TAR Roma, sez. 4S, sentenza 2024-06-04, n. 202411387
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Pubblicato il 04/06/2024
N. 11387/2024 REG.PROV.COLL.
N. 03413/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quarta Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3413 del 2018, proposto da
R C, M F P, A P, rappresentati e difesi dagli avvocati A V D C, M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A V D C in Roma, via G.P. Da Palestrina n. 19;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21, e poi dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
- della determinazione dirigenziale del Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, Direzione edilizia, U.O. Condoni, di Roma Capitale, numero di repertorio QI/1737/2017 in data 10.11.2017, numero protocollo QI/189666/2017 in data 10.11.2017, notificata a tutti i ricorrenti in data 16 gennaio 2018, con la quale è stata rigettata l'istanza di condono protocollo nr. 0/572463, sot. 0, del 10.12.2004;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso, compreso, ove occorra, il preavviso di rigetto in data 27.03.2017;
nonché per il risarcimento di tutti i danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 aprile 2024 il dott. Marco Arcuri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, proprietari di due unità immobiliari facenti parte del complesso edilizio “I Casali di Tor Vergata”, sito in Roma, Via di Carcaricola n. 195, impugnavano il diniego di condono indicato in epigrafe, deducendo “ 1. Nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o elusione del giudicato di cui alle sentenze del TAR Lazio nn. 12891/2016 e 23/2017, ex art. 21 septies della legge n. 241/90 ” nonché altre censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Proponevano, altresì, “ istanza di risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa dell’illegittima azione amministrativa, da cui sono derivati i provvedimenti impugnati, con espressa riserva di meglio precisare i contenuti della stessa domanda e quantificare il pregiudizio sofferto, in corso di causa. A tal riguardo, tuttavia, sin d’ora s’evidenzia che il ricorrente, al fine di difendersi dalle iniziative poste in essere da Roma Capitale nel tentativo (fino ad ora palesemente illegittimo) di far fronte all’assurda situazione dalla stessa generata (come accertato dal TAR con pronunce ormai definitive), è da tempo sottoposto, assieme ai relativi familiari, ad un gravissimo stato di stress psico – fisico. Per non parlare, poi, delle ingentissime spese che lo stesso è stato ingiustamente costretto a sostenere per difendere la proprietà di un immobile legittimamente acquistato che, per cause imputabili all’Amministrazione resistente, al momento continua a rivelarsi del tutto incommerciabile ”.
2. Si costituiva in giudizio il Comune di Roma Capitale.
In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 19 aprile 2024, le parti depositavano memorie e repliche.
Roma Capitale, con memoria del 15 marzo 2024, segnalava che “ con la documentata adozione della determinazione commissariale n. 3 del 19.05.2022 (in atti), la determinazione impugnata è stata annullata, in vista della demandata attività di riesame volta alla verifica delle condizioni di fatto e diritto per la ridefinizione delle domande ” (di condono edilizio, relative al complesso edilizio di cui sopra). Pertanto, concludeva che “ ad oggi non sussiste di certo interesse alcuno a supporto della domanda, di certo superata dalla dedotta sopravvenienza e, sempre ai fini dello scrutinio di merito della domanda, che non sussiste interesse all’annullamento dell’atto contestato, per essere stato questo rimosso dalla p.a. a mezzo dell’incaricato organo commissariale ”.
Quanto all’istanza risarcitoria “ ellitticamente formulata in calce al ricorso attraverso ampie e generiche riserve a successive specificazioni, ed affidata laconicamente a non più di 4/5 righe, senza alcuna enucleazione o prospettazione ritualmente e compiutamente devoluta degli elementi di fatto e di diritto che ne integrerebbero i presupposti e concorrerebbero a comporre il quadro di ritenuta responsabilità di p.a. ”, nonché “ affidata a riserve di successive ed inammissibili integrazioni in corso di causa ”, e quindi “ inammissibile siccome generica ed aspecifica ”, concludeva per l’inammissibilità, ovvero in subordine per la nullità o per l’infondatezza della medesima.
3. Parte ricorrente, con memoria del 19 marzo 2024, chiedeva al Tribunale di dichiarare - per le ragioni sopra evidenziate - la cessazione della materia del contendere (piuttosto che il sopravvenuto difetto d’interesse), in merito alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato;quanto all’istanza risarcitoria, precisava che “ il danno di cui si chiede il risarcimento è chiaramente dipendente dall’illegittimo comportamento di Roma Capitale, che si è denunciato in ricorso ” e che “ in questa sede viene chiesto il ristoro del danno morale che parte ricorrente ha subito a causa della illegittima condotta posta in essere dalla controparte e del fortissimo stato di stress emotivo che ne è derivato ”;affermava che, nella specie, “ l’effettiva e gravissima incidenza del comportamento illegittimo di Roma Capitale, come innanzi descritto, sulla qualità, serenità e salubrità della vita, in ambito personale e familiare della parte ricorrente, va ben oltre le semplici presunzioni, costituendo un elemento di certezza oggettiva anche soltanto alla luce delle mere nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (con conseguente applicazione della norma di cui al comma 2 dell’art. 115 c.p.c., in virtù del rinvio esterno operato dal comma 2 dell’art. 39 c.p.a.) ”;in ordine alla quantificazione di tale danno, “ in considerazione del lungo lasso di tempo nel quale esso si è sviluppato (dal 2017 al 2022, data di annullamento in via di autotutela dei provvedimenti impugnati, da parte del commissario ad acta), si ritiene equo indicare una somma per lo meno pari ad € 10.000,00, e/o la diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, eventualmente determinata anche ai sensi dell’art. 1226 c.c., oltre rivalutazione e interessi ”.
Concludeva, pertanto, perché il Tribunale: 1) dichiarasse la cessazione della materia del contendere in merito alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato;2) condannasse Roma Capitale al risarcimento di tutti i danni oggetto di domanda, nella misura di € 10.000,00, o nella diversa misura ritenuta di giustizia, maggiore o minore, eventualmente determinata ex art. 1226 c.c. .
Con successiva memoria di replica del 29 marzo 2024, parte ricorrente rilevava, inoltre, che “ le affermazioni avversarie in merito alla pretesa genericità della domanda risarcitoria risultano superate dai contenuti della memoria difensiva già versata in atti, laddove sono stati ulteriormente precisati i presupposti ed i contenuti della medesima domanda, con quantificazione del danno ”.
4. All’udienza pubblica del 19 aprile 2024 la causa veniva trattenuta per la decisione.
5. Il Collegio ritiene che in merito alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato debba essere dichiarata la cessata materia del contendere.
La pronuncia di cessata materia del contendere deriva dall’adozione della determina n. 3 del 19.05.2022 del Commissario ad acta delegato all’attuazione delle sentenze nn. 5650, 5651, 5652, 5653, 5654, 5655 e 5657 del 6 maggio 2019 del TAR Lazio, Sezione I quater, con la quale, “in autotutela decisoria”, sono state annullate “ le determinazioni dirigenziali, di cui all’allegato elenco che fa parte integrante del presente provvedimento, emesse dal Comune di Roma - Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Direzione Edilizia - U.O. Condoni, con cui si è provveduto alla reiezione delle domande di condono edilizio degli immobili di proprietà dei ricorrenti di cui alle sentenze nn. 5650, 5651, 5652, 5653, 5654, 5655 e 5657 del 6 maggio 2019 del T.A.R. Lazio, Sezione I-quater ” e “ di avviare contestualmente il procedimento di riesame delle medesime domande di condono edilizio ”. Dall’allegato elenco si ricava che il predetto provvedimento commissariale concerne, tra le altre, la determinazione dirigenziale, così identificata: “ Edificio F – Prot. nr. 0/572463 – int. 1/2 – determinazione dirigenziale notificata – Rep. QI/1737 prot. QI/189666 del 10.11.2017 ” ovvero il provvedimento impugnato nel presente ricorso.
È noto che il discrimen tra cessazione della materia del contendere e sopravvenuta carenza di interesse alla decisione è individuato nel carattere satisfattivo o non satisfattivo dei provvedimenti successivamente adottati dall’Amministrazione in relazione alla fattispecie: “ la cessazione della materia del contendere postula la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere il bene della vita agognato, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo;l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse risulta, invece, riscontrabile qualora sopravvenga un assetto di interesse ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio - anziché per l’ottenimento - per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente ” (Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 marzo 2021, n. 2224).
Nel caso di specie, stante l’annullamento in autotutela del diniego di condono gravato, da parte del commissario ad acta , per ciò solo deve ritenersi soddisfatto l’interesse di parte ricorrente.
Ciò posto, le spese di lite andranno poste a carico di Roma Capitale, stante il sopraggiungere del predetto atto di autotutela, il quale ha soddisfatto la pretesa dei ricorrenti, volta all’annullamento del diniego di condono gravato, circostanza in sé indicativa – soprattutto se rapportata alla prima doglianza di parte ricorrente, come sopra riferita – dell’astratta validità delle ragioni, poste a fondamento dell’azione esercitata ex art. 29 c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 20 novembre 2023, n. 9907: “ la dichiarazione di cessata materia del contendere comporta che, al di fuori dei casi di compensazione, il Giudice debba liquidare le spese di giudizio secondo il criterio della cd soccombenza virtuale, ovvero secondo quello che sarebbe stato l'esito del processo ove la cessazione non fosse intervenuta, apprezzato secondo una sommaria delibazione del merito della pretesa azionata ).
6. Quanto alla domanda risarcitoria, l’azione di risarcimento dei danni materiali va respinta, sia perché parte ricorrente nelle proprie conclusioni ha esplicitamente limitato la domanda de qua ai soli danni morali (“ in questa sede viene chiesto il ristoro del danno morale che parte ricorrente ha subito a causa della illegittima condotta posta in essere dalla controparte e del fortissimo stato di stress emotivo che ne è derivato ”), così sostanzialmente ed implicitamente abdicando all’azione di risarcimento del danno materiale, sia perché - stante la sua estrema genericità nonché la mancata integrazione, in giudizio, della prova dei suoi elementi costituitivi - la stessa non avrebbe potuto, in ogni caso, essere favorevolmente delibata dal Collegio.
Quanto alla richiesta di risarcimento del danno morale, come perimetrata da parte ricorrente, ritiene il Tribunale che la stessa neppure possa essere accolta, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale, compendiato nella seguente massima: “ anche in relazione ai danni non patrimoniali, si è pur sempre in presenza di un danno-conseguenza, che deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi "in re ipsa" ” (Cass. civ. Sez. III, Sent., 10 maggio 2018, n. 11269)
Nel caso di specie, il Collegio rileva che l’azione risarcitoria, sia pure infine volta al solo riconoscimento, in favore dei ricorrenti, del danno c.d. morale, è, tuttavia, rimasta sfornita di qualsivoglia prova (quale, a titolo di esempio, uno stato di ansia o di sconforto certificato da una dichiarazione medica) circa la sua concreta verificazione, essendosi parte ricorrente dichiaratamente affidata, ai fini della dimostrazione della sussistenza dell’ an di tale categoria di pregiudizio, nella forma dei patemi d’animo e delle sofferenze psichiche, asseritamente subite per effetto della vicenda amministrativa, concretizzatasi nell’impugnato diniego di condono, al fatto notorio, ex art. 115 cpv. c.p.c. (“ l’effettiva e gravissima incidenza del comportamento illegittimo di Roma Capitale, come innanzi descritto, sulla qualità, serenità e salubrità della vita in ambito personale e familiare della parte ricorrente va ben oltre le semplici presunzioni, costituendo un elemento di certezza oggettiva anche soltanto alla luce delle mere nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza ”.
Ma tanto non è evidentemente consentito, giacché l’auspicato ricorso, da parte del Tribunale, alla regola di giudizio, di cui all’art. 115 cpv. c.p.c. (“ Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza ”), si rivelerebbe, nella specie, oltremodo fallace, giacché postulerebbe, in tesi, l’applicazione della regola di comune esperienza, per cui vicende amministrative, del genere di quella che ha interessato i ricorrenti, procurano stress e patimenti morali (ammesso e non concesso che siffatta regola di esperienza comune possa dirsi effettivamente sussistente), con un evidente salto logico, alla specifica vicenda che viene in rilievo nella specie, in assenza di una qualsiasi prova circa la sua effettiva, e concreta, verificazione.
In pratica, sostenere che vicende amministrative siffatte implicano, in genere, patimenti morali e stress non implica necessariamente - in assenza della benché minima prova sul punto, che non sia il riferimento, per l’appunto, alla nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, in questione - che ciò si sia verificato, anche nella specie.
7. In ragione delle suesposte considerazioni, in relazione alla domanda di annullamento va dichiarata la cessata materia del contendere mentre la domanda risarcitoria va respinta.
7.1 Le spese di lite, per la regola della soccombenza virtuale, vanno invece poste a carico di Roma Capitale, e sono liquidate come in dispositivo.