. 196 co. 8 l.r. n. 65/2014). Nondimeno, sotto questo profilo le doglianze della ricorrente appaiono inammissibili per difetto di interesse, poiché afferiscono a potenziali vizi di iniziative – l’acquisizione coattiva, come pure la preannunciata sanzione pecuniaria ex art. 31 co. 4- bis d.P.R. n. 380/2001 – ancora non assunte dal Comune, e non sono pertanto idonee a inficiare l’ordine di demolizione delle porzioni di muro eccedenti l’altezza assentita con la concessione del 2003, che, lo si ripete, rappresenta la sanzione minima prevista dalla legge per gli abusi in questione.

È vero che l’art. 206 cit. prevede, al secondo comma, che il Comune possa applicare una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione laddove risulti che questa non possa effettuarsi senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. Ma, di nuovo, si tratta di valutazione rimessa agli uffici comunali nella fase esecutiva dell’ordine di ripristino e non prodromica alla sua adozione.

Non ricorrono, infine, le condizioni affinché gli abusi siano ricondotti nell’ambito delle tolleranze di legge, le quali non possono eccedere il due per cento delle misure progettuali (artt. 206 co. 4 e 198 l.r. n. 65/2014), mentre alla ricorrente si contesta di aver pressoché raddoppiato l’altezza del muro come assentita.

4. Il quarto motivo investe l’istruttoria condotta nell’occasione dal Comune di Monterchi, che, in primo luogo, avrebbe ignorato le indicazioni contenute nelle tavole allegate alla domanda di concessione edilizia, attestanti un’altezza media del muro di contenimento pari a 1,75 m, rispettata dalla costruzione.

Il Comune, del resto, avrebbe confuso il muro per cui è causa con altri muri di contenimento presenti nella proprietà B e oggetto di separati contenziosi, così come avrebbe indebitamente trascurato l’apporto collaborativo della ricorrente senza neppure effettuare un sopralluogo per verificare l’effettiva altezza del manufatto, e senza considerare che la concessione del 2003 era stata seguita, nel 2006, dalla presentazione di due denunce di inizio di attività che prevedevano, fra l’altro, proprio l’elevazione di quota del muro di contenimento.

Da ultimo, la ricorrente deduce che quest’ultimo non sarebbe qualificabile come costruzione e non sarebbe pertanto sottoposto al relativo regime sanzionatorio.

4.1. Il motivo è infondato.

Le D.I.A. del 2006, invocate dalla ricorrente, si riferiscono rispettivamente alla ricostruzione del muro di confine tra la proprietà B e la proprietà di certo Rosado Giorgeschi (D.I.A. n. 643, presentata dallo stesso Giorgeschi), e alla realizzazione di un deposito interrato per la raccolta delle acque piovane con pavimentazione dell’area soprastante, corrispondente a quella delimitata a valle dal muro di contenimento oggetto dell’impugnata ordinanza n. 42/2020 (D.I.A. n. 644, presentata dalla signora B).

Né l’una, né l’altra, prevedono l’innalzamento del muro di contenimento, il cui unico titolo legittimante, di conseguenza, è rappresentato dalla concessione edilizia del 2003.

Il contenuto della concessione non può che essere definito sulla base degli elaborati grafici che compongono il progetto assentito. Se così è, l’unico documento attestante l’altezza del muro – identificato in progetto con la lettera “A” – è la relazione tecnica allegata alla pratica di concessione, che, nel paragrafo riservato alle sistemazioni esterne, parla di “ alcuni muretti di contenimento… dell’altezza massima di mt. 1.00/1.20… ”.

Il dato tratto dalla relazione tecnica è richiamato dal provvedimento impugnato, a conferma del fatto che il Comune non è incorso in equivoco nell’individuare l’opera realizzata in difformità dal titolo.

Tanto premesso, la ricorrente afferma che l’altezza del muro sarebbe rappresentata nella tavola progettuale relativa, appunto, alle sistemazioni esterne alla sua abitazione, e precisa che la misura di 1,75 m, risultante dalla tavola, andrebbe intesa come valore “medio” avuto riguardo alle caratteristiche costruttive del muro, che presenta altezza variabile.

La tesi è sconfessata dalla stessa tavola progettuale cui la ricorrente rinvia, nella quale sono indicate le quote del terreno (attuali e di progetto), e non anche quelle dei muri di contenimento, non necessariamente coincidenti con le prime (costituisce un dato di comune esperienza che il muro di contenimento può essere di altezza inferiore alla quota del terreno da esso sostenuto).

Il valore di 1,75 m non rappresenta, dunque, l’altezza del muro di contenimento “A”, ma quella del terreno a monte, di modo che l’unico riferimento valido per l’altezza del muro resta l’indicazione contenuta nella relazione tecnica (1 – 1,20 m);
e la ricorrente non soltanto non ha fornito – come pure sarebbe stato nella sua comoda disponibilità – alcuna prova di una diversa altezza del muro conforme all’indicazione originaria, ma ammette che esso raggiunge l’altezza massima di 2,35 m, coincidente con quella contestata dal Comune e di gran lunga superiore a quanto può reputarsi legittimato dalla concessione (si veda la consulenza tecnica di parte ricorrente a firma dell’ing. Roberto Rossi, in atti).

Nessun elemento favorevole alla ricorrente si ricava poi dalla relazione di compatibilità paesaggistica redatta dagli uffici comunali nel 2008, la quale attesta, al contrario, l’avvenuta realizzazione dei muri di contenimento in difformità dallo stato concessionato a fini edilizi. Né, a detti fini, è possibile ritenere il muro irrilevante sul presupposto, rimasto parimenti del tutto indimostrato, che lo stesso sarebbe posto a sostegno di un terrapieno o scarpata naturale (ancora una volta, ai sensi dell’art. 64 co. 1 c.p.a., si tratta di circostanza che sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare, in quanto nella sua disponibilità).

5. In forza di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.

5.1. Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente nei confronti del “controinteressato” G G (nel giudizio di impugnazione di una sanzione demolitoria non può parlarsi di controinteressati quali parti necessarie in senso tecnico), mentre possono essere compensate nei rapporti con le amministrazioni statali costituite, le quali hanno spiegato difese solo formali.

Nulla è dovuto per le spese nei rapporti fra la ricorrente e il Comune di Monterchi, che non si è costituito in giudizio.

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