TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-02-09, n. 202402627

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-02-09, n. 202402627
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202402627
Data del deposito : 9 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2024

N. 02627/2024 REG.PROV.COLL.

N. 05071/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5071 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato C V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura di Mantova, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia

- del decreto del Ministero dell’Interno n. -OMISSIS- del 10 marzo 2020, notificato in data 25 maggio 2020, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 13 settembre 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2024 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto del Ministero dell’Interno n. -OMISSIS- del 10 marzo 2020, , con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 13 settembre 2015, risultando a suo carico un decreto penale del G.I.P. del Tribunale di Mantova emesso in data -OMISSIS-, per il reato di guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, per il quale era stata condannata a 45 giorni di carcere (convertiti con ammenda pari a € 11.250,00) e all’ammenda di € 1.150,00, con sospensione della patente e confisca di quanto trovato.

L’impugnativa è stata affidata ai motivi di diritto che di seguito si riportano:

I. Eccesso di potere per difetto e/o insufficiente motivazione, mancanza di istruttoria e violazione del giusto procedimento , atteso che nella motivazione del provvedimento impugnato il Ministero degli Interni risulta aver semplicemente elencato una serie di dati di fatto senza alcun ulteriore approfondimento in ordine alla contingente situazione della ricorrente.

II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 7 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del giusto procedimento , esprimendo il sintagma motivazionale del provvedimento una valutazione superficiale che non tiene conto dei più recenti e chiari riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

III. Violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), anche con riferimento agli artt. 29 ss., 32, 38 Cost., violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali, violazione dell’art. 41 Cost., illogicità ed irragionevolezza delle disposizioni impugnate ed eccesso di potere , basandosi il provvedimento impugnato su una palese discriminazione della ricorrente, basata solo sul fatto della sua condizione di cittadina straniero.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.

Con ordinanza cautelare n. 5188 del 6 agosto 2020, è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, “considerata l’insussistenza del periculum in mora” .

All’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2024, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova sul punto osservare, alla luce della giurisprudenza di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., sez. IV n. 6473/2021;
sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
T.A.R. Lazio, sez. I ter, n. 3226/2021;
sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierno ricorrente, risultando a suo carico un decreto penale del G.I.P. del Tribunale di Mantova emesso in data -OMISSIS-, per il reato di guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, con condanna a 45 giorni di carcere (convertiti con ammenda pari a € 11.250,00) e all’ammenda di € 1.150,00, con sospensione della patente e confisca di quanto trovato, che denota una tendenza caratteriale della persona che desta un particolare allarme sociale e disvalore rispetto ai principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato, in quanto mette a rischio l’incolumità pubblica e privata.

In tale prospettiva, pertanto, è stata riconosciuta non irragionevole la valenza prognostica negativa attribuita a quelle condotte che, anche a prescindere dalla rilevanza sotto il profilo della gravità penale, sono considerate come contrarie al dovere di solidarietà, che implica, in primo luogo, quello di non mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità altrui, quali la guida in stato di ebbrezza inquadrandola nel più ampio ambito dei reati stradali, (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, sentenze n. 2943, 2947, 3026 e 3027, 4469, 4945, 4703, 4945, 6126, 6490, 8045 del 2022;
ord. 4552/2022;
8380 e 16221 del 2022).

In particolare, proprio in relazione al ritiro della patente per guida in stato di ebrezza, la giurisprudenza è del tutto consolidata nel ritenere che si tratta di “fattispecie che, pur se contravvenzionale e non grave con riferimento alla pena edittale, oltre a provocare un forte allarme sociale, è connotata da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato, in quanto suscettibile di mettere a rischio l’incolumità dei cittadini: la giurisprudenza è costante nel ritenere che il reato di guida in stato di ebbrezza deve essere oggetto di un serio apprezzamento, in quanto volto a garantire una tutela anticipata della pubblica incolumità;
detto reato, pertanto, giustifica di per sé il diniego della domanda di concessione della cittadinanza per residenza, rilevandone la portata offensiva nell’ambito del giudizio comparativo compiuto dall’Amministrazione (ex multis, Consiglio di Stato, parere n. 702 del 4 aprile 2022, e Sez. I, n. 780/2020;
T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 3026/2022). Inoltre, è stato altresì osservato che si tratta di un fatto che denota un’insensibilità al rispetto delle norme del Codice della strada, insensibilità che è stata causa, negli ultimi anni, di un enorme numero di incidenti stradali, tanto da indurre il legislatore ad intervenire con misure via via sempre più incisive, fino ad introdurre anche una fattispecie autonoma per la diversa ipotesi dell’omicidio stradale (previsto e punito dall’art. 589-bis c.p., inserito con la legge n. 41/2016), al fine di aggravare il trattamento sanzionatorio dei conducenti che, al momento del fatto, si trovano in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti”
( ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 15170/2022 e sentenze ivi richiamate).

In generale è stato più volte ribadito che tale comportamento va inquadrato nel più generale ambito dei reati stradali, che, un tempo erano sentiti come mancanze minori, ma poi hanno assunto un disvalore negativo sempre maggiore, in considerazione delle gravi conseguenze e della valenza significativa di mancanza di sensibilità nei confronti degli altri, di cui il soggetto mette futilmente a repentaglio l’incolumità - e, pertanto, risulta apprezzabile come fattore negativo, di assenza di quello spirito di solidarietà sociale che ci si attende da cui aspira ad essere immesso stabilmente nella Comunità del Paese ospite – con gravi conseguenze soprattutto a danno delle cd. fasce deboli della popolazione, “che finiscono per essere le vittime più frequenti degli incidenti che ne conseguono: bambini, anziani, portatori di handicap etc. come risulta dai recenti fatti di cronaca)” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 3677/2023).

Peraltro nel caso di specie il fatto contestato non è affatto risalente nel tempo, in quanto l’infrazione è stata segnalata in data 13 settembre 2009, ovvero soltanto 6 anni prima della stessa istanza di concessione, presentata in data 13 settembre 2015, sicché l’Amministrazione l’ha legittimamente presa in considerazione al momento di assumere la decisione sulla concessione della cittadinanza con l’atto di diniego impugnato, adottato in data 10 marzo 2020, in quanto ricadente nel “periodo di osservazione” in cui devono essere maturati i requisiti per la cittadinanza, incluso quello dell’irreprensibilità della condotta.

Deve inoltre evidenziarsi, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis , di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” ( ex multis , T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Alla luce di siffatta osservazione – che si fonda sul noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] – non potrebbe neppure valere l’osservazione di parte ricorrente in ordine all’intervenuta estinzione del reato ascrittogli, pronunciata dal Tribunale di Mantova in data -OMISSIS-, rimanendo il comportamento dell’istante comunque valutabile come fatto storico indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana (da ultimo, cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, 13910/2022).

Conferma del resto le suesposte conclusioni, anche la dichiarazione non veritiera fatta dal ricorrente in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana in ordine alla sussistenza del succitato precedente, la quale è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo indicativa di una non compiuta integrazione e conoscenza dei principi che informano anche il procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire (cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. I Ter, 31/08/2020 n. 9289;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475 3621 del 2022 e seguenti).

Ciò che rileva, infatti, non è l’astratta riconducibilità del rilevato mendacio dichiarativo alla conseguente fattispecie penale quanto, ancora una volta, la condotta considerata nella sua effettiva consistenza storico-fattuale, ai fini della complessiva valutazione demandata all’amministrazione procedente.

In proposito, il Collegio rammenta che quello disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000 n. 445 è uno dei sistemi cardine del funzionamento della macchina amministrativa italiana i cui principi, e le sottostanti sanzioni, ben devono essere compresi, conosciuti ed accettati dal soggetto che richiede di far parte della comunità nazionale, con l’ovvia conseguenza che la relativa violazione da parte del richiedente ben può concorrere, in senso ostativo, alla formazione del complessivo giudizio demandato al ministero dell’autorità procedente.

Appare infine destituita di fondamento la doglianza riferita alla violazione del termine di conclusione del procedimento, trattandosi invero di termine ordinatorio (come si ricava dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990) che non esaurisce, quindi, il potere in capo all’Amministrazione in caso di suo esercizio tardivo.

Sotto altro profilo, occorre evidenziare come neanche l’integrazione della ricorrente nel tessuto sociale italiano può assurgere a elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno il constatato motivo ostativo alla concessione dello status di cittadino, visto che lo stabile inserimento è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza.

Né appare meritevole di considerazione il possesso da parte della ricorrente della carta di soggiorno, trattandosi di provvedimento avente natura e finalità diverse rispetto al provvedimento di concessione della cittadinanza, sicché non è configurabile alcuna contraddittorietà rispetto a quest’ultimo atto, il cui giudizio di pericolosità viene declinato secondo modalità differenti e non paragonabili a quello svolto nell’ambito del procedimento di rilascio dello status di lungo soggiornante (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 1957/2024 dell’1.2.2024;
nonché Cons. Stato, Sez. III, n. 8050/2023;
n. 6720/2021, n. 3896/2021, ove si sottolinea che “ si tratta di condizioni non paragonabili tra loro. Ne consegue che il concetto di pericolosità viene declinato secondo modalità differente nel caso della carta di soggiorno rispetto alla cittadinanza italiana” ).

Peraltro nell’ambito del procedimento di concessione della cittadinanza, l’interesse pubblico tutelato non è soltanto quello della sola Amministrazione procedente, quanto piuttosto quello dell’intera Comunità dei consociati a scongiurare minacce alla sopravvivenza dell’Entità politica e delle sue Istituzioni;
sicché, nella ponderazione di tali interessi quest’ultimo prevale rispetto all’aspirazione dello straniero ad acquisire una cittadinanza diversa rispetto a quella dello Stato di appartenenza.

Vale inoltre osservare che “il sacrificio imposto all’aspirante cittadino, giustificato dall’esigenza di salvaguardare tali beni essenziali, consiste in limitati svantaggi che sono circoscritti sostanzialmente ai soli cd. diritti politici che costituiscono il “nocciolo duro” della nozione di cittadinanza, dato che, per il resto, lo straniero, è sostanzialmente equiparato al cittadino in tutti quegli aspetti che non attengono al potere di incidere sulla vita pubblica dello Stato ospite mediante l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento nazionale (allo straniero è infatti riconosciuto il diritto di partecipare alla vita politica locale dal Patto ONU sui diritti civili e politici, anche se, allo stato, la piena attuazione è subordinata all’adozione di legge ordinaria ai sensi dell’art. 9 del Testo unico immigrazione) e nell’assunzione di cariche pubbliche o impieghi che implichino l’esercizio di funzioni pubbliche. Per il resto, infatti, il riconoscimento dello status di lungo soggiornante consente allo straniero di risiedere a tempo indeterminato nel Paese, conferendogli una sorta di diritto di incolato sostanzialmente analogo a quello del cittadino (data la sostanziale impossibilità, di fatto, di espellere lo straniero che abbia una qualche forma di consolidato collegamento con il Paese;
l’estradizione risultando d’interesse solo nel caso, non ricorrente nel caso di specie, in cui il richiedente sia implicato in vicende criminali perseguibili all’estero), di svolgervi qualunque attività lavorativa (purché diversa da quelle implicati l’esercizio di funzioni pubbliche sopraindicate), di godere di tutte le libertà ed i diritti fondamentali (spettanti a qualunque uomo, in quanto tale, a prescindere dal collegamento con il territorio in cui è presente e dal possesso di eventuale titolo di soggiorno richiesto), di godere dei diritti civili (come già riconosciuto agli stranieri già dal codice civile del 1965, dato che la condizione di reciprocità, introdotta dal codice civile del 1942 al fine di tutelare i connazionali emigrati all’estero, è superata in virtù del combinato disposto degli artt. 9 d.lvo n. 286/1998 e 1 co.2 del DPR 394/1999) e di godere nei confronti dell’Autorità pubblica di tutti i diritti spettanti al cittadino, in condizione di piena parità, inclusi tutti i servizi pubblici, le erogazioni pubbliche e concessioni di beni pubblici: case popolari, reddito di cittadinanza etc. ai sensi dell’art. 9 co. 12 d.lvo n. 286/1998).

Peraltro, nel bilanciamento dei vantaggi e svantaggi, va considerato che, se da un lato il diniego della naturalizzazione comporta il mancato acquisto dei “diritti politici” e della possibilità di esercitare cariche e funzioni pubbliche, dall’altro lato, tuttavia, tale carenza è “compensata” dalla mancata assunzione dei correlativi “doveri pubblici”, che gravano solo sul cittadino, in particolare quello di difendere la Patria, sancito dall’art. 52 Cost. (in caso di mobilitazione generale, solo allo straniero è consentito di allontanarsi dall’Italia e di sottrarsi all’obbligo di partecipare alle operazioni militari, mentre, una volta naturalizzato, se lo facesse, sarebbe sanzionato anche penalmente).

Inoltre, in tale ponderazione, va considerata la natura “dinamica” che caratterizza il procedimento di naturalizzazione: il provvedimento di rifiuto della cittadinanza non preclude definitivamente la possibilità di acquisire tale status, ma solo temporaneamente, dato che lo straniero può ripresentare l’istanza più volte (senza alcuna limitazione), anche dopo solo un anno dal primo diniego, potendo far valere elementi favorevoli nel frattempo sopravvenuti (art. 5 co. 2 DPR 572/1993)” (cfr., in termini, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 1957/2024 dell’1.2.2024).

D’altronde, la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi